Ethero

sabato 27 febbraio 2016

The Town of Light

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:LKA.it

  • Data uscita:26 febbraio 2015

     

     

    Nel 1881 il convento di Girifalco, una cittadina in provincia di Catanzaro, fu convertito in manicomio, diventando così uno dei centri principali nel sud Italia per la cura di pazienti con problemi psichici. Sulla porta della struttura, scolpita sulla pietra, furono incise le parole: “Sanus Egredieris”, ovvero: “Uscirai sano”. Quello che può apparire come un augurio anche beffardo, accompagnò da quel momento la vita della cittadina, attraversando generazioni e anni complicati. Cominciamo così questa recensione di The Town of Light per ribadire ancora una volta come i manicomi, un tempo, rappresentassero una realtà viva all’interno delle cittadine in cui erano costruiti, andandone a cambiare la percezione anche da parte degli abitanti degli insediamenti vicini. Nei paesi in cui c’era un manicomio, in altre parole, fiorivano storie e aneddoti duri a morire, riguardanti vite che avevano perso il filo del discorso, o persone che semplicemente andavano (o faceva comodo pensare che andassero) contro la stridente morale comune dei primi del ‘900. Questa era la realtà di quei paesi, e questo è quello che ci vuole raccontare LKA attraverso la storia di Renèe, la protagonista del gioco. Dopo la nostra anteprima di qualche giorno fa, allora, andiamo a dare il nostro giudizio conclusivo su questa coraggiosa produzione italiana.

    Alcuni parlano del manicomio di Volterra, l’ambientazione principale di The Town of Light, come del “luogo del non ritorno”. Un posto in cui ci si perdeva, insomma, tra i tormenti della propria mente, indebolita da una serie di costrizioni corporali e mentali che, d’altra parte, sarebbero rimaste pratica comune fino alla Legge Basaglia. Così come anticipato nell’anteprima, The Town of Light è un’avventura esplorativa che ci permette di rivivere quel periodo storico attraverso gli occhi e la voce di Renèe, una ragazza – appena sedicenne - entrata nel manicomio di Volterra nel 1938. Quello che il giocatore avrà davanti, però, sarà quello che è rimasto del manicomio, che ad oggi versa in stato di abbandono. Aggirandosi tra le macerie dei vari locali della struttura, allora, la protagonista ci racconterà la propria storia, in un titolo che fa della narrativa il suo punto forte. Possiamo dire, in effetti, che i primi 30 minuti di gioco rappresentano una delle esperienze videoludiche più forti e d’impatto cui abbiamo assistito di recente: il ritmo è veloce, la storia sembra prendere una direzione precisa, e ogni cutscene di intermezzo è un vero e proprio pugno allo stomaco. La storia di Renèe, infatti, sembra essere quella di un’esistenza sfortunata, vittima del bigottismo e della morale comune degli anni che, è sempre bene ricordarlo, coincisero con l’ascesa al potere di Mussolini, e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. In altre parole, per apprezzare totalmente The Town of Light è veramente utile avere un minimo di comprensione del background storico e culturale dell’Italia a cavallo tra gli anni 30 e 40 del secolo scorso. Tutto ciò si rivela importante soprattutto per capire il ruolo e il significato cruciale che il sesso, e di conseguenza i rapporti sessuali, rivestono nella storia raccontata dallo studio italiano.
    Come dicevamo in sede di anteprima, allora, The Town of Light metterà il giocatore davanti alla storia di Renèe che, è bene ricordare, racchiude in sé frammenti di storie vere e fatti realmente accaduti, e nel fare ciò non dirà mai da che parte sia giusto stare. I dottori che avranno a che fare con Renèe avranno dei sussulti di umanità, sì, ma non metteranno mai in dubbio le pratiche crudeli cui venivano sottoposte le pazienti del manicomio, perché così funzionava, e così bisognava agire. D’altra parte, Renèe sarà quasi sempre consapevole del suo stato, e della sua sorte, fino ad arrivare al climax narrativo finale che, riacquistando la forza dei primi minuti di gioco, lascerà il giocatore con una sensazione precisa. La netta percezione, cioè, che la vita della protagonista, così come quella di molti altri sciagurati spesso rinchiusi e dimenticati nei manicomi, siano state esistenze letteralmente gettate via, spesso per convenienza o negligenza.

    I commenti susseguitisi all’anteprima del gioco in questione proponevano un interessante dibattito sulla presenza di interattività nei titoli esplorativi come The Town of Light. Per amore della pace, diciamo subito che la produzione italiana in oggetto non farà cambiare opinione né a chi reputa questi giochi come eccessivamente passivi, né a chi ne gradisce la potenza espressiva. Non perdiamoci nei preconcetti, allora, e cerchiamo di guardare ai fatti: The Town of Light è un titolo in prima persona, in cui l’attività principale del giocatore sarà quella di scoprire la storia di Renèe. Per fare ciò, bisognerà girovagare per il manicomio e l’esterno della struttura. Non sono presenti enigmi logici, né un inventario: l’interattività, allora, è garantita dall’utilizzo di alcuni oggetti, che sbloccheranno i ricordi della protagonista, e ci faranno avanzare nei quindici capitoli di cui si compone la storia. Capire come agire, in The Town of Light, è abbastanza semplice, visto che tutto quello che bisognerà fare sarà prestare attenzione alle parole della protagonista: in le informazioni sulla prossima area da esplorare, così, possono essere estrapolate dalle riflessioni di Renèe. In caso si rimanga bloccati, d’altra parte, sarà possibile utilizzare alcuni suggerimenti, che diranno in maniera chiara (forse anche troppo) dove andare e cosa fare. Tutto questo porta a un’avventura che non durerà più di due ore, ma che trova alcune ragioni per essere rigiocata, almeno in parte. Alcuni capitoli, infatti, conterranno dei sotto capitoli, se si vuole delle versioni differenti della storia. Si tratta di deviazioni dalla trama principale, che faranno in ogni caso arrivare il giocatore ai medesimi snodi narrativi, ma attraverso direzioni differenti. Si tratta di una trovata che, dopo aver finito il gioco una prima volta, ci ha difatti spinto a spendere un’altra ora in compagnia di Renèe, per cercare di capire alcuni particolari in più sulla sua vicenda. Dal punto di vista del ritmo, a questo proposito, siamo arrivati alla conclusione che il primo quarto di gioco sia quello meglio riuscito: entrare nel mondo di Renèe sarà doloroso ma al tempo stesso affascinante, grazie ad alcune trovate scenografiche di cui parleremo meglio in seguito. La parte centrale dell’avventura, invece, sembra essere un po’ più lenta, a causa anche di una narrativa che si farà più contorta e complessa. Il finale, invece, si rivelerà in tutta la sua drammaticità, risultando ben riuscito e sicuramente di grande impatto. In ultima analisi, dunque, anche The Town of Light presenta le dinamiche dei titoli che hanno una forte componente narrativa, difficili però da traslare in dinamiche videoludiche: ritmo compassato, interattività non altissima, durata esigua.
    Vale la pena sottolineare, prima di passare alla disamina della parte stilistica e tecnica, la presenza sul sito ufficiale della produzione del Diario di Renèe. A nostro avviso, è assai utile trovare il tempo per leggere le poche pagine che compongono questo contributo scritto, disponile però esclusivamente in inglese. Il diario, infatti, va a chiarire in modo ulteriore alcuni punti oscuri dell'esistenza della protagonista, e degli episodi che l'hanno portata a varcare le soglie del manicomio.
    Dal punto di vista stilistico, The Town of Light è un titolo che presenta interessanti soluzioni. La maggioranza delle cutscene, ad esempio, sono realizzate in 2D, e mantengono una potenza espressiva notevole grazie a disegni dal forte impatto. Talvolta, invece, il titolo proporrà sequenze tridimensionali, in cui è possibile notare una certa mancanza di definizione nei modelli dei corpi. In ogni caso, la cura scenografica del titolo è veramente notevole; dopo aver smesso di giocare, non nascondiamo di essere tornati con la mente, più volte, su alcune sequenze particolarmente drammatiche, in cui sonoro e video si abbinavano in maniera molto positiva. L’ultima sequenza di gioco, in questo senso, pur essendo in parte senza accompagnamento audio risulta forse la migliore, e di sicuro quella con più impatto.
    The Town of Light non è un titolo horror, ma bensì un gioco che spinge a farsi domande riguardanti praticamente ogni cosa appaia su schermo o sia possibile ascoltare (anche le filastrocche dei bambini, come quella di Madama Dorè, ascoltabile verso metà gioco, assume così una connotazione del tutto nuova). Il mondo di gioco, per il resto, è interamente tridimensionale, e denota una cura importante dei particolari: la riproduzione degli interni del manicomio, a questo proposito, raggiunge livelli elevati nella maggioranza dei suoi ambienti. Da sottolineare il fatto che The Town of Light, poi, è fruibile anche su Oculus Rift, di modo da avere una immersività ancora maggiore.
    In ogni caso, quello su cui vogliamo soffermarci prima di passare al commento finale è il comparto audio. Appare molto positiva la scelta degli effetti audio, specialmente durante i nostri spostamenti all'interno della struttura. Il titolo, poi, include accompagnamenti sonori che riescono a sottolineare bene i vari climax drammatici cui si andrà incontro, ma quello che ci preme sottolineare è la presenza di un doppiaggio in italiano decisamente riuscito e, francamente, superiore anche alla controparte in inglese, che pure è inclusa nel titolo (insieme a quella tedesca). D’altra parte, ci sentiamo di dire che è senza dubbio l’italiano la lingua in cui andrebbe giocato The Town of Light. Un gioco che punta tutto sulla narrativa e sull’atmosfera, difatti, non può non contare sulla lingua propria dei suoi personaggi per catturare al meglio i loro tormenti interiori.

giovedì 25 febbraio 2016

Space Hulk

 
  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Data uscita:Giugno 2016

     

     


