Ethero

giovedì 30 ottobre 2014

Ancient Space

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:CreativeForge Games

  • Data uscita:23 settembre 2014

     

     

    Quando si parla di strategici in tempo reale ambientati nello spazio, ecco che Homeworld esce sempre fuori come termine di paragone assoluto. Eppure sono passati ben 15 anni da quel classico targato Relic Entertainment, senza che altri titoli ne abbiano davvero preso il posto nel cuore degli appassionati del genere. Ora ci prova Ancient Space, RTS spaziale del team polacco CreativeForge Games da poco approdato su Steam a 19,99 euro. Non si tratta di un titolo tripla A, ma poco ci manca se consideriamo l’indubbio spessore grafico, l’attenzione al comparto audio e la presenza di doppiatori d’eccezione provenienti da serie TV come Firefly, Battlestar Galactica e Star Trek e persino da Starship Troopers. 
    Non la solita produzione indie insomma, anche se l’assenza di qualsiasi modalità multiplayer può essere vista come un “risparmio” in termini di risorse e budget. Non pensiate però che Ancient Space sia un titolo striminzito, visto che la Campagna principale può portare via dalle 15 alle 20 ore, alle quali si sommano le tre sfide Skirmish (nulla di che a dire il vero) e, volendo, le singole missioni della Campagna da rigiocare singolarmente. La trama, che ci vede a capo di una flotta inviata in un lontano settore spaziale per scoprire la sorte di una precedente spedizione guidata dall’astronave Ulysses, si dipana lungo 15 missioni sempre piuttosto varie e articolate, che iniziano con una classica scorta a una flotta mercantile e continuano seguendo i canoni tipici della fantascienza. Purtroppo, nonostante le ottime voci inglese (niente italiano purtroppo, nemmeno per i sottotitoli), l’andamento del plot non riserva grandi scossoni, le cut-scene non sono poi molte e si capisce quasi subito dove andrà a parare il tutto, anche se non abbiamo sperimentato tempi morti o cadute di tono davvero gravi.
    Trama a parte, Ancient Space si basa su una struttura tattico-strategico piuttosto solida e completa, ma anche in questo caso il paragone con Homeworld, che rimane ancora oggi su ben altri livelli, non è dei più azzeccati. La nave-madre Ulysses 2 funge da centro di produzione di unità e da nodo nevralgico di tutta la nostra flotta, sfornando unità spaziali divise in quattro classi di grandezza. La produzione di risorse veste un ruolo molto limitato nell’economia del gameplay, che si concentra invece molto più sui combattimenti basati sul classico concetto di “opposizione”, con unità adatte ad attaccare certi nemici e altre più efficaci contro altri tipi di avversari. La particolarità del gioco è che il numero di unità che si possono creare è limitato, rendendo così impossibile la solita tattica di produzione “infinita” di unità e di un attacco in massa contro il nemico.
    Le unità possono essere potenziate tra una missione e l’altra secondo diversi perk e anche la Ulysses 2 può essere modificata con diversi moduli aggiuntivi in senso offensivo, oppure con una maggior propensione alla difesa. Nel complesso non siamo di fronte a un titolo particolarmente ricco di unità o modifiche, ma queste sono presenti in quantità sufficiente per assicurare una certa varietà e un senso di upgrade comunque tangibile. Più che altro Ancient Space soffre di una taratura della difficoltà poco “simpatica”, che fin dalla prima missione si basa molto sul trial & error e su attacchi nemici spesso davvero troppo massicci. In questi tratti mettere in pausa il gioco e optare per un’attenta microgestione delle singole navi (soprattutto nell’indirizzarle vero l’obiettivo più adatto) diventa necessario ma anche un po’ stancante, soprattutto se non si digerisce molto spezzare il ritmo in un RTS come questo. Nulla vieta di non interrompere l’azione (cosa tra l’altro impossibile da fare se si opta per il livello di difficoltà più alto), ma sappiate che resistere a certi attacchi senza prendersi un attimo per pensare è al limite dell’impossibile.   
    Spiace anche l’impossibilità di sfruttare appieno il mondo 3D creato dal team polacco, che sebbene bellissimo a vedersi e di grande atmosfera non prevede alcun impatto tattico se si attacca dall’alto o dal basso, finendo con il diventare solo una bella ambientazione e poco altro. Tutto sommato però Ancient Space è un titolo più che discreto, considerando anche l’idea degli ufficiali in carne e ossa come risorse e abilità, la varietà delle missioni e il rapporto prezzo-longevità più che valido. Non vi aspettate però un moderno Homeworld e anche l’assenza del multiplayer può farsi sentire sulla lunga distanza, ma per i fan del genere CreativeForge Games se n’è uscita con un titolo tutt’altro che malvagio e dai tratti decisamente hardcore, come capita quasi sempre quando ci sono di mezzo strategia, nebulose, galassie e flotte spaziali da gestire.

Lords Of The Fallen


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Deck13

  • Data uscita:30 ottobre 2014

     

     

    Prendi Tomasz Gop, noto producer di The Witcher 2, un po’ di sana ambientazione fantasy dark, un protagonista barbuto e lontano dai canoni estetici dei videogiochi odierni, e un bel po’ di meccaniche ispirate alla serie Souls. Ora mescola tutto, aggiungi un po’ di precisazioni per distinguere la tua creatura dalle opere di From Software, e quello che otterrai sarà un bel po’ di aspettative, oltre ovviamente a un sacco di interesse da parte della community di appassionati dei gdr action. 
    Lords of the Fallen è un gioco che prende vita dagli elementi sopracitati, un titolo sviluppato da software house dalle risorse piuttosto limitate, che ha però conquistato un gran numero di giocatori e critici quando è stato rivelato. I dubbi sul prodotto erano lancinanti: potevano esserci troppe pressioni sui Deck 13 e i CI Games, vista la loro esperienza limitata nel campo dei tripla A, una similarità eccessiva ai Souls o semplici errori di game design. Eppure anche noi speravamo in un buon gioco, in virtù dei test abbastanza soddisfacenti effettuati durante alcuni comodi eventi preview. Ora abbiamo potuto metter mano alla versione completa del gioco ed è tempo del verdetto finale. Che Gop sia riuscito davvero a regalarci un nuovo concorrente di spicco in questo sottotipo di gdr al momento dominato dagli sviluppatori nipponici?
    Cerchiamo di precisare immediatamente una cosa a riguardo di Lords of the Fallen: se lo aspettate con trepidazione per una questione di trama, lasciate perdere. La storia è, senza ombra di dubbio, l’aspetto più debole di questa produzione, un’accozzaglia banale di dialoghi e personaggi dimenticabilissimi il cui unico aspetto positivo è l’ambientazione affascinante. Il mondo in cui tutto si svolge è infatti freddo e crudele, un luogo dove i peccati non vengono mai dimenticati e anzi vanno a marchiare per sempre i volti di chi li ha compiuti. Il nostro eroe, Harkyn, è un criminale che di atti indegni ne ha compiuti molti, e viene improvvisamente liberato per aiutare le forze di Antonidas, signore dell’umanità, a respingere l’assalto di creature demoniache chiamate Rhogar. La narrazione non è chiara da subito e viene svelata pian piano più da alcuni documenti trovati nelle mappe che dalle cutscene, ma difficilmente verrete spinti all’esplorazione al solo scopo di ottenere più testimonianze. Qualche colpo di scena infine non è certo sufficiente per risollevare la narrativa, considerando la qualità scadente della sceneggiatura che l'accompagna . 
    Cercate di metabolizzare questo primo inciampo, poiché ora è il caso di andare dove c’è più soleggiato concentrandoci sul gameplay. A una prima occhiata il lavoro di Gop e compagnia era sembrato a molti una scopiazzatura di Dark Souls, con combattimenti praticamente identici e una struttura simile. In verità i fattori unici di Lords of the Fallen sono parecchi, e il lavoro di CI Games è nettamente diverso dalle opere di From, pur presentando qualche forte analogia. Il combat system, ad esempio, sfrutta basi prese quasi di peso dai Souls e gira tutto attorno al targeting dei nemici, all’apprendimento dei loro pattern, e alla gestione oculata della stamina e del peso del proprio equipaggiamento (con quest’ultimo che influenza in modo notevole difesa e schivata), ma alla lunga si notano svariati cambiamenti: le combinazioni base possono consumare meno stamina o dar vita a serie di colpi molto dannose se si sferrano gli attacchi con un timing preciso indicato da un brillio nella barra dedicata, manovre come i calci non spezzano direttamente la guardia ma portano gli avversari ad affaticarsi a loro volta, fino a poterli stordire dopo qualche colpo, e le armi a due mani sono praticamente inutilizzabili con una mano singola, poiché i loro set di mosse risultano mostruosamente lenti e inefficaci in quel caso, indipendentemente dalle vostre statistiche. È in pratica un combat system leggermente più realistico rispetto a quello dei Souls, cosa notabile anche nelle schivate, che presentano leggere finestre di recupero e hanno frame di invulnerabilità molto più limitati (risultano praticamente inutili se il peso è eccessivo) o nella possibilità di avere così tanto peso addosso da poter solo arrancare. L’unico aspetto più irrealistico è legato all’assenza di hitbox delle pareti, che permette di colpire i nemici anche con fendenti orizzontali di uno spadone in uno stretto corridoio passando allegramente attraverso il cemento. Può infastidire i più pignoli, ma è una scelta obbligata, perché le mappe di Lords of the Fallen presentano un gran numero di locazioni ristrette e le armi a due mani sarebbero state inutili senza questo accorgimento. 
    Parlando di mappe, è il caso di tirare in ballo un’altra enorme differenza, riguardante proprio i luoghi visitati. Il mondo di Lords of the Fallen è tutt’altro che gigantesco, e al di fuori del santuario di Keystone e di una dimensione demoniaca non avrete gran che da esplorare. Le mappe sono labirintiche, ma scordatevi teletrasporti, distese sconfinate o un gran numero di segreti, ci si ritrova per lo più in aree ben definite e lineari intervallate dalla necessità di tirare qualche leva per sbloccare la via successiva o da alcune scorciatoie. Questo peraltro non significa che in Lords sia sempre chiaro dove dirigersi, gli sviluppatori infatti sono cascati in qualche errore nel congegnare la campagna, e non mancano le situazioni dove si vaga per un po’ alla ricerca del posto da raggiungere. In uno specifico caso si viene proprio sviati dalla giusta direzione a causa di un npc, a sottolineare la gestione un po’ confusionaria delle mappe e degli obiettivi. Se il vostro senso dell’orientamento non è pessimo come il nostro, ad ogni modo, vi sarà difficile non apprezzare i combattimenti e la varietà dei nemici. Ci sono avversari più o meno ostici in Lords, ma i boss sono numerosi e cattivelli, le creature demoniache aggressive, mobili e in grado di difendersi, e il livello di sfida si mantiene elevato per buona parte dell’avventura. Chiaro, quando si mette mano su qualche armatura devastante o su armi poderose e si capisce quali sono le combo più efficaci tutto si fa molto più semplice, ma le morti non mancheranno comunque, ve lo assicuriamo. 
    Magico pugnone
    Un aspetto che in particolare ci ha incuriosito è la gestione delle magie, che si basa su un maglio incantato con incantesimi vari a disposizione, e sulla scelta della classe iniziale. Anche in Lords, come per i Souls, avrete libertà assoluta per quanto riguarda sviluppo delle statistiche e dell'equipaggiamento, ma la classe non sarà un semplice punto di partenza, bensì comprenderà un vero e proprio skill set magico parecchio utile. Buttatevi sul paladino e avrete poteri difensivi a disposizione, mentre guerriero e ladro offriranno rispettivamente poderosi attacchi o manovre velocissime. La scelta non è inoltre così definitiva come può sembrare nel caso vogliate passare molte ore sul gioco, in quanto ad ogni new game vi sarà data la possibilità di sbloccare un ramo extra dei tre disponibili. 
    Il maglio invece rappresenta il vostro unico mezzo per attaccare a distanza e può sparare vari tipi di proiettili, a loro volta potenziabili con rune elementali. Il sistema di potenziamento si allarga alle armi, ma quando si tratta di magie ha un’importanza maggiore, perché può garantire dei colpi devastanti contro nemici con specifiche debolezze elementali. Ricordate poi che qui le magie non hanno utilizzi contati, ma si basano su una barra del mana che si rigenera più o meno lentamente. 
    Lo sviluppo del personaggio va incontro a una semplificazione simile, con un numero limitato di caratteristiche da gestire ed effetti evidenti da subito dopo l'aumento. Per rendere Harkyn un combattente inarrestabile dovrete trovare dei cristalli rossi abbastanza frequenti, che fungono da checkpoint e permettono di spendere i punti esperienza guadagnati. Come nei Souls, in caso di morte perderete il vostro spirito nel punto in cui ci avete lasciato le penne, ma avrete stavolta un tempo limitato per recuperarlo, a patto che non utilizziate delle comode pietre in grado di riprendere tutto automaticamente. 
    Insomma, ricapitolando, siamo davanti a un titolo molto più incentrato sul combattimento che sull'esplorazione, e capace di rimodellare degnamente un combat system già rinomato e apprezzatissimo. Non ci siamo dimenticati di essere critici comunque, non vi preoccupate, abbiamo solo lasciato le beghe per la parte finale. Lords of the Fallen infatti ha purtroppo altri difetti oltre alle mappe non eccezionali e alla trama dimenticabile. Innanzitutto la telecamera, che spesso non regge il ritmo dell'azione e rende i combattimenti molto confusionari. Dopo qualche ora si impara a gestirla e muoverla in modo che non crei troppi fastidi, ma un po' di precisione in più avrebbe migliorato ulteriormente gli scontri. L'altro lato negativo? I bug. Ora, vi sveliamo che per la recensione abbiamo provato il gioco sia su pc che su Ps4, e la situazione si è rivelata infernale prima di una grossa patch correttiva da qualche gigabyte. Tra noi e i nostri colleghi sono venuti fuori mostri in grado di partire per lo spazio una volta uccisi, boss inaccessibili causa barriere bloccate, glitch grafici evidenti, crash ripetuti e persino un enorme bug che impediva di finire il gioco. Cose davvero poco piacevoli fortunatamente risolte quasi tutte dopo la patch, anche se molti problemucci tecnici permangono su entrambe le piattaforme. Al momento su PS4 il titolo pare stabile e privo di mancanze gravi, ma è evidente che le risorse limitate del team hanno creato qualche difficoltà nel bug check prima dell'uscita, quindi fate attenzione. 
    Chiudiamo con il comparto tecnico e la longevità. Il primo è soddisfacente, tolto un po' di tearing su console e una leggera ripetitività nel look delle ambientazioni. In particolare un applauso alla squadra di Gop va fatto per l'art direction, che mantiene un lodevole equilibrio tra tamarraggine e stile medievaleggiante senza stonare. La longevità è meno eclatante, e ben lontana da quella degli action gdr a cui il prodotto si ispira. La campagna può essere infatti finita nel giro di una decina di ore, non moltissime, e difficilmente la presenza dei new game+ spingerà a rigiocare il titolo all'infinito dopo aver sbloccato ogni classe. 
    Su pc le opzioni grafiche sono parecchie, ma attenti a non esagerare su configurazioni medie o medio-alte. Con tutto al massimo il gioco può diventare davvero pesantuccio per la vostra macchina

