Ethero

sabato 31 ottobre 2015

Overwatch

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Blizzard

  • Data uscita:Inizio 2016



    Di recente la Blizzard che abbiamo imparato a conoscere si è trasformata. Certo, ha mantenuto invariate molte delle sue filosofie, e i ritmi per lo sviluppo dei titoli primari della casa hanno sempre la rapidità di una tartaruga zoppa impegnata nella maratona di New York, eppure tra un progetto e l'altro la casa ora sembra volersi allargare in generi e modelli commerciali ben diversi da quelli a cui ci ha sempre abituato. Hearthstone è stato un primo esempio, e ha ribaltato il mercato dei giochi di carte come un calzino, dopodiché è arrivato Heroes of the Storm, con cui il colosso di Irvine si è piazzato comodamente anche nel duro mondo dei Dota-like. Si parlava però pur sempre di progetti collegati in qualche modo al passato della casa, una caratteristica che non appartiene al titolo di cui parliamo oggi: Overwatch.
    Uno sparatutto, questo è Overwatch, un esponente di un genere in cui Blizzard ha a malapena fatto capolino con il cancellato Starcraft: Ghost, e che pare aver anticipato un filone di “mutazioni di Team Fortress” che con Battleborn e il Lawbreakers di Bleszinski sembra già avere l'arena piena di contendenti. Il gioco di Blizzard però non è un semplice emulo del fortunatissimo shooter di Valve. Lo abbiamo provato per un po', e già dalla beta possiamo dire con certezza che se c'è una cosa che da Blizzard non è cambiata, quella è la qualità.
    Iniziamo con la struttura del gioco, per quei pochi che ancora non l'hanno ben chiara. Overwatch è uno sparatutto competitivo a squadre da 12 giocatori. Ogni giocatore può scegliere tra un roster composto da numerosi eroi, ognuno parte di un sottoinsieme che ne indica grossomodo il ruolo in battaglia. Per ora, nella beta chiusa da noi provata, le modalità sono due: conquista e payload, ove bisogna rispettivamente prendere il controllo di due zone entro un tempo limite o far arrivare un carico alla fine del suo percorso mantenendosi nelle sue vicinanze. Insomma, è una variante di quanto visto in Team Fortress, solo che con classi molto più diversificate che in numero si avvicineranno probabilmente ai roster visti nei MOBA. L'idea di fondo è, in effetti, piuttosto brillante. Diversificando seccamente i personaggi l'esperienza cambia moltissimo e ogni partita è diversa dalle altre. Non solo, si è praticamente costretti a farlo, poiché il bilanciamento del gioco ruota proprio attorno alla possibilità di cambiare eroe ad ogni morte.
    Ci spieghiamo meglio: Overwatch non è uno di quei giochi dal fine bilanciamento, ove tutti i personaggi fanno un danno calcolato per non essere mai eccessivo, e gli scontri richiedono un livello di skill sovrumano per essere vinti ogni volta. È uno sparatutto dalle meccaniche base accessibili, dove gli eroi sono praticamente tutti poderosi, ma le loro eccellenze sono al contempo estremamente concentrate. Avremo quindi tank quasi impossibili da battere frontalmente, ma lentissimi e facili da aggirare, eroi dotati di una mobilità folle, ma che vanno giù in due colpi, e così via. Il fatto che i personaggi siano anche dotati di abilità di movimento uniche porta persino i semplici damage dealer a risultare indispensabili, poiché vi sono situazioni di stallo in cui la capacità di fluttuare nei cieli di Pharah o i blink di Tracer risultano imoprtantissimi per spezzare le difese nemiche. 
    Quindi, ricapitolando, le morti abbondano, gli eroi sono devastanti, ma c'è sempre della tattica in ogni partita grazie ai ruoli ben definiti dei vari eroi e alla loro utilità. La presenza di mappe ben costruite e dotate di più passaggi aiuta, anche se abbiamo notato certe zone fin troppo facili da difendere con un paio di Bastion ben piazzati (Bastion è un eroe che può trasformarsi in torretta, per la cronaca), che necessiterebbero di qualche via alternativa in più.
    Se c'è un aspetto in cui Overwatch non convince al 200%, quello è forse il solo shooting. Gli eroi hanno tutti abilità multiple fantastiche, questo è vero, ma quando si parla di puro sparare la risposta delle armi è volutamente “alleggerita” per rendere più intuitivo il tutto. Attenzione, ci sono armi automatiche con rose di fuoco piuttosto difficili da contenere, ma in generale sono pochi i personaggi in Overwatch che richiedono una mira da vero campione. La scelta è comprensibilissima a nostro parere, anche perché il titolo risulta adatto sia al mercato console che a quello pc, e un gameplay indicato anche ai neofiti è sicuramente la scelta migliore. Dopotutto è chiaro come Blizzard voglia enfatizzare mobilità e uso oculato dei poteri nelle partite, più che la mira e i riflessi. Dal canto nostro, abbiamo trovato gustosissime le Ultimate Ability, tecniche che si caricano dopo aver fatto o subito danni per un po', che possono ribaltare del tutto uno scontro. Rendono l'esperienza ancor più caotica, vero, ma non sono mai del tutto esagerate, e danno al giocatore un senso di breve onnipotenza che non fa mai male. 
    Altro elemento da elogiare è il comparto tecnico, non solo colorato e pieno di personalità, ma dannatamente ben ottimizzato e fluidissimo già in fase beta. Overwatch ha un look cartoonesco, è vero, ma è di quelli dannatamente ricchi di finezza, e ogni mappa è piena di dettagli, chicche e ispirazione. Ottimo anche il character design, ovviamente, seppur certi eroi siano nettamente più ispirati di altri (Lucio, parliamo con te). Insomma, come già detto, pare proprio un titolo di gran qualità in ogni aspetto, e ora non resta che vedere quale modello commerciale Blizzard deciderà di appioppargli. Sarà Free to play? Sarà a prezzo pieno? Vedremo.

