Ethero

martedì 18 marzo 2014

Yaiba:Ninja Gaiden Z

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Team Ninja

  • Data uscita:21 marzo 2014

     

     

    Immaginate per un attimo di aver attivato involontariamente una bomba ad orologeria in un palazzo pieno di persone. Cosa fareste dopo esservi resi conto dell’idiozia apocalittica appena combinata? I corsi d’azione possibili sono due: l’uomo giusto, con la fronte grondante di sudore e le mani tremanti, tenterebbe di disinnescare la bomba e portarla il più rapidamente possibile lontana da tutti quegli innocenti. L’uomo un po’ meno giusto, invece, probabilmente passerebbe la bomba a qualcun altro e se la filerebbe con la velocità di un puma, magari urlando un “bye bye sfigato!” non proprio gentilissimo al nuovo sventurato possessore dell’ordigno esplosivo. 
    Quando si tratta di videogames, abbiamo negli ultimi anni notato un comportamento simile a quello dell'uomo “meno giusto” tra gli sviluppatori. La bomba, in questo caso, è rappresentata dai marchi storici di una determinata casa, quelli che in passato hanno conquistato milioni di fan, hanno dato vita a serie composte da numerosi capitoli, e attorno ai quali ogni volta si formano aspettative mostruose. Deludere i fan significa innescarlo, l'esplosivo, ed è esattamente ciò che è successo con la serie Ninja Gaiden, che dopo la partenza di Itagaki dal Team Ninja e un ultimo capitolo a dir poco deludente è ora passata nelle mani di un team americano, gli Spark, in collaborazione con i Comcept del padre di Megaman, Inafune. 
    Il Team Ninja però non ha voluto fare un balzo nel vuoto, e ha pertanto scelto la via più o meno sicura dello spin-off. Abbandonando momentaneamente Ryu Hayabusa come protagonista, Yaiba: Ninja Gaiden Z sembra voler ribaltare completamente il tono della serie, per trasformarsi in un action game ancor più eccessivo, spettacolare, e (visto che ormai li infilano ovunque) ripieno di zombie.
    Gli Spark non sono certo noti per aver sfornato capolavori fino ad ora, dunque il progetto ha sempre scatenato parecchi dubbi tra fan del super ninja e redattori. Sarà riuscito il team californiano a spezzare le catene della mediocrità, e a regalare una bella infusione di novità ai Ninja Gaiden?
    Partiamo dalla narrativa, che è uno degli elementi a cui il cambio di team non può che aver fatto bene. Ok, Yaiba non ha una gran trama, tutt'altro, ma nulla può esser peggio di una storia scritta esclusivamente dagli sceneggiatori del Team Ninja (non ci credete? giocatevi Metroid Other M). Il trittico di team ha infatti sfornato una premessa molto semplice, ma adeguata, mettendo il giocatore nei panni di Kamikaze Yaiba, un ninja violentissimo e completamente pazzo appartenente al clan Kamikaze, che all'inizio del gioco... muore.
    Avete capito bene, durante una battaglia all'ultimo sangue proprio con il super ninja Ryu Hayabusa, Yaiba sopravvaluta la resistenza della sua katana, e si ritrova con un pezzo di testa e un intero braccio tranciati di netto dal corpo. Si risveglia mesi dopo, trasformato in un cyborg e ai comandi di una misteriosa rossa tutto pepe chiamata Miss Monday e del suo capo, un individuo odioso di nome El Gonzo. La missione? Indagare su di una misteriosa invasione di zombie avvenuta in Russia. Ah, Hayabusa è da quelle parti, peraltro.
    Come abbiamo già detto, non è una storia particolarmente appassionante, ma funziona, anche perché Yaiba è il prototipo del perfetto bastardo. Il protagonista è un idiota, rozzo, sboccato, e privo di scrupoli, eppure rappresenta la perfetta antitesi di Hayabusa. Può risultare irritante, sì, ma inserito in un contesto completamente folle, over the top e politicamente scorretto ha il suo perché. Tra un "fuck" e l'altro, non mancherà qualche scena capace di strapparvi un sorriso, anche se si tratta di una comicità molto “anni 90” che non tenta minimamente di trattenersi. 
    In un action hack 'n' slash però la trama non è certo la colonna portante della produzione, è il gameplay a farla da padrone, e Yaiba ha più di qualcosa da dire in questo campo. Contro ogni aspettativa, gli Spark hanno tirato fuori un sistema piuttosto brillante dalla collaborazione con Team Ninja, che sfrutta solo una piccolissima parte degli elementi dei vecchi Ninja Gaiden, arrivando a differenziarsene del tutto.
    Per prima cosa, in Yaiba non c'è inerzia nei movimenti. Il protagonista si muove rapidamente, non ha armi a distanza, non dispone di un salto ma di una schivata rapida, attacca con colpi a raffica e può interrompere buona parte dei suoi assalti con un'utile parata, senza ritardi o pause. Non ci sono momenti morti in questo combat system, che peraltro abbandona le armi equipaggiabili per dare a Yaiba tre attacchi differenziati utilizzabili e mescolabili in qualunque momento: un attacco con catena ad area, dei colpi lenti e potenti con il suo braccio bionico, e dei fendenti rapidi con la spada. L'unico elemento rimasto (per così dire) invariato è il combo system, legato sempre all'uso alternato dei vari attacchi per ottenere effetti variabili. Avanzando nel gioco potrete inoltre potenziare il vostro ninja e ottenere combo per ogni situazione, da quelle posizionali che lo spostano di qualche metro dopo l'ultimo colpo, a quelle esplosive che possono stordire gruppi di avversari. Non male sulla carta, ma non è questa la peculiarità primaria del sistema di Yaiba.
    Gli Spark hanno di fatto schiacciato l'acceleratore su un sottosistema elementale piuttosto interessante, che permette di staccare le parti degli zombie dopo un'esecuzione e di utilizzarle a mò di arma. Ci spieghiamo meglio: in Yaiba molte delle battaglie ruotano attorno ai colpi di grazia, eseguibili su avversari indeboliti a dovere dopo aver portato a termine una combinazione qualsiasi. Utilizzare un'esecuzione garantisce di far apparire dei comodi tasselli rossi che curano il protagonista e, se le si utilizza contro avversari specifici dotati di poteri elementali e non, di equipaggiare temporaneamente dei pezzi del loro corpo. Strappate la spina dorsale di una sposa zombie e avrete una frusta elettrica a disposizione, mentre la testa di un ciccione non morto infuocato vi donerà un mortaio improvvisato. La cosa migliore? Usate l'elemento giusto contro lo zombie giusto e otterrete una reazione a catena devastante, cristallizzandolo, provocando una tempesta di fuoco e fulmini, o dandogli fuoco senza pietà. 
    Come idea è ottima, ma una volta vista la sua applicazione iniziano i problemi. In Yaiba infatti il difetto maggiore è il caos delle situazioni, uno scheletro incasinato che sminuisce non poco l'ottimo sistema descritto poco fa. Gli Spark, purtroppo, non hanno ancora appreso l'arte del game design, e durante tutta la campagna non hanno fatto altro che inserire combattimento dopo combattimento, aumentando di volta in volta il numero e la diversità (limitata) dei nemici in scontri divisi in più sessioni. Per caos intendiamo la randomicità che spesso domina le battaglie, caratteristica che in un genere di solito affinato e dotato di meccaniche precise come quello degli action hack 'n' slash è un notevole punto a sfavore. Vi capiterà spessissimo di faticare persino a capire dove si trova Yaiba in mezzo alla tormenta di effetti speciali correlata all'uso degli elementi nel gioco, e non mancheranno le battaglie che si trasformeranno da “assolutamente impossibili” a “una passeggiata” per motivazioni del tutto casuali. Aggiungete a tutto questo la resistenza ridicola di Yaiba, che muore con tre/quattro colpi, una telecamera non proprio impeccabile, checkpoint calcolati malissimo, e il fatto che la difficoltà elevata porta il sistema di esecuzioni a divenire centrale per l'avanzamento nelle missioni, e otterrete un minestrone dove l'ottima base iniziale è stata rovinata da un'aggiunta davvero eccessiva di peperoncino e spezie e casaccio. 
    Un peccato, anche perché quando il sistema funziona è spassoso, ma tali problemi di bilanciamento portano il giocatore a utilizzare solo una manciata di combo sicure, ad attivare una speciale modalità berserk caricabile che rende Yaiba temporaneamente invulnerabile nei momenti duri o ad abusare di colpi singoli che vengono considerati come combinazioni dal gioco e quindi garantiscono di eseguire i colpi di grazia. Si poteva sicuramente fare un lavoro migliore, e le sezioni platform pilotate che intervallano gli scontri, accompagnate da facili puzzle qua e là, non innalzano certo l'esperienza. E' quasi paradossale che la modalità speciale Arcade, sbloccabile dopo aver completato la campagna, sia più bilanciata di quella primaria, proprio perché priva di esecuzioni e armi elementali. 
    Tecnicamente, non siam messi molto meglio. Lo stile del gioco è unico, ispirato ai fumetti americani e volutamente reso con l'ausilio di un cel shading dai tratti netti. Questo ha concesso agli Spark di mettere in piedi mappe dal conteggio poligonale limitato e comunque di ottenere una resa grafica passabile, solo che il colpo d'occhio viene rovinato da modelli a volte un po' troppo grezzi, texture sfocate e da un evidente aliasing (abbiamo notato anche un po' di tearing nella versione review per Xbox360). Non parliamo poi dei bug visivi, con pop in dei nemici continuo, interpolazione poligonale a gogo, e altri difettucci grafici qua e la. Molte problematiche sono state risolte rispetto all'atroce codice preview provato tempo fa, ma qualche limatura extra non avrebbe guastato.
    Niente di che la longevità, considerando che la campagna primaria la si può tranquillamente finire in meno di 5 ore, e la modalità Arcade vi occuperà molto tempo più per la sua difficoltà che per la lunghezza effettiva. La possibilità di ottenere punteggi alla fine delle missioni e le difficoltà maggiori potrebbero comunque spingervi a rigiocare il tutto più volte, sempre che il combat system vi conquisti.