Camminando tra le stanze della location allestita per l'evento dedicato alla line-up di Focus Home Interactive, ci è apparsa quasi dal nulla una di quelle cose che non ti aspetti, un bel giocone dedicato a Space Hulk.
Ok, giochi belli dedicati a Warhammer 40K ce ne sono stati, e in particolare nel recente periodo Games Workshop sembra aver affidato la sua licenza a un bel po’ di team abili, però col nome Space Hulk non ricordiamo nulla di anche solo lontanamente degno spuntato di recente, e vedere un fps incentrato sul marchio già ci ha sorpreso, figuriamoci poi quando abbiamo capito che allo sviluppo c’erano gli Streum On. 
Nel caso non sappiate di chi stiamo parlando, questi sono i tizi che hanno sviluppato E.Y.E. Divine Cybermancy, ex modder con i testicoli quadri, capaci di tirar fuori un gioco per pochissimi, ma ricco di idee e meccaniche complesse come pochi altri sparatutto ibridi al mondo. Ragazzi con un certo talento, in poche parole, anche se non esattamente propensi alla creazione di titoli “accessibili”. Capirete quindi la nostra felicità nel vederli ancora al lavoro su un altro titolo ricco di atmosfere dark e fantascienza.
Space Hulk: Deathwing, questo il nome dello sparatutto, vi mette nei panni di uno Space Marine nella temibile compagnia omonima, armato fino ai denti e impegnato a esplorare una gigantesca nave alla deriva nello spazio. A voi il compito di scoprire il destino del team mandato in esplorazione prima della vostra missione, di cui si son perse le tracce, e possibilmente anche quello di salutare gli abitanti alieni della nave a suon di mazzate e proiettili in faccia. Perché un’accoglienza calorosa è importante.
Deathwing nasce come sparatutto cooperativo a tre giocatori, anche se è tranquillamente giocabile in singleplayer con due compagni guidati dall’intelligenza artificiale. La base su cui tutto poggia è molto semplice: voi controllate un bestione in armatura che deve ammazzare tutto ciò che rappresenta una minaccia durante l’esplorazione del relitto spaziale sopracitato. La mappa della nave, peraltro, è visibile da subito ed è piuttosto estesa, oltre che piena zeppa di xenomorfi parecchio incavolati. 
Che ci fossero alieni da ammazzare era scontato, meno automatico invece ci riusciva pensare al relitto come a una sorta di gigantesco nemico da affrontare, ma gli sviluppatori hanno precisato che le difese sulla nave stellare sono ancora tutte attive, e che trovarsi in una stanza piena di torrette non sarà piacevole, a patto che non si riesca ad utilizzare l’hacking su alcune di loro per facilitarsi la vita. 
Se già non lo aveste notato dalla presenza di meccaniche di hacking appena descritta, Space Hulk: Deathwing non è uno sparatutto comune. Gli Streum On hanno innanzitutto tarato la difficoltà verso l’alto, inserendo nel gioco nemici estremamente mobili e aggressivi, che respawnano in continuazione a ondate per non dare mai un attimo di tregua al giocatore. Le uniche pause saranno ottenibili aprendo dei portali che riportano a bordo della nave madre dei Dark Angels (di cui la vostra compagnia di marine fa parte) e permettono di modificare l’equipaggiamento dei propri personaggi tra una sortita e l'altra. 
L’assalto continuo dei nemici e la diversificazione degli equipaggiamenti danno vita a uno shooter frenetico e arduo, dove sfruttare le armi e gli oggetti in modo intelligente è cruciale e le abilità utilizzabili non mancano. La software house ha sicuramente sfornato un prodotto meno eccessivo di E.Y.E. ma la ruota di abilità dei marine resta impressionante, e oltre a contenere poteri psichici molto utili vanta anche poteri di cura e tecniche legate alle armi usate, il tutto preso a vangate dall’universo di Games Workshop.
La potenza delle automatiche ci ha stupito positivamente, ma al contempo il feeling restituito dalle mazzate di un marine specializzato nel corpo a corpo ci è parso gustosissimo, così come spassose e rapide sembrano le Lightning Claws e le tante altre armi da taglio disponibili.
Difficile dire quanto tattico sarà il gameplay in cooperativa, ma per ora la collaborazione aiuta parecchio, impedendo ai nemici di rendere la squadra di soldati carne trita in pochi minuti. L’IA non è altrettanto preparata agli assalti, eppure può venir a sua volta gestita tramite ordini del giocatore e adattarsi all’azione in modo più adeguato. La presenza di barili esplosivi e trappole, e l’uso di biosensori per prevedere l’arrivo degli Xeno dalla distanza permettono inoltre di usare tatticamente l’ambiente circostante.
Lo diciamo in tutta sincerità, era da tempo che non vedevamo un gioco capace di catturare l’atmosfera di Space Hulk in questo modo. Le porte di acciaio che vengono buttate giù a spadate, i Genestealers che escono da tutti i lati e attaccano senza sosta, il numero mostruoso di armi equipaggiabili e abilità utilizzabili, e il senso di oppressione costante trasmesso dal gioco ci hanno davvero catturato, portando la dimostrazione degli Streum On ad essere uno dei punti più alti dell’evento di Parigi.
È chiaro che questi ragazzi non hanno voluto fare compromessi e hanno mantenuto una struttura ibrida tra shooter e gdr, con rami di skill multipli da sviluppare e meccaniche innumerevoli da padroneggiare, in una campagna che parte già difficilotta e si fa gradualmente sempre più punitiva, con tanto di nemici enormi e corazzati da sconfiggere nei meandri della nave. 
Ci piace. Di brutto.

mercoledì 24 febbraio 2016

Far Cry Primal


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:23 febbraio 2016 - 1 Marzo 2016 (PC)

     

     

    Riuscire a proporre ai giocatori qualcosa di nuovo non è un compito certamente facile, ma Ubisoft negli ultimi anni ha dimostrato di saperci fare e, pur affidandosi regolarmente ai suoi brand più forti, ha sempre proposto in parallelo nuove IP e progetti quantomeno interessanti. Il 2016, tuttavia, è un anno particolare per la casa francese: il nuovo capitolo di Assassin's Creed si prende una pausa e il quinto episodio di Far Cry arriva sulle nostre console pesantemente rivisto e con una variazione sul tema importante. Cambiamenti necessari, questo è indubbio, ma saranno cambiamenti riusciti?
    Far Cry Primal, come il nome lascia facilmente intuire, abbandona di botto l'era contemporanea per gettarci nell'età della pietra tra tribù violente e un mondo ostile pronto a farci a pezzi in mille modi differenti.
    Durante il corso degli ultimi mesi, Ubisoft ha cercato di far arrivare al pubblico, anche attraverso eventi stampa dedicati, il messaggio che Far Cry Primal avrebbe fatto fede agli attrezzi dell'epoca, tentando di dare una spinta molto realistica al suo gioco, pur lasciando intatti tutti quegli elementi che da sempre rendono Far Cry uno dei free roaming più spettacolari da giocare. Purtroppo il risultato finale è stato ben diverso dalle nostre aspettative.
    Questa volta interpreteremo Takkar, guerriero dai poteri incredibili, e unico cacciatore della tribù dei Wenja a poter controllare le bestie più feroci. Un'abilità talmente incisiva che potrebbe essere l'unica via di salvezza per l'intera tribù, sparpagliata nella valle di Oros e costantemente presa di mira dagli assalti degli Izila e degli Udam, le due tribù rivali.
    Senza addentrarci troppo nella storia, sappiate solo che il vostro compito consisterà nel salvare dalla furia dei vostri nemici i vostri fratelli e riunificare la tribù in un unico villaggio di capanne.
    Inizierete ovviamente senza troppi strumenti per scendere in guerra ma, con il passare del tempo e con l'entrata in scena di una moltitudine di personaggi secondari decisamente sopra le righe, apprenderete la vera via del cacciatore, potenziando le vostre abilità, acquisendo nuovi strumenti per la caccia, come trappole e schegge da lancio, e nuove potentissime abilità. Nel gioco tutto questo si traduce in un sistema di progressione ben noto agli amanti della serie, con livelli e punti esperienza che vi daranno accesso ai rami delle abilità, liberamente selezionabili per poter adattare il vostro stile di gioco a Takkar.
    Non mancano ovviamente i talenti per rendere il vostro alter ego più resistente, più veloce o in grado di ammaestrare le bestie più pericolose, ma spendere i punti non sarà un compito particolarmente bisognoso di strategia, visto che il titolo vi permetterà di collezionare con il tempo ogni singolo talento per Takkar, senza la necessità di studiare quindi una build specifica.
    Mentre il vostro potere cresce, aumenteranno anche i nemici che le quest vi porteranno ad incontrare. Da semplici cavernicoli vestiti di gonnellini di pelle arriveremo a dover affrontare arcieri corazzati e avversari capaci di tirare bombe velenose o prototipi antichi di "molotov", una soluzione che fa storcere un po' il naso, se per l'appunto pensiamo al periodo storico, ma giustificata all'interno del gioco con l'adorazione specifica di alcune divinità che fanno del fuoco e del veleno i loro simboli di culto.
    È un sistema che ha permesso a Ubisoft di aggiungere all'arsenale a nostra disposizione qualche attrezzo in più rispetto alle semplici armi bianche ed archi, fattore comunque non sufficiente a dare lustro a un gameplay che risulta essere ben presto troppo ripetitivo.
    Non parliamo solo del sistema di combattimento, troppo rozzo per un titolo che dovrebbe fare degli scontri melee il fulcro dell'azione, ma anche di un sistema di missioni e di raccolta dei materiali che già dopo la prima ora sembra volersi ripetere all'infinito senza soluzioni o trovate geniali che riescano a cambiarne il ritmo.
    La storyline principale, dal canto suo, non riesce a dare quello stimolo necessario a continuare a giocare con intensità, un problema che gli altri Far Cry non subivano allo stesso modo.
    La scelta di dotare le diverse tribù di un linguaggio fatto di urla e versi è sicuramente lodevole per quello che concerne l'originalità, ma non riesce a coinvolgere il giocatore nel modo giusto, costretto com'è a dover continuamente leggere i sottotitoli per non perdersi elementi interessanti della storia.
    Questo è un vero peccato, perché mentre sarete intenti a seguire i dialoghi a schermo correranno sullo sfondo scene particolarmente curate, esaltate da un comparto tecnico davvero di altissimo livello. Non parliamo solo di texture e di espressioni facciali ma di un mondo vivo, estremamente particolareggiato e di panorami magnifici, con giochi di luce che esaltano e rapiscono. Oros è un mondo vasto, forse fin troppo enorme se pensiamo che l'estensione della mappa è simile a quella di Far Cry 4 ma che questa volta potremo spostarci solo a piedi senza mezzi di sorta, eppur realizzato con una cura meticolosa.
    Solo nella seconda parte dell'avventura infatti entreremo in possesso della capacità di cavalcare alcune delle bestie ammaestrate e di soggiogare anche mammut per movimenti più rapidi e sicuri.
    Takkar, come dicevamo, è un beastmaster esperto, dotato di poteri speciali, e con la semplice pressione di un tasto - avremmo preferito qte o missioni più complesse per ammaestrare le belve - vi sarà possibile fare vostra quasi qualsiasi fiera presente sulla mappa di gioco.
    Dai piccoli Licaoni, passando per lupi, orsi, tigri dai denti a sciabola fino ad arrivare ai feroci tassi del miele, tutti gli animali si piegheranno alla vostra volontà diventando fedeli servitori e aiutandovi in battaglia. L'ia gestisce le belve in maniera semplice e più che ordinargli di stazionare in un punto o attaccare uno specifico nemico non potrete fare. Le meccaniche stealth seguono invece le impronte lasciate dai capitoli precedenti, con l'animale al vostro fianco che si adegua alla vostra posizione. Nel caso riusciste ad addomesticare un giaguaro potrete tranquillamente far fuori un intero campo di Udam senza che questi si accorgano di nulla.
    Al posto dei megafoni questa volta ci sono corna che possono essere suonate dai nemici per chiamare rinforzi, ma le meccaniche di gioco rimangono quelle che avete imparato ad apprezzare in passato. Uccisi tutti gli abitanti di un campo ed incendiata la pira di segnalazione potrete poi usare il suddetto come punto per il teletrasporto, in modo da velocizzare i vostri spostamenti e la raccolta di risorse.
    Ci saranno da raccogliere varie tipi di erbe, rocce e pelli di animali per ampliare il vostro villaggio, in un modo che ben presto vi darà noia. Nel nostro caso, purtroppo, ad un certo punto abbiamo addirittura disattivato le animazioni per velocizzare il processo di raccolta, dato che proprio non ne potevamo più di vedere Takkar scuoiare bestie o strappare rametti e fili d'erba, sintomo che il gioco ha grossissimi problemi di ripetitività.
    Far Cry Primal offre contenuti che potranno tenervi impegnati tranquillamente per oltre venti ore di gioco, ma di queste solo una decina saranno dedicate alle quest principali. Il resto viene amalgamato in un mix di collezionabili, missioni secondarie identiche tra loro ed eventi casuali che vi permetteranno di accrescere la popolazione nel vostro villaggio. Manca insomma maggior profondità nel sistema di gioco, così come nel combat system, ed è dovuto con molta probabilità al poco tempo di sviluppo intercorso tra questo capitolo e Far Cry 4. Anche alcune animazioni di cura, così come i combattimenti contro gli alligatori e i movimenti delle altre creature in gioco, ricordano fin troppo da vicino quelle viste nel capitolo precedente, uno scomodo e davvero fastidioso deja vu. Proprio le animazioni hanno alti e bassi paurosi, con alcuni momenti scriptati molto intensi e altri combattimenti con l'ia coinvolta che cadono in un baratro profondo. Uno dei veri punti di forza e di differenza di Primal poteva risiedere nel nostro compagno gufo, che possiamo richiamare in qualsiasi momento,e utilizzare sia come sentinella sia come vero e proprio bombardiere. Purtroppo abbiamo trovato il suo inserimento davvero superfluo e la sua presenza impalpabile ai fini dell'esperienza complessiva. 

