Ethero

mercoledì 23 novembre 2016

Planet Coaster

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Frontier Developments

  • Data uscita:17 novembre 2016

     

     

    Dopo la calma arriva sempre la tempesta e se abbiamo dovuto aspettare più di dieci anni per avere il seguito di RollerCoaster Tycoon 3, ecco che nel giro di un paio di giorni escono i due successori più o meno legittimi pronti a contendersi l'eredità della più nota serie fra i gestionali a tema parco giochi. RollerCoaster Tycoon World, sotto l'ala protettrice della poco fortunata Atari nuova incarnazione, non ha di certo impressionato durante l'Early Access, mettendo in luce la poca preparazione dei ragazzi di Nvizzio Creations in questo ambito, mentre David Braben ed il team di Frontier Development hanno preferito mostrare il loro Planet Coaster con più parsimonia, ma già durante le brevi fasi di test era piuttosto chiaro che l'esperienza maturata dalla software house nel genere stava contribuendo a plasmare un gestionale degno del capostipite Theme Park, risalente ormai al 1994. L'attesa è ora finita, i cancelli sono finalmente aperti, i biglietti vengono strappati e noi possiamo scoprire se le giostre di Planet Coaster sono tirate a lucido oppure se scricchiolano sotto spessi strati di ruggine.
     La versione recapitataci dal publisher per effettuare la recensione non è quella su ciò voi potete mettere le vostre mani dal 17 novembre, ma si presentava incompleta in alcune piccole parti, come la mancanza dei video tutorial, utili per muovere i primi passi nel proprio parco giochi virtuale. Nonostante l'assenza di questo strumento, già dopo pochi minuti siamo stati in grado di districarci in tutti i compiti nei quali Planet Coaster richiede attenzioni, un po' perché il genere riprende molti stilemi dei city builder e se si ha dimestichezza con titoli come Cities: Skyline tutto appare più lineare, ma soprattutto perché le interfacce, i menù e i pannelli sono stati implementati da Frontier Development in modo tale da rendere la vita al giocatore la più semplice possibile. Non è stato così affatto complicato iniziare a pianificare i percorsi stendendo le strade sullo scenario, creare piazze, ponti e scale e tutto questo perché, click dopo click, le vie si uniscono in modo armonioso e raramente creano quei fastidiosi effetti di zig zag che rendono tanto sgraziata la propria creatura. Certo, sulle prime è richiesta un po' di manualità, soprattutto con la gestione della telecamera non sempre amichevole, ma sono bastati pochi minuti di pratica per evitare di creare vicoli ciechi, ingorghi o percorsi che terminassero nel nulla. Dopo aver predisposto i primi metri di parco al di là l'ingresso, per attirare i primi visitatori ed iniziare ad accumulare risorse, non abbiamo fatto altro che posizionare le prime attrattive. Queste ultime si suddividono in varie tipologie, come le montagne russe - d'acciaio, in legno o miste - i percorsi più lunghi come le cascate con i tronchi e tutta quella sfilza di giostre che vanno dalla più tranquilla e rilassata ruota panoramica fino ad arrivare alle strutture più adrenaliniche e anche da voltastomaco. Come suggerisce il nome stesso del gioco, il ruolo di attore protagonista spetta alle montagne russe e, se inizialmente ci si affida a quelle già contenute nel gioco per attirare i visitatori più coraggiosi, non passa molto tempo prima che ci si ritrovi a progettare rotaia dopo rotaia le proprie discese e giri della morte. L'editor creato da Frontier Development si è rivelato tanto potente quanto versatile, in grado di modificare in ogni suo aspetto il percorso, sia che si tratti di puri elementi estetici oppure delle parti meccaniche, come i motori per far accelerare i vagoni lungo le salite o i freni da porre alla fine della discesa per evitare di fare una bella frittata di passeggeri. Quando vi diciamo che si può fare di tutto, intendiamo letteralmente di tutto, incluso perforare una montagna o il terreno preliminarmente svuotato grazie all’editor della mappa e riempire poi questi fori con un sistema di luci tale da creare un trip psichedelico. Mouse alla mano, il sistema di click & drag implementato per aumentare le pendenze, le discese, le curve e le torsioni si è rivelato non sempre facile da maneggiare e non sono stati rari i casi in cui abbiamo dovuto fare e disfare più volte segmenti del percorso perché la situazione si era fatto troppo contorta. In questi momenti l'autocompletamento è stato il nostro più prezioso alleato e se la funzione gestita dall'IA di certo non produce spettacolari e complessi percorsi, se non altro riesce a risolvere le situazioni che stavano sfuggendo di mano, dove i trenini andavano sempre a schiantarsi al suolo oppure si bloccavano a testa in giù. Come accadeva in RollerCoaster Tycoon 3 ritorna anche in Planet Coaster la possibilità di testare la propria creazione e così capire se si è esagerato con l'altezza e se le leggi della fisica impediscono ai seggiolini di compiere per tre volte di seguito un giro della morte per poi precipitare con una inclinazione del 90%. Nella modalità di gioco sandbox - ovvero quella dove si ha il budget infinito - ci si può quindi sbizzarrire come meglio si crede e cercare di assemblare la montagna russa più esagerata che si sia mai vista, per poi salvare il modello e condividerlo sullo Steam Workshop: Planet Coaster supporta infatti fin dal lancio le mod interne dello store digitale di Valve, nel quale nei giorni post lancio si accumuleranno le creazioni della community, rendendo così le scelte inerenti alle attrattive e agli altri edifici praticamente infinite. Questo discorso non vale solo per le montagne russe, ma comprende anche quelle strutture più ornamentali che, partendo da quelle a tema piratesco, spaziale o medievale date di default, possono essere stravolte e ricreate come meglio piace. Se però credete di ribaltare tutto quanto o di ideare nuove attrazioni mozzafiato in pochi secondi, vi sbagliate di grosso: Planet Coaster è un gioco che richiede una buona dose di pazienza ed occorrono anche svariati minuti prima di riuscire a ricreare delle giostre o un castello che avete visto in qualche filmato ad opera del team di sviluppo.
    Planet Coaster non è solo editor di montagne russe, ma è gestione di un parco giochi sempre più grande, un parco che - se si è capaci e si ha la pazienza di lavorare di cesello - non è solo un sepolcro imbiancato, tanto bello da vedere quanto privo di anima, ma all'opposto è una creatura che vive in ogni singolo visitatore del parco, con le sue esigenze, i suoi desideri, ovviamente il suo portafoglio e anche il contenuto del suo stomaco rigettato fuori da una giostra. In Planet Coaster l'estetica si fonde con la funzionalità e così un parco giochi non deve solo garantire un piacevole colpo d'occhio, ma deve essere in grado di soddisfare ogni singolo fabbisogno di famiglie, adulti e ragazzi. Queste tre sono le classe in cui si suddividono i visitatori, ognuna delle quali ha le sue proprie esigenze e giostre preferite: tutte le informazioni di carattere manageriale sono racchiuse all'interno di un comodo ed intuitivo pannello dove, per quel che riguarda appunto i visitatori, vengono esplicati i loro pensieri: qual è la loro attrattiva preferita, dove non sopportano mettersi in coda o, ancora, se non sanno dove espellere i loro bisogni corporali o mangiare un hamburger. Saper leggere e interpretare le sensazioni è dunque necessario per non perdere pubblico e incassi e così, per assecondare i loro desideri, i bagni, i ristoranti e i negozi devono crescere di pari passo con le giostre. La componente gestionale non si riduce certamente ai soli visitatori, ma nei vari menù trovano spazio anche i conti economici, lo sviluppo e la ricerca delle nuove attrazioni, le eventuali campagne di marketing, i dipendenti del parco giochi e ovviamente i resoconti e gli status di montagne russe, giostre e di tutti gli altri servizi. Come detto in apertura - nonostante l’assenza della lingua italiana - le statistiche, le voci e tutti i contenuti delle interfacce sono di facile lettura e l’ambientazione fra i pannelli avviene immediatamente. Complessivamente parlando, Planet Coaster non brilla purtroppo dal punto di vista gestionale e, dopo i primi momenti passati a capire dove leggere e come interpretare i dati, si finisce con il procedere in modo mnemonico fra le varie azioni: la gente si lamenta della sporcizia o del vomito? Assumete un nuovo spazzino. Sono tutti assetati dopo aver ingurgitato un hamburger XL? Piazzate vicino alla panineria un rivenditore di milkshake. Anche il costo dei biglietti è un’altra variabile non da poco conto euna giusta via di mezzo tra tempi d’attesa e prezzi non esorbitanti è la chiave per ottenere il massimo da tutte le strutture. Non dimenticate poi di avere sempre attiva almeno una voce spesa per lo studio di una nuova attrattiva e di consultare puntualmente il pannello riassuntivo delle entrate e delle uscite derivate dai servizi. Proprio su quest'ultimo punto sorgono però i principali dubbi e fa un po’ specie parlarne in queste sede dato che si tratta della stessa problematica con cui avevamo a che fare oltre dieci anni fa con RollerCoaster Tycoon 3. Il parco giochi cresce, avete appena inaugurato la montagna russa più paurosa di sempre, tutto va bene e le casse continuano a riempirsi. Poi, tutto d’un tratto, il giocattolino si rompe, cominciano a guastarsi le prime attrazioni, seguite poi a catena da tutte le altre giostre, che inizieranno a scricchiolare in modo ciclico e continuativo, facendo così lievitare i costi di manutenzione. Come se non bastasse, senza un vero e proprio motivo, il carosello o la giostra con le tazze che portavano lauti introiti iniziano ad essere snobbati dal pubblico, diventano solo dei buchi di bilancio ed il tentativo di rilanciarle sfruttando qualche intrattenitore o rendendo più appealing la coda servono a ben poco. Il bello di Cities: Skyline e la sua sfida non erano dovute ad improvvise crisi energetiche o a crolli da acquedotti, ma la complessità cresceva mano a mano che l’insediamento si ingrandiva, la viabilità doveva essere modificata e reinventata, subentravano nuove variabili come la criminalità, il tasso d’inquinamento o, ancora, la specializzazione dei distretti, ed è proprio sul mancato cambio di passo tra il piccolo parco giochi e la ricostruzione di un ipotetico Walt Disney World Resort virtuale che scivola Planet Coaster, dove una dimensione del parco sempre più imponente non si accompagna ad una gestione più articolata e stratificata delle sue singole parti. Il risultato è quindi questa difficoltà creata in modo artificioso, che può essere tranquillamente tamponata ma mai del tutto arginata, che viene risolta più che altro per tentativi, ma che soprattutto rischia di offuscare la necessaria pianificazione richiesta da Planet Coaster, un gioco che obbliga il giocatore a studiare la mappa, a capire se valga la pena o meno piazzare una vertiginoso pilone per la caduta libera alto 30 metri vicino alla rilassante ruota panoramica, senza che si tenga a mente la profonda differenza tra i plausibili usufruitori dell’uno e dell’altra. Con questo non vogliamo dire che giunti ad sul più bello tutto caschi come un castello fatto di carte, perché complessivamente, nonostante questa poco fortunata trovata, il livello di difficoltà in Planet Coaster rasenta lo zero.
    Cosa unisce le navicelle ed i combattimenti spaziali ad un gestionale di parchi giochi? La risposta è il motore di gioco perché, per chi non lo sapesse, Frontier Development è anche il team di sviluppo alle spalle di Elite Dangerous, titolo mosso dal Cobra Engine, la cui ultima incarnazione è stata utilizzata anche per Planet Coaster. Il gioco soffre solo per qualche problema di aliasing, ma tecnicamente parlando il risultato è davvero ottimo, soprattutto per la cura verso i dettagli riposta dagli sviluppatori. Se ingrandendo al massimo lo zoom si viene colpiti dalla grandezza delle giostra, dalla varietà degli scenari ricreati grazie all’editor, dalla ricca vegetazione, dagli effetti speciali come fuochi d'artificio o giochi d’acqua, dallo spettacolo di luci che appare non appena cala il buio, è quando si scende a livello del terreno che si scopre tutta la bellezza visiva di Planet Coaster. È vero che ogni tanto i visitatori seguono percorsi senza una vera logica o che si formano ammassi di persone dotati di una propria gravità capace di inglobare altri uomini, donne o bambini, ma questi difetti, soprattutto quando il parco ospita centinaia di migliaia di visitatori, ognuno con un suo comportamento, piegati in due se con problemi di stomaco o felici e sorridenti se entusiasti dell’ultimo giro sull’ottovolante, vengono dimenticati in tutta fretta. Infine, il rischio di un eccessivo riciclo dei modelli è effettivamente confermato, ma quando contemporaneamente si trova all’interno del parco una marea di pubblico, questo è un difetto anche perdonabile. Il tocco di classe, come già in RollerCoaster Tycoon 3, è la visuale in prima persona che si attiva quando si sale sulle montagne russe o sulle altre strutture, capace di trasmettere la stessa sensazione di velocità o di giramento di capo data dai loro corrispettivi fisici. Sotto la supervisione di John Laws, anche la direzione artistica convince pienamente e lo stile cartoon accompagnato da tinte leggere si sposa alla perfezione con un gioco dai toni scanzonati. La colonna sonora composta da Jim Guthrie si fonde anche essa perfettamente all’interno di Planet Coaster, ma ancora una volta, solo quando si vive da vicino il parco divertimenti si colgono i particolari che impreziosiscono il lavoro svolto da Frontier Development: ogni giostra ha infatti svariati temi musicali a sua disposizione e il volume può essere regolato a piacimento, ma quello che più colpisce è l’operazione di sound design necessaria per ricreare virtualmente le urla delle persone, l’effetto di accelerazione, decelerazione e della forza di gravità e come questi elementi si riflettono sui passeggeri a bordo delle giostre. Inoltre, per rendere più realistici i rumori delle rotaie o degli schizzi d’acqua che si sollevano alle fine della cascata, i ragazzi di Frontier Development hanno campionato i suoni emessi dalle strutture reali ed il risultato sono effetti audio credibili ed immersivi. Infine, nel caso in cui vi chiediate che lingua parlino i visitatori di Planet Coaster, quella che sentite quando vi avvicinate ad un chiosco di panini o ad una coda è un idioma creato ad hoc, chiamato Planco e che non si riduce ad essere una serie di sillabe sgraziate, ma è all’opposto un insieme di suoni buffi ma armoniosi.