lunedì 17 marzo 2014

Dracula 5:Il Rettaggio di Sangue

  • Genere:Avventura grafica

     

    C’è qualcosa di incredibilmente spaventoso in Dracula 5: Il Retaggio del Sangue, ma non è né l’ambientazione, né il sanguinario conte della Transilvania. Di pauroso, c’è la leggerezza con cui un gioco intero è stato tagliato a metà e distribuito in due parti diverse, perché Dracula 4: L’ombra del Drago e questo ultimo capitolo, fanno in verità parte di un unico corpo martoriato ed esangue. Se presi singolarmente, dunque, hanno poco diritto di esistere, per il semplice fatto che il senso di incompletezza che aleggia sulla produzione è qualcosa che nessuno potrà mai togliervi da sotto il naso, nemmeno se siete attratti dal magnetismo del conte al punto da perdere completamente contatto con la realtà.

    Canini spuntati
    L’ombra del Drago si concludeva col tipico momento “cliffhanger”, che lasciava chiaramente intendere un prosieguo che si sarebbe sviluppato poco dopo con l’uscita de Il Retaggio del Sangue. Chi non ha avuto modo di seguire le vicende del precedente capitolo, tuttavia, in questo seguito avrà modo di visionare un filmato riassuntivo abbastanza sbrigativo, che fa comprendere quantomeno i motivi per cui vi troverete nei panni di Ellen Cross, una restauratrice entrata in contatto con uno strano dipinto raffigurante il volto di Dracula. Sebbene il riassunto risulti essere indispensabile per comprendere le dinamiche di gioco, cominciare dalla seconda metà fa perdere inevitabilmente tutta una serie di riferimenti narrativi andati perduti nel tempo, come se l’intera trama fosse stata asciugata all’osso e privata del suo respiro, che rimane in ogni caso poco ampio. In verità, anche unendo i due giochi, viene fuori una storia appena sufficiente, con parecchi momenti poco avvincenti (se non addirittura trascurabili); tutto questo, senza contare il fatto che l’atmosfera dei primissimi episodi sembra sia andata perduta per sempre in favore di una realizzazione che in alcuni tratti dimostra tutta la sua inadeguatezza. Dracula 5 è arretrato anche tecnicamente, e questo, per un titolo che si configura come un’avventura grafica vecchio stile, è un difetto piuttosto grave. Considerando poi la grande staticità degli scenari e la loro sostanziale mancanza di alterazioni dovuta all’assenza di elementi esterni, stupisce in negativo la sua resa estetica, spesso anonima e ricca di zone che definire disadorne è quasi un complimento. Chiaramente non tutti gli scenari sono così poco ispirati, e qualcosa di salvabile dal punto di vista artistico c’è, peccato solo che la bilancia tenda pericolosamente a sfavore di quest’ultime, facendo crollare ogni buona intenzione e ogni flebile speranza da parte del giocatore, che ha già ben pochi stimoli per proseguire lungo l’avventura. Forse la prima ora riesce a trainare un po’ l’utente lungo l’avventura, perché si riesce a notare un buon equilibrio tra fasi esplorative ed enigmi, che si limitano inizialmente solo a qualche utilizzo degli oggetti dell’inventario. Avanzando, però, il numero di enigmi cresce a dismisura, fino quasi a diventare esagerato e poco giustificabile. Il loro modello stilistico si allinea alla serie di Myst, ma la loro presenza è invadente e spesso fuori luogo, soprattutto quando vi renderete conto che per entrare nella dimora del conte dovrete calarvi nei panni di un convinto risolutore di rompicapi, peraltro abbastanza fini a se stessi.

    Aiuto, sono malata
    L’unico spunto potenzialmente degno di nota, è rappresentato dalla malattia cronica che affligge la protagonista: Ellen, infatti, ha bisogno di assumere con una certa frequenza una medicina andata ormai fuori produzione, pertanto si ritroverà costretta a dipendere dal farmaco per tenere sotto controllo le complicazioni dovute al suo stato di salute. O perlomeno, questa era l’intenzione degli sviluppatori, ma la realtà è ben diversa da quanto potrebbe apparire, perché la meccanica della cura è veramente mal implementata. Qualora non riusciate a mantenere la barra della salute oltre un certo livello, non arriverete a una fine del gioco, ma solo a una penalità del punteggio e a un reset della stessa. Niente di troppo problematico, in fin dei conti, e questo è un gran peccato, perché a ben vedere, questa soluzione avrebbe potuto tenere maggiormente sulle spine i giocatori fino a generare un buon livello d’ansia. Ansia che manca totalmente quando girovagherete lungo gli scenari, sia per via della loro realizzazione, sia a causa del sistema di avanzamento saldamente ancorato a un passato ormai superato. Dovete infatti considerare che la visualizzazione delle schermate e la progressione non avvengono liberamente; sarete costretti a cliccare da una parte per vedere l’angolazione successiva, e il massimo della manovrabilità è rappresentato dal potersi guardare attorno rimanendo sul posto. Molto male. Questo sistema, oltre a non funzionare, mette in luce tutte le magagne del gioco. Giusto per fare un esempio, vi capiterà di parlare con un personaggio, ascoltare tutto ciò che avrà da dire, fare un passo indietro, ritornare nel punto in cui è avvenuto il dialogo e… puf, il personaggio non c’è più. Sparito. Volatilizzato. Peccato che nessuno di questi sia Dracula e che non siano dotati di poteri sovrannaturali, anche se a dire il vero la loro impalpabilità e il loro spessore pressoché nullo farebbero quasi pensare a delle figure evanescenti che ben si adattano al contesto di gioco. Contesto decadente nella sostanza, più che nella forma, perché Dracula 5: Il retaggio di Sangue è un mezzo disastro, un titolo che non riesce nemmeno a chiudere come si deve la saga (difficile vedere un sesto capitolo, vista la brutta piega qualitativa). La narrazione, in alcuni frangenti, appare anche sfilacciata e poco coesa, con un’assenza di bivi parecchio strana, vista la scelta di decidere come portare a termine il gioco. Avrete come la sensazione di non aver davvero contribuito ad arrivare a quell’epilogo, perché nell’arco della breve esperienza non avrete fatto nulla per cambiare delle sorti già scritte a monte. E se poi avete anche voglia di vedere l’altro finale, vi basterà semplicemente caricare l’ultimo salvataggio e fare la scelta opposta. Anche perché – diciamocelo francamente – la voglia di rifare tutto da capo quando non si hanno stimoli e quando saprete già tutto di una storia che viaggia su binari perfettamente dritti, è semplicemente nulla. Qualcosa di buono, Dracula 5 la fa: conclude un discorso cominciato con un deludente quarto capitolo e chiude il Conte nella sua bara con un ultimo, saldissimo chiodo. Preso singolarmente, Il Retaggio di Sangue è un gioco inequivocabilmente incompleto, e tanto basta per fargli avere una valutazione ben al di sotto della sufficienza.

     

martedì 11 marzo 2014

Titanfall

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Respawn Entertainment

  • Distributore:EA

  • Data uscita:13 marzo 2014 (PC, Xbox One) - 25 marzo 2014 (Xbox 360)

     

    La storia che si cela dietro la nascita di Titanfall e dei suoi creatori non è sicuramente una delle più serene, ma ha sempre esercitato su di noi un forte fascino. Jason West e Vince Zampella dopo il licenziamento da Activision hanno raccolto i cocci della vecchia Infinity Ward e con qualche centinaia di milioni di dollari sulle spalle, ottenuti con la seguente causa legale, hanno dato vita a Respawn Entertainment, presa subito sotto l'ala protettrice di Electronic Arts. Proprio mentre tutte le orecchie erano tese verso lo studio di sviluppo, arriva l'annuncio tanto atteso: Lo storico duo rivela un nuovo shooter, frenetico come Call of Duty ma infarcito di robottoni e da nuove meccaniche che lo renderanno unico nel suo genere. L'hype schizza alle stelle e nel 2013, quando durante la conferenza Microsoft Titanfall viene mostrato per la prima volta al pubblico in sala, è un boato di applausi. Il titolo convince e piace, e il suo successo sembra essere già scritto nel firmamento dei videogame. A poco meno di due anni da quel giorno ci troviamo per le mani la sua versione completa pronta per la recensione e dopo le nostre prove entusiastiche dei mesi passati siamo pronti a dirvi oggi se le attese erano giustificate o se invece il titolo ci ha riserbato qualche amara sorpresa.