venerdì 19 febbraio 2016

Zheros

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Rimlight

     

     

    Già recensito su queste pagine qualche giorno fa, Zheros, la prima fatica dello studio catanese Rimlight, dopo essere approdato su Xbox One è apparso finalmente anche su PC, dopo una gestazione di un paio di mesi. Proprio qualche tempo fa infatti, con i ragazzi di Rimlight Studios fa noi di Spazio abbiamo avuto l’occasione di passare un bel pomeriggio assieme, giocando e mostrando in diretta la versione Xbox One. Proprio in quel Live, ci dissero che Zheros sarebbe apparso da lì a breve anche su Steam, ritoccato in alcuni frangenti e dopo essere stato migliorato sotto alcuni aspetti. Dunque, eccovi qua la mia recensione della versione PC che, a dirvela tutta, mi ha soddisfatto sotto alcuni punti di vista, migliorando di un poco l’esperienza già più che soddisfacente su console. I cambiamenti? Piccoli ma essenziali, seguite il mio articolo per conoscerli.
    Per i ritardatari che non hanno ancora mai sentito parlare di Zheros, ecco un piccolo riepilogativo di questo nuovo titolo. Nato da uno studio italianissimo con sede a Catania ad opera dei ragazzi di Rimlight, Zheros ricalca come se fosse un foglio di carta carbone i classici beat ‘m up a scorrimento del passato. Nato dall'amore per i classici arcade da sala giochi ad opera di alcuni trentenni che davanti ai cabinati ci sono cresciuti, Zheros ripropone la formula molto semplice di un picchiaduro a scorrimento con il classico sistema di button mashing a combo, dove la tempistica degli input e la concatenazione delle varie combo è lo scheletro principale del titolo. Nel titolo di Rimlight saremo chiamati ad impersonare due improbabili ranger spaziali che dovranno arginare la minaccia crescente del Dr. Vendetta, il cattivone di turno che ha come hobby la passione di ridurre in cenere i pianeti sparsi nell'Universo. Se cercate videogiochi da trame complesse ed articolate, lasciate perdere questo titolo: il coinvolgimento di questo titolo sta altrove, e cioè nella sua difficoltà che arriva diretta dagli anni ’80. Zheros è dunque un titolo impegnativo a i livelli elevati, reso meno punitivo nella sua versione PC. Quello che ho notato difatti, soprattutto in alcuni stage avanzati, è stato il bilanciamento che i programmatori hanno applicato ai nemici, soprattutto nelle situazioni più confusionarie. Più di una volta mi era capitato su Xbox di morire a metà livello a causa di picchi di difficoltà improvvisi, con nemici multipli a schermo che non davano respiro al nostro povero protagonista. Una scelta migliore del posizionamento dei nemici, ora permette un livello di sfida elevato, complesso ma sicuramente meno frustrante, soprattutto verso i livelli finali. Per quello che riguarda il sistema di combattimento in generale invece, è rimasto sostanzialmente invariato sia nelle combo effettuabili sia nei potenziamenti.
    Ora, anche con un po’ di sana malizia, è il momento di porre l’accento su quello per cui Zheros, nella sua versione Xbox One, non aveva del tutto convinto. Nonostante la grafica colorata e ben rifinita, il titolo di Rimlight peccava sotto certi punti di vista tecnici, come ad esempio il frame rate che nelle fasi più concitate scendeva di molto i 60fps dai quali partiva e la risoluzione, a 720p, che di certo non aiutava la fluidità dei personaggi a schermo. Probabilmente complice la facilità di programmazione rispetto alla versione su console, questa versione PC sembra riuscire a superare quelle limitazioni tecniche, nonostante il titolo riesca a girare comunque senza grande bisogno di un hardware potente. Giocandoci, ho potuto notare che i cali di frame rate sono molto più rari rispetto alla sua versione gemella Microsoft, donando un’esperienza videoludica più lineare, appagante e meno frustrante, considerando la generale difficoltà elevata del titolo dove una schivata eseguita male può dichiarare una dipartita prematura e l’obbligo di ricominciare da capo il livello. Leggera miglioria riscontrata in questa versione PC, è la quasi completa sparizione degli effetti di aliasing che, assieme al frame rate quasi granitico, aumentano di molto la fluidità generale del titolo. Insomma, i ragazzi di Rimlight, forse aiutati dal fatto che l’architettura di programmazione su PC è meno complessa di quella su console, sono riusciti ad ottimizzare il proprio titolo, portando nella libreria di Steam un prodotto rifinito e migliorato sotto gli aspetti che nella vecchia recensione avevamo in parte criticato: il bilanciamento ed il comparto tecnico.
    Ho giocato Zheros con un codice fornito dai ragazzi di Rimlight. Mi sono divertito (parecchio) su un PC portatile di fascia media, con i settaggi impostati su medio-alto. Le pretese hardware non sono elevatissime e, nonostante, tutto Zheros riesce a dare il meglio di sé, grazie alla grafica colorata e cartoonesca, e grazie ad un comparto tecnico che riesce a mantenere l’esperienza di gioco su buoni standard

     

Rusty Lake Hotel

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Rusty Lake

  • Data uscita:29 gennaio 2016

     

     

    Di questi giorni non è così difficile trovare giochi fuori dagli schemi. Per sentirsi originali basta girare per le pagine infinite delle piattaforme di digital delivery, e trovare il titolo adatto ai propri gusti. Se per caso siete alla ricerca di un titolo tranquillamente definibile come inquietante, ma in qualche modo affascinante e ragionevolmente impegnativo al tempo stesso, Rusty Lake Hotel potrebbe fare al caso vostro. Curiosi? Bene, ma non dite che non vi avevamo avvisato.

    Sviluppato da Rusty Lake, e disponibile a € 1,99 su Steam, Play Store e App Store, Rusty Lake Hotel è un punta e clicca in cui verremo trasportati nelle atmosfere della omonima serie Rusty Lake, composta da vari flash game ambientati sulle acque del misterioso lago in questione. In Rusty Lake Hotel, nello specifico, saremo incaricati di accogliere i cinque ospiti dell’albergo, e far sì che le loro esigenze siano perfettamente soddisfatte. Tra le altre cose, ogni sera saremo incaricati di consegnare al cuoco dell’hotel gli ingredienti fondamentali per la cena, che sarà poi giudicata dai nostri ospiti. Andare oltre con la spiegazione della trama ci metterebbe a rischio spoiler, svelando qual è il plot twist su cui peraltro si basa tutto il titolo. In ogni caso, non passeranno molti minuti prima di capire qual è il vero senso del gioco, e il suo macabro humour. Va ricordato, peraltro, che il gioco si inserisce appieno nella serie Rusty Lake, per cui il finale della storia sarà influenzato dalla propria conoscenza delle vicende degli altri giochi.
    Come è possibile vedere dalle immagini, in ogni caso, Rusty Lake Hotel propone dei personaggi dalle fattezze di animali antropomorfizzati: abbiamo così un distinto maiale, un elegante cervo, una colombina dai modi gentili, e così via. Lo stile grafico è veramente ben curato, e fa sì che l’atmosfera sia d’impatto, pur senza proporre particolare artifici estetici.


    Come abbiamo già accennato, dal punto di vista del gameplay, Rusty Lake Hotel è un punta e clicca bidimensionale di stampo classico. Nelle varie schermate, allora, dovremo interagire con gli oggetti, risolvere enigmi, utilizzare l’inventario e parlare con vari personaggi. Abbiamo detto che il nostro compito è quello di servire una ottima cena e di deliziare i nostri ospiti, per cui per la maggior parte del tempo il giocatore sarà chiamato a girare per le stanze degli animali, cercando di proporre un’assistenza degna di questo nome.
    Dal punto di vista delle dinamiche di gioco, dobbiamo dire che il titolo si presta molto spesso al pixel hunting, soprattutto perché il cursore del mouse non cambierà forma quando si passerà sopra ad un hot spot, e anche perché è richiesta una certa precisione. Gli enigmi, d’altro canto, non saranno quasi mai insormontabili, anche perché il gioco provvederà a dare alcuni indizi attraverso gli ambienti stessi, ad esempio grazie a quadri e fotografie. C’è da dire che la difficoltà maggiore sarà costituita dall’entrare nell’ordine di idee degli sviluppatori, e del mondo di Rusty Lake. Una volta fatto ciò, e aver compreso pacificamente qual è il proprio obiettivo, il resto verrà più o meno da sé. Anche nel caso ci si dovesse trovare completamente bloccati, poi, c’è da sottolineare la buona integrazione del gioco con i walkthrough messi a disposizione dagli stessi sviluppatori; cliccando sulla voce corrispondente del menu principale, infatti, si aprirà una pagina del sito ufficiale della produzione, contenente il video con tutte le soluzioni relative all’ambiente in cui si è impegnati in quel momento. Tutto ciò ci porta a dire che l’esperienza di gioco di Rusty Lake Hotel terrà impegnati per non più di due ore; si tratta dunque di un gioco breve, se si vuole anche ripetitivo nelle dinamiche, ma che riesce ad affascinare grazie ai suoi personaggi, e alla piacevole difficoltà degli enigmi.

    Tecnicamente parlando, la versione PC di Rusty Lake Hotel non è altro che un flash game. Questo significa che il gioco girerà senza particolari problemi sulla totalità delle configurazioni hardware disponibili. Come detto in precedenza, l’aspetto grafico è affascinante, e consente di dare al titolo un’impronta decisa, e in linea peraltro con gli altri titoli della serie Rusty Lake.Il sonoro, invece, propone alcune melodie di fondo brevi, e che accompagneranno i vari momenti di gioco (come la presentazione della cena, e l’inizio di una nuova giornata); sono ovviamente presenti, poi, i vari versi degli animali ospiti dell’albergo.

mercoledì 17 febbraio 2016

American Truck Simulator California

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Guida arcade

  • Sviluppatore:SCS Software

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  • Data uscita:2 febbraio 2016

     

     

    Provate a pensare a un gioco insospettabile che vi ha permesso di vivere un’esperienza rilassante, eterea, vicino quanto il più possibile a un qualcosa che possa definirsi spirituale. Le vostre risposte potrebbero sorprendervi. Per quanto assurdo possa essere, uno dei primi giochi che mi salta in mente quando penso a un’esperienza “spirituale” è Euro Truck Simulator 2. Questo perché, nel momento in cui riuscivo a fare una curva senza incastrarmi in un palo della luce per le strade di Londra, l’andare placido del mio camion, accompagnato dallo streaming di una qualche radio di ottimo brit pop, riusciva a mettermi sempre in una buona predisposizione d’animo. Da qualche giorno lo studio SCS Software è tornato sulla scena con il nuovo capitolo della serie, chiamato American Truck Simulator. Sostituite Londra con San Francisco, il brit pop con l’intramontabile country, e iniziate con noi questo viaggio alla scoperta delle impressioni che ci ha lasciato questo nuovo titolo .