Eagle Flight


  • Piattaforme:PC, PS4

  • Distributore:Ubisoft

  • Data uscita:18 ottobre 2016 (Oculus) - 8 novembre 2016 (PSVR) - 20 dicembre 2016 (HTC Vive)

     

     

    Nonostante Cardboard, GearVR e poi Oculus Rift e HTC Vive fossero presenti sul mercato da qualche tempo, le maggiori software house sono rimaste riluttanti all'idea di lanciarsi con grandi brand all'interno della realtà virtuale. E' stato necessario l'ingresso in prima persona di uno dei produttori di console per smuovere un po' le acque. Call of Duty, Battlefront, Final Fantasy, Batman sono giusto alcuni dei grandi nomi che hanno dato una possibilità al PlayStation VR tramite la formula delle esperienze. C'è anche chi ormai avendo poco da perdere con un franchise ventennale da raddrizzare, decide di buttarsi a capofitto nel VR strutturando il nuovo capitolo della serie completamente con questa tecnologia come Capcom con Resident Evil. Per non parlare di coloro che hanno votato completamente l'intera software house al mondo VR e tra questi annoveriamo la fenice Crytek.Nel mezzo c'è Ubisoft, che ha scelto un approccio più concreto di quello del primo gruppo, ma meno rischioso del secondo, decidendo che la strada giusta da percorrere fosse quella di pubblicare giochi completi, ma dal budget ridotto.
    In attesa di metterci tutti al ponte di comando della Enterprise, Ubisoft ci dà la possibilità di imparare a volare con Eagle Flight. Infatti nel gioco interpreteremo una giovane aquila che, una volta uscita dal guscio, imparerà a librarsi in aria, fino a trovare l'anima gemella e dare vita a un nuovo nido da difendere. Questa trama farà da sottile linea di collegamento tra le 23 sfide che ci verranno mano a mano proposte, suddivise in sottoinsiemi sbloccabili solamente al raggiungimento di determinati quantitativi di stelle conseguite per l'appunto nelle sfide. Passare per anelli alla più alta velocità, catturare al volo i pesci che saltano fuori dall'acqua, abbattere uno stormo rivale di avvoltoi, pipistrelli, falchi o corvi (dove ognuno ha il proprio stile di volo) saranno le prove da "trestellare" per poter andare avanti nella breve storia che Ubisoft ha sviluppato per questo titolo. Una volta apprese tutte le abilità sbloccabili e sconfitto il boss finale, potrete tranquillamente godervi Parigi in volo libero (magari per raccogliere i copiosi collezionabili disseminati sulla mappa) oppure buttarvi online.


    Eagle Flight dà la possibilità agli avventisti della realtà virtuale di cimentarsi in un cattura la bandiera tre contro tre, dove la bandiera è una preda e il punto in cui riportarla è il proprio nido. Come nelle modalità per giocatore singolo, per muoversi basterà spostare la visuale muovendo la testa, in modo tale da cambiare l'orientamento al volo. L'unico dettaglio da tenere a mente è che per girare è necessario inclinare la testa e non ruotarla, perchè altrimenti finiremmo a girare sulla sedia avvolgendoci sul cavo del visore. Una volta impadroniti della migliore tecnica di volo, dell'urlo supersonico per attaccare i nemici e dello scudo per difenderci, saremo pronti a delle vere e proprie dogfight, con tanto di allarme se ci ritroveremo nel mirino avversario. Non aspettatevi acrobazie pazze alla Ace Combat, qui ci troviamo in piena città, quindi più che eludere il proprio avversario in aria aperta, è consigliabile buttarsi in cunicoli, finestra lasciate aperte e strettorie. 
    La Parigi che avremo di fronte è una città non più di uomini, ma rivendicata dalla natura, ricolma di vegetazione e animali selvatici, che non mancheranno di salutarci al passaggio ravvicinato, e bisognerà pensare velocemente fuori dagli schemi per cercare il passaggio migliore, nel minor tempo possibile

Ashes Of The Singularity:Escalation

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:StarDock

     

     

    Inutile girarci attorno, Ashes of the Singularity fu più di una mezza delusione: quando approdò su Steam lo scorso fine marzo ci si accorse che le molte aspettative sullo strategico futuristico sviluppato da Oxide Games e Stardock Entertainment erano state disilluse e che il titolo non era riuscito a compiere il passo definitivo da benchmark grafico a gioco completo a 360 gradi. Nonostante la freddezza dei fan, il progetto non è mai stato abbandonato ed è anzi il supporto del team di sviluppo è sempre stato costante e così, a distanza di circa sette mesi, arriva sul mercato una versione potenziata di Ashes of the Singularity, chiamata Ashes of the Singularity: Escalation, che per comodità di lettura chiameremo solo Escalation nel prosieguo dell’articolo.
    Prima di iniziare con la disamina delle novità, delle migliorie e delle falle non tappate, facciamo chiarezza sulla commercializzazione di questa espansione standalone, nata non tanto come continuazione del primo capitolo ma come titolo che va a sostituirsi in tutto e per tutto ad Ashes of the Singularity. Proprio per questo motivo, se possedete il titolo originale e avete voglia di cimentarvi con le immense battaglie strategiche di Escalation, il prezzo di quest’ultimo sarà per voi scontato del 50%, venendo così a costare 19,99€, al posto di 39,99€. La mossa ci sembra più che corretta e se non altro evidenzia l’onestà intellettuale di Stardock Entertainment, rea consapevole del proprio precedente passo falso. Ma perché continuiamo a ribadire la debolezza di Ashes of the Singularity? In primis, per chi non ne fosse al corrente, la campagna del titolo in questione, per ammissione dello stesso Brad Wardell - CEO di Stardock Entertainment - venne inserita solo a fine a sviluppo, come uno di quei compiti che ti ritrovi costretto a fare, ma che fai senza molto impegno e controvoglia. Il risultato fu una serie di missioni piatte, un livello di difficoltà totalmente sballato ed una narrativa priva di spunti: in un futuro lontano, la razza umana - chiamata post-human Coalition - è riuscita ad oltrepassare i suoi limiti fisici e a creare delle connessioni neurali con alcune strutture presenti sui pianeti. Senza una precisa motivazione, queste connessioni vengono attaccate dalla fazione nemica, i Substrate e da lì inizia la classica lotta per la salvezza, ma di momenti epici à la StarCraft nemmeno la lontana ombra. Escalation cerca dunque di ridare alla modalità singleplayer la dignità che si merita e lo fa mettendo accanto ad Imminent Crisis - la prima campagna che ritorna anche in questa espansione - due nuove esperienze di gioco, chiamate Memories e per l’appunto Escalation, le quali riprendono le vicende della post-human Coalition e di Haleena, l’IA benevola che, schierata al fianco degli umani, deve affrontare assieme a questi ultimi delle nuove minacce ancora più pericolose nelle oltre 14 missioni che compongono complessivamente Memories ed Escalation. Rispetto al passato, i miglioramenti sono fin da subito evidenti, emerge una maggiore cura, ravvisabile ad esempio nei ritratti dei personaggi - finalmente con un volto - e nel doppiaggio, non più robotico e sempre monotono: questi piccoli accorgimenti riescono a dare alle vicende narrate una certa importanza e dignità, ma nonostante questo siamo ancora lontani anche da quanto recentemente proposto da Homeworld: Desert of Kharak. Anche le missioni in sé hanno fatto un passo in avanti e presentano una serie di obiettivi più strutturati che non si riducono più esclusivamente alla distruzione della base nemica o alla strenua difesa delle proprie strutture, ma evolvono e cambiano mentre si avanza nella campagna, con nuove meccaniche ed unità che vengono mano a mano introdotte. Non tutto però è andato per il verso giusto e anche nelle nuove campagne proposte da Escalation pesa come un macigno lo sbilanciamento del livello di difficoltà, con missioni che scorrono via facilmente e che vengono completate in una manciata di minuti, mentre altre - anche a livello di difficoltà facile o molto facile - si rivelano degli ostacoli praticamente impossibili da superare, con una IA che riesce a sfornare decine e centinaia di unità, in grado di soverchiare le forze a vostra disposizione.
    Escalation espande però le armi utili per difendersi da quello che prima rappresentava inevitabilmente una sconfitta, grazie ad una serie di nuove unità e di strutture difensive che, non solo ampliano in senso quantitativo il numero di navi e carri a disposizione, ma danno molte più chiavi di lettura strategiche ai duelli. Precedentemente, anche le tattiche a testuggine ultra-conservative non davano molti frutti e l'installazione di innumerevoli torrette difensive poteva rivelarsi una mossa vana, dato che queste ultime venivano spazzate via in un batter d’occhio. Ora invece, grazie ai nuovi upgrade, questi sistemi di difesa risultano molto più efficaci e permettono dunque di impiegare tutta la forza d’urto per una manovra offensiva, evitando così di dover presidiare la base con svariate truppe. Fra le nuove unità a disposizione della post-human Coalition dei Substrate spiccano inoltre gli inediti mezzi volanti pesanti, in grado di riversare un pesante fuoco sulle strutture nemiche ma, per via delle già citate nuove barriere difensive, anche questi bestioni non sbilanciano affatto il gameplay e possono essere contrastati efficacemente. A nostro parere, come importanza, le nuove navi e aerei d’attacco vengono però messi in secondo piano da altre tipologie di unità presenti in Escalation. I sabotatori e gli harvester aggiungono infatti un inedito lato stealth al gameplay: i primi sono deboli e poco resistenti, ma possono essere evocati dietro le linee nemiche e approfittare delle scarse difese per infliggere pesanti danni, mentre i secondi si piazzano al di sopra dei nodi energetici sparsi per la mappa e, se non intercettati, sono capaci di rubare una cospicua quantità di risorse. Parlando proprio di queste ultime, ed in particolar modo del Quanta, questa risorsa assume ora maggiore importanza e non solo garantisce svariati potenziamenti per gli attacchi, per le difese o per i punti vita delle unità, ma viene impiegata per attivare alcune abilità speciali rivelatesi molto utili nei momenti più concitati, come l’arruolamento istantaneo dei già introdotti sabotatori, la costruzione di torrette difensive e gli attacchi orbitali. Infine, Escalation porta in dote un evidente restyling per alcune unità, come i Brute, che prima altro non erano che degli anonimi cubi sospesi a mezz'aria: nonostante i miglioramenti ci siano stati, il design delle frigate, degli incrociatori e degli altri veicoli rimane purtroppo ancora abbastanza piatto e privo di personalità e nel complesso le somiglianze fra i vari mezzi rimangono ancora troppo evidenti.
    Pur nei suoi molti difetti, Ashes of the Singularity aveva il merito di mostrare battaglie dove, allo stesso tempo, venivano coinvolte centinaia se non migliaia di unità su una mappa dalla vastissima estensione, la quale si riempiva di raggi, fuochi ed esplosioni, creando così un gioco di luci veramente spettacolare. Escalation riesce a migliorare questo aspetto e a dare ancora di più l’idea di essere alla guida di una vasto esercito sci-fi: il merito va principalmente al nuovo zoom strategico, con una telecamera che permette un’ampia visione sul terreno di gioco e che ricorda da molto vicino quanto presentato dagli apprezzatissimi Supreme Commander e Sin of the Solar Empire. Le implicazioni tattiche sono molteplici e l’organizzazione di un attacco su vasta scala risulta ora molto più semplice, in teoria. Le problematiche di pathifinding che affliggevano l’IA in Ashes of the Singularity ricompaiono senza sensibili differenze anche in Escalation e tra frigate che si perdono fra i canyon delle mappe, incrociatori che subiscono il fuoco nemico senza battere ciglio ed aerei che vengono abbattuti solo perché nelle loro ricognizioni - che avvengono senza che nessuno le richieda - finiscono nel raggio dei sistemi difensivi avversari, la frustrazione sale velocemente. L’idea di guidare un vasto dispiegamento di forze, dove diventa indispensabile l’utilizzo delle macro, in cui si devono mandare in prima linea i mezzi di esplorazione, di disturbo e sacrificabili, seguiti poi dai mastodontici dreadnought, tutta la tattica impiegata per imbastire un piano d’attacco degno di questo nome va rapidamente in rovina quando le unità iniziano seguire percorsi mai indicati o a non rispondere correttamente alle indicazioni. 
    Graficamente parlando, Escalation non si può invece discutere, l’implementazione delle DX12 riesce come nel passato a garantire un vero e proprio spettacolo per gli occhi, il motore di gioco - il Nitrous Engine - gestisce un'infinità di unità allo stesso tempo, non mostrando quasi mai il fianco a cali di frame rate o a rallentamenti. Infine, nel caso in cui non abbiate apprezzato i ritmi lenti e compassati - fidatevi che alcune truppe sono davvero lente - di Ashes of the Singularity, non troverete in Escalation buone notizie per voi e se vi aspettate di trovarvi davanti un nuovo StarCraft, beh, avete sbagliato di grosso.