Project Cars

  • Piattaforme:PC, PS4, Wii U, Xbox One

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Slightly Mad Studios

  • Data uscita:20 marzo 2015 - TBA 2015 (Wii U)

     

     

    Tra un chiasso infernale, stand ricolmi di visitatori, standiste procaci ma non troppo, sono riuscito a mettere le mani su una versione avanzata di Project CARS, promettente simulazione di guida in uscita nel 2015 sulle console di nuova generazione (Wii U compresa) e PC.
    E proprio su un PC di fascia media (per la precisione un laptop) girava la versione che ho avuto modo di provare, con l'ausilio di un televisore di dimensioni abbastanza contenute (quaranta pollici scarsi) e un pad wired Xbox 360, che ha fatto la sua porca figura ma di certo non può sostituirsi ad un buon volante, necessario come un ombrello in un giorno di pioggia per giochi simili.
    Ecco cosa è venuto fuori dalla prova.
    C'è poco da fare gli sbruffoni
    Mentre ero in paziente attesa del mio turno, ironizzavo tra me e me sulle capacità di pilota del ragazzo che mi precedeva, che faceva una gran fatica a tenere l'auto in pista, abusava del sottosterzo e giocava di sponda con le auto avversarie praticamente ad ogni curva.
    Non che mi ritenga una versione da console di Fernando Alonso, ma ero convinto di fare meglio, non appena sarebbe toccato a me. Mi sbagliavo.
    I primi tre giri della mia gara sono stati un'agonia di frenate troppo brusche, testacoda e giri tremendamente lenti: era il mio primo hands on con il titolo dei ragazzi di Slightly Mad Studios e, pur aspettandomi un'accuratezza nei comandi, non ero preparato ad un modello di guida tanto esigente, coadiuvato dal fatto che ero stato messo alla guida di una muscle car americana, con una tenuta di strada risibile.
    Parzializzare il gas e tenere l'indice sinistro sul corrispondete grilletto, che regolava il freno, sono le basi per riuscire a tenere la macchina in pista senza difficoltà, figurarsi per affrontare una staccata al limite così da rosicchiare secondi a chi ci precede: Project CARS non fa sconti, ma non si diverte nemmeno a frustrate il giocatore.
    Già dalla seconda gara (delle tre totali che ho portato a termine prima di passare la mano) la situazione è migliorata sensibilmente, con delle traiettorie più credibili e una maggiore sensazione di controllo della vettura, eppure è chiara l'impressione di trovarsi dinanzi ad un gioco pensato per gli amanti della guida più che per le masse: i tempi di Need for Speed: Shift sono insomma lontani, sebbene anche in quel caso la software house londinese non si fosse abbandonata all'arcade più puro.
    A stridere allora con un modello di guida esigente è il sistema di collisioni con le altre vetture: disattivato di default per consentire ai visitatori dello stand Bandai Namco di divertirsi con il titolo anche per sessioni molto brevi, non sarà comunque implementato in maniera massiva, come ogni appassionato di racing game spererebbe.
    Slightly Mad ha optato per una soluzione brillante, che comunque potrebbe lasciare l'amaro in bocca a molti: pur non essendo direttamente visibili sulle carrozzerie delle vetture (se non in maniera davvero minima), i danni meccanici rivestiranno un ruolo di fondamentale importanza nell'economia di gioco, costringendo finanche al ritiro nei casi più gravi, come la rottura di un semiasse o la fusione del motore.
    Temo che dietro queste limitazioni ci siano complesse licenze contro le quali ha combattuto per anni (e perso) anche il team Polyphony, il che vorrebbe dire che dovremo farcene una ragione.
    La prova tramite pad ha poi rivelato una eccezionale sensibilità del freno e un peso delle vettura virtuale ben bilanciato, che non ha mai causato effetti irreali una volta perso il controllo della stessa: le probabilità che il grado di coinvolgimento e la guidabilità delle vetture migliorino di molto con l'ausilio di un buon volante sono molto alte, e questo mi rende fiducioso per la buona riuscita del titolo.
    Scalabilità ma non senza
    Alla piacevole sorpresa derivata dal fatto che il gioco girava, e bene, su un laptop e non su un PC di fascia alta, si aggiunge la resa del titolo, che, a cinque mesi dal lancio (le versioni PC, PS4 e Xbox One sono previste per il prossimo 20 marzo), era più che soddisfacente: condizioni meteo variabili e realistiche, con particolare menzione per l'effetto pioggia e le rifrazioni del sole al tramonto, modelli delle vetture ottimamente dettagliati e piste riprodotte con sufficiente precisione, cui si aggiungeranno un buon numero di tracciati di pura fantasia.
    Il framerate non ha mostrato incertezze di sorta e, insomma, non sono riuscito, durante la prova, a trovare qualcosa del comparto tecnico che mostrasse il fianco a critiche, fatta eccezione per io comparto audio che, in un contesto come quello fieristico, era ingiudicabile.
    Sarà importante che i ragazzi di Slightly Mad Studios abbiano lavorato sulla scalabilità del loro motore grafico, perché le quattro macchine su cui il gioco dovrà girare constano di hardware di potenza molto differente tra loro.
    Speriamo bene.

giovedì 16 ottobre 2014

Football Manager 2015

  • Piattaforme:iPhone, PC, TECH

  • Genere:Manageriale

  • Sviluppatore:Sport Interactive

  • Data uscita:7 Novembre 2014

     

    Football Manager è una di quelle poche certezze videoludiche su cui gli amanti del calcio possono contare; ogni versione, evidentemente, ha i suoi pro e i suoi contro, e ci sarà sempre chi avrà un atteggiamento più restio ad accettare i cambiamenti proposti da Sports Interactive, ma nutriamo pochi dubbi sul fatto che ogni giocatore della saga in questione non abbia passato almeno qualche centinaia di ore a modificare tattiche e formazioni. Approfittando delle ultime notizie diffuse dagli sviluppatori in questi giorni, allora, vediamo di fare il punto della situazione sul nuovo capitolo della serie, cercando di capire dove questo prossimo Football Manager 2015 promette di migliorare le esperienze precedenti.