    Come avete intuito, abbiamo approcciato questo nuovo titolo con le migliori intenzioni, e anticipiamo già da ora che tutto il buono contenuto in Euro Truck Simulator 2 è presente anche in American Truck Simulator. Non svolgeremmo appieno il nostro ruolo informativo, però, se non vi avvertissimo del fatto che questo nuovo titolo SCS Software è, tutto sommato, un “more of the same” di quanto già visto nei giochi precedenti. Questo vuol dire che lo scopo principale del gioco sarà ancora quello di guidare camion, questa volta per le strade assolate della costa ovest statunitense; ciò implica la presenza di città iconiche come San Francisco, Los Angeles e Las Vegas. Anche in questo capitolo, dovremo iniziare la nostra carriera accettando incarichi da dipendente, fino ad accumulare i soldi necessari a comprare un camion di nostra proprietà. Una volta fatto ciò, diventeremo veri e propri tycoon del trasporto su gomma, e potremo continuare a prosperare. Dicevamo che le differenze con il capitolo precedente della serie sono poche, e difatti basterà una prima occhiata ai menu di gioco per rendersi conto di quanto poco o nulla sia cambiato, almeno dal punto di vista dell’impressione generale. Difatti, il gameplay offre alcune variazioni sul tema, ma la sensazione è che, al momento, il titolo si basi sulla struttura classica di Euro Truck Simulator 2, proponendo però un numero inferiore di contenuti. Nel momento in cui scriviamo, infatti, sono disponibili solo due marche di camion (KenWorth e Peterbilt), e soprattutto solo due mappe di gioco, corrispondenti agli stati di Nevada e California. È pur vero che gli sviluppatori hanno promesso l’arrivo di nuovi contenuti gratuiti, tra i quali l’aggiunta dell’Arizona, ma al momento l’impressione è che American Truck Simulator sia un po’ un contenitore che attende di essere riempito. La scena amatoriale, peraltro, si è già messa all’opera, e considerato che l’impianto di gioco è simile a quello di Euro Truck Simulator 2, non bisognerà attendere molto prima dell'arrivo della stessa quantità di mod ammirata in passato.

    ”Oh, say can you see, by the dawn's early light…”

    Dal punto di vista del gameplay, il titolo propone grossomodo il modello di guida già visto in precedenza. Questo significa che bisognerà fare molta attenzione durante le fasi di manovra iniziali, e altrettanta attenzione durante i parcheggi. Riguardo a questo aspetto, dobbiamo registrare una novità, ovvero la possibilità di scegliere tra tre opzioni differenti di parcheggio del proprio camion. Si parte dalla modalità automatica, che sostanzialmente consiste nel saltare a piè pari la fase di manovra, fino ad arrivare all’opzione preferita dai professionisti del trasporto su gomma, ovvero quella che prevede la gestione dei minimi spostamenti del proprio mezzo. Va da sé che, a seconda delle scelte effettuate in fatto di parcheggi, e alla bravura dimostrata nei vari viaggi, si riceveranno eventuali punti esperienza, utili per progredire nella nostra carriera. Tutto ciò consente peraltro di sbloccare alcune abilità speciali (come la possibilità di effettuare viaggi più lunghi): una dinamica, questa, già vista in Euro Truck Simulator 2.
    Tra le altre chicche, si segnala la presenza delle stazioni di peso, che investigheranno sulla stazza del nostro mezzo, nonché la presenza delle auto della polizia statunitense, sempre pronte a farcela pagare per la minima scorrettezza (con delle multe che, peraltro, sono sempre salatissime).
    Non ci ha convinto del tutto, invece, la scala delle mappe di gioco, che risultano forse un po' troppo compresse. Da una parte si è trattato di una manovra necessaria per coprire la totalità del territorio degli stati coinvolti, ma dall’altra crea dei fastidiosi contrattempi, come cambi dei limiti di velocità bruschi (che si risolvono spesso in multe proprio per eccesso di velocità).  Dal punto di vista dell’esperienza di guida, va da sé che l’opzione migliore rimane quella di lanciarsi sulle strade in compagnia di un volante non solo più che buono, ma anche con molti tasti. I circa sedici pulsanti del nostro G25, ad esempio, bastano a malapena a coprire le funzioni che abbiamo ritenuto più utili. D’altra parte, avere a disposizione un cambio ad H si conferma cruciale nel cercare di dare ancora più profondità al modello di guida, grazie ai vari layout selezionabili, che presentano un numero di marce superiori rispetto al capitolo europeo della serie.
    Si possono esprimere un sacco di parole sul gameplay del gioco che stiamo recensendo, sulla validità del suo modello di guida o sulla palese mancanza attuale di contenuti. Il fatto è che, nonostante tutte queste considerazioni, il titolo SCS Software è riuscito comunque a riproporre la caratteristica più importante: American Truck Simulator è, senza ombra di dubbio, un titolo poetico. È questo, difatti, l’elemento che fa sì che questa serie di titoli abbia un fascino così particolare, e non è neanche tanto difficile spiegarne il perché. Dal punto di vista grafico, infatti, quella che si può ammirare in American Truck Simulator è in sostanza la stessa grafica di Euro Truck Simulator 2, ma più definita, soprattutto più fluida, e con una tavolozza di colori più satura e d’impatto. Anche il traffico cittadino e il manto stradale hanno beneficiato di questo restyling, risultando ora più realistici. Anche la IA che governa le altre vetture, tutto sommato, ci ha soddisfatti, facendoci risparmiare un gran numero di imprecazioni agli incroci.
    Gli scorci che regalano le nuove ambientazioni californiane, specie al tramonto, riescono ad emozionare grazie anche a un sistema di illuminazione che ora indugia maggiormente sulle fonti luminose più forti, come appunto il sole e le luci artificiali delle città (l'uso di bloom sembra essere difatti maggiore rispetto al passato, così come dell'HDR).
    Parlare del comparto audio, cambiando argomento, vuol dire fermarsi a constatare come il sonoro sia uno degli elementi principali nella formazione dell’esperienza “spirituale” proposta dal gioco. Come da tradizione, infatti, il titolo consente di allietare i propri viaggi con l’ascolto della propria libreria audio MP3, ma soprattutto con lo streaming di web radio. Questo significa tanta musica rock, ma soprattutto country, pronta ad accompagnarci durante le nostre sessioni; difatti, è proprio questo elemento quello che riesce a ricreare più di tutti l’atmosfera a stelle e strisce che il titolo vorrebbe proporre. Ascoltare la canzone giusta, al momento giusto, è un’esperienza difficilmente riproducibile anche in altri titoli (pensiamo ad esempio a GTA V, che in teoria potrebbe riproporre gli stessi scenari e la stessa musica). Se siete indecisi su quali canzoni ascoltare, ecco alcuni umili suggerimenti per iniziare: “Vincent” di Don McLean (rigorosamente di notte e su strade non trafficate), “Old Enough” dei Racounters (nella versione con Ricky Skaggs e Ashley Monroe), la versione di Gillian Welch di “I’ll Fly Away”, e “Acid Tongue” di Jenny Lewis. Non ve ne pentirete.

martedì 16 febbraio 2016

Layers Of Fear

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Data uscita:16 febbraio 2016

     

     

    Dare credibilità a un genere inflazionato come l'horror sta diventando davvero complicato. Tra emuli senza vergogna, titoli che non offrono nulla di realmente nuovo, trame scontate e scarejump da quattro soldi, uscirne fuori indenni è un'impresa più grande di quanto si possa immaginare. Layers of Fear, sebbene abbracci con decisione alcune soluzioni moderne ormai abusate, riesce a distinguersi dalla massa grazie a una storia che parte da ottimi presupposti, fondendo le ossessioni di un dramma familiare dai contorni torbidi e malsani con le terribili suggestioni allucinatorie di un pittore con irrecuperabili problemi mentali. 
    Le origini dei profondi disturbi dell'artista risiedono, in parte, nella volontà di creare quel capolavoro indiscusso che diventerebbe la testimonianza di un talento inarrivabile, ma trovano appiglio anche nei suoi tormenti personali, nelle paure profondamente radicate e negli orrori grotteschi creati dalle false percezioni. Ossessionato dal proprio talento e dal timore di fallire in questa impresa, il protagonista zoppica lungo il suo maniero ottocentesco, dove dipinti inquietanti, ricordi terribili e osceni strumenti del mestiere raccontano una storia ben peggiore di quanto si possa intuire dalle fasi iniziali. Costretto a una scarsa mobilità da un handicap acuito dalla scadente protesi al ginocchio, il pittore si muove un'ambientazione che muta costantemente davanti ai suoi occhi, generando nuove stanze, corridoi, saloni e porte che conducono in luoghi surreali e onirici, capaci di dimostrare quanto sia disperato il progressivo distacco dalla realtà dell'artista. Le visioni, i file di testo e gli elementi dello scenario scavano a fondo nel passato del protagonista, consegnando all'utente una storia che fino a tre quarti dell'opera riesce a mantenere alta la curiosità, finendo per essere un po' sbrigativa e inespressa nel finale, dove viene messa in scena una "condanna" di cui già se ne intravedeva la forma. A dispetto di tutto ciò, è ottimo il modo in cui viene rappresentata la schizofrenia del pittore, con momenti psichedelici che difficilmente dimenticherete, al contrario di un paio di scarejump gratuiti e già visti altrove. L'atmosfera è davvero ottima e ricrea il fascino delle "ghost story" tipiche della letteratura a cavallo tra '800 e '900, strizzando l'occhio alle architetture e ai dipinti dell'epoca, e usando il concetto della stratificazione dei colori per riutilizzarlo in una tecnica narrativa a scaglioni che funziona molto bene, nonostante le piccole sbavature. Gli eventi del passato vanno insomma ricostruiti spulciando tra la mobilia e subendo ciò che ha in serbo per voi ogni nuova stanza, in un percorso che è tutto sommato molto lineare anche per quanto riguarda il level design.
    Nonostante il protagonista sia zoppo, e dunque più vulnerabile di un qualunque altro personaggio nel pieno delle sue forze, gli sviluppatori non sono stati in grado di sfruttare questa interessante caratteristica. Sebbene Layers of Fear sia un gioco atmosferico, che in un'escalation di lucidi deliri crea ansia e tensione tramite l'imprevedibilità delle situazioni che presenta al giocatore, va detto che nessun pericolo tangibile è in grado di uccidere il protagonista. A livello narrativo tutto ciò ha un significato logico e ben preciso, ma si tratta a conti fatti di un limite che annienta all'istante il senso di pericolo che ogni buon horror dovrebbe avere. Quando si ritrova faccia a faccia con l'orrore, sorpreso e senza vie di fuga, il pittore perde i sensi e rinviene in luoghi ignoti della casa come da copione, rendendo così vano ogni possibile tentativo di liberarsene d'istinto. A ciò è legato un altro problema più di rilievo, che noterete già dopo le prime battute: Layers of Fear è gestito da una mole impressionante di script. Quasi ogni corridoio o stanza ne contiene uno: che sia uno spavento improvviso, un'apparizione fantasmatica, oggetti che volano via d'improvviso o il crollo inaspettato della masserizia, saprete sempre che qualcosa – a intervalli grossomodo regolari – accadrà di certo. Ci sono senz'altro degli ottimi spaventi, ma quando comincerete a intuire gli schemi usati per metterli in atto, vi muoverete con meno circospezione e un pizzico di spavalderia in più. Rimanendo in tema di script, la parte finale è quella dove si nota maggiormente un po' di sofferenza nell'avanzamento. Giusto per fare un esempio, in una zona specifica bisognerà trovare degli oggetti molto piccoli in un grande salone che muta continuamente la sua struttura, ma se non vi avvicinerete abbastanza al punto esatto previsto dal gioco non si attiverà la transizione successiva. Si tratta inoltre della parte più debole del titolo, che si comporta fin lì abbastanza bene, soprattutto grazie ad alcune sezioni da psicosi allucinatoria che spiccano maggiormente delle altre. 
    Giocare a Layers of Fear significa inoltrarsi pericolosamente nella mente contorta e malata di un'artista deviato, dove tutto è deformato, precario, pazzesco; è un'ossessione vissuta a passo d'uomo, come in un vero e proprio "walking simulator", e l'effetto che fa è quello di trovarsi prigionieri in una casa degli orrori da cui è davvero impossibile uscire. L'angosciosa ricerca del capolavoro perfetto si mescola ai sensi di colpa che emergono nei rari momenti in cui la pazzia si ritira per lasciare spazio agli ultimi residui di lucidità, ma non vi ci vorrà molto a capire verso quale direzione il protagonista si sta davvero dirigendo. I rari puzzle che troverete lungo il cammino sono tutti piuttosto semplici e intuitivi, e si limitano nella maggior parte dei casi al reperimento di tre numeri da inserire nel tastierino numerico di turno.
    Artisticamente Layers of Fear è molto bello, con un'ambientazione solenne - il maniero - che pare respirare affannosamente e scricchiolare sotto l'insostenibile peso della nequizia umana. Si espande, si contorce, si ribella al dramma consumato tra le sue mura, vive e soffre come un personaggio reale. I suoi interni sono arricchiti da dipinti inquietanti: un adulto in una posa fiera col viso inadeguato di un bambino, un primo piano di un uomo con la bocca slabbrata e il sorriso enorme, le rivisitazioni oscure di celebri capolavori. Lo stile e gli intenti sono dunque molto chiari, diretti e senza tentennamenti. Tecnicamente, invece, su console si nota un frame rate più instabile rispetto alla controparte PC, che si comportava meglio già in fase di accesso anticipato. Niente di troppo grave, sia chiaro, ma ci sono dei rari momenti in cui si scende attorno ai 20-15 FPS, con rallentamenti che divengono più evidenti quando si prova a ruotare di scatto la telecamera. Trattandosi comunque di un titolo al chiuso, dove la conduzione di gioco è sempre molto controllata, siamo di fronte a un problema tutto sommato marginale, che non mina la godibilità del gioco.