lunedì 14 novembre 2016

Watch Dogs 2

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:15 novembre 2016

     

     

    Sono passati tre lunghi anni da quando Ubisoft ha portato nelle mani dei videogiocatori una nuova IP carica di hype e grandi attese, con protagonista Aiden Pearce. Quest’anno nel periodo pre-natalizio troviamo in uscita il suo seguito, un capitolo molto diverso dal primo, che riprende e rianalizza tutta la filosofia che si cela dietro a un possibile gruppo di “criminali informatici” in lotta contro una società corrotta e marcia. Mancando quest’anno Assassin’s Creed, è fuori discussione quanto questo peso massimo di casa Ubisoft non possa assolutamente fare passi falsi. Lo abbiamo dunque giocato, lo abbiamo finito e spolpato per decine di ore, e finalmente possiamo portarvi il nostro giudizio.
    Che abbiate apprezzato il primo capitolo o, al contrario, siate stati tra i più critici, fareste bene ad approcciarvi a Watch Dogs 2 senza troppi pregiudizi, poiché si distanzia molto e sotto vari aspetti dal suo predecessore. La prima e ovvia differenza sta nel protagonista: Aiden Pearce ha passato il testimone – o il controller, in questo caso – a Marcus Holloway e questo è un aspetto molto più significativo di quanto possa sembrare in un primo momento. Con Aiden perdiamo anche quella figura da lupo solitario, il vigilante che da solo è riuscito a mettere in ginocchio un'intera città e i poteri forti che la comandavano, ma anche l'aspetto più drammatico di dover lottare contro tutto e contro tutti per salvare la propria famiglia, senza amicizie ma solo occasionali collaborazioni. Marcus è tutto un altro discorso, incarna alla perfezione il giovane spensierato che si diverte a creare casini fini a sé stessi, e che ha trovato nel DedSec il suo ambiente di compagni ideali. Con loro cercherà di portare la verità tra le persone, esattamente come farebbe un gruppo di attivisti virtuali secondo cui, machiavellicamente, il fine giustifica i mezzi. Ci ritroviamo davanti a un gruppetto di ragazzi scanzonati, che rispecchiano in pieno pregi e difetti di una fascia d'eta più giovane: impulsività, leggerezza, umorismo e un gergo lessicale tipico dell’attuale cultura teen, che comunque riuscirà a strappare qualche risata nel corso della storia. A proposito, l'adattamento italiano è molto creativo ed appropriato, ma non brilla particolarmente in sede di doppiaggio, di per sé nella media.
    Ubisoft ha cercato quindi di coinvolgere i giocatori direttamente con una personalizzazione forte ma credibile del cast, piuttosto che affidarsi al drama degli eventi da narrare e vivere. Riusciamo già ad immaginare quanti possano divertirsi a vedere su schermo una versione senza limiti di sé stessi, o anche a cogliere le tantissime citazioni dedicate al popolo nerd: Supercar, Star Wars, Alien, Predator, meme come se piovessero e tanto altro ancora, tutto da scoprire. Il rovescio della medaglia, però, non tarda ad emergere e mostra il grosso problema di avere una narrazione un po' banale e distaccata: la fatica per il giocatore di partecipare emotivamente alle situazioni che vedono coinvolti i nostri protagonisti.
    Le missioni sono tutte strutturate secondo brevi chainquest, solitamente composte da quattro o cinque step, in cui di volta in volta si ci prepara per una determinata operazione e, infine, la si porta a termine. Prese singolarmente offrono stimoli interessanti, dal punto di vista videoludico, e anche nel complesso riescono nel compito molto arduo di diversificarsi pur mantenendo elementi comuni. Ciò si traduce in azioni solo sulla carta tutte uguali, come raggiungere un server e aspettare che il caricamento finisca, ma sia il ritmo, l'alternanza e la varietà di ambienti ed elementi riescono ad eliminare in buona parte il senso di dejavù che potrebbe sorgere. Anche qui c’è un però ed è ritrovarsi al possibile inizio di ogni missione davanti a una serie di esse sempre ben distinte tra loro e affrontabili nell’ordine che si preferisce, difettando di una linea guida che colleghi coerentemente tutte le singole gesta all'interno di un contesto più ampio e, alla fine, anche appagante. Spesso non riuscirete nemmeno a distinguere, per contenuti, le quest principali da quelle secondarie o online. Tutte queste saranno raggiungibili e selezionabili dallo smartphone, che sarà il nostro hub per qualunque cosa. Sarà possibile infarcirlo di app utili per sbloccare funzionalità extra, come il servizio di “auto a chiamata” o semplicemente tenere tutta la nostra progressione sotto controllo. Le attività online, in particolare, possono essere avviate o dallo smartphone come sempre o, senza soluzione di continuità, vagando per la mappa e interagendo con una partita in atto, per esempio, a bounty hunt.
    Inizialmente il gioco promuove una forte libertà di azione, però si percepisce chiaramente che le cose cambino già dopo qualche ora di gioco. La difficoltà ha un picco abbastanza elevato nelle prime battute, a prescindere dal vostro playstyle, ma se la potenza offensiva delle truppe nemiche scalerà in maniera forse ancor più aggressiva e possente di quanto non potreste fare voi con tutto l'arsenale sbloccabile, sarà invece tutto ciò che gira intorno all'hacking a segnare un clamoroso punto di rottura. Che siano fasi stealth, combattimenti a fuoco o inseguimenti, il vostro smartphone sarà sempre l'arma più letale a vostra disposizione. Avrete un controllo pressocché totale dei molti elementi degli scenari, alcuni dei quali potrebbero tirarvi fuori da un vero e proprio inferno con una facilità così disarmante da risultare a tratti mortificante. I potenziamenti distribuiti sull’albero delle abilità ci permetteranno, guadagnato un livello tramite il numero di follower raggiunti, di sbloccare un potenziamento che andrà ad arricchire la rosa di hacking disponibile oppure a migliorare un’abilità già in nostro possesso.
    Due delle novità più liete in ambito hacking, che vi consigliamo assolutamente di costruire il più in fretta possibile, sono il jumper e il drone volante. Entrambi possono essere avvistati e distrutti con estrema facilità, però sfruttano le loro dimensioni ridotte per infilarsi nei cunicoli e nei piccoli passaggi di cui sono cosparse le mappe per raggiungere agilmente anche l'angolo più remoto della fortezza più sorvegliata. A questi poi sarà possibile aggiungere vari upgrade per distrarre e neutralizzare temporaneamente le guardie, ma già di base hanno la possibilità di farvi interfacciare con qualsiasi device o terminale. Fortunatamente, il quadricottero non dispone di una periferica hardware per l’hacking meccanico di qualsiasi dispositivo, lasciando questa possibilità solo al suo fratellino terrestre, un po' più limitato.
    Un'altra situazione in cui il vostro drone volante vi risulterà imprescindibile è nelle nuove sezioni di puzzle solving, le quali stavolta non avranno una schermata a parte come già visto con il buon Pearce ma vengono integrate con l'ambiente circostante. Avere una visuale libera da limiti strutturali o dalla gravità, vi permetterà di studiare tutti gli schemi con una visione sinottica sull’insieme e di risolverli così molto facilmente, anche nelle situazioni che dovrebbero risultare più concitate con i nemici alle calcagna o un timer a segnare un countdown.
    Restando invece in tema novità, troviamo molto più intuitivo e funzionale il nuovo sistema di comandi. Al tasto dorsale sinistro (L1 per PS4) è adibita l'attivazione di qualsiasi elemento hackerabile e ciò lascia al giocatore sia la possibilità di intervenire rapidamente con l'opzione predefinita, premendo il tasto una volta, sia quella di scegliere con più calma l’azione di hacking più adatta al momento, tenendolo premuto e poi scegliendo una tra le quattro opzioni disponibili. In questo modo potremmo sfruttare lo stesso device come trappola, come esca o per detonarlo, influire i comandi di qualsiasi vettura, rendere chiunque un bersaglio per polizia e gang di strada, e altro ancora. Le scelte sono tante e ognuna vi porterà dei vantaggi, forse addirittura troppi. A render le cose ancor più semplici, si aggiunge anche il sistema di combattimento corpo a corpo con la nuova arma in dotazione. Avrete una corda legata ad una palla di biliardo, in grado di mettere KO qualsiasi nemico, sia in fase stealth che in combattimento aperto, con la sola pressione di un tasto, senza possibilità di replica. L'unico limite è rappresentato dalla durata mediamente lunga dell' animazione, in cui sarete dei bersagli facili contro eventuali altri nemici presenti.
    A questo punto tocca solo analizzare il comparto tecnico. Graficamente, giocato su console, Watch Dogs 2 si presenta molto bene e il colpo d'occhio beneficia anche in buona parte dalla scelta della location. San Francisco offre colori sgargianti di giorno e un panorama stupendo di notte. Resta ovviamente qualche piccola magagna, come textures non sempre ben definite e qualche bug grafico qua e là, però si tratta di elementi non invadenti, un po' come cercare il proverbiale ago nel pagliaio. Altri sono gli aspetti che vi faranno storcere il naso, come la fisica, la bassa densità di popolazione della città e l’intelligenza artificiale elementare. Sia i normali cittadini che le forze armate non risponderanno praticamente mai a stimoli esterni che non siano precalcolati. Mentre tutti si faranno tranquillamente distrarre dalle vostre doti con lo smartphone, nessuno noterà mai un grosso container schiantarsi avanti e indietro a 30 centrimetri sopra le loro teste. Fortunatamente, questo spesso passa inosservato nelle fasi stealth o di combattimento, grazie ad un'ottima distribuzione delle unità, tuttavia l'immersività ne risente parecchio se si guarda il contesto generale. La città, per quanto ottimamente riprodotta, si presenta comunque un po' vuota e procederà con la sua normale quotidianità, lasciando il povero Marcus come un elemento alieno da ignorare finché possibile, cosa che stona ancor di più se consideriamo San Francisco come una grande smart city, tappezzata di telecamere, messe lì solo affinché sia proprio il giocatore a beneficiarne. Infatti qui è doveroso fare un discorso sulla mappa, stiamo parlando di un territorio grande, non gigantesco per il mondo degli open world, ma ricco di cose da fare (gare e sbloccabili principalmente). A corredo troviamo poi una serie di negozi e locali, che indubbiamente arricchisce la pletora di alternative a nostra disposizione, ma che rimane molto legata al contesto classico degli open-world e non va a contribuire all'ecosistema cittadino.
    Quanto invece al motore fisico, il discorso si ricollega soprattutto a quello della guidabilità delle vetture. Il sistema di guida è migliorato e più levigato rispetto al primo Watch Dogs, purtroppo però si nota tantissimo l'approssimazione enorme della fisica nelle frenate e nelle collisioni, poco realistiche e spesso anche brutte.
    E’ doveroso citare che, al momento della nostra prova con installata la patch 1.02, abbiamo riscontrato alcuni problemi più gravi di bug e stabilità. In un paio di occasioni il framerate è crollato letteralmente ad una cifra probabilmente più vicina ai 10 che ai 30 fps, soprattutto a causa dei noti problemi di sincronizzazione online, su cui Ubisoft è già al lavoro. Molto più fastidioso invece è stato dover ripetere da capo intere missioni, solo perché queste non potevano essere portate a compimento per ragioni sconosciute. Problematiche a cui, purtroppo, siamo un po' abituati già da tempo, che rientrano forse nell'ambito della "ordinaria amministrazione" e che sarà possibile risolvere in buona parte con una o due patch correttive, ma che comunque era doveroso segnalare.