    Il primo cambiamento con cui i giocatori di Football Manager 2015 dovranno fare i conti sarà la nuova interfaccia grafica; tra i cambiamenti maggiori, dunque, spunta una sorta di barra posta sul lato sinistro dello schermo contenente sostanzialmente un elenco di tutte le voci più importanti, come la gestione della tattica, della rosa, nonché i messaggi e la schermata home. Ciò significa che l’area di gioco vera e propria si estende su una superficie più ampia, e presumibilmente permetterà una maggiore fruibilità delle varie schermate anche a basse risoluzioni. La navigazione tra le numerose schermate di gioco, stando almeno a quanto visto finora, darà l’occasione poi di notare un cambio cromatico decisamente importante: abbandonato lo sfondo bianco delle scorse edizioni, il titolo torna a tonalità più scure, un po’ come nei capitoli di qualche anno fa. Una delle novità più interessanti in questo ambito, in ogni caso, sembra essere l’introduzione della search bar, che in realtà altri non è che la classica barra che ospita i nomi di squadre, giocatori e competizioni. Cliccando su questo elemento posto in alto sullo schermo, da quest’anno, si potrà così inserire il nome dell’elemento di nostro interesse, e come in un normale browser la nostra digitazione verrà accompagnata dall’apparire di un elenco di possibili risultati. Una nuova feature, questa, che con molta probabilità donerà alla fase di ricerca una immediatezza nuova per la serie. E’ evidente come questo rinnovamento vada a influenzare sostanzialmente ogni aspetto di gioco, e perciò ci si potrà sbilanciare su questo restyling solo una volta preso il comando della propria squadra del cuore.Una delle caratteristiche più interessanti di questo prossimo Football Manager 2015 è l’introduzione di due tipologie di manager: i giocatori, in altre parole, potranno scegliere se essere un Tracksuit Manager o un Tactical Manager. Questi due stili di allenamento saranno determinati dalla presenza di veri e propri punti abilità relativi a differenti variabili, le quali rientrano in due categorie legate alle abilità di allenamento vere e proprie e alle capacità mentali. Scegliere di essere un tracksuit manager (ovvero “un allenatore in tuta sportiva”, tanto per intenderci), vorrà dire che si potrà partecipare all’allenamento della squadra incidendo con le proprie abilità sullo sviluppo dei calciatori. L’opzione tactical manager, invece, farà sì che i giocatori apprendano in maniera più rapida le tattiche di gioco. Tra questi due poli esistono varie combinazioni intermedie che consentono di ottenere, attraverso un processo di fine tuning delle varie abilità (come il lavoro sui giovani, la tattica, o il livello di disciplina), il proprio profilo desiderato. Tutto ciò avviene, a quanto è stato possibile comprendere, quasi come se si stesse creando un personaggio di un normale gioco di ruolo; i valori in considerazione, infine, risentiranno non solo della classica variabile determinata dalla passata esperienza da giocatore del nostro manager virtuale, ma anche dal patentino da allenatore a nostra disposizione. 
    Passando alla parte tattica, una delle novità più interessanti è quella relativa alle indicazioni impartite durante il match: queste, ora, presentano sostanzialmente la stessa impostazione utilizzata per i discorsi nel pre e post partita (nonché negli intervalli), comprese le reazioni in tempo reale alle nostre sollecitazioni.
    Ulteriori modifiche sono previste per quanto riguarda i ruoli in campo dei giocatori, che ora includono nuove figure come il “Roaming Playmaker”, ovvero un centrocampista che gioca a ridosso della difesa e che, a seconda delle situazioni, ha il compito di sostenere gli attacchi e ripiegare in difesa; un altro nuovo ruolo è costituito dal “Raumdeuter”, denominazione tedesca che identifica un attaccante esterno (come il bavarese Thomas Müller) sempre pronto a inserirsi negli spazi.
    Questa rinnovata cura nella descrizione dei ruoli dei giocatori trova supporto anche nella gestione degli allenamenti degli stessi. In questa edizione del gioco, infatti, sarà possibile focalizzare il training di un determinato calciatore non solo su un dato ruolo, ma anche sulla mentalità con cui questo deve essere interpretato (ovvero supporto, difesa, attacco, e così via). Gli allenamenti saranno influenzati anche dallo stile dei preparatori, che quest’anno sono divisi in tattici, tecnici e psicologici. Va da sé che questi membri dello staff renderanno meglio nelle categorie corrispondenti al proprio stile di allenamento.Uno degli aspetti più controversi delle ultime edizioni della serie Sports Interactive è costituita dalla rappresentazione in 3D delle partite; molti giocatori, infatti, continuano tutt’ora a utilizzare l’opzione precedente a quella tridimensionale, quella cioè formata dalla visuale 2D con i caratteristici “pallini”. Nonostante questo amore non particolarmente intenso tra i giocatori e la soluzione in 3D, dunque, lo sviluppatore sembra aver profuso non pochi sforzi nel cercare di migliorare le partite simulate. Le nuove animazioni sono basate su numerose sessioni di motion capture, e dovrebbero tenere conto dell’altezza e del peso dei vari giocatori. I calciatori virtuali ora useranno differenti parti dei piedi per calciare la palla (d’esterno, d’interno e così via), mentre i portieri dovrebbero esibirsi in parate presumibilmente più realistiche. Una maggiore cura sembra sia stata riposta anche nella ricostruzione delle varie tipologie di stadi, nonché negli elementi di contorno a questi (come mega schermi, striscioni dei tifosi e le immancabili camionette dove è possibile comprare hamburger e salamelle).
    Va da sé che per poter giudicare queste novità bisognerà provare con mano quanto descritto finora; in ogni caso, i piani di Sports Interactive per questa particolare feature di gioco sembrano essere a lungo termine, per cui quella di quest’anno dovrebbe essere considerata, secondo la stessa software house, come la prima tappa di un importante percorso di sviluppo.

Pro Evolution Soccer 2015



  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:Konami

  • Data uscita:13 novembre 2014

     

    La stagione calcistica è ormai entrata nel vivo, con il campionato che ci ha già regalato le prime polemiche. Polemiche che accompagnano anche l'uscita dei due principali titoli calcistici, con Konami che ha deciso per la prima volta di prendersi qualche mese in più prima di rilasciare il suo Pro Evolution Soccer, in modo da rifinirlo alla perfezione ed evitare le critiche rivolte alla scorsa edizione. Durante una nebbiosa mattinata milanese siamo stati ospiti dai ragazzi di Halifax, per provare una build più recente del titolo e testarne i progressi dopo una versione demo che ci aveva incuriosito. La nostra fame di calcio sarà finalmente stata soddisfatta?
    Uno degli aspetti più critici che avevamo notato nella nostra ultima prova era l'efficacia delle scivolate, che permettevano ai difensori di recuperare facilmente la palla e far ripartire la squadra in contropiede. Ora la situazione si è ribaltata, con i difensori che spesso sbagliano anche le entrate più facili, finendo per diventare vittime dei cartellini estratti dall'arbitro con una frequenza a volte eccessiva; ci è capitato infatti di essere espulsi anche dopo interventi non particolarmente cattivi a metà campo, lasciando la nostra squadra in 10 a pochi minuti dall’inizio del match. Aspettando il risultato finale, il gioco sembrerebbe dunque spingerci verso una difesa più conservativa, obbligandoci a chiudere gli spazi ed a giocare d'anticipo, lasciando le scivolate come ultima risorsa. Migliorati anche i tiri, che non ci avevano particolarmente convinto nella demo, e che ora siamo finalmente riusciti a padroneggiare grazie ad una sessione intensa nella modalità allenamento, dove abbiamo potuto affinare le nostre capacità nei pallonetti e nei tiri di precisione. 
    Da segnalare purtroppo la fisica della rete rimasta immutata, che non permette di godersi appieno un goal dalla distanza visto che questa che non si gonfia ma rimane tesa come se fosse un muro. Per i portieri non abbiamo invece notato particolari migliorie, con l'estremo difensore che si conferma sicuro sia nelle uscite a terra che sui corner e i cross, riuscendo ad anticipare bene gli attaccanti avversari. Notiamo però ancora qualche svarione, con il portiere che a volte non copre perfettamente il primo palo lasciando passare tiri anche abbastanza semplici. Nulla di particolarmente problematico comunque, si tratta di casi sporadici che non influiscono particolarmente sul gameplay. Abbiamo potuto provare anche le varie difficoltà di gioco, da quelle più basse, dove saremo in grado di saltare facilmente tutta la difesa, a quelle più alte, dove risulterà impegnativo anche solo a creare una buona occasione. Affrontare a questo livello squadre come il Barcellona, il Bayern Monaco o il Real Madrid si è rivelato particolarmente complicato, con la CPU schierata bene sia in difesa, pronta a chiudere tutte le zone e a ripartire, sia in attacco, dove crea un fraseggio molto difficile da contrastare per i nostri difensori. Per chi vuole cimentarsi a questa difficoltà consigliamo di non giocare partite con un minutaggio basso: il rischio è quello di non creare mai occasioni pericolose e rimanere fissi in difesa per tutti e 90 i minuti di gioco, mentre la CPU è impegnata in un lungo tiki taka. Il ritmo di gioco premia uno stile più ragionato, invitando i giocatori a non attaccare a testa bassa o a pressare a tutto campo visto che i calciatori si stancano velocemente, e obbligandoci a ricorrere alle sostituzioni già alla fine del primo tempo. Ottimi i movimenti che hanno ormai definitivamente abbandonato i famigerati binari, lasciando piena libertà al giocatore di muoversi e cambiare improvvisamente direzione per saltare un difensore. 
    Chiudiamo con le skill, generalmente efficaci ma non sempre facili da utilizzare, poiché alcune richiedono combinazioni complesse di tasti difficili da ricordare e da eseguire durante una partita. Numerose come sempre le modalità offline, che faranno perdere parecchie ore agli appassionati. Champions League ed Europa League faranno felici tutti i fan, che potranno, anche per questa edizione, cimentarsi con Copa Libertadores e Champions League Asiatica. Il tutto senza dimenticarsi della carriera giocatore e della mitologica Master League. Purtroppo non abbiamo potuto ancora testare a fondo queste modalità, per verificare le novità promesse e per capire se è presente il rischio di annoiarsi in fretta. Chiudono le modalità Online, con i classici 1vs1 e la modalità MyTeam. 
    Giudizio sospeso invece per la telecronaca, affidata alla nuova coppia Caressa-Marchegiani. Vista la build non troppo recente con i livelli audio da sistemare a dovere. La prima impressione è quella di una telecronaca che riuscirà a dare il meglio di sé nelle partite di campionato o in quelle più importanti, proprio come avviene nel diretto rivale.