    La storia ci insegna a non ripetere errori fatti in passato
    Ci troviamo nel futuro e la Terra, per come noi la conosciamo oggi, non esiste più. L'umanità si è spinta oltre i confini dello spazio attraverso viaggi interstellari e la colonizzazione di altri sistemi solari è ormai iniziata.
    La IMC ha avuto un ruolo importantissimo in questa operazione e sotto il suo controllo moltissime sono state le spedizioni inviate sui diversi pianeti per verificarne l'abitabilità e ricercare eventuali risorse da sfruttare. Con il passare del tempo le colonie hanno ottenuto l'indipendenza e l'allontanamento della IMC per un periodo lunghissimo dalla frontiera, un agglomerato di pianeti abitabili relativamente vicini, ha segnato l'inizio del declino. Abbandonati a loro stessi, i pionieri hanno vissuto anni terribili di conflitti interni e di povertà, messi in difficoltà dalla completa assenza di qualsivoglia punto di riferimento e isolati completamente dai Sistemi Centrali.
    Dopo anni di latitanza e in seguito ad una richiesta sempre maggiore di materie prime, la IMC torna a farsi viva e con una flotta immensa di navi tenta i riprendere il controllo e il possesso dei pianeti precedentemente colonizzati. Mettendo da parte gli attriti preesistenti i coloni formano la Militia per respingere quello che secondo loro è ora un usurpatore senza diritti, facendo scoppiare una enorme guerra interplanetaria.
    Il giocatore vestirà così i panni di un soldato dei due schieramenti in difesa dei propri ideali e tenterà in ogni modo di difendere la propria libertà da una parte e riconquistare il dominio territoriale dall'altra.
    Tutti questi accadimenti vengono raccontati in una sorta di campagna, unicamente online, che grazie alla presenza di brevi cut scene tra una partita e l'altra svilupperanno la narrativa mettendo il nostro team al centro del mirino. 
    Non potendoci porre nel ruolo del classico eroe solitario e invincibile come accade solitamente negli shooter odierni, in Titanfall saremo un semplice soldato e insieme ad altri cinque compagni di squadra dovremo affrontare altri sei giocatori dello schieramento opposto, ricevendo ordini dai comandanti della Milizia o della IMC a seconda della fazione scelta.
    Purtroppo le cut scene in questo caso rendono difficilissimo affezionarsi ed entrare in sintonia con i pochi protagonisti della storia, rendendo questa serie di missioni della campagna piuttosto marginali e superflue. 
    Quello che Respawn Entertainment ha inserito è giusto un contentino per tutti coloro che desideravano conoscere maggiormente il background di Titanfall, ma si tratta ad ogni modo di una feature utile unicamente a dare maggior spessore al gioco, che non ne aumenta la longevità in maniera significativa né tantomeno aiuta a prendere confidenza con i controlli. Per quello infatti c'è già un corposo e completo tutorial che spiegherà le basi del movimento, dell'uso dei wall jump e ovviamente di come controllare e combattere un titano.
    Ci troveremo costretti quindi ad affrontare in serie otto missioni, suddivise unicamente tra la modalità Hardpoint e Attrition, cosa che non ci terrà impegnati per più di 2 ore per fazione. È indispensabile tuttavia completare queste partite per sbloccare la classe del titano Strider e l'Ogre, non ottenibili in nessun altro modo. Noi avremmo preferito ad esempio guadagnarli con la crescita del nostro personaggio, lasciando il giocatore libero di scegliere da subito dove e in che modo giocare senza ancorarlo forzatamente a una campagna tutto sommato inutile.
    Portata a termine la campagna e con tutti i titan a disposizione, finalmente, il giocatore potrà concentrarsi sulle cinque modalità multigiocatore presenti in Titanfall, poche a dire il vero per un gioco del genere. Il titolo tuttavia riesce a nascondere queste sue mancanze sotto un gameplay incredibilmente dinamico, risultando tra i più divertenti nel genere FPS degli ultimi anni.
    Ad affiancare gun fight veloci ma pensate per lasciare ai giocatori il tempo di reagire ai colpi subiti con manovre evasive, si presenta la possibilità di sfruttare completamente la verticalità delle mappe per una complessità dell'azione sinceramente incredibile. Cambia completamente la percezione a cui il giocatore si è abituato negli ultimi anni e ora, oltre a dover controllare le linee di tiro orizzontali ci si trova immersi in un ambiente che offre decine e decine di punti pericolosi dai quali un nemico potrebbe sorprenderci. È incredibile quindi la concentrazione richiesta per ottenere buoni risultati e l'occhio deve correre veloce per lo schermo esplorando ogni singola copertura, finestra, tetto o parete presenti nel nostro campo visivo. Titanfall è un gioco indubbiamente frenetico ma, come dicevamo prima, non esente dalla strategia. Subire un paio di colpi dalla media distanza non significa morte certa e la grandissima mobilità dei personaggi permette di scappare dai pericoli in maniera rapida ed efficace. Grazie ai Jump Kit forniti ai piloti questi potranno infatti scavalcare muretti o aggrapparsi ai vari tetti degli edifici per inventare nuove vie di fuga o di attacco. Ci piace come la mente debba ragionare veloce mentre corriamo attaccati ad una parete e dobbiamo scegliere da che parte andare o in quale stanza entrare, decisioni da prendere nel giro di qualche secondo e che potrebbero davvero fare la differenza tra portare a casa una kill facile o trovarsi nel punto sbagliato al momento sbagliato. In tutte le mappe presenti, ben 14 in totale, la velocità è infatti il fulcro di tutto e appostarsi su un tetto ad attendere che passi qualcuno non risulta essere sempre una strategia fruttuosa come negli altri shooter. Il camping è difatti decisamente limitato, anche se cecchinare è un'opzione che risulta comunque disponibile. Il fucile longbow-DMR in questo caso risulta estremamente adatto grazie al suo zoom 6X e il suo rateo di fuoco alto, indispensabile se pensiamo che per uccidere un pilota anche con lo sniper rifle serviranno almeno due colpi (ad eccezione degli headshot). Il Quick Scope non è fattibile e l'estremo ingombro visivo delle suddette armi porta un ulteriore handicap per i tiratori più abili. Abbiamo provato durante le nostre partite ad appostarci e bersagliare i nemici da posizione nascoste e, sebbene il K/D ratio fosse completamente dalla nostra a fine partita, i punti effettivi utili a portare benefici alla squadra non erano paragonabili ad eventuali sessioni di run and shoot eseguite con mitragliette o fucili d'assalto.
    Titanfall è quindi completamente indirizzato al dinamismo e solo in Capture the Flag, magari armato di cariche esplosive, un cecchino può permettersi di difendere da una posizione fissa la propria base.
    Ad andare ulteriormente contro questa filosofia di gioco ci si mettono un'interfaccia e abilità tattiche studiate appositamente per contrastare i camper. La minimappa infatti mostrerà chiaramente i  nemici dopo che questi sono stati rivelati e salendo di livello si sbloccheranno perk grazie ai quali vedere attraverso i muri gli scheletri dei giocatori.
    La personalizzazione diventa così un altro punto importante della produzione e, sebbene sia piuttosto standardizzata, mostra comunque una buona quantità di opzioni. Non siamo ai livello del pick ten visto su Black Ops 2, ma si torna sulla possibilità di scegliere liberamente un'arma primaria, una pistola, un'arma anti titan e una manciata di bonus e opzioni tra cui per l'appunto le abilità tattiche e le granate, il tutto completamente slegato dalle singole classi.
    A rafforzare la componente strategica nella costruzione del proprio soldato arrivano anche le burn cards, abilità uniche a consumo selezionabili nei menu e attivabili poco prima di spawnare sul campo. Esistono carte di diverso tipo e rarità che vanno dal semplice potenziamento di un'arma fino ad avere radar in grado di rilevare tutti i nemici sulla mappa o ancora azzerare il cooldown per richiamare il vostro titan, proprio quei titan che danno al titolo Respawn una doppia faccia strabiliante regalando a mappe e giocabilità una doppia lettura. 