Tyranny


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Obsidian Entertainment

  • Data uscita:10 novembre 2016

     

     

    La rinascita dei giochi di ruolo occidentali di stampo classico, cui abbiamo assistito negli ultimi anni, si è rivelata un toccasana per gli appassionati del genere, lasciati per troppi anni a digiuno di prodotti di questa tipologia e costretti a rigiocare più e più volte i titoli storici, spesso vecchi di diversi lustri. Sebbene questo prepotente ritorno in auge abbia fatto la felicità di molti (compresi noi, s'intende), il rovescio della medaglia è stato rappresentato da una serie di reami e storie abbastanza simili tra loro, nei quali il giocatore era posto al comando di un prescelto o di un party di eroi destinati a fare grandi cose, dal difendere i deboli al salvare la baracca. Dopo l'ottimo Pillars of Eternity, che rientrava (anche se solo parzialmente) in questa categoria, i veterani di Obsidian hanno pensato di cambiare le carte in tavola: in Tyranny non c'è spazio per l'eroismo, la grande guerra tra il bene ed il male è già stata combattuta, e i vincitori sono stati i cattivi, uno dei quali sarà l'avatar del giocatore.
    Se avete sognato per una vita di vestire i panni dei malvagi, questo è il prodotto che fa per voi.
    Ciò che distingue Tyranny dalla grande maggioranza dei suoi congeneri è proprio la possibilità di vestire i panni sporchi di sangue di un Fatebinder, uno degli ingranaggi dell'enorme macchina da guerra di Kyros, eminenza nera che, partendo da nord, sta piegando tutto il mondo libero sotto il suo giogo. I destini delle terre del sud non sono in discussione: come sono caduti i regni immediatamente confinanti, così cadranno anche loro, perché le armate di Kyros, che si reggono su due gambe nodose e ben piantate, bruciano, distruggono e razziano senza soluzione di continuità. Le suddette gambe prendono il nome dei Disfavored, gruppo dalla gerarchia militare, omologabile ad un corpo scelto di guerrieri assai capaci, che vertono su valori quali l'onore e l'obbedienza cieca, e degli Scarlet Chorus, che hanno ricordato molto la fazione romana di Fallout New Vegas (non a caso firmato Obsidian) nella loro ferocia e nell'indiscriminato utilizzo della coscrizione e della schiavitù.
    Due anime molto differenti, due eserciti che, pur costretti ad avanzare spalla a spalla nel nome di Kyros, si guardano con sospetto e non aspettano altro che il fallimento dell'altra fazione per additarla di incompetenza agli occhi del sovrano: in questo clima non proprio idilliaco si inserisce l'avatar del personaggio, inizialmente imparziale, alle dirette dipendenze dell'arconte della giustizia. L'idiosincrasia tra le due armate sta prolungando oltremodo un assedio che dura già da diversi mesi, per terminare il quale il magnanimo Kyros ha proclamato un editto, che mieterà migliaia di vittime (indistintamente tra il suo esercito ed i nemici) se non si dovesse arrivare ad una soluzione ad egli congeniale entro un tempo limite.
    Starà al giocatore muoversi entro limiti temporali invero non troppo stringenti e risolvere la faccenda, al termine della quale, inevitabilmente, sarà chiamato a schierarsi con una delle due fazioni iniziali, o provare a mantenere una posizione neutrale, che gli farà però guadagnare odio da entrambe le parti.
    Dopo una fase introduttiva lunga e in parte skippabile (anche se il consiglio è quello di prendere parte alle decisioni iniziali), Tyranny riesce pian piano a dare il meglio di sé, coinvolgendo il giocatore in una serie di intrighi di palazzo, spionaggi e, soprattutto, decisioni per nulla scontate: dare alle fiamme un villaggio sospettato di aver appoggiato i rivoltosi, ma pieno di anziani e bambini, uccidere una neonata la cui unica colpa è il sangue che le scorre nelle vene, passare a fil di spada nemici (che noi sappiamo essere i “buoni”, peraltro) che implorano pietà una volta sconfitti. Nella migliore delle ipotesi, il giocatore si muove tra una vasta gamma di grigi, portando a termine compiti di cui nessun uomo che voglia chiamarsi tale andrebbe fiero e terminando qualsiasi tipo di resistenza sbarri la strada al suo sovrano: al piacere sadico che deriva dall'agire con ferocia, spargendo morte e distruzione, si contrappongono, inevitabilmente, dilemmi etici raramente visti in altri giochi di ruolo.
    Apprezzabile il fatto che il team di sviluppo abbia avuto il coraggio di percorrere la strada scelta fino in fondo, senza sconti: in Tyranny non è possibile fare del proprio personaggio un eroe, com'è logico che sia visti i presupposti narrativi, ma solo un comandante delle forze di Kyros un po' meno bastardo degli altri.
    Il risultato è che, almeno in quanto a narrativa e caratterizzazione dei personaggi, quest'ultima fatica di Obsidian si distingue decisamente dal mucchio, proponendo qualcosa di nuovo nell'ondata di rpg occidentali degli ultimi tre o quattro anni.
    Se, sul fronte della narrazione, Tyranny scava un solco tra sé e molti congeneri, non si può dire altrettanto per le meccaniche di gioco, estremamente classiche ed ancorate a stilemi archetipici, che sacrificano qualsivoglia novità in luogo dell'affidabilità e della comodità dell'esperienza di gioco. Ci riferiamo soprattutto al sistema di combattimento, tanto canonico quanto funzionale, e alla gestione dell'inventario, che, se non è un tantino macchinosa, non ricorda quella dei classici senza tempo sviluppati a cavallo del secolo: Obsidian si è fatta forte del (meritato) successo di Pillars of Eternity, riproponendone quasi in toto il gameplay, ma questa scelta, comprensibile nel breve periodo, sulla lunga distanza potrebbe portare ad un rattrappimento del genere, troppo piegato su se stesso, che è poi quello che è successo una quindicina d'anni fa agli illustri predecessori di Tyranny. Quando non si è impegnati in un dialogo, che può essere doppiato o interamente testuale, si passa il grosso del tempo in combattimento, con le consuete meccaniche a turni ma in tempo reale, con una comoda griglia che consente di settare minuziosamente in quali circostanze il gioco debba andare in autopause, così da consentire al giocatore di riflettere sul da farsi pur nel bel mezzo della pugna.
    Il personaggio iniziale è user generated, mentre i compagni arruolabili lungo la main quest dispongono di abilità uniche e si differenziano sufficientemente per consentire al giocatore di costruire un party a sua immagine e somiglianza: tra umani e donne bestia, imponenti guerrieri vittime di una maledizione e bellicose amazzoni, passando per maghi e saggi, ce n'è davvero per tutti i gusti, sempre nel solco degli archetipi del genere, s'intende. Abbiamo notato un passo avanti rispetto a Pillars of Eternity per quanto concerne il pathfinding degli alleati, lontano dalla perfezione ma comunque meno incline a problematiche serie, mentre l'intelligenza artificiale che regola gli alleati quando non li si controlla direttamente non ha mostrato variazioni di sorta rispetto al recente passato, il che  rappresenta una buona notizia, visto che all'epoca non si segnalarono falle evidenti.
    Nella sua classicità, il combat system funziona ancora benissimo, con una riuscita sinergia di comandi impartiti dall'utente ed azioni gestite dall'IA, di colpi portati in tempo reale, al riempimento di appositi indicatori, e magie da caricare mentre il gioco è in pausa: come vent'anni fa, tutto è al suo posto, ma niente stupisce. Quando Tyranny prova ad inventare in quanto a meccaniche ludiche, lo fa senza convincere troppo, come nel caso del sistema di creazione delle magie: in un processo che si compone di tre passaggi (scelta della base, del tipo di effetto e di eventuali bonus), il giocatore può scegliere come strutturare i propri incantesimi, che potranno essere utilizzati da tutti i personaggi e non solo dai consueti spellcaster.
    Ovviamente, guerrieri, arcieri e combattenti da prima linea avranno accesso solo a magie meno devastanti, ma la possibilità di creare personaggi ibridi, capaci di maneggiare incantesimi di medio livello e di farsi valere nel corpo a corpo allo stesso tempo, limita un po' l'appeal dei castatori puri, che si sono infatti rivelati i personaggi meno utili nell'economia di gioco.
    Il versante tecnico di Tyranny è quello che stupisce meno, non tanto per mancanze congenite quanto, piuttosto, per la sua vicinanza a quello di Pillars of Eternity: il motore utilizzato è lo stesso, Unity, e anche molti degli asset e delle animazioni sono stati riutilizzati, com'era anche lecito attendersi vista la vicinanza (sia concettuale, sia temporale) dei due prodotti.
    In un continuo omaggio ai tempi dell'Infinity Engine, la visuale a volo d'uccello non si sofferma mai troppo sui particolari, ma valorizza piuttosto la peculiare direzione artistica, che sembra aver virato decisamente verso colori saturi e caldi, e il set di animazioni, non particolarmente ricco in termini quantitativi ma fluido e credibile.
    Ciò che, invece, sorprende, e di cui va dato atto ad un team di sviluppo famoso tanto per la sua dedizione al genere quanto per la quantità di bug presenti nei suoi giochi più ambiziosi, è la pulizia del codice da noi testato, che peraltro godeva di tutte le patch che saranno disponibili al lancio: al di là del mancato caricamento del salvataggio in un paio di circostanze, che ci ha costretto a tornare al desktop e rilanciare nuovamente il gioco (fortunatamente senza corrompere il salvataggio stesso), non abbiamo incontrato bug evidenti, né tantomeno gravosi sull'economia di gioco.
    Nelle oltre quaranta ore dedicate a Tyranny abbiamo goduto di un prodotto pulito, che sembra aver beneficiato di una fase di beta testing più massiccia di molti suoi congeneri e di una maggiore cura per i dettagli, sebbene la mancanza della localizzazione italiana dei testi potrebbe limitarne grandemente l'appeal agli occhi di un pubblico più ampio, perché lo zoccolo duro dei fan di questa tipologia di giochi di certo non si farà dissuadere. Chiosa finale sulla longevità: qui Obsidian ha deciso di percorrere una strada diversa rispetto al loro precedente GDR, sfrondando la quantità di quest secondarie disponibili ma puntando sul fattore rigiocabilità, garantito dal buon numero di finali alternativi e dalla possibilità di affrontare la questline principale in molti modi differenti, ognuno dei quali garantisce missioni, dialoghi e situazioni inedite rispetto agli altri.