martedì 14 ottobre 2014

Borderlands:The Pre-Sequel


  • Piattaforme:PC, PS3, Xbox 360

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:2K Australia

  • Data uscita:17 ottobre 2014

     

    È difficile vedere ancora Gearbox come una software house bonacciona, senza macchia, e ricca di talenti esplosivi dopo gli exploit degli ultimi anni. La casa, inizialmente parte integrante di quel “bello dei videogiochi” che tanti critici e utenti ammirano, ha iniziato a perdere colpi rendendosi protagonista di vicende non proprio cristalline e, in generale, non è stata capace di dimostrare nuovamente il suo valore con un nuovo progetto negli ultimi anni. Ciò che le rimane è Borderlands, un marchio che ha cambiato la faccia degli sparatutto in prima persona con la sua formula, e conquistato milioni di giocatori a forza di umorismo riuscito e caos.
    Con i Gearbox impegnati in altri progetti, dunque, non era il caso di lasciar vegetare il brand, e 2K ha pensato bene di passare la patata bollente  a 2K Australia con Borderlands: The Pre- Sequel. Le premesse per un'ottima continuazione c'erano tutte: una storia concentrata sulla figura di Jack il Bello, il solito fantastilione di armi, e qualche novità interessante inserita in un gameplay già difficile da far barcollare. Il problema era, ovviamente, il paragone diretto.
    La premessa di The Pre-sequel è probabilmente il punto più attraente dell'intera produzione. L'avventura si pone tra il primo e il secondo capitolo, e spiega nel dettaglio l'ascesa al potere di Jack il Bello, mettendovi nei panni di uno dei suoi sottoposti. Si inizia con Athena, catturata dai cacciatori della cripta originali e impegnata a spiegare cosa l'ha portata ad essere in quella spiacevole situazione, e in seguito si inizia un lungo viaggio infarcito di citazioni ai predecessori, umorismo demenziale, e momenti molto più seriosi di quanto sia lecito aspettarsi. Non è una brutta storia quella di Jack, ma ha svariati punti bui, e in generale la qualità dei dialoghi ci è sembrata sensibilmente più bassa di quella vista nel secondo episodio (escluse una manciata di quest brillanti). Dei netti cali di ritmo qua e là, poi, non aiutano ad apprezzare le vicende. 
    Ma passiamo alla ciccia, ovvero il sistema di gioco. 2K Australia ha mantenuto meccaniche pressoché identiche a quelle del precedente episodio, puntando tutto sul solito numero smodato di armi dotate di rose di fuoco ed effetti estremamente variabili, e su mappe molto estese navigabili a bordo di veicoli. Ordinaria amministrazione, ma con una differenza: stavolta siamo su una luna, e sulla luna non c'è ossigeno, né una gravita particolarmente elevata. Le due nuove condizioni ambientali portano all'inserimento nel gioco degli Oz Kit, delle bombolone di ossigeno indispensabili per vagare su Elpis e in grado di fungere da simil-jetpack. Gli Oz Kit variano molto l'azione, poiché permettono di effettuare salti doppi, poderose schiacciate a terra che infliggono danni ad area, e obbligano a tenere d'occhio dei geyser sparsi per le mappe che ricaricano le riserve di ossigeno se avvicinati. 
    Fin qui, tutto benone. I combattimenti sulla luna restano molto divertenti, la rinnovata mobilità aerea esalta a tratti, il numero di fonti d'aria è adeguato per evitare frustrazioni, e sono state persino aggiunte delle piattaforme da salto che migliorano non poco la navigazione di alcuni campi di battaglia (per voi e per i boss, sia chiaro). Quando si vanno a valutare i miglioramenti più concreti, però, casca l'asino. 
    Partiamo dalle armi, sempre tantissime. Buona parte delle bocche da fuoco sono riciclate dai precedenti capitoli, e il sapore di “già visto” è costante durante tutta l'avventura, con tanto di strumenti viola o leggendari che si ripresentano all'appello. La loro precisione, inoltre, ci è sembrata inferiore, forse a causa di alcuni nemici con hitbox ingannevoli che sembrano acquistare una sorta di breve invulnerabilità durante le schivate. L'IA, dal canto suo, non è migliorata a dovere. Ci si ritrova contro ad avversari con capacità tattiche equiparabili a quelle di una gallina, che fanno poco altro al di fuori di saltellare a destra e a manca, caricarvi o spararvi addosso tutto quello che possiedono. Vale anche per i boss, estremamente meno ispirati e godibili di quelli passati. Non che manchino degli incontri interessanti, ma molte delle sparatorie ci sono sembrate fin troppo “ispirate” da battaglie già viste e combattute fino allo sfinimento.
    L'assenza di perfezionamenti va a colpire la struttura stessa del gioco. Una delle debolezze di Borderlands 2 era la necessità di ripercorrere lunghi tratti della mappa per raggiungere determinati quest giver o altre locazioni, al punto che spesso si usciva e rientrava dal gioco per arrivare più rapidamente al checkpoint d'entrata. The Pre-Sequel addirittura accentua questa mancanza, con stazioni di spostamento rapido ancor più rade, zone di spawn dei veicoli quasi assenti in certe locazioni, e mappe secondarie utili completamente prive di teletrasporto. Una forma di fast travel più evoluta non sarebbe stata così dura da implementare.
    Perlomeno, quando il gioco ci mette del suo, è difficile non farselo piacere. Le armi congelanti e laser danno soddisfazioni enormi, la massa di quest è impressionante, e alcuni dei nuovi elementi sono implementati in modo gustoso per dare il giusto pepe agli eventi. Un pochino di bilanciamento extra lo avremmo gradito, eppure è difficile protestare quando da una delle casse spunta un lanciamissili elementale a colpo triplo capace di ridurre qualunque nemico in polvere. Non ci è chiarissimo il motivo per cui buona parte della campagna abbandoni parzialmente le novità introdotte dall'ambientazione lunare in favore di combattimenti classici su una stazione spaziale con gravità artificiale, ma almeno ciò che si perde in meccaniche lo si guadagna in trama, trattandosi della fase più serrata della storia. 
    Nulla da criticare invece sulle classi, tutte e quattro molto divertenti da usare. Claptrap e le sue assurde abilità rappresentano uno dei punti più alti del gioco, ma le capacità da tank/supporter di Athena, la pioggia di proiettili che Nisha può scatenare, o gli utilissimi droni di Whilelm brillano tutti di luce propria. Ogni classe dispone in più di skill tree calcolati anche attorno al gameplay multigiocatore, che non è cambiato più di tanto, ma resta gustoso. Non aspettatevi comunque un quantitativo di roba da fare post game in gruppo paragonabile allo stato attuale di Borderlands 2, quello è un titolo che è stato ampliato e supportato molto a lungo, per The Pre-Sequel è solo l'inizio. Difficile al momento prevedere fino a che punto svilupperà una sua community e saprà crescere, ma la presenza di valute alternative per l'ottenimento di loot di alta qualità lascia intendere una volontà di ampliare il prodotto da parte di 2K.
    Non c'è vegetazione sulla luna. E.. niente. Basta
    Insomma, l'analisi del gameplay e della campagna è, pur tenendo conto delle scarse evoluzioni, indubbiamente positiva. Il comparto tecnico tuttavia è difficile da salvare. Tenete a mente che, trattandosi di un titolo old gen, la botta negativa può facilmente risultare molto più scioccante se si fa un paragone con videogame pensati per le macchine attuali, ma il motore di Borderlands inizia davvero a mostrare il fianco. Noi abbiamo provato una versione per console test del gioco, più instabile e tendente al glitch del normale, ma abbiamo trovato più di una quest buggata, cali di frame rate ingiustificabili in certe situazioni, e il solito fastidioso problema delle texture che caricano in ritardo un po' ovunque. L'aliasing è piuttosto marcato, nonostante lo stile sia quello cartoonesco tipico della serie, e i luoghi sono molto più anonimi, anche a causa della palette spenta di colori della luna di Elpis. La varietà aumenta in seguito, ma non si raggiungono mai le vette del secondo episodio e si tendono a ricordare le mappe più per i loro punti d'interesse principali che per la conformazione del terreno. Buona parte dei bug sono ad ogni modo già stati (stando agli sviluppatori) eliminati nella versione finale del titolo, pertanto dovremmo poter stare tranquilli. Niente da ridire sul sonoro, con doppiaggi di alta qualità pure in italiano, e sulla longevità.

sabato 11 ottobre 2014

Sleeping Dogs Definitive Edition

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Data uscita:10 ottobre 2014

     

    Tecnicamente mediocre e non esente da bug”. Così sentenziava Pregianza il 16 agosto di due anni fa, a proposito di Sleeping Dogs. Il titolo ebbe uno sviluppo travagliato, con una cancellazione e un salvagente lanciato in extremis da Square Enix. Il gioco portava su di sé tutti i segni dei problemi avvenuti negli anni precedenti, e il prodotto uscito nei negozi mostrava qualche screzio non indifferente. Ma se dal lato tecnico il gioco presentava questi problemi, dal lato del gameplay era “estremamente divertente e vario”, per citare nuovamente il barbuto redattore di cui sopra. Sleeping Dogs fu una bella sorpresa, uno di quei giochi nei quali nessuno ha creduto mai abbastanza ma che, con un po’ di fiducia, poteva divertire davvero molto.Spesso descritto come il GTA di Hong Kong, il titolo aveva un impianto narrativo non indifferente, un gameplay che mescolava shooting e kung fu con un sistema reminescente del free flow system di scuola Arkham e un’ambientazione pressoché unica e ben curata. Soprassedendo ai suoi difetti, Sleeping Dogs era un gran gioco, ed è un vero peccato che non sia stato premiato con il successo che avrebbe meritato, soffocato da altre serie più blasonate e da franchise forse più noti, ma non altrettanto meritevoli.