Street Fighter V


  • Piattaforme:PC, PS4

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:Capcom

  • Data uscita:16 febbraio 2016

     

     

    Ora probabilmente sembrerò uno di quei vecchietti che guardano i lavori e si lamentano per tutta la giornata... ma in passato, oltre ad avere Maxibon più grossi, birre che costavano meno, e una diffusione nettamente minore dei risvoltini, la vita per i redattori era maledettamente più facile. Già, perché i giochi non avevano bisogno di patch da 12 giga per funzionare a dovere, il gaming episodico era davvero poco diffuso, e i titoli online si evolvevano molto più lentamente, garantendo una valutazione piuttosto sicura un po’ di tutto. Adesso però la situazione è cambiata, e ci troviamo in un settore in continua evoluzione, dove persino titoli la cui struttura è rimasta invariata per decenni come i picchiaduro sono sensibilmente cambiati. 
    Killer Instinct è stato uno dei primi prodotti a inseguire una strada più vicina a quella dei free to play, con un roster in crescita costante e contenuti aggiunti di volta in volta, e ora tocca anche allo storico marchio Street Fighter fare il grande salto, cavalcando un capitolo pensato per crescere nel tempo grazie ad aggiornamenti continui. L’idea di fondo è indubbiamente intelligente, e garantisce lunga vita all’ultima creatura di Capcom, ma c’è un problema: il titolo nei negozi sta uscendo a prezzo pieno, e lo stato in cui ve lo ritroverete tra le manine in questi primi giorni dopo la release non è quello che mi sarei aspettato. 
    Eh sì, in passato era più semplice recensire i videogiochi. Altroché. 
    È apparso evidente da subito come Capcom puntasse molto su Street Fighter V. La casa nipponica non naviga nell’oro, nonostante il successo dei Monster Hunter in patria, e da tempo si sente il bisogno di un progetto tripla A prestigioso ad opera dei suoi sviluppatori interni, anche per via della cura intensiva di Remastered di vecchie glorie propinataci negli ultimi anni. Per quanto tuttavia il nome “Street Fighter“ risulti un gran punto di partenza per far rifiorire le casse, il genere di cui fa parte da tempo ristagna nel mercato, e con una concorrenza sempre più spietata nei negozi era difficile prevedere guadagni strabilianti per un nuovo titolo di questa tipologia. Da qui probabilmente è nata la nuova strategia brevemente descritta nell’intro dell’articolo: rendere Street Fighter uno strano ibrido tra un titolo retail e un free to play, con un flusso costante di nuovi contenuti, personaggi ottenibili con una valuta in-game (o, in alternativa, soldi reali), e un lancio un pochino disossato con soli 16 combattenti nel roster. 
    Una base accettabilissima, specie se si considera che questo capitolo vuole far da ponte tra Street Fighter IV e il glorioso Third Strike, con meccaniche cambiate quasi completamente dal predecessore e rimaneggiate per rendere i combattimenti più accessibili e spettacolari. E, già che ci siamo, parliamo proprio di questo combat system rinnovato, ampiamente esplorato nella beta ma ora descrivibile in tutto il suo splendore. Street Fighter V ha infatti in parte abbandonato il difficile sistema di combo basato sui link visto in passato, che richiedeva tempismo perfetto nell’inserimento delle mosse, per introdurre combinazioni nettamente più facili da eseguire e completabili anche premendo in modo forsennato le giuste normal (i colpi base) in serie. Da una parte questo abbassa in modo mostruoso le barriere di abilità legate alla perfetta esecuzione di certe tecniche per i giocatori, dall’altra però limita molto l’uso dei colpi leggeri, che in questo capitolo si legano di rado a mosse in grado di far partire combo davvero dannose (con qualche eccezione). 
    Attenzione comunque, la facilitazione delle combo non significa che il gioco sia diventato semplicistico e insoddisfacente per i veterani, visto che sono state introdotte numerose chicche per elevare il sistema e donargli la personalità necessaria. La prima novità è il V-System: una serie di meccaniche difensive, unite a poteri attivabili chiamati V-Trigger, che regala una varietà vista di rado nella serie al roster. Ogni combattente in pratica ha un potere speciale legato a una barra ben visibile, a cui viene appaiata una skill di difesa specifica. Si passa da potenziamenti temporanei delle fireball a status che mutano le proprietà delle mosse, fino ad arrivare a mosse aggiuntive che rendono l’offensiva molto pericolosa. Persino le V-Skill appena tirate in ballo non sono mai simili tra loro, e se Ryu dispone di una parry piuttosto simile a quella del Third Strike, Necalli può far tremare il terreno a distanze variabili per colpire il nemico, mentre Nash e M.Bison contrastare i proiettili con un gesto della mano. Ogni personaggio poi dispone pure di un V-Reversal, con cui puo tirarsi fuori da brutte situazioni al costo di una tacca della barra.
    Insomma, seppur sia evidente come in parte sia stato ispirato da Killer Instinct, il V-System è più significativo nella strategia dei personaggi di Street Fighter V di quanto non lo sia l’istinto nel picchiaduro di casa Microsoft, e dà vita a ribaltamenti dei match di rara spettacolarità. 
    Non è finita qui, ad ogni modo, perché nel combat system ora si contano anche i Crush Counter, contromosse brutali che stordiscono l’avversario permettendo spesso di punirlo in malo modo, e il gameplay si è in generale spostato verso l’aggressività, poiché gran parte dei personaggi risulta estremamente efficace quando lanciato verso un’offensiva senza tregua, e certi V-Trigger permettono di allungare le combo cancellando alcune mosse. Rimanga chiaro, controllo delle distanze, consapevolezza di quale mossa usare in quale momento, e capacità di variare l’offensiva o mantenere i nervi saldi in difesa sono ancora tutti fattori presentissimi. Questo è, nell’anima, ancora un picchiaduro competitivo e molto tecnico, e anche se alcuni puristi storceranno il naso per l’aumento di intuitività, ho apprezzato in toto i cambiamenti, divertendomi da matti a scoprire le abilità di combattenti vecchi e nuovi. 
    Meno positivo il discorso bilanciamento. Il lavoro fatto sembra buono in molti casi, ma ci sono alcuni matchup che paiono calcolati malissimo (Zangief sembra non poter in alcun modo poter contrastare un Birdie che usa la banana, e no, non ci sono doppi sensi in questa frase, trattasi di buccia di banana lanciata a terra),  poiché certi personaggi dispongono di strumenti che fin troppo bene ne contrastano altri o mancano di mezzi per contrattaccare certe tattiche. Poco male, verrà prevedibilmente tutto ritoccato a forza di patch con l’avanzare dei mesi.
    Adesso però bisogna passare all’inevitabile elefante nella stanza, perché se il combat system mi ha pienamente soddisfatto, lo stesso non si può assolutamente dire dei contenuti. Sapevo che Street Fighter V sarebbe uscito un po’ martoriato dalla sua nuova natura, ma non mi aspettavo un pacchetto così scarno al lancio. 
    Quello che avrete davanti a febbraio sarà un picchiaduro incompleto, probabilmente fatto uscire in questo stato per favorire la stagione di tornei organizzata da Capcom, e pensato quindi per mettere a disposizione il comparto online con poco altro a fare da contorno. Le modalità storia legate ai personaggi, ad esempio, sono assolutamente ridicole. Trattasi di un paio di match a personaggio, con schermate fisse dai disegni abbozzati che narrano vicende completamente prive di pathos, la cui unica utilità risiede nel guadagno di preziosi Fight Points o nella comparsa di alcuni personaggi che potrebbero far parte del cast in futuro tra le vignette. Parlando di Fight Points, proprio attorno a loro ruotano i contenuti in singolo, visto che si tratta della famosa “valuta in-game” di cui discutevo prima, e che possono venir ottenuti sia giocando online che completando le modalità alternative a quelle in rete. Solo che al momento la modalità alternativa è una sola ed è il Survival Mode, un susseguirsi tediosissimo di match dal numero variabile al solo scopo di sbloccare colori alternativi, guadagnare livelli di esperienza e prendere dei punti extra. Ora, considerate che per un personaggio bisogna spendere 100mila Fight Points, e che per ogni incontro vinto online se ne ottengono solo 50. Vi renderete ben presto conto che il survival e lo story mode sono paradossalmente la via più facile, seppur anche la più noiosa, per accumulare punti bonus (che vengono ottenuti anche passando di livello). Non è un processo lungo accumulare i punti necessari a sbloccare un paio di personaggi, ma qui sorge il secondo problemino... non c’è lo store. 
    Il negozio dove comprare i costumi e i nuovi arrivi del roster si sbloccherà infatti a marzo, e assieme a lui arriveranno le sfide, ovvero la solita pletora di combo avanzate che servono a impratichirsi con i guerrieri, gli obiettivi, che vi chiederanno di completare certe azioni nelle partite online per guadagnare altri punti, e perfino lo spectator mode, assente al lancio. In parole povere, fino a marzo del gioco avrete solo lo scheletro, mentre lo story mode serio, quello dotato di filmati e all’apparenza ispirato a quanto visto nei giochi Netherrealm, lo otterrete gratuitamente solo a giugno. 
    Capisco la necessità di non tradire la schedule per i tornei, ma era davvero impossibile aspettare un mesetto per offrire agli utenti un prodotto più completo?
    Considerate che la fretta si nota pure a livello tecnico: il gioco è bello da vedere, con effetti particellari delle mosse di gran qualità, modelli dallo stile vicino a quello di Street Fighter IV ma riuscitissimi e ben animati, e arene colorate e ricche di movimento. Però si notano delle serie imperfezioni a livello grafico durante i caricamenti dei match, come capelli che entrano nei vestiti dei combattenti, o elementi penzolanti che si fondono con poligoni che dovrebbero agilmente sovrastare. 
    Grazie al cielo, il netcode non sembra aver risentito dell’uscita anticipata, e durante la mia prova, con ben pochi giocatori attivi, ha singhiozzato di rado contro utenti europei, dimostrandosi molto simile al GGPO che abbiamo imparato ad apprezzare. Ah, chiaramente si porta dietro le stesse mancanze del GGPO quando ci sono problemi di connessione, quindi aspettatevi avversari che si teletrasportano all’improvviso da un punto dello schermo all’altro se giocate contro qualcuno che sta oltreoceano.
    Peraltro, avrete notato l'assenza del voto in cima alla pagina. Ecco, il motivo è presto detto: durante la prova review, vuoi per la presenza di pochi giocatori, vuoi per i reset continui dei profili, ho notato una certa difficoltà nel trovare i match, classificati e non. Paradossalmente attivare l'opzione passiva per trovare avversari online mentre si fa altro nei menu è risultato quasi sempre il modo migliore per affrontare un numero decente di match. Al contempo, il matchmaking legato alle connessioni e al livello di abilità dei giocatori è risultato leggermente sballato in alcuni casi (appaiandomi con avversari oltreoceano a volte, nonostante avessi precisato di volere solo sfidanti dotati di connessione accettabile). Considerando che, al momento, Street Fighter V è composto al 90% dalla sua componente online, non me la sento di dare una valutazione precisa prima del lancio, senza sapere se tutto funziona a dovere. Le basi comunque ci sono, con il Capcom Fighting Network che mi è piaciuto parecchio, e permette non solo di trovare con facilità determinati giocatori, ma anche di vedere replay cercandoli per personaggio e livello di abilità. Il crossplay tra giocatori pc e ps4 è solo la ciliegina sulla torta di un titolo che, in competitivo, ha molto da dire.