Motorsport Manager

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Manageriale

  • Sviluppatore:Playsport Games

  • Data uscita:10 novembre 2016

     





I manageriali dedicati al mondo dei motori rappresentano dei titoli dall’equilibrio delicato, che devono saper proporre un’esperienza organica e che non sfiguri in nessuna delle sue dimensioni. Riuscire a rendere in maniera divertente aspetti come la regolazione del setup delle vetture, così come la scelta degli sponsor, è compito spesso arduo. Motorsport Manager, titolo di derivazione mobile sviluppato da Playsport Games e pubblicato da SEGA, riesce però nell’impresa di proporre un’opera vivace e discretamente varia. Vediamo perché.

Grazie a Motorsport Manager, allora, sarà possibile prendere il controllo di una scuderia impegnata in uno dei tre campionati fittizi inclusi nel gioco: partendo dalla categoria più bassa, trovano posto la European Racing Series, la Asia Pacific Super Cup e la World Motorsport Championship. Questa nomenclatura (che in qualche modo potrebbe corrispondere forse a GP2, alla vecchia GP2 Asia e alla Formula 1) dovrebbe far intuire come il gioco, difatti, sia totalmente sprovvisto di qualsivoglia licenza. Anche le squadre, i piloti, gli ingegneri e i meccanici sono totalmente fittizi, facendo mancare un po’ di quell’appeal che inevitabilmente viene determinato dalla possibilità di poter gestire controparti reali. In ogni caso, una volta scelta la propria squadra, inizierà il proprio viaggio verso il successo. In questo senso, i parametri da tenere sott'occhio saranno veramente molti; oltre a gestire la parte tecnica, relativa allo sviluppo dell’auto nel suo complesso, si dovrà trovare il tempo per l’eventuale miglioramento ed ampliamento delle strutture della propria scuderia, nonché per il reclutamento di piloti e staff di migliore qualità. I propri compiti, poi, continuano con la scelta degli sponsor più remunerativi, con il rapporto con i media e la federazione, così come con la gestione delle proprie finanze. Il proprietario della scuderia, infatti, esprimerà la soddisfazione nei confronti del nostro operato non solo attraverso il pagamento di somme più o meno elevate, ma anche confermando il nostro posto al timone della sua squadra. Nel momento in cui le aspettative di inizio stagione non verranno corrisposte, in altre parole, si potrà rimanere appiedati, e alla ricerca di una nuova squadra. Riservandoci di parlare più diffusamente di alcuni aspetti del gameplay nei successivi parametri, dobbiamo dire fin da subito come Motorsport Manager sia un gioco che prova a fare tante cose contemporaneamente, e che riesce positivamente nell’impresa. Ci ha sorpreso, ad esempio, la differenza di regole presenti nei vari campionati, così come il numero di variabili relative alla scelta di piloti e tecnici, capaci di proporre tratti personali che ne influiscono le prestazioni su pista. Non siamo difronte ai livelli di Football Manager, ma sicuramente la via è quella giusta.

Iniziamo la nostra disamina del gameplay non dall'analisi della gestione di vetture e piloti – su cui arriveremo tra non molto – ma da un elemento che ci ha sorpreso in positivo: la varietà. È possibile dire che uno dei nemici di tutti i giochi dedicati alla Formula 1 è la ripetitività: a causa di licenze estremamente stringenti, infatti, ogni stagione di una qualsiasi carriera presenta sempre le stesse squadre, gli stessi piloti, le stesse regole e lo stesso calendario. In Motorsport Manager tutto ciò subisce un piccolo scossone: periodicamente, infatti, saremo chiamati in quanto manager di una scuderia a prendere parte alle votazioni della GMA, ovvero l’equivalente della FIA, che disciplina in termini di regolamenti relativamente alle tre categorie coinvolte dal gioco. Durante questi momenti, allora, è possibile scegliere se sostituire un circuito con un altro nel calendario del prossimo anno, oppure se includere nuovi set di gomme, nonché modifiche al sistema di assegnazione di punti e fondi. Alla fine di ogni stagione, inoltre, è previsto un meccanismo di retrocessioni e promozioni che coinvolge le prime e le ultime due scuderie delle varie divisioni, oltre che un vivace mercato di piloti e meccanici.
Detto di questa più che ben accetta varietà, allora, è bene concentrarsi sulla gestione della vettura. Anche in questo ambito, Motorsport Manager vuole dare al giocatore un’esperienza abbastanza eterogenea: a seconda della categoria motoristica scelta, infatti, si avranno difronte limitazioni sulla componentistica della propria auto. Nella European Racing Series, almeno inizialmente, gli alettoni posteriori e anteriori sono uguali per tutte le vetture, e dunque non è possibile operare alcuno sviluppo, se non quello relativo all’aumento dell’affidabilità. La gestione delle proprie vetture, in ogni caso, viene declinata in componenti quali i già citati alettoni anteriori e posteriori, il motore, le sospensioni, i freni e il cambio. Per ognuno di questi elementi, è possibile progettare nuove versioni più performanti e potenti (in cambio di parecchia pecunia), oppure concentrarsi sul miglioramento del materiale già a disposizione, che verrà poi montato sulle due monoposto a seconda delle proprie preferenze. Dobbiamo dire che il processo di creazione di nuove componenti non sembra individuare in maniera immediata i miglioramenti legati proprio all’introduzione di quei nuovi elementi, che difatti potevano essere resi meglio attraverso i menu. La qualità delle componenti costruibili, in ogni caso, è dipendente dalla caratura del proprio capo ingegnere, mentre la tipologia di elementi producibili varia a seconda della presenza delle giuste strutture nel proprio quartier generale. Anche in questo ambito, è possibile investire ingenti quantità di denaro per avere una nuova galleria del vento, oppure potenziare le realtà già a propria disposizione.

Glissiamo su alcune dinamiche di importanza minore o comunque più intuitive, come la negoziazione dei contratti degli sponsor e dei piloti, nonché le interviste e le domande poste dai giornalisti, per concentrarci sulla riproduzione delle gare. In quanto team manager, il nostro compito sarà quello di far sì che tutto prosegua secondo i piani, e che la squadra centri gli obiettivi richiesti. In questo senso, l’esperienza cambia molto sia a seconda della categoria, che della tipologia di sessione in corso. Durante le prove libere, ad esempio, sarà possibile provare assetti e setup sia da qualifica che da gara: giro dopo giro, i nostri piloti affineranno le loro sensazioni relative all’assetto della vettura, e ci consiglieranno dove intervenire. Dobbiamo dire che, in questo ambito, il gioco semplifica forse un po’ troppo la gestione dell’auto, proponendo solo sei parametri su cui intervenire (ovvero l’incidenza degli alettoni, i rapporti delle marce, la campanatura e la pressione degli pneumatici, nonché la durezza delle sospensioni). La cosa si fa più interessante se si considerano due ulteriori variabili fondamentali, ovvero il tempo e le condizioni meteorologiche. Riuscire a far terminare il giro veloce del proprio pilota di punta con gomme morbide e pista gommata appena prima che si metta a piovere, infatti, fornisce non solo un ottimo vantaggio strategico nei confronti degli avversari, ma anche una bella soddisfazione. Il gioco propone alcune finezze che non passano inosservate: in occasione delle qualifiche, ad esempio, bisognerà fare attenzione a scaldare attentamente le gomme durante il giro di lancio, mentre le gare saranno assai condizionate dai pit stop. In questo senso, le strategie sono praticamente infinite, specie se il tempo è variabile. È possibile, infatti, creare tattiche legate all’utilizzo di mescole più o meno dure, e sperare che le previsioni del tempo abbiano ragione. Il frequente ingresso della safety car, poi, così come eventuali problematiche meccaniche, possono rimescolare le carte in un attimo. In questo senso, anzi, il gioco pare essere un po’ troppo severo con il giocatore, proponendo ad ogni gara numerose rogne legate alle componenti delle proprie monoposto, specie se di bassa qualità. In più di un’occasione, continuando con l’analisi di alcuni particolari un po’ fastidiosi, i nostri piloti si sono lamentati delle precarie condizioni di alcuni componenti proprio dopo essere usciti dai box, difatti mandando a monte la nostra tattica. Durante la gara, in ogni caso, possono essere impartite due tipologie di istruzioni ai propri piloti, legate al consumo più o meno intenso del carburante e delle gomme. Ovviamente tutto ciò avrà delle conseguenze in termini di prestazioni e decadimento delle performance, e permetterà di gestire le proprie risorse in maniera razionale.

In generale, dunque, la gestione delle gare di Motorsport Manager ci ha quasi sempre convinto, lasciandoci con la sensazione che l’impatto delle nostre decisioni sia stato davvero decisivo. Anche avendo tra le mani l’equivalente delle Mercedes, ad esempio, siamo riusciti a perdere delle gare a causa di scelte sbagliate, dettate dalla poca attenzione e soprattutto dal poco tempismo. In questo senso, dunque, il titolo pare essere valido e divertente. Tecnicamente parlando, invece, il gioco propone soluzioni tutto sommato piacevoli, tenendo anche conto delle già citate licenze fittizie. Parlando dei circuiti, dobbiamo sottolineare anche in questo ambito una discreta variabilità: ai sedici tracciati base, infatti, si affiancano altri layout supplementari, fino ad arrivare a quasi cinquanta percorsi. Dal punto di vista estetico, in effetti, è possibile notare molte somiglianze con alcuni circuiti reali: il circuito delle Ardenne, ad esempio, riprende ovviamente Spa, così come Milano, simile a Monza. Non mancano i percorsi "esotici" come il Mar Nero (che ricorda Sochi), e Singapore. Le auto, d’altro canto, propongono differenze anche abbastanza sostanziali nei modelli, specialmente se si guarda alle bandelle presenti o meno sulle pance, oppure agli alettoni posteriori. Certo è che tali differenze, una volta in gara, sono veramente poco visibili, considerata la lontananza della telecamera. A questo proposito, va detto che il gioco propone fortunatamente anche scontri tra piloti. Sebbene questi frangenti non siano riprodotti graficamente in maniera fedele, è giusto dire che la frequenza con la quale tali episodi si presenteranno ci è sembrata adeguata, anche se non hanno mai riguardato i piloti della nostra squadra. Dal punto di vista del sonoro, il gioco non ha molto da offrire, sia in termini di musiche di accompagnamento che di rumori ambientali veri e propri.
Per ultimo, torniamo brevemente sulla questione delle licenze: lo sviluppatore ha confermato che in futuro dovrebbe essere incluso un editor per modificare i dati di gioco, e tutto ciò troverà il supporto dell’infrastruttura di Steam Workshop.

giovedì 10 novembre 2016

Mass Effect:Andromeda

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:BioWare

  • Data uscita:Gennaio 2017

     

     