    Con l’arrivo della Definitive Edition su console next gen e PC, Square Enix ha avuto l’enorme opportunità di dare un colpo di carta vetrata al gioco e di risolvere alcuni dei problemi tecnici emersi nel 2012. Un’operazione non nuova al colosso del publishing, che con Tomb Raider Definitive Edition fece un ottimo lavoro, pur incassando qualche critica per l’evidente e spudorata operazione commerciale comune ad ogni re-release. Sleeping Dogs Definitive Edition non fa differenza, ma questa volta le ragioni dietro a un nuovo rilascio ci sembrano più motivate rispetto al titolo con protagonista l’archeologa più famosa del mondo. Ma, per contro, il lavoro di svecchiamento questa volta è stato molto più arduo.
    Non spenderemo lunghe frasi per ricordare la bontà di questo gioco: la vecchia recensione è ancora validissima, e dopo due anni il gameplay è invecchiato molto bene. Stiamo parlando di un gioco che ha poco più di due anni di vita e che, di conseguenza, presenta numerosi elementi affini al gameplay di numerosi giochi contemporanei. Vi sono alcuni difetti - in particolare nella responsività dei comandi nei combattimenti corpo a corpo - che mostrano uno pseudo flow system piuttosto acerbo e legnoso, ma al contempo vi è da segnalare la guidabilità dei veicoli sorprendentemente raffinata e superiore a tanti altri titoli dello stesso genere, anche più recenti. Allo stesso modo, come detto in apertura, da un punto di vista narrativo ci troviamo di fronte a un prodotto di tutto rispetto, che saprà intrattenervi con dei dialoghi stellari, che ritraggono il melting pot di Hong Kong con un miscuglio di inglese (con accento americano) e cantonese. La prova di Will Yun Lee, che ha prestato la voce al protagonista Wen Shei, è di livello altissimo, e il cast vanta attori del calibro di Emma Stone, Lucy Liu e Tom Wilkinson. A tratti il gioco ricorda per violenza, dialoghi, temi e personaggi i film di Johnnie To, e la particolare cornice di Hong Kong regala degli scorci di rara bellezza. Se siete anche solo lontanamente attirati da questa particolare città e dalle sue contraddizioni, Sleeping Dogs è un gioco che non dovreste lasciarvi scappare.
    Gli elementi da analizzare nella Definitive Edition, come intuibile, si riducono al lavoro compiuto dagli sviluppatori per restaurare il titolo del 2012. Lo diciamo subito: i miracoli non esistono e Sleeping Dogs è un gioco che ha sofferto molto dei suoi problemi tecnici. Molti di questi, direttamente imputabili al motore grafico, sono purtroppo rimasti. Tra i più degni di nota vi è l’imperante ragdoll dei nemici dopo un abbattimento, qualche sporadico problema con la telecamera e la sostanziale povertà delle animazioni, in particolare di quelle facciali. I personaggi, anche nelle scene più drammatiche, mantengono sempre il loro sguardo arcigno e sembrano non curarsi particolarmente di quanto sta avvenendo. Nel 2012 la grafica di Sleeping Dogs era vecchiotta, e nel 2014 l’assenza di questi elementi che aggiungono immersività si fa notare. Crediamo che gli sviluppatori, al fine di migliorare questi aspetti, avrebbero dovuto ricostruire completamente il gioco, probabilmente utilizzando un nuovo motore grafico: in questo senso, dunque, potremmo affermare che il lavoro si sia limitato a “contenere i danni” e ad applicare qualche soluzione ai problemi risolvibili, lasciando in disparte quegli elementi semplicemente impossibili da correggere se non straniando completamente il prodotto originale (e, conseguentemente, spendendo un patrimonio in costi di sviluppo).
    Così, Sleeping Dogs Definitive Edition è un gioco che ammorbidisce la grafica, migliora la risoluzione e risolve (non completamente, invero) i singhiozzi nel frame rate presenti nell’opera originale. Le texture sono più dettagliate, ma ben lontane dall’alta risoluzione a cui ci hanno abituato alcuni titoli più recenti. In breve: siamo molto lontani dala grafica dei titoli next gen, e il gioco difficilmente saprà attirare i giocatori per la qualità visiva. Ciononostante, il materiale di partenza è davvero di ottima qualità, e questo makeover - per quanto non “extreme” - è più che sufficiente per ridare vigore al titolo. 
    Infine, non bisogna sottovalutare il valore complessivo del pacchetto: anche se Sleeping Dogs Definitive Edition viene venduto a un prezzo solo lievemente più basso di un normale titolo next gen, il titolo include tutti i numerosi DLC usciti tra il 2012 e il 2013, che portano la longevità del prodotto a una quantità di ore davvero considerevole

Risen 3 Titan Lords

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Piranha Bytes

  • Data uscita:15 agosto 2014

     

    I tempi di Gothic sono ormai lontani e in molti li rimpiangono già visto che la serie di Risen non sembra aver attecchito molto tra gli appassionati di action-GdR. Piranha Bytes era partita con un primo capitolo tutt’altro che trascurabile, ma già con Risen 2: Dark Waters iniziavano a emergere i primi dubbi per i troppi limiti a livello di grafica, combat system e intelligenza nemica. Certo, l’ambientazione piratesca funzionava, la longevità c’era tutta e lo sviluppo del nostro eroe era sufficientemente solido e variegato, ma con Risen 3: Titan Lords si sperava in un miglioramento che invece non c’è stato, se non in minima parte.
    Il terzo capitolo della serie è ambientato ancora una volta nello stesso universo fantasy-piratesco del predecessore, con il quale condivide molte location, diversi personaggi e bene o male l’intera struttura di gioco. Anzi, se non avete giocato Risen 2: Dark Waters vi perderete tantissimi riferimenti a livello narrativo e un’introduzione un po’ più dettagliata e approfondita per i neofiti della serie non avrebbe fatto male. In generale le somiglianze tra i due giochi sono talmente numerose e sfacciate da far pensare a un totale riciclo di asset, animazioni, nemici e ambientazioni da parte di Piranha Bytes, reso forse necessario dalla decisione di minimizzare i costi di sviluppo e produzione. Ritroviamo infatti le stesse creature, gli stessi interni negli edifici, gli stessi modelli poligonali e in generale gli stessi difetti del predecessore, pur non mancando qualche nuovo nemico e nuove isole dell’arcipelago che si aggiungono a quelle già presenti in Risen 2: Dark Waters.
    Un limite sul quale i neofiti della serie passeranno sopra senza troppi patemi d’animo, ma chi ha già giocato al titolo precedente si troverà di fronte, più che a un nuovo episodio della serie, a una sorta di maxi espansione. Somiglianze a parte, Risen 3: Titan Lords cerca comunque di introdurre qualche nuovo elemento, inserendo ad esempio delle sezioni action a bordo di una nave, permettendo di nuotare più a lungo (si evitano parecchi nemici in acqua) e introducendo la possibilità di volare trasformandosi in un pappagallo. La novità più gradita è però il nuovo sistema di magie, con incantesimi numerosi e potenziabili divisi tra le diverse fazioni a cui possiamo legarci nel corso del gioco. Ce ne sono davvero per tutti i gusti a livello di attacco e difesa e gli effetti grafici di alcune magie (soprattutto quelle di fuoco) sono davvero ben fatti. La presenza di così tanti incantesimi permette di personalizzare in modo approfondito il nostro alter ego senza nome ed è anche lo spunto più felice nell’approccio ai nemici, visto che il sistema di combattimento (a parte l’introduzione di qualche nuova arma) è rimasto lo stesso di Risen 2.
    Proprio il combat system, assieme a certi bizzarri siparietti legati all’intelligenza artificiale dei PNG, rimane ancora in questo caso il limite maggiore della serie. Movimenti goffi, schivate e contrattacchi legnosi, forte ripetitività di fondo e attacchi con armi da fuoco a volte risibili. Non si esagera dicendo che in certi punti è quasi preferibile scappare piuttosto che ingaggiare uno scontro con due o più nemici e questo, in un action-GdR, non è certo un buon segno. Altre volte basta allontanarsi per un attimo da un combattimento con un PNG che abbiamo fatto arrabbiare, tornare dopo un minuto e vedere lo stesso personaggio che ci ignora completamente come se nulla fosse successo. La presenza di compagni al nostro fianco che ci accompagnano in gran parte del gioco serve per variare leggermente l’andamento degli scontri, ma a volte finisce quasi col facilitare troppo le cose rendendoci semplici spettatori o facendoci comunque attaccare con meno frequenza.
    Se insomma speravate che Piranha Bytes avesse aggiustato il tiro e optato per un combat-system più leggero, vario e dinamico, vi troverete invece di fronte agli stessi limiti visti in Risen 2. Per fortuna però il team tedesco ha anche azzeccato almeno due elementi di gioco tutt’altro che secondari. Tanto per cominciare Risen 3: Titan Lords è un titolo longevo e pieno di cose da fare; l’esplorazione gioca un ruolo fondamentale nel gameplay e anche se l’intera mappa di gioco non è quella di uno Skyrim o di un The Witcher 2 per dimensioni e varietà, cercare scrigni e aggirarsi per queste isole tra foreste, cittadine, grotte e spiagge ha sempre il suo indubbio fascino. Inoltre il potenziamento del nostro alter ego e delle sue abilità è sufficientemente variegato e profondo pur non esistendo i classici livelli di esperienza, senza dimenticare il crafting (soprattutto quello a base di piante) e l’acquisizione di nuove abilità tramite l’insegnamento di alcuni PNG. Tutti questi elementi fanno di Risen 3: Titan Lords un action-GdR tutt’altro che mediocre e a tratti persino avvincente se siete patiti di pirati, stregoneria e mappe del tesoro. Sul versante tecnico si segnalano sia un doppiaggio inglese dagli esiti discontinui (certe voci fanno davvero ridere), sia un comparto grafico altrettanto ondivago. Si passa infatti da un aspetto della vegetazione piuttosto curato e da alcuni scorci paesaggistici notevoli ad animazioni al limite del risibile, per non parlare della mediocre espressività dei volti e del già citato riciclo a piene mani di moltissimi elementi grafici di Risen 2. Un risultato finale comunque sufficiente, ma ben lontano dai campioni del genere e privo di veri e propri passi avanti rispetto al predecessore nonostante i due anni trascorsi. 