    Ogni due minuti circa ogni soldato potrà chiedere alla propria nave madre di lanciargli tramite drop orbitale un titano, colossale ammasso di ferraglia in grado di aiutarci sul campo di battaglia. È incredibile il lavoro fatto dagli sviluppatori per bilanciare titani e soldati, in un continuo gioco al gatto con il topo che trasforma gli uni e gli altri più volte nella stessa partita da prede a predatori. Se è vero infatti che i titan possono uccidere facilmente i piloti con un sol colpo o addirittura schiacciarli, l'altra faccia della medaglia mostra una fanteria capace di sgusciare tra gli edifici e di rifugiarsi nelle varie fessure, ma anche di contrattaccare grazie a specifiche armi studiate appositamente per l'occasione e capaci in questo caso di fare letteralmente a pezzi i robot. 
    All'interno dei titani il modo di giocare cambia completamente, così come la lettura della mappa. Muretti che prima erano perfette coperture ora non arrivano a proteggerci nemmeno il ginocchio e l'impossibilità di saltare rende le strade le uniche vie percorribili. Grossi ma non impacciati, i titani possono utilizzare i booster posteriori per effettuare brevi scatti e schivare missili e proiettili in arrivo, oppure decidere di blindarsi dietro a scudi energetici o vortex shield capaci di rispedire al mittente i colpi sparati. Ad ampliare la forbice di diversità ci si mettono tre modelli di titan: uno basato sulla velocità, uno sulla resistenza e l'altro sul danno. Cambiano fondamentalmente le Core Ability passive dei titani improntate sull'output di danno, sul sovraccarico degli scudi difensivi o sulla possibilità di effettuare dash illimitati per un breve periodo di tempo. A prescindere dal telaio scelto potremo comunque equipaggiare i mech con qualsiasi armamentario disponibile adattandoli in maniera perfetta al nostro stile di gioco. Purtroppo abbiamo notato che l'Atlas, il modello intermedio e bilanciato, durante la nostra prova è stato completamente abbandonato da quasi tutti i giocatori, segno che il suo poter fare tutto ma non eccellere in nulla non è stato apprezzato e dovrebbe essere rifinito. Ci vuole anche un ribilanciamento su alcune armi, soprattutto il quad rocket launcher, decisamente meno efficace e potente di altri fucili visti in gioco. Il discorso sul bilanciamento vale anche per alcune armi dei piloti, dove si contrappongono mitragliatori estremamente efficaci ad altri dalla dubbia utilità, laddove raffiche e armi dal rateo di fuoco maggior come l'R97 vengono praticamente sempre preferiti ai fucili più precisi ma dotati di raffiche brevi.
    Proprio il combattimento tra titani è al centro di una modalità di gioco dove sei mech si affronteranno in un duello all'ultimo bullone. Probabilmente nel Last Titan Standing emerge al meglio la necessità di collaborazione tra i membri del team, laddove con combattimenti tra titani molto bilanciati riuscire ad ottenere la superiorità numerica risulta essere una chiave di lettura facile ma estremamente efficace. Le strategie si sprecano in questo caso e anche scendere dal proprio mech per continuare a combattere a piedi, saltando magari sopra ai titani avversari per tentare di friggergli le celle energetiche poste sulla schiena, dà vita ad un vero e proprio rodeo. Non sono pochi i modi per sbarazzarsi degli ospiti indesiderati e, sebbene questa sia una strategia efficacissima per liberarsi velocemente dei mech nemici, sono stati inseriti molteplici sistemi di difesa per liberarsene, dal fumo elettrico capace di bruciare letteralmente i piloti e mech avversari fino alle esplosioni dei missili, oppure potrete tentare sempre di scendere dal mech e crivellare di colpi l'ospite indesiderato.
    Ad ogni modo, come dicevamo, i titani arricchiscono l'offerta e danno uno spessore al titolo che gli permette di elevarsi indubbiamente sopra la media del genere. I mech non dovranno per forza essere pilotati manualmente, ma tramite semplici comandi gli si potrà impartire ordini basilari come la guardia di una zona o utilizzarli addirittura come scorta personale. Certamente l'IA che li controlla non li renderà letali come quando guidati dai piloti ma la loro efficacia è indubbia, soprattutto per offrire un target alternativo mentre il giocatore conquista obiettivi principali o si posiziona nelle retrovie nemiche per sforacchiare gli ostili alla schiena. L'IA dei titan è sicuramente superiore rispetto a quella vista nei grunt e negli spectre, NPC che letteralmente invadono le aree di gioco in tutte le modalità. Oltre ad offrire punti nella modalità Attrition (un grosso death match a squadre dove vengono coinvolti anche loro nel conteggio delle uccisioni) la loro principale funzione è quella di mantenere sempre alto il ritmo di gioco risultando quindi fondamentali per il titolo Respawn. Le mappe infatti, dovendo ospitare i titani, sono particolarmente grandi, soprattutto per il numero ridotto di giocatori, e la loro presenza non solo offre ai piloti sempre dei bersagli per tutta la durata dei match ma si rivela utile anche per offrire ulteriori strategie per ottenere la vittoria. Tutte le meccaniche presenti insomma si incastrano alla perfezione tra loro e la mancanza di uno solo di questi elementi farebbe cadere tutto come un castello di carte. Ci teniamo quindi a sottolineare il più che ottimo lavoro di game design svolto da Respawn Entertainment, davvero sbalorditivo se considerato quanti ingranaggi deve muovere per funzionare alla perfezione.Possiamo quindi chiudere un occhio sulle poche modalità e sulla mancanza di innovazione in queste, anche se francamente ci saremmo aspettati davvero qualcosa di più oltre al solito Capture the Flag e varianti del team death match, e quantomeno avremmo voluto una modalità co-op o orda che desse una valida alternativa alle continue sessioni di shooting competitive.
    Ci troviamo per le mani insomma un titolo validissimo, con un lavoro di background enorme, ma ridotto in fin dei conti a sole cinque modalità e a contenuti da sbloccare che terranno il giocatore impegnato per circa quindici ore. È nostro dovere dunque avvisarvi che, nel caso aveste provato la beta e il gioco non fosse risultato per voi appetibile, nulla nella versione finale vi farà cambiare idea, dato che la struttura di gioco ed il gameplay, nonostante nuove armi, nuovi mech e più mappe, rimane identica a sé stessa per tutta la sua durata. A questo punto il giudizio sulla longevità diventa estremamente personale e Titanfall potrebbe durarvi all'infinito nel caso vi rapisse completamente con il suo gameplay stratosferico, o potrebbe abbandonarvi dopo appena una manciata d'ore se l'unica spinta derivava dallo sbloccare tutto lo sbloccabile. Certo, presenziano sempre le Sfide da portare a termine, ma sono ben poca cosa se le vediamo in ottica di attrattiva in più per il pubblico.
    Ci togliamo il cappello altresì per la costruzione delle mappe, sempre curate, tutte disegnate benissimo, estremamente differenziate tra di loro e con tante e tali di quelle tattiche applicabili che ogni partita vi sembrerà completamente diversa rispetto alla precedente. Un peccato quindi che su Xbox One non si sia fatto un passo in più dal punto di vista tecnico per perfezionare il tutto, con texture nettamente inferiori rispetto a quelle viste su pc, una risoluzione tra i 720 e i 900p e la mancanza completa di interazione con gli scenari. Sebbene il Source Engine faccia un ottimo lavoro in termini di stabilità e i sessanta frame per secondo siano la regola, ci saremmo aspettati quantomeno la possibilità di far saltare in aria piccole parti delle ambientazioni o avere maggior interazione con gli oggetti scenici, nulla ovviamente che andasse a toccare minimamente il design delle mappe. Poco male comunque, una volta imbarcati su Titanfall sarete davvero troppo presi ad osservare le mille cose a schermo per rendervi conto di queste inezie.
    Chiudiamo infine con il comparto delle animazioni che nasconde purtroppo alti e bassi: l'esecuzione melee con il calcio è una delle peggiori mosse viste fino ad oggi, e soprattutto particolarmente imprecisa, mentre quelle di salto corsa e anche di kill silenziosa mostrano un più che discreto lavoro. Ottima attenzione anche per quanto riguarda la salita e la discesa dal titan con decine di aperture del boccaporto diverse e colpi corpo a corpo come finisher differenziati tantissimo da mech a mech. 