    La trilogia del comandante Shepard è rimasta indubbiamente nel cuore dei videogiocatori: le vicende della Normandy, della lotta contro i Razziatori—ed i personaggi che le vivevano—sono riusciti a fare breccia in milioni di appassionati che, all'annuncio di Mass Effect Andromeda, non potevano che tendere l'orecchio per scoprire cosa si nasconde nel futuro di Mass Effect. Fino ad oggi, le informazioni non erano state particolarmente abbondanti, ad eccezione di qualche dettaglio: una galassia tutta nuova, personaggi tutti nuovi, protagonisti di un gioco che deve necessariamente attingere da ciò che ha reso la precedente trilogia così apprezzata. Anche BioWare lo sa bene e, stando a quanto sappiamo fino ad ora, sta lavorando su Andromeda con tutte le attenzioni del caso, senza però la paura di sperimentare qualcosa di nuovo.
    Le vicende narrative del gioco prendono piede nel 2185, più o meno in concomitanza con gli eventi di Mass Effect 2 e con la nuova venuta dei Razziatori, quando si dà il via all'Iniziativa Andromeda: le diverse specie organizzano delle squadre di ufficiali, detti Pathfinder, e di volontari per recarsi presso la galassia di Andromeda, dove sembra siano presenti nuovi pianeti abitabili. Una nuova vita all'infuori dello spazio conosciuto, quindi, dove trovare finalmente una casa al riparo da tutto. Ogni razza coinvolta—umani, salarian, asari e turian—ha una sua nave, "un'arca", capitanata dal proprio Pathfinder. Il viaggio sarà però lunghissimo, motivo per cui gli aspiranti esploratori vengono posti in un sonno criogenico. Quando si risvegliano, sono trascorsi 600 anni dalla partenza ed Andromeda è sotto i loro occhi. Molto diversa da come l'avevano immaginata, ma c'è.
    A fronte della speranza di una nuova galassia pacifica in cui stabilirsi, infatti, gli esploratori incappano in specie tutte nuove e in diversi casi ostili. Una di queste, già svelata, ha nome Kett e somiglia lontanamente ai vecchi krogan che abbiamo imparato a conoscere. Gli sviluppatori hanno già precisato fin da ora che, un po' come successo anche con i geth, non dobbiamo però intendere una razza come "nemica" o "cattiva" in senso assoluto, quindi aspettiamo a farci un'opinione delle motivazioni e della moralità dei Kett.
    Tornando alla narrativa, comunque, al risveglio dei passeggeri della Hyperion, l'arca umana, le altre sembrano essere scomparse. Il Pathfinder, Alec Ryder, esperto della truppa N7, è partito insieme ai suoi due figli gemelli: Sarah Ryder e Scott Ryder. Con eventi che gli sviluppatori non hanno voluto spiegare, sarà quindi uno dei due figli—quello che sceglieremo di impersonare—ad ereditare i gradi del padre, divenendo il nuovo Pathfinder dell'umanità nella galassia di Andromeda. Un incarico ed un grado pesanti, considerando che nessuno dei due giovani Ryder, al contrario del navigatissimo comandante Shepard, ha davvero l'esperienza di un soldato d'elite. Addio, ufficiale impeccabile, benvenuti, giovani esploratori che devono farsi le ossa.
    Una differenza molto interessante relativa ai due Ryder è che i ragazzi coesisteranno: mentre, per ovvi motivi, la Normandy poteva contare su un unico comandante Shepard—fosse esso John o Jane—in questo caso la vostra scelta determinerà anche quale dei due fratelli sarà un NPC. Nel corso delle vostre scorribande, quindi, sia Scott che Sarah avranno un loro posto, con anche interazioni e dialoghi possibili per migliorare la relazione con il proprio gemello. Stando a quanto riferito dagli sviluppatori, saranno importanti anche le relazioni con vostro padre Alec, quindi siamo curiosi di scoprire in che modo, se questi rimarrà in vita, i suoi gradi finiranno sulle spalline della nostra uniforme. Le interazioni con il vostro gemello e vostro padre saranno molto importanti per una parte della sceneggiatura, dal momento che BioWare ha spiegato che c'è un mistero da risolvere, relativo proprio alla famiglia Ryder. Attendiamo di scoprire di cosa potrebbe trattarsi, precisando fin da ora che, oltre all'aspetto del vostro Pathfinder, potrete personalizzare anche quello di vostro padre e del vostro gemello: le opzioni di personalizzazione, promette BioWare, saranno più accurate e profonde che in passato, nel tentativo di garantire la creazione di Ryder esattamente come lo avevate immaginato.
    Una volta messo a punto il nostro Pathfinder, sarà il momento di entrare in azione: come nei vecchi Mass Effect, anche in Andromeda saremo affiancati da dei compagni che comporranno il nostro team. Al momento, BioWare ha voluto svelarne solamente due: la asari Peebee, già vista in diversi trailer, la cui personalità si promette ruvida, solitaria e non troppo attenta alle regole, e il fedele Liam, ex poliziotto che crede fortemente in Ryder e ci ha ricordato un po' il giovane Alenko che ben conoscete.
    Va da sé che, potendo contare su un nuovo team di compagni, in gran parte ancora da scoprire, faranno il loro ritorno anche le relazioni e le romance: BioWare non ha voluto anticipare molto, limitandosi a far sapere che Andromeda sarà quello con più opzioni per le romance e che queste ultime saranno più profonde che in passato, in modo tale da dare l'idea che si tratti di una relazione vera e propria, e non di un semplice rapporto occasionale culmine di diverse chiacchierate. In merito ai compagni, è stato anche confermato che torneranno le "loyalty mission" tanto apprezzate in Mass Effect 2: ancora una volta, i nostri alleati ci chiederanno quindi di completare dei compiti, dei "favori", grazie ai quali potremo conoscere meglio le loro vicende e migliorare la relazione con loro. Rispetto al secondo episodio della trilogia originale, però, la cosa ha un'importanza molto ridotta e dovete immaginarla più come semplici side-quest che vi consentono di apprendere di più sui personaggi che avete intorno. Niente cambiamenti epocali nel finale, quindi, se doveste decidere di non accogliere le richieste dei vostri compagni, ma semplicemente parti di narrativa che potreste non scoprire relative al loro passato. BioWare è stata chiarissima: le missioni di lealtà sono lì per chi vuole completarle, ma non penalizzeranno chi vorrà ignorarle.
    Una volta fatte le dovute precisazioni sul vostro team, parliamo di un elemento al cuore del gameplay: l'esplorazione (e gli annessi scontri con le forze ostili). Essendo un avventuriero, il nostro Ryder sarà a capo della nave Tempest, più piccola e più agile della Normandy, trattandosi di un vero e proprio mezzo di ricognizione. Dal momento che arriva dalla Via Lattea, ci saranno con noi anche tecnologie già note dalla prima trilogia, mentre altre saranno completamente inedite e da scoprire.
    Il nostro Pathfinder potrà quindi vagare per la galassia a completare missioni principali, andare a caccia di risorse o tecnologie da svelare: in merito, BioWare ha spiegato che ha voluto rendere l'esperienza molto più continua rispetto al passato. Per capirci, Ryder non si ritroverà in una schermata in cui visualizzerà i pianeti e premerà il bottone "atterra". Dovrete, invece, direttamente dal ponte in cui si vedrà il pianeta, decidere se analizzarlo a caccia di risorse, o scendere direttamente in direzione del garage per prendere il vostro nuovo mako, chiamato "Nomad", ed esplorarlo voi stessi. In caso l'opzione sia quest'ultima, gli sviluppatori hanno assicurato che non ci saranno più schermate nere di attesa, ma che tutto sarà collegato e vedremo il nostro Ryder atterrare sul pianeta, prima di prenderne il controllo.
    Qui, entra in gioco un elemento chiave: la realizzazione dei pianeti che andremo a visitare. Con il ritorno del mako visto nel primo Mass Effect, BioWare ha detto addio ai corridoi delle piccole parti di pianeta che avevamo esplorato negli ultimi episodi, cercando di realizzare scenari più ampi e ricchi di cose da scoprire. L'idea è più simile ai pianeti del Mass Effect originale, ma con molti più elementi e meno desolazione, visto che per larghi tratti avanzavate senza imbattervi in niente. La software house non vuole definire questo approccio come open world, ma ha precisato che ci saranno delle icone da seguire per obiettivi diversi, oltre a direzioni diverse da intraprendere. Per fare degli esempi, in quasi ogni pianeta c'è sempre un base nemica, potrete imbattervi in un super-boss, ma anche in accampamenti di abitanti pacifici, in risorse minerarie da raccogliere, in progetti tecnologici da portare con voi per migliorare i vostri equipaggiamenti. Non è tutto, perché come nei vecchi Mass Effect non tutti i pianeti sono human-friendly: in alcuni casi, ad esempio, scendere dal Nomad potrebbe non essere una grandissima idea, o alcune aree in cui sono presenti gas non respirabili potrebbero costringervi alla fuga per mettervi in salvo. Andromeda non è una galassia in cui sono nati gli umani e ci sarà un perché, insomma.
    Per quanto riguarda la guida del Nomad, comunque, BioWare ha cercato di renderla più godibile possibile, interpellando direttamente il team di sviluppo di Need for Speed per migliorarne la risposta del volante e la manovrabilità. Il vostro mezzo, questa volta, non monterà armi, ma sarà completamente personalizzabile e potrà eseguire dei salti, facilitandovi il superamento dei terreni più impervi. Vagando per i pianeti, potrete raggiungere dei punti da indicare come futuri checkpoint per atterrare direttamente lì, mentre il nostro Ryder sarà anche dotato di uno scanner indossabile con il quale appropriarsi, come accennavamo prima, delle tecnologie aliene che andrete a scoprire. Come immaginerete, visto che ci troviamo 600 anni nel futuro e con civiltà tutte nuove, gli armamenti inediti saranno parecchi e si sposeranno ad alcuni che arrivano dall'epoca di Shepard—oltre che ad altre soluzioni da mischia, come spade e martelli.
    L'esplorazione dei pianeti sembra insomma puntare molto in alto. Speriamo che questi ultimi siano ben differenziati e che, come BioWare promette, siano ricchi di scoperte da fare, nemici da affrontare e quest da portare a casa. Per ora, le premesse ci sono.
    Se i precedenti Mass Effect, nelle loro fasi di shooting, puntavano molto sul sistema di copertura, la cosa non cambierà con Andromeda: BioWare vuole infatti che le meccaniche action rimangano ancorate al doversi mettere al riparo e non allo sparare all'impazzata, ma ha aggiunto un po' di pepe. Abbiamo già visto, ad esempio, il jet-pack che aggiungerà verticalità non solo alle esplorazioni, ma anche ai combattimenti, consentendovi di saltare per sorprendere i nemici mentre si erano messi al riparo. In aggiunta, le coperture saranno ora distruttibili e la meccanica che vi consentirà di appiattirvi contro di esse dovrebbe essere stata resa più "scorrevole". Coprirsi e scoprirsi dovrebbe essere insomma più immediato, garantendo ritmi più veloci e frenetici che, secondo BioWare, sono un po' ereditati dal multiplayer di Mass Effect 3. Ci saranno anche meno limitazioni per l'uso delle proprie abilità e dei timer che sostituiranno i vecchi tempi di cooldown.
    A fronte di un approccio action che vuole diventare più serrato nei suoi ritmi, però, ci sono delle novità importanti anche per le dinamiche da gioco di ruolo: in precedenza, infatti, ricorderete che alla creazione del vostro Shepard vi veniva chiesto di selezionare una classe. Un'opzione molto forte a inizio gioco, che sanciva quali abilità potevate fare vostre e quali no. Andromeda vuole invece fare diversamente, tenendo aperte per il giocatore tutte le opzioni: per questo motivo, non vi sarà chiesto di selezionare una classe, ma avrete a disposizione le abilità di tutte quante. Deciderete voi quali apprendere, in base al vostro stile di gioco, e in quali specializzarvi maggiormente. In aggiunta, in caso doveste pensare che una missione richieda più poteri biotici ma voi avete già speso tutti i punti esperienza sul combattimento brutale faccia a faccia, il gioco vi offre l'opportunità di riassegnarli. In questo modo, ha spiegato BioWare, l'utente potrà sperimentare trovando le abilità e lo stile di gioco a lui più congeniali, senza dover necessariamente creare un nuovo Ryder e ripartire daccapo per sperimentare qualcosa di diverso. Viene invece riproposto il sistema di personalizzazione delle propria corazza, che dovrebbe essere più accurato e che consentirà ancora una volta di scegliere anche l'outfit civile del nostro Pathfinder.
    Non è tutto: a cambiare è anche il sistema di moralità. Ricorderete che, nella trilogia di Shepard, erano presenti due livelli, eroe e rinnegato. Secondo BioWare, però, la cosa spingeva eccessivamente ad una sfumatura tra bene o male, sbattendo in faccia al giocatore una valutazione sempre binaria e dalla quale era difficile staccarsi. In Andromeda, invece, la compagnia ha promesso maggiori sfumature, senza però dire addio alle azioni che potevate selezionare, durante i dialoghi, in base alla vostra reputazione: queste ultime torneranno chiedendovi di premere il tasto indicato al momento giusto e dando così una svolta al dialogo. A proposito di dialoghi, c'è anche un'ulteriore novità, che vi consente di scegliere il tono con cui esprimervi: si va dal tono emotivo a quello razionale, passando per quello professionale e per quello informale, con risultati che dovrebbero quindi essere diversi in base al proprio modo di porsi.
    Appare chiaro, insomma, che Mass Effect: Andromeda stia cercando di riprendere ciò che ha reso la serie celebre, arricchendo però la formula con idee più attuali e con possibilità di scelta più ampie per il giocatore. A riprova di ciò, una volta terminato il gioco, potrete lanciare il New Game+ cambiando anche il sesso del vostro Ryder, in modo da provare un'esperienza diversa, magari anche nelle romance. Ad arricchire l'offerta è stato già confermato anche il multiplayer, che sarà meno di rilievo rispetto a Mass Effect 3, ma dovrebbe comunque garantire una longevità ulteriormente robusta e delle risorse che potrebbero essere utili anche nella campagna.
    Rimane da chiedersi quale sia il futuro della serie BioWare: ora che è stata creata una nuova galassia e ci sono nuovi personaggi, infatti, sarebbe legittimo attendersi una nuova trilogia dedicata al Pathfinder Ryder. BioWare, però, non ha voluto affatto sbilanciarsi in merito, limitandosi a dire che sicuramente potrebbero esserci altri giochi che esploreranno la nuova galassia. Con Andromeda, però, l'idea che si vuole dare è quella di una storia con un inizio e con una fine, piuttosto che mettere i giocatori di fronte ad un finale che farà da prologo ad un sequel. Ryder potrebbe tornare, ma per ora il suo futuro è tutto da vedere e  Andromeda è da prendere come un videogioco a sé stante.