martedì 27 ottobre 2015

Undertale


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Tobyfox

  • Data uscita:15 settembre 2015

     

     

    Prima ancora che con l'industria del settore, i giocatori hanno un enorme problema con loro stessi: il vittimismo consapevole. Danno credito alle grandi aziende che spesso disattendono le loro aspettative, lamentandosi e gridando a gran voce quanto sia ingiusto il riciclo e la mancanza di innovazione; si piangono addosso quando ripetono gli stessi errori e si meravigliano della ripetitività dei prodotti, a loro dire incapaci di offrire autentiche novità o svecchiare interi generi che annaspano da anni tra le sabbie mobili. Perché dunque non guardare anche altrove, verso il mare delle enormi possibilità offerte dalle produzioni indipendenti? Ecco, prendiamo il caso specifico di Undertale e facciamo finta che sia stato pubblicato da una grande azienda e che abbia avuto una grafica moderna al posto dell'aspetto di poco superiore agli 8 bit del NES. Come reagireste se vi dicessi che è in grado di far compiere ai jrpg un decisivo passo in avanti, mettendo in scena delle meccaniche di gioco che rendono imprevedibile ogni scontro? E se a questo aggiungessi che la vostra condotta ha un'influenza decisiva sui risvolti della trama, rimarreste ancora con la convinzione che per i jrpg non c'è più nulla da fare? Bene, sappiate che Undertale è molto di più di tutto ciò, e se considerate che è un'opera essenzialmente sviluppata dal solo Toby Fox, non potrete fare a meno di riflettere sulle effettive possibilità di evoluzione esistenti e su come, in fin dei conti, ai cosiddetti tripla A manchi solo la volontà di cambiare e qualche buon cervello messo al posto giusto.
    Parliamoci molto chiaramente: gran parte dei jrpg sono sprofondati lentamente nell'indifferenza assieme al loro mare di cliché, alle loro storie adolescenziali spesso impalpabili e a una formula di gioco incredibilmente statica e ripetitiva. Per quanto siate amanti degli scontri a turni e dei combattimenti casuali, non potrete non ammettere quanto questi siano in fin dei conti delle reiterazioni che nel corso di un'avventura fanno sin troppo poco per cambiare volto alla partita, configurandosi come uno strumento per il grinding talvolta sin troppo pesante da sostenere. In Undertale è l'esatto opposto: ogni scontro è imprevedibile, strano, particolare e sorprendente. Ogni nemico ha determinate caratteristiche che vanno valutate attentamente prima di capire in che modo bisogna agire nei suoi confronti. Dopo qualche riga recitata senza voce dal mostro di turno, è spesso possibile comprendere quale sia la strategia più adatta per affrontare o evitare il pericolo, ma andando avanti la faccenda si complica e aumenta sempre di più la complessità di questo riuscito sistema. Vi basti pensare che tutti nemici (boss compresi) possono essere risparmiati, rinunciando così ai punti esperienza che fanno salire di livello il personaggio principale. Si può, in sostanza, scegliere se avere una condotta pacifista o guerrafondaia, determinando così il destino di alcuni personaggi e il tipo di finale previsto come conseguenza alle vostre azioni. Quando entrerete in contatto con un avversario avrete a disposizione una schermata attraverso cui è possibile selezionare quattro comandi: fight, act, item e mercy. Il primo è ovviamente utile all'offesa, il secondo permette di aprire un sottomenu da dove è possibile tentare la via della diplomazia, il