Dogs Of War


  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Cyanide Studios

  • Data uscita:10 Febbraio 2014  

     

    Gli appassionati di wargames tridimensionali sono sempre più difficili da trovare e, fatta eccezione per le poche persone che sono rimaste fedeli alle versioni fisiche dei loro giochi di ruolo preferiti, molta gente ha deciso di abbandonare le amate miniature per passare ai più pratici ed accessibili videogiochi. Così, dopo i famosi Warhammer e Blood Bowl, ci troviamo davanti a Dogs Of War, la versione digitale di Confrontation.
    Dogs Of War è un gioco di ruolo strategico online dove tattica e panificazione sono fondamentali per vincere le battaglie che vengono affrontate. Essendo fortemente ispirato a Confrontation, questo titolo riprende moltissime delle meccaniche sulle quali si basa il titolo Rackham. Abbiamo la possibilità di scegliere tra tre differenti fazioni: l'armata della luce, quella dell'oscurità e quella del destino. Ogni fazione è contraddistinta da unità specifiche, ognuna delle quali ha abilità e caratteristiche uniche. Nonostante siano diversificate tra le fazioni, tutte le unità possono essere raggruppate in vari tipi di classi, che vanno dai tipici soldati che fanno del combattimento corpo a corpo il loro punto di forza, fino ad arrivare a maghi, stregoni e bestie mitiche. Il funzionamento delle principali categorie di truppe, insieme alle principali meccaniche di gioco, verranno spiegati all'interno di un tutorial diviso in tre parti, che ci illustrerà sia le basi, come per esempio impartire semplici ordini di movimento o attacco, che le tecniche leggermente più avanzate come l'utilizzo di magie o attacchi di opportunità.
    All'inizio di ogni partita avremo la possibilità di disporre le nostre truppe sullo scenario nel modo da noi ritenuto più opportuno. Il campo di battaglia, diviso in caselle esagonali, può comprendere molteplici elementi variabili, come la presenza di terreni difficili da attraversare per la fanteria, rocce, alberi od ostacoli di vario tipo. Il posizionamento iniziale delle nostre truppe sarà influenzato notevolmente da tutti questi elementi in quanto potrebbero essere necessari, per esempio, ad interrompere le linee di tiro e a proteggere le nostre unità abili nel combattimento corpo a corpo dagli attacchi degli arcieri nemici.
    Completato il posizionamento iniziale, a turno, i giocatori prenderanno il controllo delle loro truppe e potranno impartire i vari tipi di ordini. Ogni unità potrà essere mossa per un determinato numero di caselle e, una volta raggiunto un nemico, potrà effettuare uno o più attacchi in base alle sue caratteristiche. Nel caso di stregoni o maghi, avremo la possibilità di lanciare diversi tipi di incantesimi e magie, che saranno fondamentali per infliggere ingenti quantità di danni alle truppe del nemico o saranno utili alle nostre unità fornendo potenziamenti di vario genere.
    Ogni singolo componente del nostro esercito personale avrà la possibilità, una volta guadagnati abbastanza punti esperienza (ottenibili completando un numero sufficiente di battaglie o lasciando le truppe fuori dai combattimenti per mandarle in missione), di potenziarsi ed avere quindi a sua disposizione delle potenti abilità, le quali potranno essere selezionate a seconda del nostro stile di gioco, in modo da adattarsi al meglio alle tattiche che riteniamo migliori.
    A seconda della sua potenza, ad ogni unità sarà attribuito un punteggio, che, con l'avanzare del suo livello, aumenterà progressivamente. Questo valore è necessario per il bilanciamento delle partite in multigiocatore, in quanto non sarà possibile prendere parte a battaglie di livello basso con un esercito troppo potente. Nell'eventualità in cui vogliate comunque partecipare alle battaglie di livello basso, ci sarà la possibilità di escludere temporaneamente una o più unità dal vostro esercito, così da diminuire il livello complessivo delle vostre truppe.
    Come in praticamente ogni gioco free to play, Dogs Of War presenta due tipi di valuta. Avremo i ducati, la moneta standard del gioco, ottenibili completando battaglie, e l'oro, da acquistare con moneta reale. Nonostante comprare le varie unità nel negozio utilizzando l'oro sia molto meno costoso, la velocità discretamente buona alla quale si riescono a guadagnare i ducati non rende il titolo un pay to win.
    Dal punto di vista grafico, il gioco presenta pochi alti e un numero leggermente maggiore di bassi. I vari personaggi presentano modelli non eccessivamente curati, ma comunque accettabili, e possono vantare un design più che buono. Le animazioni sono, in alcuni casi, leggermente legnose, ma riuscire a vedere le proprie miniature preferite prendere finalmente vita sullo schermo del nostro PC non può fare altro che renderci, in qualche modo, soddisfatti. La struttura dei campi di battaglia è più che buona e riesce a garantire un bilanciamento ottimo all'interno delle partite, ma la poca cura che è stata riposta nella realizzazione degli ambienti fa storcere il naso. Modelli e texture dell'intero campo da gioco risultano appena sufficienti anche se si impostano i settaggi grafici al massimo, e considerando che anche l'occhio vuole la sua parte, questa mancanza di dettaglio tende ad abbassare, anche se non in modo pesante, la qualità generale del titolo.
    Senza infamia e senza lode è invece il comparto audio, che presenta musiche non eccessivamente coinvolgenti ed effetti sonori facilmente dimenticabili.
    Durante le nostre prove ci è capitato di avere problemi di vario tipo, come crash improvvisi o problematiche relative al matchmaking, che, spesso, ha richiesto tempi eccessivi per poi non riuscire a trovare un avversario. Se consideriamo che il titolo ha appena raggiunto la fase di open beta, e quindi c'è ancora molto margine di miglioramento, possiamo anche chiudere un occhio, ma speriamo vivamente che questi tipi di problemi vengano risolti al più presto.

giovedì 6 marzo 2014

Victory:The Age Of Racing

  • Genere:Guida arcade

  • Sviluppatore:Vae Victis

  • Data uscita:10 febbraio 2014

     

    Il mercato videoludico moderno offre agli sviluppatori molte potenziali strade che portano alla notorietà: di sicuro sgomitare per riuscire ad avere luce verde su Steam Greenlight non è un immediato sinonimo di successo, ma è pur vero che mai come oggi numerosi progetti un tempo rimasti nell’ombra hanno la possibilità di emergere. Qual è, allora, il giusto percorso di sviluppo da scegliere tra free-to-play, pay-to-win, early access, crowdfunding, freemium e compagnia bella? La storia dello sviluppo del racing game italiano Victory: The Age of Racing, titolo già protagonista in passato su queste pagine, può aiutarci proprio a capire le opportunità (ma anche le difficoltà) di un progetto che vuole farsi strada tra le più conosciute produzioni motoristiche su PC.
    L’ultima volta che ci siamo soffermati sul titolo sviluppato da Vae Victis era il 2012, in pieno periodo post Gamescom; la produzione italiana, protagonista dell’evento, a quel tempo era presentata ancora come un free-to-play: chiunque, in buona sostanza, aveva la possibilità di provare la potenzialità del gioco, mentre i più appassionati potevano incrementare immediatamente le proprie prestazioni su pista sborsando denaro sonante. Fin dalla versione beta il titolo ha goduto di una certo favore tra gli appassionati ma, nel tentativo di riuscire a raggiungere un numero ancora maggiore di giocatori, gli sviluppatori hanno intrapreso il tortuoso cammino che, attraverso Steam Greenlight, porta i titoli più meritevoli sulla piattaforma di digital delivery di Valve. Dopo aver ricevuto luce verde, dunque, difatti Victory: The Age of Racing è ufficialmente passato dalla fase del free-to-play all’essere presentato come un prodotto più “tradizionale”, che a partire dal prezzo di € 13,99 propone un'esperienza completa in accesso anticipato, sulla falsariga di quanto già fatto da Kunos Simulazioni con Assetto Corsa, senza microtransazioni di sorta. Per coloro i quali avevano supportato il progetto nella fase beta, il passaggio su Steam è stato indolore e gratuito: in questo modo, dunque, il titolo si ritrova potenzialmente già con una base di giocatori pronti a darsi battaglia. Ma in cosa consiste, nello specifico, la sfida offerta da Victory: The Age of Racing?A beneficio di coloro i quali non siano mai entrati in contatto con la produzione in questione, diciamo subito che il titolo Vae Victis è un racing game che permette di sfidare amici e altri piloti virtuali con auto e circuiti fittizi. Va detto che gli sviluppatori hanno creato un certo background narrativo capace di spiegare l’assenza di vetture e circuiti conosciuti: in un futuro non molto lontano, infatti, la fantomatica DriveNet ha creato un sistema di guida automatizzato che, in nome della sicurezza, ha difatti spazzato via l’intera industria automobilistica, e con essa tutte le varie gare motoristiche. A margine di tutto ciò, però, è nato un movimento di appassionati che, al di fuori dell’area sorvegliata da DriveNet, ha creato circuiti e auto con cui è possibile gareggiare. Nasce così, quindi, quella che nel gioco viene definita una nuova era delle corse automobilistiche.
    Lasciando da parte il pretesto narrativo, dobbiamo dire che il primo impatto col gioco dei partecipanti alla precedente fase beta, difatti, sarà del tutto senza patemi: la possibilità di continuare a giocare con le auto già possedute farà sì che il passaggio a Steam sia vissuto senza problematiche. I novizi del titolo, invece, inizieranno scegliendo la classe di vetture con cui iniziare; le tre alternative possibili sono Legend, Classic e Formula, e differiscono tra di loro soprattutto per maneggevolezza e velocità della vettura. Scelta la propria auto, e completato il processo di creazione del proprio profilo, sarà possibile scendere in pista e sfidare altri giocatori. Considerato che il titolo non è ancora completo, e che gli aggiornamenti sembrano susseguirsi con buon ritmo, sarebbe poco utile scendere nei particolari delle opzioni di gioco e del comparto tecnico: per un’analisi più approfondita di questi aspetti, infatti, ci sarà modo di parlare nella recensione finale del titolo, che arriverà nel momento in cui lo sviluppo sarà terminato.
    E' più utile, dunque, parlare di quello che il titolo offre attualmente: una volta scelta la propria vettura (all’inizio ne saranno disponibili alcune di default, ma praticamente da subito sarà possibile crearne una personalizzata), ci si potrà lanciare alla ricerca di una qualche gara tradizionale, basata dunque su un certo quantitativo di giri da compiere, oppure si potrà partecipare a un hotlap party; si tratta, in buona sostanza, in un evento a tempo in cui ci si ritroverà da soli in pista e si avrà l’obiettivo di far segnare il miglior tempo rispetto a quelli degli altri partecipanti. La vittoria o i piazzamenti riportati in queste competizioni faranno avanzare la carriera del giocatore, aumentando il proprio livello e i fondi disponibili. Tutto ciò ha un’importanza capitale in quanto maggiori fondi permettono di acquistare e migliorare le proprie auto, permettendo così di vincere più gare.
    Dobbiamo dire che, al momento, la situazione online è tutto sommato sbilanciata: la presenza dei giocatori di lunga data e con auto performanti, spegne molte volte sul nascere le velleità dei nuovi arrivati, che spesso e volentieri si ritroveranno sul fondo del gruppo. Va detto che il tutto dovrebbe livellarsi con l’arrivo di nuovi giocatori, e tutto sommato l’impatto delle diverse performance sembra essere corretto e motivante, soprattutto per i novellini che guidano i catorci iniziali.