Ara Fell

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Stegosoft

  • Data uscita:2 giugno 2016

     

     

    Nello scenario dei videogiochi creati da team indipendenti, RPG maker ha senz'altro spalancato le porte a tutti gli sviluppatori che volessero creare, con relativa facilità, dei giochi di ruolo vecchio stampo, come i primi Final Fantasy. Questo particolare genere ha sempre riscosso un enorme successo tra gli appassionati e soprattutto per un motivo ben preciso. Non per la grafica, non per un combat system articolato o spettacolare. Tutto ruota attorno ai personaggi, con la loro caratterizzazione, la loro storia e il mondo che li circonda. Questa volta siamo sbarcati su Ara Fell, che dà anche il nome al lavoro svolto da Stegosoft Games.
    Ara Fell è un paese che vive sospeso nel cielo e, secondo una leggenda, si è salvato dalla rovina grazie ad un'antica dea elfica molti anni prima di questa avventura. La protagonista che saremo chiamati ad impersonare è Lita, una giovane tutto pepe che vuole esprimere il proprio carattere e le proprie abilità da arciera, accollandosi al cavaliere Adrian nelle sue avventure. Proprio durante una di queste, che rappresenta di fatto il tutorial del gioco, ritroverete un antico manufatto: un anello che, non appena sarà indossato dalla ragazza, la legherà improvvisamente e indissolubilmente ad una forza magica nonché al destino di tutto il paese e dei suoi abitanti. Conoscerete altri due nuovi alleati durante il vostro cammino, Seri Kesu e Doren, rispettivamente un potente mago e un bardo, che completeranno il team con le classiche specializzazioni tipiche del genere. Troverete anche vari npc che vi daranno delle mini quest secondarie e, ovviamente, personaggi loschi e una quantità infinita di nemici da battere.
    Pur con delle premesse molto stereotipate, probabilmente ci troviamo davanti ad uno dei casi in cui gallina vecchia fa un buon brodo. La storia raccontata non brilla per originalità, è chiaro, ma cerca di non essere mai banale né infantile, con qualche spunto piacevole e anche a tratti divertente. Tutti i personaggi sono stati resi in maniera credibile e abbastanza curata, e grazie a questo riuscirete davvero ad immergervi in questa magica realtà tra le nuvole e partecipare attivamente allo svolgersi degli eventi.
    Da segnalare che, nel caso non siate particolarmente interessati ai combattimenti o al grinding, per poter avanzare di livello e sconfiggere avversari sempre più potenti, è disponibile una modalità apposita che non prevede scontri, ma che vi consentirà di godervi appieno la storia. Ciò non elimina, tuttavia, ogni tipo di meccanica videoludica dalla produzione, poiché spesso verrete chiamati a riflettere su quello che accade e i luoghi che vi circondano, con tanto di puzzle ambientali simpatici, anche se mai impegnativi al punto da tenervi bloccati.
    La mappa di Ara Fell è abbastanza estesa ma definita da zone precise, passaggi segreti e grotte in cui trovare nuovi elementi e ovviamente qualche dungeon più articolato che vi ritroverete a perlustrare nel corso della storia. Non mancheranno anche una discreta varietà di nemici, divisi in modo tale da risultare appropriati alla zona in cui vi trovate, il che aggiunge credibilità al mondo stesso. Non sarà difficile trovare un po' di nemici da spiattellare in cambio di punti esperienza, d'altro canto saranno anche pochi gli incontri casuali (o secondari che dir si voglia) che sarete costretti ad affrontare. Non ci troviamo davanti a un sistema tipo erba alta in Pokémon, dove un nemico può ingaggiarvi improvvisamente ad ogni passo; tutti i nemici sono ben visibili sulla mappa e seguiranno un pattern preciso di movimenti, come se presidiassero e pattugliassero la propria zona e senza mai effettivamente rincorrere coscientemente il giocatore. Impegnative anche le boss fight, in cui sarà determinante la strategia di approccio alla battaglia per assicurarsi la vittoria, piuttosto che dover semplicemente sconfiggere mostriciattoli per ore e ripresentarsi con un livello di molto superiore a quello previsto e bullarsi poi del boss come se fosse un mob qualunque; attaccando a caso e senza aver capito come e in che ordine attaccare, quasi sicuramente si andrà in contro ad una vergognosa sconfitta, proprio per premiare la qualità del gioco.
    Per quanto riguarda il lato tecnico del titolo, per quanto trattasi comunque di un sistema già abbondantemente collaudato come RPG Maker, non mancano luci ed ombre. Interessanti gli enigmi ambientali, abbastanza ispirato il level design e l'audio è semplice ma accompagna molto piacevolmente le gesta dei vostri quattro eroi del regno. Purtroppo, però, ci siamo trovati anche davanti a qualche bug, uno dei quali ci ha decisamente rovinato la nostra esperienza di gioco. Per rendere chiara l'idea, all'interno di un dungeon abbiamo dovuto recuperare un coltello per poter aprire un sacco e recuperare la chiave al suo interno; peccato che, alla pressione del tasto "azione", non è partita subito l'animazione dell'apertura dello stesso ma bensì ci ha fatti saltare sopra. Il problema più grave è che questa particolare dinamica non era in alcun modo contemplata dal gioco, lasciandoci letteralmente bloccati in quel punto e costringendoci a dover rifare tutto da capo. Magari sarà stato un caso isolato particolarmente sfortunato, però resta comunque la gravità del problema e ci pare più che doveroso segnalarlo e tenerne conto anche nella valutazione finale e complessiva del gioco.

sabato 5 novembre 2016

Call Of Duty Infinite Warfare

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Infinity Ward

  • Data uscita:4 novembre 2016

     

     