terzo è utile per usare gli oggetti durante le battaglie o cambiare al volo l'equipaggiamento, l'ultimo fa sì che un nemico venga risparmiato. Sta dunque a voi dare forma alle conseguenze, che saranno completamente diverse a seconda di come ci si è comportati durante l'avventura. Ma attenzione: un approccio misto, dove si salva e si uccide, porta inevitabilmente a quello che può essere considerato il finale standard. La partita con intenti completamente pacifisti, o quella devota unicamente al genocidio, non solo vi mostreranno due facce completamente diverse di una realtà che non potevate minimamente immaginare, ma complicheranno di parecchio l'avanzamento di gioco per via di una difficoltà di parecchio più elevata rispetto al normale. Negoziare e risparmiare tutti significa infatti rimanere al livello uno, aumentando dunque il rischio di morire con pochi o con addirittura un solo colpo subito; uccidere tutti i nemici, invece, vi condurrà verso scontri avanzati a tratti davvero proibitivi, proprio a causa delle conseguenze di cui si parlava poc'anzi. In entrambi i casi, Undertale non sarà una passeggiata. 
    Se uccidere tutti sarà più intuitivo, invitare i nemici alla resa o risparmiarli prima di infliggere loro il colpo finale è in effetti più complicato. Il comando "Mercy" è solitamente efficace quando il nome del mostro diventa giallo, ma non fatevi trarre in inganno da questa regola non scritta e non fate l'errore di considerare Undertale un titolo scorretto, perché non lo è affatto: parlate sempre con gli NPC e non prendete nulla sottogamba, perché un suggerimento vale talvolta più di ogni minuto passato a pensare a come salvare un avversario. Penetrare nelle difese dell'avversario, in Undertale, significa saper cogliere il momento propizio, saper sfruttare le debolezze e saper comprendere quando manca un solo passo per raggiungere la vittoria. L'assurdità di certe situazioni, i dialoghi inconsueti e fuori di testa, assieme alle reazioni di chi affronterete, vi terranno sempre sul filo del rasoio. Ogni nemico è insomma una storia a sé, non solo per il percorso che porta alla decisione di risparmiarlo, ma anche quando dovrete difendervi ed evitare il peggio.
    Il sistema di combattimento di Undertale riesce a essere stimolante dall'inizio alla fine, senza mai annoiare nemmeno per un attimo. Il merito è della grande lungimiranza con cui è stato costruito, separando la fase di attacco da quella di difesa con intuizioni di game design semplicemente geniali. Quando si attacca, su schermo appaiono uno o più cursori con movimento orizzontale, che vanno fermati il più vicino possibile al centro per causare danni consistenti; quando invece si difende, Undertale diventa qualcosa di completamente diverso, a cavallo tra l'action minimalista e il bullet hell vecchia scuola. Sarete un cuoricino rosso intrappolato all'interno di un quadrato che deve muoversi con grande abilità per evitare ostacoli di ogni tipo: proiettili, rane saltellanti, ordigni improponibili che esplodono e si muovono in modo convulso, fino ad arrivare a sadiche cascate di oggetti non identificati e molto difficili da evitare. Ogni attacco è la diretta emanazione di uno specifico avversario, pertanto non vedrete mai nulla di riciclato o di vagamente somigliante a ciò che avete notato col nemico precedente. Persino i loro comportamenti e il modo in cui reagiranno cambieranno radicalmente le dinamiche di gioco durante gli scontri, a dimostrazione di un lavoro encomiabile e orientato sulla varietà. E lo ribadiamo ancora una volta, è stato fatto grossomodo da una sola persona.