venerdì 12 febbraio 2016

Quantum Break

  • Piattaforme:PC, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Remedy Entertainment

  • Data uscita:5 aprile 2016

     

     

    L'arrivo di Quantum Break si fa sempre più vicino, e con esso aumentano le informazioni reperibili sull'ambizioso titolo dei Remedy. Quantum Break sembra aver avuto uno sviluppo non semplicissimo, il cui rinvio ha suscitato lo sconforto di tutti quei giocatori che attendevano con ansia questa promettente nuova IP. Ormai però non ci sono più dubbi: Quantum Break arriverà il 5 aprile, disponibile sia nella versione Xbox One che quella PC. Siamo qui per informarvi sulle ultime novità trapelate sul titolo, il quale è anche uno dei più promettenti del 2016. L'attesa verrà ripagata?

    Erano già trapelate diverse informazioni riguardo l'incipit narrativo di Quantum Break, facendoci già rendere conto di quanto story-based sarebbe stata l'esperienza costruita dai Remedy. Tutto ha inizio da un esperimento sui viaggi nel tempo il cui fallimento porta a conseguenze disastrose. Il tempo stesso è infatti sull'orlo del collasso, generando alterazioni dagli esiti imprevedibili. In questo scenario troviamo Jack Joyce, un fuggitivo braccato dalla potente organizzazione Monarch Solution, capeggiata dal suo ex migliore amico, Paule Serene. L'esperimento ha concesso loro poteri incredibili, capaci di alterare sensibilmente lo spazio-tempo. Jack è intenzionato a fermare il disastro temporale, ma facendolo andrà esattamente contro le volontà della Monarch Solution, la quale, per qualche oscuro motivo, sembra anelare il caos temporale. Sebbene sia presto per parlare della bontà della trama (già comunque intrigante dalle premesse), possiamo dirvi che tutta la componente riguardante i viaggi temporali è stata realizzata con grande cura.  Il tutto infatti è stato costruito su delle reali basi scientifiche, mettendo in campo teorie e soluzioni non ancora confermate né smentite. Gli sviluppatori sembrano addirittura aver consultato un ex scienziato del CERN per consolidare le basi sulle quali hanno costruito la loro macchina del tempo virtuale (qualcuno ha detto Steins;Gate?).
    La narrazione, per quanto centrale, sarà accompagnata da un gameplay altrettanto promettente ed esaltante. La primissima novità in questo senso è costituita dalla presenza dei poteri temporali. Jack possiede ben sei poteri in grado alterare lo spazio-tempo e di aiutarlo nella sua missione. Di questi ben quattro sono stati resi noti. Il primo di essi è il “Time Vision”, il quale permette di evidenziare i nemici, in modo simile a quanto avviene con la modalità detective di Batman o l'occhio dell'aquila di Assassin's Creed. Il profilo dei nemici verrà evidenziato in rosso, permettendo di conoscerne non solo la posizione, ma anche la tipologia. Segue il cosiddetto “Time Stop”, grazie al quale il protagonista potrà creare delle bolle al cui interno il tempo viene quasi del tutto congelato. Qualsiasi cosa entri a contatto con tale bolla viene rallentata drasticamente per qualche secondo. In questo modo è possibile fermare un'eventuale granata in arrivo, sparare per accumulare proiettili che andranno a colpire il nemico in una volta sola, o intrappolarlo in un'esplosione. Abbiamo poi il “Time Dodge”, un dash istantaneo al cui termine si innescherà una brevissima sequenza in bullet time. Tale potere può essere utilizzato per scansare un nemico in carica all'ultimo momento, portandoci poi dietro di esso, posizione dalla quale potremo facilmente finirlo. Nel caso la traiettoria del dash coincida con uno o più nemici, questi verranno anche atterrati. Infine abbiamo il “Time Shield”, potere che rende Jack totalmente invulnerabile per pochi secondi, generando una sorta di campo di repulsione.
    Dopo aver letto il funzionamento di tutti questi poteri incredibilmente efficaci vi starete sicuramente chiedendo quanta sfida possa esserci in Quantum Break, dato che sembra metterci letteralmente nei panni di una sorta di divinità. Ebbene possiamo dirvi che per quanto Jack sia potente il gioco sarà tutt'altro che una passeggiata. Il primo ostacolo è rappresentato dal tempo di ricarica delle abilità. Gestire efficacemente le abilità a nostra disposizione sarà uno dei cardini principali del gameplay ideato dai Remedy. Ogni potere ha infatti un differente periodo di cooldown, durante il quale saranno impossibili da utilizzare. Sono il “Time Vision” potrà essere usato di frequente, mentre il resto delle abilità prevedono un tempo di ricarica che va dai 6 ai 14 secondi. In questo modo si crea una sorta di componente strategica dove la gestione dei poteri diventa fondamentale per uscire vittorioso dai combattimenti. A questo si aggiunge anche l'IA nemica, la quale sembra avere un comportamento intelligente e aggressivo, con nemici che cercano continuamente di circondarci, di distruggere le nostre coperture e di farci uscire allo scoperto con delle granate. Questa scelta di design è fatta proprio per bilanciare le abilità altrimenti overpower di Jack. Inoltre con il proseguimento del gioco anche i nemici inizieranno ad acquisire poteri temporali, mantenendo costantemente elevato il grado di sfida. Questo perché i poteri in possesso da Jack potranno essere potenziati a loro volta grazie ai cosiddetti Chronons, oggetti sparsi per le varie ambientazioni di gioco.
    Grazie a tutte queste caratteristiche Quantum Break sembra differenziarsi esponenzialmente dai classi TPS. Basti pensare al fatto che le coperture (ampiamente presenti) verranno utilizzate solo per concederci quell'attimo di respiro sufficiente a ricaricare le nostre abilità, o a ripararci da un assalto nemico. Per la maggior parte del tempo infatti sarete allo scoperto, manipolando il campo di battaglia grazie alle abilità sopracitate. E' stata anche segnalata la presenza di piccoli puzzle ambientali, risolvibili grazie ad un uso differenziato dei poteri temporali. Su quanto riuscite siano queste sezioni è ancora presto per dirlo.

    I Remedy hanno indubbiamente lavorato su un gameplay innovativo, ma Quantum Break è anche un esperimento narrativo. Ciò è attribuibile principalmente alla famigerata serie in live action e alla relazione che questa ha con il gioco in sé. Su questo particolare aspetto abbiamo finalmente ottenuto qualche nuova informazione. Mentre il gioco si focalizzerà su Jack e la sua storia, la serie seguirà invece gli antagonisti, in particolare Paul Serene e i principali esponenti collegati alla Monarch Solution. I due intrecci saranno indistricabilmente collegati, influenzandosi l'un l'altro. Tale collegamento avverrà tramite i Juction points, sezioni di gioco in cui il giocatore, rivestendo i panni di Paul Seren, deve affrontare decisioni in grado di modificare l'arco narrativo di entrambi gli intrecci. A differenza di Jack, Paul può intravedere visioni di quelli che saranno gli eventi futuri. In questo modo sarà possibile saggiare immediatamente le conseguenze della propria scelta. Questo tipo di approccio al fenomeno delle scelte che influenzano il mondo nel lungo periodo è inusuale, ma non per questo meno funzionale. Tramite questo espediente sarà possibile interpretare due personaggi dai propositi diametralmente opposti. Tali scelte possono persino decidere il destino dei personaggi della serie, i quali potranno diventare importanti png nel corso del gioco oppure non figurare affatto. Volendo parlare della serie in sé, sembra che quest'ultima sia più che una semplice raccolta di lunghe cutscene in live action, ma possieda una qualità intrinseca abbastanza elevata da renderla realmente appetibile, offrendo l'opportunità di approfondire personaggi e situazioni che altrimenti non avrebbero potuto ricevere la stessa attenzione dedicata. Anche la presenza di un ottimo cast è segno della volontà dei Remedy di rendere la serie una vera e propria esperienza alternativa. 

giovedì 11 febbraio 2016

Hitman


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:IO Interactive

  • Data uscita:11 Marzo 2016

     

     