    Scesi in pista, quali sono al momento le sensazioni di guida offerte da Victory: The Age of Racing? Il modello creato da Vae Victis sembra essere un interessante ibrido: di sicuro non siamo davanti a una simulazione pura, ma è pur vero che il comportamento delle auto non consente di gareggiare utilizzando esclusivamente l'acceleratore; nemmeno la guida di sponda con le barriere del tracciato sembra essere molto consigliata, considerati i conseguenti rallentamenti e le penalità in caso di taglio della pista. Insomma, tenuto conto anche delle differenze tra le tre classi di vetture, sembra giusto dire che il gioco offre una sfida interessante, che può risultare una piacevole distrazione per gli appassionati dei simulatori più impegnativi, e un timido passo avanti verso il realismo per i giocatori più arcade.
    A conferma di ciò, va detto che è possibile cambiare a grandi linee il setup della vettura, il che consente di modificarne l’assetto in modo estremamente veloce grazie a una serie di slider che vanno a modificare l'aerodinamica, le sospensioni, il grip e così via. Al di là delle differenze di classe, poi, il comportamento delle auto sembra avere qualche punto in comune: la sensazione, difatti, specialmente nelle auto di livello più basso, sarà sempre quella di un certo nervosismo specie in uscita di curva, e di un sottosterzo costante nei tornanti lenti. Va detto, poi, che questi particolari tratti delle auto possono essere rivisti grazie all’acquisto di alcuni widget, buoni per migliorare alcune caratteristiche (come la manovrabilità, il grip, la riduzione di peso) nell’ambito di una singola gara o di un certo numero di giri.
    Per quanto riguarda il sistema di controllo, invece, Victory: The Age of Racing conferma di essere un titolo fruibile con una varietà di soluzioni, tra cui mouse e tastiera; il titolo riesce a restituire un feedback sufficiente con tutte le opzioni proposte, e la sensazione è che la scelta della periferica migliore non debba per forza ricadere su un volante, visto che anche un buon pad riesce a regalare un buon feeling. Quanto appena detto si sposa bene con la natura del modello di guida descritto poc’anzi, al limite tra l’arcade e il simulativo, e questo è di sicuro un merito della produzione Vae Victis.Concludiamo questo articolo parlando dei futuri aggiornamenti dedicati al titolo: se è vero che l’obiettivo finale degli sviluppatori è quello di creare un sandbox in cui si potranno creare auto, tracciati, campionati ed eventi, è anche giusto dire che tutte queste feature andranno implementate nel tempo. Tra i progetti più interessanti, oltre quelli appena segnalati, si distinguono l’intenzione di aggiungere una modalità single player, l’introduzione di eventi comprensivi di pit stop, condizioni meteo dinamiche e danni alle vetture, e il sempre affascinante supporto a Oculus Rift. Da non trascurare anche l'annunciato lavoro sul comparto tecnico, che al momento mostra un po' il fianco dal punto di vista della realizzazione generale di vetture e tracciati.
    Come si può vedere, dunque, il futuro sembra promettere bene, e il contenuto delle ultime patch sembra voler denotare l’intenzione dello sviluppatore, per quanto possibile, di seguire assiduamente le indicazioni della community. 

martedì 4 marzo 2014

South Park:Il Bastone Della Verita'

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Obsidian Entertainment

  • Data uscita:04 marzo 2014 

     