Stronghold Crusader 2

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Firefly Studios

  • Data uscita:23 settembre 2014

     

    La serie Stronghold non è mai stata particolarmente acclamata da critica e pubblico. Il primo capitolo della saga è stato un successo, ma con il passare del tempo, le cose non hanno fatto altro che peggiorare. Dopo uno Stronghold 2 per molti non all'altezza del primo capitolo, la saga è decisamente caduta in basso con l'uscita del terzo episodio. Sono passati ormai dodici lunghi anni da quando Stronghold Crusader ci ha fatto visitare per la prima volta il Medio Oriente, mettendoci nei panni di Riccardo Cuor di Leone e dandoci il controllo di potenti eserciti con i quali assediare e conquistare le città nemiche. Stroghold Crusader 2 è arrivato, e noi siamo pronti a scoprire se sarà in grado di portare una ventata di aria fresca alla serie.
    Arriviamo subito al dunque. Stronghold Crusader 2 non è poi così diverso dal primo capitolo. Questo può essere considerato un bene, in quanto Crusader è uno dei pochi capitoli validi della serie, ma tenendo conto del fatto che il gameplay è vecchio dodici anni, si poteva fare decisamente meglio. Le meccaniche alla base del gioco sono infatti identiche a quelle del primo Crusader: prenderemo il controllo di un Lord e avremo il compito di costruire, far sviluppare e difendere il nostro castello. Per conseguire i nostri obiettivi avremo a disposizione vari tipi di edifici. Alcuni, come segherie o miniere, serviranno a raccogliere i materiali essenziali allo sviluppo del castello, altre costruzioni saranno invece necessarie per provvedere a sfamare i cittadini che abitano all'interno delle nostre mura ed infine possiamo trovare quelle strutture utili a difendere il nostro castello da eventuali attacchi nemici. Una grande quantità di costruzioni disponibili dovrebbe aiutare a rendere il gioco abbastanza vario, tuttavia, senza riuscirci completamente.
    Il problema principale che attanaglia il titolo è infatti la mancanza di varietà. Le modalità di gioco sono infatti solamente due. Abbiamo a disposizione solamente un paio di campagne che, in aggiunta al tutorial di base, ci spiegheranno tutte le meccaniche di gioco, partendo da quelle di base fino ad arrivare alle tattiche di assedio più avanzate. Le altre modalità disponibili sono semplici schermaglie affrontabili in singolo o in multigiocatore. L'obiettivo principale della maggior parte delle nostre partite sarà sempre lo stesso: distruggere il castello dell'avversario ed evitare che lui faccia la stessa cosa con il nostro. Per questo motivo la maggior parte delle partite che affronteremo consisterà nel creare la maggiore quantità di unità militari nel minor tempo possibile. L'avversario infatti non ci permetterà di prendercela comoda e saremo costretti a costruire rapidamente le strutture necessarie all'addestramento di truppe senza avere il tempo di preoccuparci troppo del benessere della popolazione che abita il nostro castello. Sarà necessario costruire delle mura protettive al più presto e provvedere a difenderle piazzando degli arcieri a difesa dei cancelli principali, in quanto la maggior parte degli avversari adotteranno una tattica che prevede di scagliarci contro ondate di nemici sempre più numerose.

    Il comparto tecnico di Stronghold Crusader 2 è in linea con il resto del titolo e non eccelle sotto nessun punto di vista. I modelli di strutture e personaggi possono sembrare buoni se li si osserva da lontano, ma quando proviamo a dare un'occhiata da vicino possiamo notare che non sono curati e risultano appena accettabili. Le animazioni sono abbastanza legnose e le battaglie spesso risultano eccessivamente confusionarie dato che molte unità sembrano sventolare le loro armi a casaccio piuttosto che cercare di colpire i nemici che hanno di fronte. Gli effetti particellari non sono dei migliori, ma l'effetto delle mura di un castello che si sgretolano sotto i costanti colpi dell'artiglieria ci lasciano una buona sensazione. Non si può dire lo stesso per quanto riguarda altri effetti come quelli degli eventi casuali come le tempeste di sabbia o le invasioni di locuste. 

martedì 7 ottobre 2014

Wasteland 2

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:InXile

  • Data uscita:14 dicembre 2013 (Early Access) - 19 Settembre 2014

     

    Si può dire quello che si vuole di piattaforme di fund raising come Kickstarter, e di certo molte delle critiche ad esse rivolte sono giustificate.
    Eppure, astraendo per un attimo il discorso e analizzando la prospettiva dal punto di vista di un appassionato di giochi di ruolo, non si può non essere grati a Kickstarter, che, dopo i fasti del recente Divinity: Original Sin, ci regala un titolo atteso 26 anni, che segna l'atteso ritorno di quel geniaccio folle di Brian Fargo.
    Signore e signori, benvenuti nell'Arizona post apocalittica.

    Seguito diretto di quel Wasteland pubblicato da Interplay su Commodore 64 e Ms-Dos, Wasteland 2 è però anche il figlioccio dei primi due Fallout, cui, paradossalmente, sembra avvicinarsi molto di più del Fallout 3 dato alle stampe dopo il trattamento Bethesda, affine per ambientazione e spirito ma assai differente in quanto a meccaniche e profondità di gioco.
    A scanso di equivoci, chi scrive non appartiene alla schiera di coloro che hanno disprezzato il lavoro di Bethesda (e poi di Obsidian con New Vegas), e quindi non aspettatevi di leggere frasi come “questo sarebbe dovuto essere Fallout 3” o “il tempo ha reso giustizia ai fan della prima ora”: Wasteland 2 merita di essere giudicato per niente di più di quello che è, indipendentemente dall'evoluzione della serie “cugina”.
    E cos'è, allora, questo Wasteland 2?Un gioco di ruolo vecchio stampo, di quelli che spopolavano una quindicina di anni fa, senza indicatori a schermo per gli obiettivi di missione, senza tutorial estesi, senza cutscene a premiare l'avanzamento nella storia principale.
    In compenso, l'ultima fatica del team di Brian Fargo trasuda passione da ogni linea di dialogo, non ha paura di proporre soluzioni di game design ampiamente superate né di mettere il giocatore davanti ad una lunga serie di scelte, dalle conseguenze non sempre chiare ma davvero tangibili nell'arco dell'avventura.
    La complessità e il livello di difficoltà generale si esplicano subito dalle prime schermate: dopo un filmato con attori veri (che mi ha ricordato, chissà perché, l'indimenticabile intro del primo Resident Evil), saremo chiamati a creare i quattro personaggi del nostro party da zero, destreggiandoci tra valori e abilità tra le più disparate, oppure optando per modelli predefiniti.
    Se altrove la fase iniziale è utile solo a livello estetico o per scegliere la propria classe tra tre o quattro, se vorrete avere qualche possibilità di sopravvivere nelle lande desolate di Wasteland 2 dovrete pesare con il bilancino la distribuzione degli skill point, creando una squadra versatile che nel contempo non disdegni le specializzazioni.
    Molto più facile a dirsi che a farsi, a causa della penuria di punti abilità che i ragazzi di inXile ci concedono.
    L'incipit narrativo vedrà la nostra squadra errare per l'entroterra radioattivo dell'Arizona occidentale per guadagnarsi il favore del generale Vargas, veterano di mille battaglie alla guida dei Desert Ranger, ultima, flebile luce nel buio della desolazione postatomica.
    Nonostante qualche colpo di scena inaspettato, non è tanto la complessità dell'intreccio a garantire la qualità del sostrato narrativo del titolo, quanto piuttosto la cura con cui il mondo di gioco è realizzato in ogni più piccolo dettaglio, l'amore infuso nelle migliaia di dialoghi del tutto accessori, le conseguenze delle nostre scelte che torneranno a chiederci il conto prima della fine.
    Come per gli straordinari mondi creati da Bethesda e dalla stessa Interplay con i primi due Fallout, il giocatore si perderà in un labirinto di missioni secondarie, con storyline dedicate, traboccanti di personalità uniche e capaci di coinvolgere e divertire quanto, se non più, della quest principale.
    Il più bel complimento che penso si possa fare a è che, se anche non fossi stato alle prese con la recensione, avrei comunque cercato il dialogo con tutti gli NPC incontrati in una sessantina di ore di gioco( divise tra la versione early access e quella finale), a testimonianza della bontà dello script del gioco.