    Sia nel mondo dei giochi di cui è protagonista, sia al di fuori, l'agente 47 è una sorta di leggenda. Il personaggio creato da IO Interactive è tra gli antieroi più riconoscibili e carismatici del panorama, un protagonista freddo ed efficiente, abbastanza staccato dal concetto tipico di “moralità” da permettere ai giocatori di interpretarlo nei modi più disparati senza doverlo necessariamente percepire come inadeguato allo svolgersi della storia. E i vecchi capitoli di Hitman ce l'avevano una trama, posta quasi sempre in secondo piano in favore del gameplay, ma comunque presente e piuttosto ispirata, al punto da aver portato la serie verso il capitolo noto col nome di Absolution. Quest'ultimo episodio delle avventure di 47 era il più lineare e marcatamente legato alla narrativa della saga: fu apprezzato molto, grazie al suo gameplay spassoso e alla cura riposta nella campagna, ma venne anche criticato dai fan storici della serie per il fatto di essersi parzialmente staccato dalla struttura quasi sandbox dei predecessori per favorire il racconto. 
    Il team di sviluppo ha quindi deciso di fare una parziale marcia indietro, mantenendo in parte il gameplay più fluido e intuitivo di Absolution, ma ritornando alle missioni divise per “mappa” dei capitoli originali, ampliandole a dismisura. Il risultato doveva inizialmente essere un nuovo capitolo con svariate ambientazioni e una trama non meglio precisata, eppure durante lo sviluppo qualcosa è cambiato, al punto da spingere i programmatori a trasformare il nuovo Hitman in quello che viene da loro definito “il primo videogame tripla A a episodi”.
    La cosa non è stata accolta propriamente con gioia esplosiva dalla fanbase, come prevedibile, e i dubbi sui contenuti del primo episodio erano tanti. Oggi, dopo aver affrontato un evento preview piuttosto concreto in quel di Londra, siamo qui per chiarirvi le idee, e per dire la nostra sul perché il titolo forse è stato “spezzato”.
    Considerando la natura episodica del prodotto, era abbastanza prevedibile che la build presente nella location dell'evento fosse quella contenente il prologo e la prima mappa, ambientata a Parigi. Non sapevamo in verità cosa aspettarci a livello di contenuti, quindi siamo rimasti piacevolmente sorpresi quando abbiamo constatato che la prima parte del titolo, invece di essere un semplice tutorial da pochi minuti, offre ben due mappe simulate e spiega le meccaniche con la scusante dell'addestramento. Il motivo è presto detto: il giocatore all'inizio del nuovo Hitman rivive l'addestramento di 47, appena arrivato nella misteriosa “Agenzia”. Le prime missioni che affronta sono quindi delle simulazioni interne, con mappe ricostruite a forza di lamiere e obiettivi precisi utili per assorbire rapidamente le meccaniche. Già queste prime location, comunque, si rifanno al gameplay tipico della saga. La vittima infatti è una soltanto, ma i modi per ucciderla sono molteplici, e persino in queste piccole mappe di allenamento si hanno molte scelte da fare anche solo per quanto riguarda la strada per raggiungerla.
    Prendiamo ad esempio la primissima missione: una festa in yacht che ha per obiettivo un famoso ladro internazionale. Il tutorial guida il giocatore furbescamente verso la strada più diretta, ma una volta completato il compito permette subito di rituffarsi nella mappa, lasciando totale libertà d'azione. Il gameplay alla base sarà familiare a chi ha completato Absolution, con varie armi e gadget equipaggiabili (che possono venir raccolti comodamente in un capanno in legno a inizio mappa durante il tutorial, ma diventano parzialmente selezionabili prima di partire in quelle primarie), la possibilità di scalare ostacoli, mettersi in copertura e muoversi silenziosamente, e la solita capacità di 47 di travestirsi con gli abiti delle sue vittime o trovati in giro. È invece in parte sparito il sistema dell'istinto, utilizzabile a piacere per percepire gli individui attraverso le pareti, ma non più per impedire che un npc particolarmente sospettoso possa scoprirvi se siete camuffati in modo sbagliato. Questa scelta rende l'uso di travestimenti più centrale durante le missioni, e spinge spesso a trovare un qualche personaggio specifico da stordire per superare alcuni blocchi senza bisogno di spargimenti di sangue. Certo, come detto le strade sono molteplici fin da subito, e così come è possibile raggiungere il ladro della prima missione travestendosi da cuoco e avvelenare il suo drink, un approccio puramente stealth senza travestimenti non è necessariamente da scartare. 
    Le cose si fanno già più complicate durante la seconda missione, che si tiene nella riproduzione di una base militare. Qui le opzioni aumentano notevolmente, e se tirare dritto verso la stanza del bersaglio può tranquillamente pagare, ucciderlo in modo creativo è indubbiamente più appagante. Contate che c'è persino modo di scagliarlo nell'aere sabotando il meccanismo di espulsione di un jet, tra le altre cose. 
    La ciliegina sulla torta, comunque, resta la mappa principale, quella ambientata a Parigi durante una sfilata di moda. È qui che si vede l'Hitman vero, quello che richiede di esplorare grossi appezzamenti di terreno per capire quali approcci utilizzare e dà veramente modo di sbizzarrirsi in modo creativo, scoprendo nel frattempo svariati segreti interessanti. Un nda piuttosto restrittivo ci impedisce di entrare nel dettaglio delle opzioni offerte, ma qualcuna possiamo comunque descrivervela con gusto. Nella villona di Viktor Novikov,  dopotutto, i bersagli da uccidere sono due, e oltre a Novikov stesso va eliminata la sua compagna d'affari, tale Dalia Margolis, magari infiltrandosi in un'asta non propriamente pulitissima che si tiene ai piani superiori della casa. La mappa ambientata a Parigi, stando al producer, è la più grande e dettagliata mai creata da IO Interactive, ed è effettivamente una location di tutto rispetto, con giardini esterni completamente esplorabili, e interni ricchissimi di stanze e oggetti utili per il delitto perfetto. 
    Il modo migliore tra quelli descrivibili che abbiamo trovato è tanto intuitivo quanto adatto a trasmettere un po' di sana autoironia alla produzione. Basta osservare uno dei poster in bella mostra sul palazzo di Novikov per notare che la star della serata è un modello pelato quantomai somigliante al buon Agente 47. Esplorando per la villa incontrerete questa superstar della moda internazionale, e basterà seguirla per un po' per scoprire che ha affari in sospeso con la stessa Dalia che dobbiamo eliminare. Stordirlo e farsi truccare in modo da essere quasi indistinguibile dall'originale è il modo più facile per raggiungere indisturbati il primo obiettivo, e le reazioni degli npc all'arrivo del “supermodello” sono davvero impagabili. 
    Ovviamente poi le ramificazioni iniziano a farsi importanti. Osservare attentamente gli ospiti offre costumi imprevedibili per agire indisturbati, mentre girare travestiti da operai dietro le quinte apre moltissime porte, tra cui quella che porta alla caduta del lampadario gigante sul grugno di Novikov, già vista in molti dei trailer dedicati al gioco.
    Insomma, il titolo alla base c'è, mantiene la solidità tipica della serie e diverte moltissimo, così come presenti sono i contenuti, perché per una quindicina di euro ce n'è di roba da fare, eccome. D'altronde le tre missioni, oltre a essere gustose e intervallate da cutscene, offrono come minimo due/tre ore di gioco, e questo senza contare la loro estrema rigiocabilità, la possibilità di sbloccare nuovi gadget e nuove armi trovandoli per la mappa, e il quantitativo di segreti e obiettivi extra presenti già nella sola Parigi. 
    Nell'equazione vanno inoltre inseriti i Contracts, che tornano ovviamente a rimpolpare il tutto. Le mappe avranno infatti obiettivi alternativi online, che costringeranno i giocatori ad approcciarsi alle missioni in modo completamente diverso per via delle nuove vittime. Contate, che una volta connessi, nel mondo di gioco appariranno anche degli “Elusive Targets”, bersagli speciali da eliminare entro 48 ore che offrono collezionabili se uccisi.
    E detta così pare che ogni cosa fili a meraviglia, che il titolo, anche così spezzato, possa offrire un gran godimento agli appassionati (specie alle difficoltà maggiori, visto che in normal non è particolarmente impegnativo e l'IA nemica risulta facilmente exploitabile). C'è tuttavia un grosso “ma”, e riguarda il comparto tecnico. La demo di Hitman provata, difatti, era estremamente instabile, ricca di bug e problemi tecnici, e piuttosto preoccupante visto l'uscita imminente del gioco. 
    Nella presentazione gli sviluppatori hanno spiegato che per sviluppare Absolution ci sono voluti sei anni. Facendo due più due, e valutando quanto è ambizioso questo nuovo titolo, sembra evidente il perché abbian deciso di dividerlo in più capitoli. La build da noi provata non era vecchissima, eppure conteneva obiettivi che non si sbloccavano, dialoghi che non partivano, problemi di intersecazione poligonale e hitbox dei modelli abbastanza ridicoli, e tutta una serie di bug minori che davvero di rado abbiamo visto in un preview event. Correggere quel genere di problemi su una serie di mappe in tempo sarebbe stato del tutto impossibile. Concentrandosi su Parigi, invece, gli IO Interactive dovrebbero potercela fare, anche se la versione PS4 del gioco che girava accanto a quella PC da noi provata vantava alcuni cali di framerate poderosi e inspiegabili in certe zone della villa. Davvero un peccato, in un gioco che comunque su PC è davvero bello da vedere, e muove contemporaneamente oltre 300 intelligenze artificiali con una certa naturalezza.
    Siamo quindi combattuti per quanto riguarda le aspettative. Da una parte il videogame alla base c'è, ha un gameplay variegato e solidissimo, e sembra valere il costo del biglietto persino in forma episodica. Dall'altra IO Interactive sembra avere parecchio da fare per rendergli giustizia, e non manca molto alla release.

Monumental

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Puzzle game

  • Sviluppatore:Whipstitch Games

  • Data uscita:22 gennaio 2016

     

     

    Gli appassionati di puzzle game su PC, tutto sommato, non se la passano proprio male di questi tempi: The Talos Principle è stato reso disponibile a prezzo irrisorio durante gli ultimi saldi invernali, e anche l’immortale Portal 2 è salito nuovamente agli onori delle cronache, grazie a interessanti progetti come Portal Stories: Mel. Non possiamo tacere, poi, del recente The Witness, che ha sorpreso giocatori e critica andando anche oltre le più rosee aspettative. Che dire, però, di chi vuole una sfida più “alternativa”? Le attenzioni di questi giocatori potrebbero essere attratte dal titolo oggetto di questa recensione, chiamato Monumental. Scopriamo perché.

    Sviluppato da Whipstitch Games, e disponibile esclusivamente su PC, Monumental è un puzzle game in prima persona in cui si dovrà investigare sulla scomparsa di una squadra di ricerca della Mandrake Research Facility. L’incipit del gioco, in effetti, è quanto di più sintetico abbiamo visto negli ultimi tempi, visto che una volta cliccato sul pulsante che farà iniziare la partita, tutto quello che il giocatore potrà apprendere relativamente alla trama è una linea di testo (in inglese) che recita: “Abbiamo perso i contatti con la Mandrake Research Facility. Sei stato mandato a investigare…”. Questa scarna narrazione, in verità, viene arricchita durante il gioco grazie a dei documenti testuali; questi elementi ci faranno scoprire informazioni essenziali per riuscire a risolvere gli enigmi, e ci forniranno una necessaria contestualizzazione sui membri dell’equipaggio e i loro esperimenti. In ogni caso, non è la narrazione il punto forte di Monumental; anche andando avanti nella storia, infatti, il gioco utilizzerà altre volte la soluzione che abbiamo descritto in precedenza, ovvero quella che di dare al giocatore una minima contestualizzazione di poche righe, per poi approfondire alcuni aspetti attraverso i data log sparsi per gli ambienti.
    Monumental è un titolo che, come si è intuito, propone un’esperienza un po’ minimalista: la narrativa non propone soluzioni spettacolari, e il comparto tecnico non è proprio entusiasmante (di questo aspetto parleremo meglio in seguito). L’elemento che fa salire nettamente il giudizio sul titolo Whipstitch Games, allora, è il gameplay. Abbiamo detto che il gioco appartiene al genere dei puzzle game, e non è difficile capire perché: appena preso il controllo del nostro personaggio, infatti, dovremo subito capire come accedere alle diverse aree della struttura di ricerca. La prima sfida sarà quella di comprendere i meccanismi che aprono le porte dei membri della squadra scomparsa; da buon puzzle game, ogni portellone si aprirà grazie a una tipologia di codice differente, e per questo i giocatori dovranno scandagliare i vari ambienti alla ricerca di indizi. Anche andando avanti nel gioco, volendo generalizzare, gli enigmi saranno sempre legati a quello che le varie ambientazioni avranno da dirci, sia in termini di documenti testuali da trovare, che di altri stimoli sensoriali. Diciamo questo perché, in Monumental, sono presenti alcune trovate interessanti che hanno consentito agli sviluppatori di creare puzzle abbastanza complessi; le nostre strumentazioni, infatti, ci consentiranno di registrare clip audio, scattare fotografie, leggere documenti e quant’altro. Tutto ciò vuol dire che, nel momento in cui avvisteremo qualche strano segno su un muro, o una melodia che si ripete senza apparente motivo in una stanza, potremo registrare e fotografare il tutto. Si può star certi che, prima o poi, il materiale raccolto tornerà utile per risolvere qualche enigma.
    Nel concreto, queste interessanti feature vengono inserite nel gameplay attraverso una interfaccia circolare posta sulla parte sinistra dello schermo, e manovrabile interamente col mouse. In questo modo si può facilmente giostrare tra i documenti di testo ritrovati, le foto scattate, le clip audio registrate, l’utilissima torcia (che consigliamo di tenere quasi sempre accesa), e gli ancora più utili aiuti. Monumental, infatti, non è un titolo particolarmente crudele col giocatore, che potrà dunque godere di utili suggerimenti nel momento in cui si è bloccati su un particolare enigma.
    Torniamo ancora sulla natura degli enigmi: di per sé, ogni sfida logica proposta non è concettualmente complicata; come detto, il più delle volte si tratterà di aprire delle porte, ma ovviamente il punto è “come” si arriverà ad aprirle. È cosi, allora, che ci si imbatterà in puzzle dove sarà necessario riproporre alcune specifiche melodie, oppure inserire una determinata combinazione di lettere e numeri. Nessuna elucubrazione particolare, dunque, ma solo dei solidi puzzle che terranno impegnata la mente del giocatore per qualche ora.
    Ribadiamo il concetto, dunque: Monumental è un gioco che punta dritto all’essenza, piuttosto che all’apparenza, e nel fare ciò riesce comunque a proporre un’esperienza da puzzle game che gli appassionati del genere potrebbero tenere in considerazione.
    La parte grafica del gioco, in effetti, rispecchia in pieno quanto detto: ci troviamo davanti a una realizzazione tridimensionale tutto sommato povera, soprattutto per quanto riguarda la qualità delle texture e dei modelli poligonali, che soffrono di una mancanza cronica di definizione. Sono difetti evidenti, questo è ovvio, ma che non inficiano più di tanto l’esperienza di gioco, considerato il carattere non proprio ad alto budget della produzione.
    Il comparto audio, invece, non si segnala per la presenza di doppiaggio, ma include diversi sottofondi musicali per ogni area che si visiterà. È evidente che, essendo un puzzle game in cui si rischia di rimanere fermi nella stessa area per molto tempo, sentire di continuo la stessa sequenza di note può dare molto presto a noia. Considerato che a volte bisognerà anche estrapolare delle melodie dal contesto di gioco, per poi riprodurle in seguito, il nostro consiglio è quello di abbassare il volume dell’accompagnamento musicale.