    South Park: Il Bastone della Verità è un gioco maledetto. Non parliamo del travagliato sviluppo passato per le mani di due diverse produzioni dopo il tracollo di THQ, bensì del fatto che, per un fan della serie South Park come chi vi scrive, questo è un gioco tremendamente difficile da valutare.
    Trey Parker e Matt Stone hanno avvolto il gioco in una fitta nebbia di elementi appositamente dedicati ai fan, tanto che - per chi ama questa storica serie televisiva - gli elementi di gameplay passano quasi in secondo piano. Eppure, chi ama i videogiochi sa bene che Obsidian è uno sviluppatore celebre per i suoi RPG, e il fatto che South Park: Il Bastone della Verità sia prima di tutto un gioco di ruolo, ci ha lasciato ben sperare. Ora che il gioco è arrivato nelle nostre mani, le nostre speranze sono state ripagate.
    Nel gioco interpretiamo un ragazzino appena giunto in città, a quanto pare incapace di parlare e obbligato dai genitori a cercare dei nuovi amici. Dopo avere salvato Butters da uno strano bulletto, il nostro alter ego viene invitato a prendere parte al Kingdom of Koopa Keep, il regno dei cavalieri medievali organizzato nel giardino di Cartman. Questi stanno conservando un magico bastone che consente al possessore di controllare l’universo. Ben presto gli elfi invadono il regno, e il bastone viene rubato: il nostro eroe, ribattezzarto “Coglionazzo”, parte alla ricerca del ligneo artefatto in una serie di avventure sempre più strampalate.
    La sensazione è quella di far parte di un grande gioco fra bambini delle elementari: anche se ci si picchia, tutti seguono delle regole decise a priori tra i giocatori, e devono comunque rispettare il coprifuoco imposto dai genitori. All’inizio, dunque, viene ricreata una strana atmosfera, nella quale l’avventura ci sembra epica, ma contemporaneamente ci ricorda che è finta. Una sensazione che, probabilmente, vi ricorderà alcuni dei momenti più spensierati della vostra infanzia.
    La cosa si sarebbe potuta portare avanti per tutta l’avventura con risultati soddisfacenti, ma poiché questo è South Park, gli autori iniziano ad aggiungere vari mattoni alla storia, fino a trasformarla in qualcosa di inaspettato rispetto a quanto originariamente previsto. Come in ogni puntata della serie, le cose cominciano presto a prendere delle pieghe perverse, i colpi di scena si alternano sullo schermo con una rapidità quasi disarmante e succedono delle cose strane, in un misto di colpi di genio e nonsense.
    Da un tranquillo pomeriggio con degli amici ci ritroviamo ad essere preda degli alieni e dei loro sondaggi anali, combattiamo un esercito di mongoli, facciamo a botte con uno gnomo mentre dobbiamo schivare i testicoli di nostro padre che sta facendo sesso con mamma e, ovviamente, abbiamo a che fare con gattini zombie nazisti. Elementi di ordinaria follia nella tranquilla cittadina di montagna del Colorado.
    Anche se la storia è godibile e divertente per chiunque, è chiaro che solo un fan di South Park potrà cogliere le centinaia di citazioni inserite dagli autori. Dialoghi, luoghi, personaggi, alleati e nemici: quasi tutti gli elementi che si incontrano nel gioco sono tratti da una qualche puntata della serie: persino i junk items, di cui il gioco abbonda, citano qualche oggetto realmente visto nella serie o fanno riferimento a uno specifico episodio. Se conoscete South Park, ogni sessione di gioco vi porterà a ridere con gusto soprattutto per alcuni elementi che qualunque altro giocatore riterrebbe ininfluenti. Trovare un basso elettrico nella soffitta di Token potrebbe lasciare indifferente la maggior parte dei giocatori, ma chi ha visto la puntata “Christians Rock Hard” della settima stagione capirà immediatamente il riferimento. Questo genere di cose accompagnano ogni singolo istante del gioco: si tratta di fan service alla massima potenza, e in questo senso Trey Parker e Matt Stone meritano un premio. Ma non un Emmy, quello lo trovate nel livello delle fogne.
    South Park: Il Bastone della Verità è un RPG che rispetta in maniera metodica i canoni di genere. Vi è dunque una struttura a quest principali e quest secondarie, mentre sono totalmente assenti le quest minori. La maggior parte delle quest richiede di raggiungere un luogo, individuare un oggetto o sconfiggere un particolare nemico. Come avrete capito, non vi è davvero nulla di originale in questo meccanismo, e gli autori ne sono talmente consci da scherzarci sopra, lasciando ai personaggi principali alcuni commenti abbastanza pungenti sull’inutilità delle azioni compiute.
    Gli encounter non sono totalmente casuali: ci sono aree dove solitamente si manifestano i nemici, ma non compaiono sempre. Gli avversari sono ben visibili sul campo di battaglia; possono essere spesso aggirati, mentre per entrare in combattimento è sufficiente avvicinarsi: in questo caso possiamo scegliere di attaccarli, o possono essere loro ad attaccare noi, ottenendo in quest’ultimo caso un bonus sul primo attacco. Dopo le battaglie vi è un respawn non troppo generoso che impedisce un grinding spasmodico, mentre tutti gli oggetti droppati dai nemici restano sul campo anche ore dopo la battaglia.
    Le battaglie si svolgono a turni, ed è nostro onere controllare una squadra composta dal nostro alter ego e da uno fra i più celebri personaggi della serie, ossia Kyle, Stan, Cartman, Kenny, Jimmy e Butters. Il nostro eroe può essere un guerriero, un mago, un ladro o un ebreo. Nel corso della nostra avventura abbiamo scelto proprio quest’ultima classe, l’unica sulla quale avevamo molti interrogativi e che si rivelata essere una sorta di classe ibrida mago-guerriero capace di applicare parecchi effetti di stato ai nemici. L’eroe può brandire un’arma da mischia e un’arma a distanza, e usufruire di attacchi speciali e magie. Le armi dispongono di tre attacchi: normale, potente e magico. Gli attacchi speciali consumano punti potenza, e sono spesso provvidenziali poiché consentono di colpire più nemici contemporaneamente. Le magie, infine, sono peti. Avete capito bene: la magia in South Park: Il Bastone della Verità si esegue con il proprio culo, e consente di mettere ko i nemici con delle puzze mortifere, che se combinate con una fiamma consentono di ottenere degli effetti piuttosto esplosivi. Vi sono poi gli oggetti (che non consumano turni), alcune abilità uniche legate al personaggio controllato e le evocazioni. Queste ultime non possono essere utilizzate contro i boss, consentono di uccidere i nemici in un colpo solo e danno luogo ad alcune delle finisher più assurde nella storia dei videogiochi. I personaggi che accompagnano il nostro eroe possono essere sostituiti in battaglia, ma lo scambio costa un turno ed è piuttosto rischioso.
    Alla conclusione della battaglia, punti ferita e punti potenza si riempiono, mentre il mana - utilizzato per i peti - richiede di ingurgitare del cibo (ma non troppo, o alla prima scorreggia vi cagherete addosso). La scelta di resettare i punti ferita e potenza è derivata dal fatto che gli scontri in South Park: Il Bastone della Verità sono piuttosto impegnativi. Non si tratta di un gioco difficile, ma talvolta anche uno scontro apparentemente semplice può diventare letale ed è necessaria una buona dose di concentrazione. Nel complesso, possiamo affermare che la difficoltà del titolo è stata calibrata molto bene, e vi terrà impegnati sin dai primi scontri. Il passaggio di livello è affidato ai punti esperienza, che sbloccano nuove abilità. Vi sono poi dei perk, sbloccabili aumentando il proprio numero di amici su Facebook.
    Tra gli elementi molto originali, vi è da segnalare la possibilità di vincere le battaglie anche senza combattere, sfruttando l’ambiente. Un oggetto a penzoloni sopra un nemico, un cavo elettrico scoperto o una trappola per topi possono accorciare di molto i tour de force attraverso le varie fasi di gioco, e questi elementi letali sono spesso richiamati dalla risoluzione di alcuni puzzle ambientali che rendono il tutto molto piacevole. Anche i peti possono risolvere molte situazioni enigmatiche, oltre a stordire i nemici prima di una battaglia inevitabile. I personaggi che ci accompagnano, infine, possono essere indirizzati per risolvere alcuni puzzle ambientali, talvolta in maniera poco ortodossa. Queste meccaniche, se sfruttate a dovere, rendono l’esperienza di gioco meno ripetitiva e, in definitiva, mettono in luce alcune buone idee di Obsidian.
    Da un punto di vista prettamente visivo, quando si gioca a South Park: Il Bastone della Verità sembra di assistere a una puntata della serie televisiva firmata Trey Parker e Matt Stone. Non si tratta di una frase retorica: il gioco è davvero indistinguibile dallo show. Complici i disegni elementari della serie TV, questa conversione videoludica è la cosa più fedele al prodotto di partenza che si sia mai vista in questo campo. Il passaggio dalle frequentissime cutscene alle sequenze interattive è impercettibile, mentre le battaglie - che per ovvie ragioni si svolgono in arene chiuse - non sembrano per nulla straniate dal mondo di gioco.
    Anche dal punto di vista sonoro è stato compiuto un lavoro encomiabile: tutti i personaggi sono stati doppiati divinamente bene da Parker, Stone e dagli altri (pochi) doppiatori della serie. Vi è una quantità di dialoghi semplicemente gigantesca, e non vi è una sola linea che non sia stata doppiata. Le musiche sono splendide, e includono alcuni temi originali, qualche tema della serie TV e gli indimenticabili successi di Jennifer Lopez. Tutto sommato, è davvero un bene che non sia stato azzardato un doppiaggio in italiano: se conoscete l'inglese, sarete in grado di cogliere alcune sottigliezze intraducibili che vi faranno sbellicare dalle risate.
    Purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. La versione PS3, da noi testata anche dopo la release della prima patch, soffre di violenti cali di frame rate durante i salvataggi automatici e, talvolta, persino durante le battaglie. Quest’ultimo è un problema più grave, dato che le meccaniche di colpo potente e di parata richiedono un tempismo perfetto: se il frame-rate scende proprio nell’istante fatidico, preparatevi a dire più parolacce di quante se ne sentono in un minuto di gameplay (e se ne sentono tante). Il sonoro, al contempo, mostra alcuni problemi di sincronizzazione durante alcune cut scene.
    Anche dal punto di vista dei contenuti il gioco alterna vette di eccellenza ad elementi riciclati da qualche vecchia puntata dello show. Se abbiamo apprezzato le citazioni nascoste negli oggetti apparentemente insignificanti, rivedere alcune vecchie gag nelle parti principali del gioco ci lascia la sensazione che, nel corso dello sviluppo, si siano resi necessari alcuni riempitivi per allungare il brodo. E questo non è certo un bene.
    Infine, vi è l'annosa questione delle censure nelle versioni Xbox 360 e PS3. Sono fastidiose? Purtroppo sì. Modificano l'esperienza di gioco? Fortunatamente solo in piccola parte. Per qualche ragione sono state tagliate alcune gag in cui Randy Marsh viene sondato dagli alieni con dei dildo sempre più grossi, ed è stata censurata una sequenza nella clinica degli aborti. Le parti di Randy rovinano un intero capitolo del gioco, ma per nostra fortuna riguardano una piccolissima percentuale dell'opera. La decisione, a quanto pare, è stata presa da Ubisoft per ragioni di marketing, e non per questioni legali o religiose. Il nostro consiglio è quello di rimandare le ragioni di marketing al mittente e di importare il gioco dagli Stati Uniti, se ne avete la possibilità.

Castelvania:Lords Of Shadow 2

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Mercury Steam

  • Data uscita: 27 febbraio 2014

     