    Ogni anno come un orologio svizzero, cascasse il mondo, non può mancare all’appuntamento delle uscite novembrine il grande classico degli sparatutto moderni: ovviamente stiamo parlando dell’inossidabile Call of Duty. Non sto nemmeno a contare il numero di iterazioni che ci hanno accompagnato dal primo, oramai lontano, capitolo della serie e ci hanno condotto qui, nel 2016, a giocare Infinite Warfare targato Infinity Ward.
    Sembra ovvio intuirlo, l’obiettivo è sempre stato quello di cercare di raccontare la guerriglia ogni volta in maniera diversa, secondo declinazioni temporali differenti. Il tempo è quindi il cardine che ha scandito questa divisione, tra la guerriglia storica, moderna e futura. Non è la prima volta che, nella serie, si getta uno sguardo avanti per ipotizzare cosa ne sarà dei combattimenti e delle armi nei prossimi anni. Il futuro lascia margini di manovra notevoli dal momento in cui, in casa Activision, si è deciso di bloccare gunplay e motore di gioco, per evolversi più nella forma che nelle meccaniche, luogo dove tutto ciò che era stato reputato vincente nei precedenti capitoli non poteva andare a perdersi. Il risultato sono anni di giochi, che continuano a cambiare, ma che in realtà non sono poi così diversi; il cuore rimane quando tutto il resto attorno si adatta alle richieste del mercato. In fin dei conti quando giochiamo a Call of Duty cerchiamo un divertimento immediato, facile, ma che possa costantemente trovare il modo di tenerci, volenti e nolenti, attaccati allo schermo. Siamo dunque volati a Londra per una full immersion nel gioco, con un contatore di ore su tre giorni di evento da far rabbrividire chiunque, ma che finalmente è riuscita a dirci tutto quello che volevamo sapere sul gioco.
    Partiamo dall'elemento meno importante del gioco, ma ancora il primo sull’elenco dei menù di questo Call of Duty: stiamo parlando della campagna. Certo, chi gioca a questo genere di sparatutto non lo fa per il single-player, e su quello non ci piove. Quello che però è inevitabile considerare è che qualche ora di divertimento in più, guidata da una narrativa coinvolgente e ritmata, è un'incredibile ventata di aria fresca per i veterani e una simpatica introduzione per i neofiti. 
    Da ben più di qualche anno, gli studi di Activision hanno cercato di proporre una struttura della campagna, che desse un maggiore grado di rigiocabilità al titolo e delle diramazioni durante lo svolgersi degli eventi in grado di prolungare il tempo necessario a portare a termine questa modalità. La struttura si è oramai diffusa e consolidata tra i vari team di sviluppo, che con cadenza triennale si alternano al comando dei titoli del franchise, quest’anno in mano a Infinity Ward.
    La storia di Call of Duty Infinite Warfare ci colloca in un futuro in cui gli abitanti delle colonie del Sistema Solare hanno deciso che è giunto il momento di riunirsi  sotto l'unica bandiera degli SDF (Settlement Defense Front) e combattere per l'indipendenza da coloro che, stando sulla terra, hanno goduto da sempre di maggiori privilegi. In quello che avrebbe dovuto essere il giorno più patriottico dell'anno, con la parata delle forze armate a Ginevra, parte quindi l'attacco, con un’invasione degna di tal nome. Per fortuna il Capitano Reyes assieme alla sua squadra riesce a fuggire e a tornare all'unica nave operativa rimasta: la Retribution. Il resto della storia, così come l'incipit, cita e richiama molti altri film futuristici che chi ama la cultura pop moderna non può fare a meno di notarlo. Tutto poi filerà via liscio in circa sei ore, con una storia che, per quanto mai sia stata in grado di esaltarci particolarmente, verso il finale, un po' di frizzantezza in più nello svolgersi degli eventi l’ha resa di certo più godibile. Fanno la loro comparsa Hamilton, con un cameo che non si comprende appieno, ma che perlomeno riesce a strappare un sorriso a più riprese per la stranezza della situazione, e un non pienamente convincente Kit Harrington (Jon Snow, per capirsi) nella parte del cattivo, che all'atto pratico rimane di poco impatto se non solamente un pretesto per farci correre a destra e a manca a combattere. Ovviamente script e corridoi sono all'ordine del giorno nel design dei livelli; non ci aspettavamo niente di diverso e onestamente non abbiamo nemmeno sentito la mancanza di una particolare innovazione, data la tradizione che la serie si porta dietro da tempo. 
    Ad orchestrare il tutto saremo noi, una volta diventati comandanti della Retribution, dal ponte di comando. Una volta infatti terminata la prima parte della campagna, avremo accesso all'hub delle missioni, primarie e secondarie. Le prime ci porteranno avanti nella storia, mentre le seconde ci faranno sbloccare dei trofei e saranno a loro volta di due tipi: Ship Assault e Jackal Assault. La prima prevede una sezione a bordo del jackal, una sullo scafo dell'incrociatore nemico a zero-g e infine una a piedi all'interno della nave. L'ordine delle tre sezioni è vario così che l'una non sia direttamente identica all'altra. La seconda invece è composta dalla sola sezione a bordo del Jackal con obiettivi sempre differenti, ma che rientrano tutti nel "distruggi una serie di navi". Inutile dire che sono divertenti, ma sia per il numero (9 in totale) che per la durata (10 min ciascuna) non possono certo considerarsi delle alternative in grado di stravolgere il giudizio sulla campagna.
    E' chiaro come queste siano state fatte per apprezzare un po' di più le reali novità al gameplay, che sono il dogfighting a bordo del Jackal e le passeggiate in Zero-G. Infatti queste non vedranno la luce nel multiplayer, che come diremo dopo è forse l'elemento che ha dimostrato meno coraggio nella spinta innovativa del titolo.
    Per fortuna, a sollevare le sorti della campagna e offrire qualcosa di realmente innovativo c'è una difficoltà che si sbloccherà al termine dei titoli di coda dal nome specialista, a cui poi seguirà la sua versione ancora più impegnativa dal nome YOLO (You Only Live Once, quindi con l'aggiunta del permadeath). In pratica riinizieremo il gioco, anche se in realtà sarà come affrontare una battaglia totalmente diversa. Non ci sarà la rigenerazione della vita, ma saranno presenti i medikit, ogni colpo subito andrà a danneggiare in maniera diversa il giocatore impedendogli di compiere azioni con gli oggetti equipaggiati. Un proiettile sull'arma ce la farà scappare via dalle mani e dovremo recuperarla con un QTE, una ferita sulla mano sinistra non ci renderà possibile usare l'equipaggiamento tattico e così via. Tutta una serie di aggiunte che, riadattate ad una difficoltà inferiore e innestate nel gameplay, avrebbero potuto imporre una rivoluzione nel mondo degli sparatutto, che anche questa volta purtroppo non ci sarà.
    Cercando di fare una valutazione riassuntiva della campagna, si può dire che essa sia senza lode e senza infamia. Piuttosto lineare nella narrazione, i cui unici bivi sono dovuti alla scelta o meno di missioni secondarie che comunque non andranno a impattare sulla qualità generale della storia. Zero-G, Jackal e Specialista sono le tre novità che avrebbero potuto dare la giusta spinta al titolo, ma la scarsa fiducia degli sviluppatori le ha fatte relegare ad elementi marginali e di contorno: divertenti dunque, ma che passano quasi inosservate a coloro che giocheranno a Call of Duty con lo stesso atteggiamento di sempre.
    Il trend degli ultimi tempi ci conferma quanto, in termine di engagement, un titolo online che possa tenere incollato il giocatore per molte ore, sia decisamente preferibile rispetto ad uno single-player. D'accordo o no, la stragrande maggioranza delle produzioni ibride ha deciso quindi di buttarsi molto di più su questa strada, tralasciando o comunque mettendo in secondo piano l'altra. Quest'anno Call of Duty arriva con la solita modalità multiplayer competitiva, abbinata in maniera sempre più consueta a quella cooperativa, stavolta sottoforma di Zombies in Spaceland. Partiamo però dalla prima. Come con gli specialisti del precedente capitolo, anche qui avremo a che fare con delle classi dedicate ai vari combattenti, queste si chiamano Rigs e definiscono delle caratteristiche basilari di ciascun personaggio. Nella nostra prova siamo riusciti a vestire i panni del Warfighter, la classe più bilanciata fra la sei e quella più comoda per gestire gli scontri a media distanza, del Merc, più resistente e perfetto per sostenere l’avanzata della squadra dalla prima linea, del Synaptic, votato al melee e al combattimento a corto raggio, e solo per una o due partite del FTL, una classe rapida in grado di eseguire spostamenti alla velocità della luce e quindi di sorprendere i nemici arrivando da corta distanza. Non aspettatevi, come già avete potuto vedere dalla beta, un modo di giocare completamente diverso a seconda di quella scelta, il loadout infatti è indipendente da tutto quanto. Cambiano il payload o “arsenale” in italiano, che è da scegliere tra tre ed è un’abilità attivabile una volta riempita la corrispettiva barra, e gli attributi, sempre da scegliere tra tre e rappresentanti dei perk passivi del personaggio. Le bocche da fuoco, per quanto varie e ben studiate, sono davvero poche e purtroppo si finirà come al solito ad utilizzare quelle tre o quattro che ci permettono di destreggiarci sia negli scontri a breve distanza sia in quelli a lunga. Le mappe tendono ad essere molto chiuse e concentrano gli scontri in aree precise, così da rendere sempre frenetico e immediato il combattimento. In questo modo vengono premiati maggiormente i riflessi del giocatore più rapido, piuttosto che l'abilità di un altro nello studio delle mappe. Quelle che abbiamo avuto modo di affrontare, presentano le stesse possibilità di movimento che abbiamo conosciuto dalle EXO in poi, due o tre lane, wallrun ai lati della mappa e solitamente due piani verticali di sviluppo. Mantenendo così le dinamiche degli scontri, è impossibile pensare ad un cambiamento della struttura delle mappe, che per il momento (variazioni a parte) può dirsi aver raggiunto lo stato dell'arte. Si percepisce chiaramente in questo ennesimo Call of Duty come l'interesse principale sia rivolto proprio agli e-sports: la velocità degli scontri è come al solito impressionante, e il time-to-kill è ridotto agli sgoccioli, come a voler spingere ad un continuo miglioramento del giocatore, tentativo dopo tentativo.
    Tutto pur non essendo da denotare come un problema, in quanto reazione naturale allo sviluppo della scena competitiva degli sparatutto, favorisce solo un particolare tipo di utenza, ma senza dubbio allontana sia il giocatore casual, che quello che apprezzerebbe uno shooting più ragionato. 
    La struttura a livelli, standard per la serie, viene mantenuta anche in questo capitolo; ogni arma viene sbloccata ad un certo livello e ciascuna ha degli equipaggiamenti anch’essi ottenibili una volta raggiunto un suo determinato livello. 
    La grande innovazione che accompagna Infinite Warfare è costituita dal crafting delle armi. Una volta sbloccato un determinato ferro, di questo sarà possibile utilizzare la sua versione comune, rara, leggendaria o epica, a patto di averla costruita con dei pezzi di ricambio o averla trovata nei bauli acquistabili tramite una valuta a forma di chiave. Entrambe le monete di scambio possono essere trovate giocando partite sia in modalità zombie sia in quella multiplayer, ma anche spendendo soldi veri e propri. Questo è forse l’elemento che ci ha fatto più storcere il naso. I potenziamenti delle armi, infatti, sono in grado di fornire dei miglioramenti paragonabili a quelli dell’equipaggiamento aggiuntivo, senza il bisogno di occupare uno slot del loadout destinabile ad altro. Un elemento che di certo non rende bravi i giocatori inesperti, ma a parità di esperienza favorisce decisamente quelli meglio equipaggiati. Si constata comunque che per riuscire ad avere un buon equipaggiamento ci vuole un numero di ore, che i giocatori di Call of Duty passeranno senza dubbio sul titolo, ma un po’ di rammarico per questa scelta rimane comunque. Soprattutto se si va a considerare gente che si approccia al gioco in un secondo tempo rispetto agli altri. 
    A onor del vero, questa non è una novità nel vero senso della parola, perché la struttura a livelli, anche precedentemente, precludeva l’ottenimento delle armi e dell’equipaggiamento migliori a chi aveva appena iniziato a giocare. 
    Per ampliare ancora di più questi elementi, passatemi il termine, “GDR” dell’esperienza di Call of Duty sono state aggiunte delle Missioni Squadra. Ci sono ben 4 Squadre in cui entrare, ciascuna prevede degli obiettivi e qualora questi vengano raggiunti, si otterrebbero delle ricompense di diverso tipo, tra cui infine l’arma leggendaria dedicata. Insomma tanti elementi che, se presi in considerazione, allungano certamente la nostra esperienza con il titolo, ma rimangono funzioni a parte, accessorie, come si suol dire. Per quanto riguarda le modalità, segnaliamo che rimane gran parte di quelle classiche (15 per la precisione), più altre due tra cui Defenders è forse la più interessante, ma comunque non particolarmente innovativa dato che consiste in una rivisitazione di Uplink e Cattura la Bandiera, dove al posto di dover segnare in una porta, bisogna mantenere la palla per più tempo possibile nelle proprie mani. Rimane anche stavolta la divisione tra le partite “normali” e quelle dedicate alla GWL, che vedono due team di quattro giocatori sfidarsi nelle stesse discipline che vediamo svolgersi nel corso della World League.
    Se dovessimo andare a recuperare la partita più divertente che abbiamo effettuatto, dobbiamo ammettere che l’abbiamo comunque passata in modalità Dominazione nella mappa Frontier, che, data la sua estensione limitata e i suoi corridoi che non lasciavano vie di fuga, ha reso tutto estremamente concitato e caoticamente divertente. Per il resto senza stare a ripercorrere tutta l’esperienza, si può dire che, all’atto pratico, le differenze del gun-play e delle meccaniche di movimento siano davvero minime rispetto l’anno scorso e chi ha giocato molto ai precedenti capitoli potrebbe anche annoiarsi di fronte alla mancata innovazione. E’ un peccato, perché le novità interessanti ci sarebbero anche state pensando alla campagna, ma per una mancanza di coraggio, non sono state inserite nel multiplayer: dogfighting a bordo dei Jackal, così come sezioni in Zero-G, che avrebbero potuto farci staccare un po’ dalle solite modalità e intrattenerci maggiormente.
    Chiamati per un provino, quattro ragazzi vengono convinti dal grandissimo produttore di film horror Willard Wyler, in voga negli anni ’80, a entrare sul set della sua ultima grande opera. Ovviamente una fama così grande non è stata frutto della casualità, ma dell’utilizzo in scena del trucco cinematografico migliore di tutti: la ripresa di scene reali. Dunque quello che doveva essere semplicemente un set, inizia a prendere vita e sarà nostro compito riempire di piombo gli zombie che si parranno di fronte a noi per riuscire a sopravvivere nelle diverse ondate che si susseguiranno. Un parco dei divertimenti pieno di insegne a led, camei inaspettati, easter egg e tanto umorismo è la ricetta che Zombies in Spaceland vuole sfruttare per questa nuova modalità cooperativa. Lo shooting è il solito, con armi sia classiche sia futuristiche, le quali sono comunque perfettamente integrate nella follia del contesto. Abbattendo mostri si ottengono crediti utili ad acquistare nuove armi e sbloccare nuove sezioni della mappa. Oltre a ciò potremo accedere, grazie ai ticket che si ottengono con le attrazioni, ad armi ancora più folli o ad altri consumabili.
    Per arricchire le possibilità del gameplay è stato introdotto un ulteriore sistema di carte chiamate Fate & fortune. A inizio partita si scelgono cinque carte da quelle precedentemente sbloccate, una volta riempita la barra, sarà poi possibile scegliere quale utilizzare e attivare così il momentaneo potenziamento. La differenza tra le Fate e le Fortune è che le prime sono riutilizzabili mentre le seconde si consumano dopo l’utilizzo. Per sbloccare quelle nuove, esattamente come nel multi, si potranno aprire i bauli con le stesse monete di scambio. Tirando le somme, per quanto fine a se stessa, Zombies in Spaceland è la modalità più divertente e coinvolgente del pacchetto. Gli unici punti deboli per il momento risiedono  nella monotonia del dover rigiocare sempre la stessa mappa, almeno fino a che un DLC non ne sblocchi altre e questa sembra proprio la direzione che si vuole intraprendere.
    Tecnicamente il gioco mantiene l’engine vecchio e fa quel che può per migliorare la grafica, anche se i passi avanti sono da riscontrare soprattutto nella nuova fisica utilizzata per le sezioni Zero-G e nei combattimenti fra Jackal: quindi niente di realmente tangibile per quanto riguarda modelli e texture. Anche in questo capitolo dunque, la grafica permane buona ma non eccezionale, con gli fps fissi a 60nella stragrande maggioranza delle situazioni. Può capitare però che vi troviate a stretto contatto con texture in bassissima definizione, anche in bella vista, e lì non c’è nulla da fare se non chiudere un occhio o forse due. Musicalmente siamo di fronte alla solita qualità di Call of Duty, eccellente, con musiche pregevoli al momento giusto, orchestrali ed epiche durante la campagna, elettroniche e frenetiche nel multiplayer, per non parlare della colonna sonora anni '80 che ci accompagna durante le ondate di Zombies in Spaceland. Vorremmo anche parlarvi del doppiaggio italiano, ma purtroppo la build disponibile offriva solo inglese e francese per cui ci affidiamo alla bontà dei precedenti lavori per supporre quella di questo. Infine facciamo un brevissimo accenno alla versione per PS4 PRO, in attesa di una prova più intensa, che abbiamo avuto modo di provare per un quarto d'ora su un televisore 4K. In poche parole è doveroso dire che la differenza c'è e si vede, con miglioramenti generali tangibili, riscontrabili sopratutto in una maggiore definizione delle texture, che non sembrano avere in questo caso alcuna sbavatura.