    Le dinamiche di gioco del titolo sono prese di peso dal filone d'oro dei cosiddetti CRPG (classic role playing games) che hanno fatto del PC la macchina preferita di tutti i giocatori di ruolo negli ultimi trent'anni: visuale dall'alto, completamente ruotabile, sistema di combattimento a turni, apparentemente rigido nello svolgimento ma assai flessibile una volta presa la mano, e un'infinità di dialoghi testuali, doppiati solo in piccolissima parte.
    In un'intervista di qualche mese fa, Brian Fargo ammetteva candidamente che all'interno della sua creatura c'erano più parole che nell'intera saga letteraria di Harry Potter: Wasteland 2 spinge il giocatore a leggere in maniera partecipativa, tramite un sistema di parole chiave che possono essere evidenziate per dare origine ad altri dialoghi, e tende a premiare i giocatori che sceglieranno di approfondire abilità come Carisma o Leadership, cui sarà concesso un ventaglio assai più ampio di possibilità di interazione con i numerosissimi personaggi non giocanti che popolano il mondo di gioco.
    Le ricche fasi di esplorazione confluiscono in maniera naturale nei combattimenti, senza interruzioni o schermate dedicate: alla vista di un nemico su schermo basta sparargli (o entrare nel suo cono visivo) per iniziare lo scontro.
    Il sistema a turni, influenzato da valori come Velocità e Consapevolezza, funziona egregiamente, e guadagna in profondità quello che perde in dinamismo: il giocatore è chiamato a giocare di squadra, posizionando al meglio le proprie pedine sulla scacchiera, sfruttando le coperture e mantenendo un atteggiamento difensivo per la stragrande maggioranza degli scontri.
    Eh sì, perché, tra le caratteristiche old school dell'ultima fatica inXile c'è anche il livello di difficoltà generale, decisamente lontano dai canoni odierni: se al livello di difficoltà minimo i combattimenti sono una passeggiata di salute, già dal secondo livello di difficoltà (di quattro totali) ogni minima distrazione porterà a perdere uno o più membri del proprio party e, inevitabilmente, a ricaricare l'ultimo salvataggio.
    Se durante le primissime ore di gioco questo è dovuto principalmente all'inettitudine dei nostri quattro protagonisti (la cui arma si incepperà con frequenza esagerata e i cui colpi mancheranno il bersaglio il più delle volte), con il prosieguo delle ore Wasteland 2 tiene alta la tensione tramite la scarsità di risorse concesse al giocatore, le frequenti imboscate e la costante superiorità numerica dei nostri avversari.
    Attenersi in maniera così rigida al passato ha anche i suoi lati negativi, però: durante la prima parte dell'avventura ci si troverà spesso a lottare con una telecamera a volte poco collaborativa, che sembra divertirsi a nascondere alla vista del giocatore scrigni e porte di ingresso, e si avrà spesso l'impressione che la difficoltà di gioco sia inasprita artificiosamente, in maniera non sempre lecita.
    Mi riferisco soprattutto alla scarsa affidabilità delle percentuali mostrate prima di portare un colpo in battaglia, al drop rate del tutto casuale e alla presenza di nemici in grado di disarmare il nostro party e ingerire le armi, così da lasciarlo del tutto indifeso anche a scontro ultimato.
    Il gameplay del titolo, volendo trarre le somme, rispetta fino in fondo le promesse fatte in fase di raccolta fondi dal team di sviluppo, offrendo agli appassionati di vecchia data un tuffo nel passato di quelli che difficilmente dimenticheranno, ma, nel contempo, rifiutandosi categoricamente di tendere una mano alle nuove leve (sarebbe bastata anche un'interfaccia meno macchinosa, ad esempio).

    A parte questa immobilità forzosa, è difficile trovare altre falle nel sistema di gioco ideato dai ragazzi di Brian Fargo, ma purtroppo lo stesso non si può dire del versante tecnico.
    Il motore che fa girare Wasteland 2 è antiquato, povero nella modellazione poligonale tanto quanto nel comparto animazioni, e fa sinceramente rimpiangere quanto visto in estate con il già citato Divinity: Original Sin: la sola, parziale attenuante che si può concedere al team di sviluppo è da ricercarsi nella volontà di permettere al numero di fan più ampio possibile di cimentarsi con questa strabiliante avventura, visto che è stato proprio l'amore degli appassionati a permettere la realizzazione di questo progetto.
    Questo però non giustifica la resa finale poco più che sufficiente, che stride con l'accuratezza e la passione con cui sono stati realizzati i personaggi, i dialoghi, le quest secondarie.
    Discorso analogo per il sonoro, che riserva più bassi che alti, con diverse fasi di gioco trascorse nel silenzio più assordante. Meglio il doppiaggio, che, pur risultando marginale rispetto all'enorme quantità di dialoghi, denota una certa cura per la scelta delle voci e sufficiente caratterizzazione anche per le voci dei personaggi meno importanti nell'economia di gioco.
    Applausi a scena aperta invece per la longevità: oltre alle circa quaranta ore necessarie per portare a termine la quest principale, ve ne sono almeno altre venti di sole missioni opzionali, e, vista la grande quantità di decisioni che il gioco ci costringe a prendere, non è assurdo pensare a più playthrough, utili a sviscerare ogni risvolto narrativo.

lunedì 6 ottobre 2014

Civilization Beyond Earth

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gestionale

  • Sviluppatore:Firaxis

  • Data uscita:24 ottobre 2014

     

    Firaxis sta facendo una cosa molto coraggiosa nel gaming odierno: laddove quasi tutti evitano strategia e complessità come la peste, questo studio di sviluppo ha abbracciato senza paura le sue radici, e si è dedicato anima e corpo alla rinascita degli strategici e dei gestionali. Non l’ha fatto senza compromessi, poiché gli ultimi Civilization e X-Com sono stati creati con un occhio di riguardo per i neofiti e hanno in parte semplificato certi elementi, ma è impossibile non applaudire gli sforzi della casa, specie quando si considera la qualità dei prodotti usciti. Civilization, in particolare, ha conquistato parecchi giocatori con la sua formula capace di far passare notti insonni agli appassionati del genere e, vista la base di utenti non indifferente a disposizione della casa, era prevedibile un titolo appartenente allo stesso filone.
    La risposta di Firaxis non si è fatta aspettare, si chiama Beyond Earth, ed è un gioco vicino per molti versi all’ottimo Alpha Centauri, che a una prima occhiata ci era parso Civilization nello spazio. Oggi abbiamo avuto modo di dargli una seconda occhiata e l’impressione… beh, è sempre quella dell’altra volta. Beyond Earth è costruito attorno agli stessi fondamentali del suo predecessore, con la non marginale differenza di girare attorno alla colonizzazione di un mondo alieno. Dopo una prova effettuata su un codice preview di gioco, comunque, siamo qui per tranquillizzarvi nel caso vi fossero sorti dei legittimi dubbi sulla qualità del titolo. Salutare il pianeta Terra ha infatti giovato molto alla serie e l’ha portata a trasformarsi in molti aspetti. Vediamo un po’ cosa abbiamo scoperto una volta atterrati.
    Mettiamo subito in chiaro una cosa: se siete giocatori di Civ vi ritroverete subito con i sistemi di Beyond Earth. Persino il tutorial iniziale rende cristallino il tutto, chiedendo se il giocatore è già pratico della saga o necessita di spiegazioni complete. La serie di azioni è sempre la solita, si parte da una città, si gironzola per il mondo con un esploratore e pian piano ci si espande, raccogliendo risorse, sviluppando tecnologie e rendendo sempre più maestoso e inattaccabile il proprio impero, il tutto cercando di barcamenarsi tra i rapporti diplomatici con gli altri leader e i conflitti che inevitabilmente da questi derivano. 
    Da subito però si notano anche molte differenze. L’assenza di legami con la storia reale ha permesso infatti ai Firaxis di creare fazioni semi-realistiche dalle qualità piuttosto uniche, che vanno a influenzare i bonus iniziali una volta selezionate e partono subito con unità moderne. L’elemento della colonizzazione planetaria inoltre modifica l’approccio alla partita, poiché la propria civiltà è la prima ad arrivare e le altre spedizioni si trovano a rincorrerla una volta giunte sul pianeta. Il cambiamento che balza di più all’occhio, ad ogni modo, è l’albero della tecnologia, ora nettamente ampliato. Avrete a disposizione una grossa rete di scoperte fantascientifiche, da ricerche legate alla robotica a modifiche genetiche, che porteranno la vostra civiltà ad ottenere nuove unità, vantaggi enormi in certi campi, e a risultare spesso completamente diversa dalle altre colonie. La progressione non lineare si unisce anche a rami di abilità specifici che ottengono punti una volta completate determinate missioni, e a uno sviluppo delle unità militari che si basa sull’affinità del proprio popolo. Quest’ultima caratteristica è particolarmente importante: l’affinità è infatti un vero e proprio approccio alla conquista del pianeta, che porta la fazione scelta a scegliere se integrarsi con la cultura aliena, dimostrare la supremazia del popolo terrestre, o a cercare di trasformare la nuova casa in una seconda Terra, identica al pianeta originario.
    Tutte le strade sono viabili, ma vanno chiaramente a influenzare in modo pesante una partita. I rapporti diplomatici con popolazioni che hanno valori diversi dai vostri saranno più ardui e potrebbero portare a conflitti pericolosi o a una forte instabilità territoriale. Il fatto che l’IA sia programmata per crescere in modo estremamente rapido e puntare alla rapida conquista di risorse non fa altro che accentuare la situazione.
    Noi abbiamo trovato la via dell’armonia la più interessante tra le tre, se non altro perché rappresenta una sorta di fusione con le razze aliene del pianeta, in tutto e per tutto una fazione a sé stante che può cambiare le carte in tavola in un attimo. Sterminateli con attacchi costanti, o date via a poderose unità ibride una volta completate le ricerche giuste, ma non ignorateli. Mai. Potreste trovarli ad assediare uno dei vostri centri abitati, un corso degli eventi spiacevole per chi pianifica attentamente le sue mosse turno dopo turno.
    Vorremmo poterci esprimere nel dettaglio anche sui miglioramenti apportati all’IA, un problema noto di Civilization V. Firaxis ha ascoltato i feedback e afferma di aver nettamente perfezionato i comportamenti degli altri popoli, che dovrebbero ora compiere azioni meno illogiche e muoversi con più furbizia. Al momento, tuttavia, è difficile stabilire la reale qualità del lavoro fatto in questo campo. Possiamo solo dirvi di non aver visto azioni folli o voltafaccia insensati durante la nostra esperienza.
    In conclusione, la prova di Beyond Earth è stata positiva, e siamo sinceramente curiosi di sapere fino a che punto i cambiamenti legati alla diversificazione della tecnologia, alle tante nuove unità (tra cui satelliti e altre sorprese che agiscono fuori orbita) e al rapporto con le forme di vita aliene riusciranno a migliorare la solida formula su cui l’opera di Firaxis si basa. 