    Castlevania Lords Of Shadow fu una sorpresa un po' per tutti, i fan più accaniti della serie si affezionarono alle gesta di Gabriel Belmont e del suo amore combattuto narrate nel primo capitolo, ma il gioco riuscì altresì ad appassionare anche i semplici amanti dei titoli d'azione grazie ad un combat system solido e fluido, una difficoltà ben calibrata, capace di offrire una sfida degna di questo nome anche ai giocatori più smaliziati, e a gloriose boss fight in grado di portare il tutto su ottimi livelli qualitativi. Lo scorso anno poi Mercury Steam ampliò ulteriormente il pubblico con un buon porting su PC, preparando così l'arrivo per questo secondo episodio. Le attese a questo punto erano davvero alte e tutti ci aspettavamo lievi miglioramenti che potessero ampliare l'ottimo lavoro fatto in passato, magari con qualche colpo di genio che potesse ulteriormente migliorare la serie.
    Qualcosa però in fase di costruzione del progetto deve essere andato storto, perché non solo le aspettative non sono state mantenute ma sono state ritoccate meccaniche e ritmi che funzionavano alla perfezione, rovinandone in qualche modo l'alchimia. In questa nostra recensione vi spieghieremo quindi cosa si salva della produzione e cosa invece doveva rimanere inchiodato dentro una bara...
    Gabriel Belmont è stato battuto, il suo cuore ricolmo di odio e la sete di vendetta lo hanno trasformato definitivamente in quello che tutti noi conosciamo come Dracula. Nel suo castello il signore dei vampiri attende silenzioso che il suo più acerrimo nemico bussi nuovamente alla porta e uno scontro gigantesco contro le sue armate getta il giocatore subito nel cuore dell'azione. Quello che ci troviamo per le mani nei primi minuti di gioco è un signore oscuro, carico di tutti i poteri acquisiti in passato e incredibilmente pericoloso. I primi combattimenti scorrono via velocemente mentre si prende la mano con i controlli, praticamente immutati dal predecessore. La frusta la fa ancora da padrone, affiancata dagli Artigli del Caos e dalla spada del vuoto, i primi capaci di sfondare le difese dei nemici corazzati mentre la seconda utile per recuperare preziosa linfa vitale durante gli scontri. 
    Mentre respingiamo l'orda di cavalieri che si abbatte a ondate contro le mura del nostro castello un enorme gigante meccanico ci si para dinnanzi, guidato da un celestiale cavaliere in armatura scintillante. È così dunque che, esattamente come nel primo capitolo, Dracula si trova coinvolto in una boss fight impegnativa, nella quale ci viene richiesto di evitare le frecce incantate scagliate dall'arco del serafino e al contempo distruggere il demone furioso composto da legno e acciaio. 
    Il combattimento culmina tuttavia con la nostra sconfitta e la storia scorre velocemente in avanti di diversi secoli, quando Dracula, risvegliato dal suo sonno centenario, si troverà in una città moderna, abbagliato dalle luci al neon e privato completamente dei propri poteri.
    La trama, fino a quel momento interessante, subisce una brusca frenata, e piuttosto che evolversi si congela temporaneamente, mettendo nelle mani del giocatore un personaggio prettamente inutile e privo di qualsivoglia abilità speciale. Quello che ci attende da qui in avanti sarà dunque una lunga scalata al potere che vedrà Dracula dover sconfiggere tutti i suoi nemici e alleati di un tempo per poter tornare in possesso dei suoi poteri, armi incluse.
    Ma cosa si cela dietro al nostro brusco risveglio? È proprio Zobek a rivelarcelo, costringendoci ad allearci con lui per evitare che Satana torni sulla terra e stermini l'umanità. In cambio del nostro aiuto, la sua promessa è quella di porre fine in maniera definitiva alla nostra immortalità e toglierci il grave fardello che pesa sul nostro cuore.
    Motivati da questa folle idea ci spingeremo nelle trame di Satana, scoprendone i piani, tentando di ostacolarli in tutti i modi e di sterminare tutti i suoi più fedeli discepoli. Il tutto per una durata complessiva di circa 10/12 ore, un passo in dietro quindi rispetto alla longevità di Lords of Shadow, ma soprattutto con un ritmo terribilmente lento a causa di alcune scelte di design che, come vedremo in seguito, non fanno altro che spezzare la tensione e mischiare alle fasi puramente action sessioni stealth e plaforming riuscite davvero male.
    Il cammino di Dracula sarà ovviamente costellato di nemici, e il combat system classico della serie torna in maniera praticamente identica rispetto a quanto visto nel primo episodio, con qualche piccola aggiunta. La nostra frusta sarà capace di sferzate dall'ampio raggio che permetteranno di colpire più nemici in una volta sola o di eseguire allunghi in linea retta per raggiungere i demoni più lontani. Utilizzando il salto in combinazione con gli attacchi base sarà possibile effettuare launcher, juggle e combo aeree che terranno i nemici sospesi abbastanza a lungo da finirli prima che riescano nuovamente a toccare terra. Questo è possibile grazie all'abbassamento repentino della curva di difficoltà rispetto al primo capitolo, ora decisamente meno ripida e più permissiva. Delle quattro difficoltà presenti solo l'ultima infatti rappresenta una sfida degna di questo nome, in alternativa ci troveremo ad asfaltare praticamene qualsiasi cosa si metta sulla nostra strada senza problemi. Nelle prime ore di gioco ritorneremo anche in possesso sia della spada del vuoto che degli artigli del caos ed entrambi gli strumenti di morte avranno mosse e capacità uniche capaci di dar maggior profondità al combat system. Le meccaniche quindi non deludono, e se non fosse per l'incapacità dei nemici di rappresentare un vero pericolo non potremmo davvero lamentarci del combat system, magari meno tecnico rispetto a quello visto in altri esponenti del genere ma ugualmente divertente.
    Purtroppo però è proprio quando questo dovrebbe dare i meglio di sé che il tutto precipita in un baratro profondo. Stiamo ovviamente parlando delle boss fight, lontanissime dai livelli del primo Castlevania. I boss in questo secondo capitolo hanno dimensioni contenute e, cosa molo più grave, hanno pochissimi pattern di attacco e sono da affrontare in arene circolari striminzite. La vostra frusta potrà praticamente sempre andare a segno e le tattiche per il superamento di questi boss sono quanto di più basilare e scontato visto ultimamente. Lords of Shadow 2 mostra una linearità quasi disarmante nella presentazione di questi combattimenti, preceduti solitamente da una sezione stealth e da un paio di stanze infarcite di minion da affrontare: strano a dirsi, ma qui combatterete davvero poco, il che per un gioco il cui punto di forza dovrebbe proprio essere il combat system è una nota negativa assolutamente non indifferente. L'esplorazione dei livelli si trascina stancamente tra fasi platform con animazioni terribili dei salti del protagonista, quasi calamitati verso le piattaforme, e sezioni di arrampicata alla Uncharted che lasciano il tempo che trovano. Quello che davvero ci ha fatto imbestialire invece sono le sezioni stealth, dove Gabriel, pardon... Dracula, potrà assumere le sembianze di un gruppo di topi, lanciare pipistrelli per disorientare i Golgoth di guardia o impossessarsi degli stessi per aprire porte e superare corridoi altrimenti inaccessibili. Queste sezioni sono lente, noiose e terribilmente identiche le une alle altre, il che, vista la frequenza con la quale vengono proposte, non può che far scendere l'adrenalina del giocatore sfiancandolo inutilmente.
    Con l'inserimento ripetuto di queste fasi Mercury Steam è riuscita a rompere un meccanismo che nel primo Lords of Shadow funzionava alla perfezione, un'idea malsana che pesa davvero come un macigno sulla valutazione finale.
    Combattendo e falciando le orde demoniache acquisiremo preziosi teschi dorati utili per comprare nuove mosse e abilità. Una volta acquisite sarà altresì possibile aumentarne il livello semplicemente continuando ad utilizzarle come in un sandbox qualsiasi e una volta potenziate al massimo trasferire i loro bonus all'arma correlata. In questo modo il giocatore sarà costretto a cambiare mosse di continuo per avere uno spettro più ampio di attacchi e poter velocizzare il processo di miglioramento di frusta, spada e artigli. 
    Quegli stessi teschi saranno poi utilizzabili dal Chupacabra, un nanetto odioso che sbloccheremo nel corso dell'avventura, e che ci permetterà di acquistare al suo negozio tutta una serie di oggetti incantati a consumo come pozioni per la vita, potenziamenti magici temporanei e un medaglione che risveglierà la vera forma di Dracula, mutandolo in un dragone oscuro e distruggendo qualsiasi cosa si trovi sul suo cammino.
    Non mancano inoltre i collezionabili, sparsi per tutti i livelli, tra i quali non possiamo non citare gemme per la vita, in grado di accrescere la nostra barra di energia, immagini, bozzetti, le sfide segrete di Kaleidos dove dare sfoggio di tutta la nostra abilità guerresca, e anche diversi rotoli con approfondimenti sulla trama. Per recuperare questi oggetti Dracula dovrà ricorrere a tutti i poteri a lui disponibili, siano essi semplici salti doppi, grazie alle ali demoniache, o la possibilità di trasformarsi in nebbia, che gli permetterà di passare attraverso i cancelli o fluttuare per le condutture. È una meccanica ormai rodata e che ha permesso a Mercury Steam di sfruttare grosse quantità di backtracking, utili a dare maggior durata al titolo. La longevità purtroppo però non basta, perché il giocatore, che sbloccherà alcuni di questi poteri dopo oltre dieci ore, non ne potrà veramente più di visitare per l'ennesima volta le stesse, poco ispirate, location, preferendogli invece rushare fino al termine dell'avventura. L'alone di noia che pervade l'intero titolo infatti non può essere ignorato e anche i più forti sostenitori della serie si troveranno ben presto ansiosi di correre da un boss all'altro solo per accelerare gli eventi, davvero troppo dilatati nella narrazione prevista da Mercury Steam. È un peccato perché la storia della famiglia Belmont affascina e lascia piacevolmente sorpresi con un paio di colpi di scena ben piazzati, giunti però troppo tardi per salvare la produzione.
    Le ambientazioni di Castlevania Lords of Shadow 2 hanno alti e bassi, si va da picchi di ottima qualità quando il nostro Gabriel verrà ancompagnato dal ricordo di Trevor nel passato, camminando per il suo lugubre castello, fino a toccare punti bassissimi nella città in stile moderno, una vera rarità tra le altre cose in Castlevania.
    Il continuo salto temporale nei ricordi del nostro lord vampiro non funziona particolarmente bene e visto il distacco qualitativo delle due ambientazioni, quando il giocatore si troverà a camminare nuovamente nel futuro, la voglia di ritornare tra mura di pietra e candelabri sarà veramente fortissima. Nonostante Mercury Steam abbia infatti provato a infarcire la città moderna con cattedrali e luoghi di culto nel tentativo di dare un'aria gotica al tutto, questa manca di quel carisma classico delle location del marchio Konami. Anche i demoni, soprattutto quelli armati con bocche da fuoco, deludono terribilmente in termini di design, soprattutto se comparati a cavalieri, vampiri e fiere visti nel capitolo precedente. Fortunatamente la versione PC che abbiamo avuto modo di provare non presenta un aliasing marcato o texture poco definite come la controparte apparsa su console. I modelli dei protagonisti soffrono forse di una leggera carenza di poligoni, ma in linea generale il colpo d'occhio non è affatto male. La nostra avventura sarà accompagnata da musiche di buon livello, sprecate forse in ambientazioni tanto anonime che avrebbero meritato assolutamente maggior cura e dedizione, esattamente come Castlevania Lords of Shadow 2.