    Toby Fox è una persona molto intelligente. È un game designer brillante, che vuole osare continuamente, proponendo situazioni e gag esilaranti capaci di evidenziare un modo di pensare non comune, tipico di chi sa di poter giocare con le stramberie. Talvolta anche sin troppo e in maniera gratuita. 
    Undertale è uno di quei giochi difficili da raccontare senza entrare nel dettaglio e rovinare le sorprese agli utenti. Potremmo dirvi che è possibile organizzare un appuntamento galante con uno scheletro, per esempio, ma sarebbe ingiusto entrare nei dettagli e riportarvi le battute maliziose e il contesto in cui vengono fatte. Potremmo spiegarvi perché molti personaggi sono davvero memorabili; potremmo persino dirvi che i cani sono degli esseri maledetti, ma non perché lo sono così tanto. E potremmo anche raccontarvi quali sono i momenti in cui la cosiddetta quarta parete viene letteralmente frantumata, creando delle circostanze di gioco che forse sono inferiori solo a quella che vedeva Psycho Mantis prendersi gioco di voi. La genialità si intuisce, si respira, si addensa tutta intorno ad Undertale, elevandolo a uno dei migliori giochi di un genere che non ha saputo veramente evolversi e che forse ha già dato il meglio di sé in passato. Potremmo raccontarvi tantissimo di Undertale affinché possiate capire - prima di provarlo - quali sono i motivi per cui si merita una simile valutazione. E invece ci limiteremo a dire che è davvero necessario che lo proviate, perché vi serve per capire la differenza tra le opere figlie di un piattume desolante e i gioielli lavorati con due degli strumenti più importanti per un creativo: il talento e l'ingegno.
    La storia di Undertale è di una semplicità disarmante, ma reca con sé messaggi universali evidenti e altri sottesi, tutti da scoprire e interpretare. Tanto tempo fa infuriava una battaglia tra due razze: umani e mostri. La guerra durò a lungo, fino a quando gli umani ebbero il sopravvento e confinarono i mostri sottoterra, usando contro di loro un potente incantesimo. Centinaia di anni dopo, in un non specificato periodo attorno al 2000, una ragazzina cade in un profondo baratro, entrando così in contatto con la specie intrappolata nel sottosuolo. Ci fermiamo qui, perché da questo momento in poi Undertale diventa un concentrato di situazioni inaspettate che meritano di essere vissute in prima persona. Niente di memorabile o incredibilmente toccante, sia chiaro. È l'acume con cui è stata plasmata l'opera a colpire, assieme a una colonna sonora di livello stellare e alla precisa volontà di svecchiare un genere che non vedeva una luce così intensa da sin troppo tempo. 
    Undertale tuttavia non è perfetto e qualcuno potrebbe puntare il dito sulle reali possibilità di scelta del giocatore, eppure quando vi renderete conto che avrete lasciato indietro molto più di quanto pensiate, capirete quanto di buono c'è in questo sorprendente titolo. Visto l'andazzo ci saremmo aspettati qualcosa in più dai puzzle, che risultano in realtà essere un po' troppo elementari e semplicistici, e probabilmente sarebbe stato meglio avere anche qualche opzione in più sulle alternative narrative e durante i combattimenti. Per il resto, abbiamo ben poco da contestare a Undertale: è qualcosa di realmente nuovo e originale. Chi afferma il contrario, mente apertamente sapendo di farlo.