sabato 4 ottobre 2014

Alien Isolation

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Creative Assembly

  • Data uscita:7 ottobre 2014

     

    Fan di Alien gioite, perché quello che stiamo per raccontarvi ha dell’incredibile: finalmente qualcuno è riuscito a creare un titolo capace di rendere merito e omaggio a una delle saghe fantascientifiche più famose di sempre. SEGA e Creative Assembly hanno messo in piedi un gioco di valore, in grado di rapirci dal primo minuto e che ci ha impressionati sia come fan della serie sia da puri videogiocatori.
    La formula per ottenere una produzione di successo è stata particolarmente semplice a dire il vero, ed è bastato togliere esplosioni e scontri a fuoco sotto testosterone per riportare sui giusti binari un filone di giochi su licenza che non è mai riuscito a convincerci. Basti pensare di recente al disastro fatto sempre da SEGA con Alien Colonial Marines o a uno dei molteplici shooter aventi per antagonista uno tra gli alieni più famosi del cinema, escludendo ovviamente quell’Alien versus Predator che tanto ci aveva esaltato nei primi anni del 2000.
    E così ha inizio una nuova storia…
    Alien Isolation non è un semplice videogioco basato sulla saga di Alien ma vuole inserirsi di prepotenza nella narrazione tra Alien e Aliens Scontro Finale, buttando nel calderone nientemeno che la bella Ripley. Non stiamo parlando però della tostissima Ellen interpretata da Sigourney Weaver come ci si potrebbe aspettare, bensì di sua figlia Amanda, che pur di recuperare le poche informazioni contenute nella scatola nera della Nostromo si imbarcherà in un viaggio pieno di pericoli verso la stazione spaziale Sevastopol.
    Ci troveremo per le mani una protagonista spinta dall’affetto e dalla voglia di scoprire la verità su quanto accaduto, che dovrà però ben presto affrontare da sola problemi all’apparenza insormontabili. Prima che le cose vadano storte infatti non passeranno più di cinque minuti e il giocatore si troverà da subito invischiato in un susseguirsi di eventi devastanti. In questa avventura non saremo completamente soli, anche se la caratterizzazione dei personaggi secondari non riesce a colpire nel segno, e tra qualche banalità e linee di dialogo davvero troppo poco incisive ci si dimenticherà davvero in fretta di tutti loro. Anche Amanda, purtroppo, andrà incontro alla stessa sorte e per il giocatore, senza poterla vedere in volto se non in rarissime occasioni e senza la possibilità di delinearne con precisione il carattere proprio a causa dei dialoghi scontati, diverrà difficilissimo provare dell'attaccamento.
    Tutto questo è amplificato dalla mancanza di espressioni facciali convincenti, da un comparto animazioni che non ci ha convinto, quantomeno per gli umanoidi, e da un doppiaggio non particolarmente esaltante seppur sufficiente. La storia procede su binari piuttosto standard, senza grossi twist o colpi di scena, ma ricalca i racconti spaziali più noti, con portelloni in avaria continua, missioni di soccorso e recupero e chi più ne ha più ne metta, rimanendo comunque dentro canoni ben delineati da altre decine di produzioni simili.
    Se in tutto ciò potrebbe leggersi un nota di disappunto è solo perché il resto ci ha convinto a tal punto da poter mettere in ombra i difetti sopraelencati, trascinandoli in secondo piano e rendendoli addirittura dimenticabili durante la campagna.
    Ma cosa ci ha esaltato così tanto? Cosa è stato in grado di farci valutare il gioco così favorevolmente? La risposta è semplice: Creative Assembly ha lavorato ad Alien Isolation esattamente come un fan avrebbe fatto. Tutti i riferimenti al primo film, l’atmosfera perfetta della stazione spaziale, i tunnel stretti e claustrofobici e in generale la sensazione di trovarsi davvero in quel 2055 disegnato e ideato da Ridley Scott sono elementi di assoluto valore nella produzione. Una cura sbalorditiva che, persino nei colori e nei giochi di luce, riesce a far respirare le medesime sensazioni della pellicola, in una situazione più unica che rara a dire il vero. Gran merito di tutto questo viene dal sistema di illuminazione sublime che il motore di gioco mette in mostra, facendo spaventare il giocatore con giochi di luce incredibili, con lampi che filtrano dalle grate proiettando sul muro ombre impressionanti capaci di modellarsi nella mente del giocatore in paura e tensione.
    Non dimentichiamoci infatti che Alien Isolation è prima di tutto un survival horror con gli attributi, punitivo e particolarmente difficile se preso sottogamba. Le meccaniche di gioco in realtà sono estremamente basilari, con Amanda che potrà correre per i corridoi o muoversi a carponi sperando di passare inosservata. Una preda in costante bisogno di riparo e sicurezza, quella sicurezza data a volte da un semplice armadietto chiuso o dal nascondersi sotto un lettino, esattamente come quando da bambini si cercava riparo dalle paure più primordiali. In Alien Isolation queste paure sono ben identificabili e la realizzazione dell’Alien non lascia spazio a dubbi: quello che ci sta dando la caccia è un essere spietato, senza scrupoli, che ci fiuta, sente l’odore della nostra paura, è intelligente e anche terribilmente veloce. Farsi scoprire vuol dire morire e questo nel gioco porta a due elementi contraddistinti: il primo ovviamente è la scarica di adrenalina che ci arriverà non appena sentiremo il fiato della bestia sul collo e la resa del cervello conseguente all’idea di aver fallito la missione; il secondo, purtroppo, deriva dalla realizzazione istantanea di dover ricominciare tutto da un checkpoint posto in chissà quale altra parte della stazione. Il titolo utilizza un sistema di savegame vecchio stampo, con postazioni fisse nelle mappe dove registrare i nostri progressi, e non sempre ci sarà concesso di avere salvataggi nel breve periodo di tempo. Diciamo purtroppo perché questo si rivela un problema in termini di esplorazione a lungo andare. Durante la nostra run, il primo impatto si è sempre rivelato il migliore, e questo nonostante girassimo alla rinfusa e alla cieca cercando questo o quell’oggetto per far partire un evento o semplicemente frugassimo cassetti e ripostigli per ottenere importantissimi elementi per il crafting. Morire e dover rifare un pezzo strappa completamente la voglia di riesplorare l’intera zona, visto appunto l’elevata tensione che permea il titolo, spingendo invece il giocatore a “correre” verso gli obiettivi chiave così da poter proseguire nella storia. L’alta difficoltà del gioco fa sì che questa situazione si ripeta più volte nell’arco della stessa sessione, arrivando a frustrare il giocatore più che a tenerlo sulle spine. Alien Isolation non è inoltre un gioco di terrore nel vero senso del termine, gli spaventi presenti sono pochi e abbastanza telefonati, ma è lo stato d’animo che inietta durante le fasi di gioco più tese a renderlo davvero unico.
    Oltre all’alieno, che rappresenta la minaccia principale ed è indispensabile per dare la sensazione di essere sempre braccati, incontreremo anche l’equipaggio ostile della stazione, terrorizzato e spietato forse in maniera sin troppo eccessiva, e gli androidi, anch’essi ovviamente ostili. Sfuggire a questi nemici non è difficile come per l’alieno e anzi gli androidi risultano facilmente raggirabili vista la loro lentezza, tale per cui correre intorno a un tavolo sarà più che sufficiente per mandarli in tilt. Gli umani invece sono solitamente armati e con un paio di colpi possono metterci ko, motivo per cui usare una maggior strategia è davvero fondamentale.
    Possiamo alternativamente decidere di usare la forza bruta piuttosto che uno stile di gioco stealth, sfruttando un revolver o una sorta di crick per il corpo a corpo, o costruire addirittura bombe e molotov con gli oggetti sparsi per le stanze. L’uso delle armi resta comunque altamente sconsigliato, il sistema di shooting non tiene conto delle hitbox dei nemici (sparate in testa a un umano e questo continuerà a sputarvi piombo contro) rischiando così di farvi sprecare le già poche munizioni, e inoltre il rumore dei colpi potrebbe attirare a voi l’alieno facendo più danni che altro. Sfruttate invece il frastuono creato dagli umani a vostro favore per utilizzare come piccolo cucciolo da compagnia l’alien e fargli liberare interi corridoi, mentre voi vi godete lo spettacolo da qualche angolo buio.
    Per proseguire in Alien Isolation intelligenza e nervi saldi saranno indispensabili, anche se il duro e crudo gameplay viene attenuato da un paio di trovate interessanti come una mappa tattica che vi indicherà sempre il punto dove dirigervi e un comodissimo rilevatore di movimento, purtroppo non particolarmente accurato o meglio, non come avremmo voluto, visto che vi mostrerà l’alieno e gli altri pericoli ma si dimenticherà di porte e navette, facendo perdere un po’ di atmosfera. Si inseriscono nell'amalgama del gioco alcuni mini giochi per aprire i portelloni sigillati, i soliti collezionabili e alcuni terminali di accesso dove approfondire trama e storia di background.Oltre alla campagna principale, la cui longevità è decisamente variabile e si attesta tra le 12 e le 18 ore a seconda del vostro approccio, il menù principale prova a proporre anche una modalità secondaria a punteggio denominata survival nella quale dovrete semplicemente tentare di arrivare il prima possibile al termine dello stage completando più obiettivi principali nel minor tempo possibile, per poi paragonare i vostri punteggi a quelli dei vostri amici.
    Abbiamo già detto che l’atmosfera, il design e la realizzazione delle location e dell’alieno sono fenomenali, vicinissime alla perfezione, e se dovessimo eleggere un ulteriore punto saldo nella produzione indubbiamente citeremmo il sonoro. Con i bassi al massimo, le luci spente e un impianto 5.1 il gioco vi farà tremare le budella dalla tensione. I passi del’alieno rimbomberanno in ogni dove mentre si sposta rapidamente tra le tubature e corre sopra e sotto di voi senza che possiate vederlo. E proprio questo che ci ha appassionato del gioco, al di là delle lacune di programmazione, ed è questo che vogliamo premiare: la capacità di regalare emozioni, elemento sempre più raro nelle produzioni moderne.