sabato 6 febbraio 2016

Naruto Ultimate Ninja Storm 4

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:CyberConnect2

  • Data uscita:5 febbraio 2016

     

     

    Voglio cominciare questa review mettendo da subito le carte in tavola. Avrò pure trent'anni, qualche pelo di barba bianco di troppo, una panza che avanza e problemi articolari che si moltiplicano come conigli arrapati, ma resto uno che è cresciuto a pane e manga giapponesi, un tizio che sotto sotto rimpiange un po' i tempi in cui tornava a casa da scuola e vedeva alla tv le primissime puntate di One Piece e Naruto, e che quei colossi dell'intrattenimento nipponici li ha visti nascere e crescere per oltre un decennio. Sono shonen, vero, prodotti pensati principalmente per ragazzi giovani, ma a un certo punto si continua a leggerli, anche solo per sapere come stracacchio andranno a finire. E ci sono voluti anni per veder finire Naruto, ANNI.
    Ne è valsa la pena? No, non secondo me. Verso la fine l'epica di Kishimoto ha svaccato totalmente, spingendo su battaglie sempre più eccessive e andando a perdere rapidamente in coerenza e originalità, per poi chiudersi con un epilogo degno del peggior doujin amatoriale (che chiaramente non vi sto a spoilerare). 
    Lo so che tantissimi fan della saga non saranno d'accordo con me e ci sta, è sacrosanto, il mondo d'altronde è bello perché è vario. Ma questa premessa non l'ho fatta per bocciare in toto la narrativa di una delle serie più longeve e apprezzate della storia dei manga giapponesi, bensì per precisare che, indipendentemente da come uno percepisca la chiusura di Naruto, i Cyberconnect hanno avuto una cosa molto concreta su cui costruire per il finale della loro serie chiamata Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm... le botte.
    Questo perché, come ho detto, nella parte conclusiva di Naruto le battaglie epiche sono state l'unica cosa a non mancare mai: una serie di scontri di spettacolarità sempre maggiore, capaci di lasciare a bocca aperta chiunque. 
    Ora, pensate un attimo a chi sono i Cyberconnect e a cosa hanno sviluppato negli anni. Parliamo del team nipponico che è diventato famoso per la sua capacità di portare la grandiosità degli scontri ai limiti massimi dell'universo, quello che si riconosce dopo cinque secondi quando su schermo succede roba fuori di testa con effetti su scala planetaria.
    Ecco, assorbite tutto questo, collegatelo alle caratteristiche del finale di Naruto e fate uno più uno. Complimenti, avete ottenuto Naruto Ultimate Ninja Storm 4, una conclusione videoludica che, se non fa esplodere la vostra piattaforma da gioco, poco ci manca.
    Rasengan atomici! Chidori galattici! Santiddio cosa sta succedendo?
    Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm 4 chiude una volta per tutte la saga di Kishimoto, mettendo in campo il finale del manga in tutto il suo esplosivo splendore. Molti lettori non lo avranno ancora visto, quindi evito di entrare nel dettaglio. Voi sappiate solo che non manca quasi nulla: ci sono tutti i protagonisti di quelle vicende, ogni battaglia e ogni scena nel longevo e soddisfacente Story Mode. 
    Proprio sulla modalità storia è stato forse fatto il lavoro più impressionante a livello contenutistico. Avete presente Asura's Wrath e le sue cutscene capaci di scatenare il furore sacro nel più calmo dei videogiocatori? Immaginatevi un'intera campagna principale con scene di quel livello, ma intervallata da battaglie con il gameplay classico della serie che vengono modificate in base alla situazione, e vi sarete fatti un'idea precisa di cosa offre Ultimate Storm 4. Persino l'intro del gioco è semplicemente allucinante. I momenti sono talmente folli ed eccessivi da prendere a schiaffi l'anime con la forza di mille Bud Spencer. Siamo ai massimi livelli della scala “ELLAPEPPA”, sulla cima del monte Whoa.
    Contrariamente ad Asura's Wrath, però, qua il gioco c'è, ed è quello che i fan hanno imparato ad apprezzare, con qualche arguta modifica al sistema di combattimento. Si parla ancora una volta di un picchiaduro 3D con combo semplificate che si basano su un solo tasto d'attacco e un roster sconfinato, eppure i Cyberconnect hanno chiaramente ascoltato il feedback dei fan, modificando sensibilmente certe manovre percepite in modo negativo. Il primo cambiamento riguarda le contromosse in parata, che non stordiscono più l'avversario, limitandosi a scagliarlo a distanza e a fargli perdere del prezioso chakra. La manovra perde quindi di centralità, ma resta utilissima per fermare un'offensiva particolarmente pericolosa. Non finisce qui: la maggior parte dei combattenti sono stati ribilanciati e, oltre a un generale ridimensionamento dei personaggi capaci di spammare dalla distanza, la velocità di movimento dei combattenti e uno scatto più efficace (anche caricabile) facilitano di molto l'avvicinamento. I tronchi sostitutivi limitati e con ricarica lenta sono ovviamente rimasti, e collegare combinazioni particolarmente poderose dopo un lancio è diventato più arduo, per via anche del recupero veloce in volo che diminuisce di parecchio la finestra temporale in cui si può inserire la mossa o super mossa da collegare alla fine della combo. In più, delle combinazioni alternative eseguibili con un rapido tocco dell'analogico direzionale variano di parecchio l'approccio, offrendo mezzi extra unici per ogni personaggio. 
    In parole povere, le meccaniche sono state ritoccate e affinate a dovere, con l'aggiunta di due principali novità: gli effetti elementali e il cambio di personaggio. La prima neo meccanica è piuttosto autoesplicativa. Attacchi elementali di vario tipo hanno effetti più marcati ora, e ad esempio i Ninjutsu in grado di dar fuoco ai nemici durano a lungo, quindi vanno spenti a forza di movimenti rapidi o entrando negli stagni presenti in certe arene. I costumi dei ninja sono pure diventati distruttibili, e quando vanno a pezzi si perde difesa in favore della potenza di attacco. 
    Il regalone è tuttavia proprio il cambio di personaggio, che muta sensibilmente l'equilibrio degli scontri, permettendo di utilizzare fino a tre ninja differenti in battaglia. Nel mostruoso roster di Ultimate Ninja Storm 4, infatti, non ci sono personaggi assist (intesi come dedicati "esclusivamente" agli assist, possono ancora entrare in campo come aiuto), ogni ninja presente è utilizzabile, e se selezionato può venir fatto entrare in battaglia. Il bello è che tale soluzione non solo permette di variare le combo, eseguendo la sostituzione durante una serie di colpi e facendola continuare al compagno, ma migliora il bilanciamento permettendo di selezionare personaggi di riserva particolarmente utili per contrastare i giocatori dalla lunga distanza con la stessa medicina, o attaccanti poderosi con ninja dotati di poteri indicati per metterli in difficoltà. Una scelta coraggiosa, che pur mantenendo il titolo accessibile ne aumenta seccamente la complessità, con questa che va ulteriormente a gonfiarsi quando si considerano i poteri passivi dei compagni, attivati automaticamente quando si riempie a sufficienza la speciale barra Storm, o il fatto che il Risveglio adesso trasforma tutta la squadra contemporaneamente. Ah, la stessa meccanica del risveglio è stata applicata con più cura, e laddove i Jinchuuriki ancora si trasformano in bestioni dalla potenza assurda, gli altri personaggi non sono da meno, grazie a poteri extra di supporto devastanti o a un secco aumento di tutte le caratteristiche.
    Per carità, il gameplay ancora non è perfetto, molti sbilanciamenti rimangono, la responsività dei comandi alle volte lascia un tantinello a desiderare, e le mappe con elementi interattivi (come muri scalabili o dislivelli) non mi han fatto gridare al miracolo. Eppure il passo avanti è evidente e apprezzatissimo.
    Torniamo però un attimo ai contenuti, perché oltre agli scontri liberi, contornati da Modalità Sopravvivenza, tutorial e tornei vari, e alla succitata Modalità Storia, torna l'Adventure Mode che si svolge dopo la conclusione della trama e permette ancora una volta di vagare in mappe estese e ricchissime di missioni. Anche questa modalità risulta più curata, longeva e vivace del solito, dunque sono ottime notizie per chi l'ha apprezzata nei predecessori. 
    Siamo davanti al picco assoluto dei giochi dedicati al Ninja arancione della foglia? Per certi versi sì, ma c'è ancora una nota dolente. E molto dolente, visto che è una nota ripetuta. Parlo ovviamente del netcode, al solito di qualità infima. I Cyberconnect son bravi a fare i giochi, ma sull'online mi hanno sempre deluso parecchio, con scontri spesso piagati da una latenza quasi intollerabile (persino nel loro picchiaduro più classico, Jojo All Stars, era così). Ultimate Ninja Storm 4 non fa tristemente differenza, e nelle poche partite contro giocatori europei che sono riuscito ad affrontare la latenza era indecente nonostante una connettività all'apparenza più che degna. Dopo tutti questi anni vorrei vedere un bel passo avanti in questo campo, specie considerando la presenza di partite ranked online, di un interessante sistema di carte del giocatore, e di una community piuttosto agguerrita in rete.
    Chiudo con il comparto tecnico, davvero poco criticabile. Su console, sinceramente, non ho notato un grande aumento nella velocità e nella fluidità del gioco, ma almeno il frame rate è piuttosto stabile nelle battaglie normali. Nelle scene più esagerate della storia invece, specialmente quelle con dozzine di nemici a schermo, i cali alle volte sono vistosi, ma è capitato rare volte che inficiassero l'esperienza, comunque scenica e adrenalinica da inizio a fine. Lo ho già detto e lo ripeto, Ultimate Ninja Storm 4 dà schiaffi a mano aperta all'anime senza pietà col suo cel shading da manuale, è uno spettacolo per gli occhi, e un godimento assoluto per qualunque fan del manga. Nulla da dire anche sul roster, ormai quasi completo a livello di personaggi della saga. Anche se crediamo che alcune mancanze faranno storcere il naso, dinnanzi alle molteplici versioni dei personaggi principali (ci sono più di 6 Naruto diversi giocabili, se non ricordo male