Just Cause 3

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Avalanche Studios

  • Data uscita:1 dicembre 2015

     

     

    Just Cause 3 inizia nel migliore dei modi. Una versione malata di una vecchia canzone dei Prodigy in sottofondo, Rico Rodriguez in piedi sull’ala di un’aereo mentre scarica un lanciarazzi su dei siti di missili terra-aria, per poi gettarsi nel vuoto col paracadute, atterrare in una grotta e fare fuori altra gente con un mitra. Sudore, sangue e testosterone si mescolano creando una miscela esplosiva: i primi secondi del gioco sono una dichiarazione d’amore nei confronti di chi da anni attendeva il ritorno di questa saga.
    Per il terzo episodio della serie, Rico è approdato su Medici, isola mediterranea sotto la dittatura del temibile generale Di Ravello, un uomo le cui fattezze e movenze ricordano un inquietante ibrido tra Mussolini, Stalin, Gheddafi e Francisco Franco, un essere spietato, capace di gustarsi un’oliva ripiena mentre un suo sottoposto si spara in bocca con una pistola automatica. Di Ravello è spregevole, e occorrono appena pochi minuti al giocatore per capire il motivo della visita a Medici e la ragione per cui si combatte.
    Come è sempre avvenuto nella saga di Just Cause, lo scopo del gioco risiede nel liberare l’isola dalla dittatura zona dopo zona, rovesciare il governo, liberare la popolazione dal controllo e dalla violenza delle truppe agli ordini di Di Ravello. Nella nostra avventura, dunque, incontriamo personaggi vecchi e nuovi che ci fanno da spalla nel corso della vicenda, guidandoci missione dopo missione alla conquista di Medici.
    Al fianco di Rico Rodriguez fa la sua comparsa un vecchio amico del nostro eroe, Mario Frigo, meccanico ribelle dal marcato accento italiano, decisamente meno macho del protagonista ma con molto coraggio e determinazione. Mario svolge inizialmente il ruolo di guida e intelligence per Rico, spingendolo a completare le prime missioni e a fare la conoscenza degli altri personaggi, tra cui spicca la scienziata Dima, dal volto orribilmente sfigurato e con qualche rotella fuori posto, che fornisce a Rico tutti i nuovi gadget presenti in Just Cause 3.
    Anche se la storia ha luogo su di un’isola inedita per la serie, Medici è una sorta di patria per Rico. Il nostro eroe, nato in Messico, è infatti cresciuto nell’isola mediterranea e ha amicizie di lunga data. Anche se i personaggi che si incontrano sono nuovi per il giocatore, l’intera vicenda per Rico sarà una sorta di tuffo nel passato, con amici vecchi e nuovi che si alternano sullo schermo, di cui sappiamo poco e la cui storia ci viene in parte tenuta nascosta dagli sviluppatori.
    Nonostante l’evidente esagerazione nei caratteri e nell’aspetto dei personaggi che sfociano spesso nello stereotipo, gli sviluppatori sono riusciti ad introdurre qualche elemento davvero esilarante. Confessiamo di esserci messi a ridere quando abbiamo assistito a una litigata tra Mario Frigo e la sua anziana nonna che gli urlava di venire a cena, riconoscendoci in parte. Al posto del consueto stereotipo italiano visto dagli americani, infatti, abbiamo con piacere notato che gli stereotipi sembrano essere messi in scena da un’italiano che prende in giro se stesso. Di certo può avere influito la presenza tra le figure chiave del team di Francesco Antolini, lead designer del gioco e pistoiese di nascita, il cui contributo nella caratterizzazione dei personaggi potrebbe davvero rivelarsi provvidenziale per la credibilità dei personaggi.
    Medici, in ogni caso, è un’isola che prendere molti elementi tipici dei paesaggi del Mediterraneo e li mescola con sapienza, creando un luogo che sembra a metà strada tra la Liguria, la Toscana, Malta e le isole del Dodecaneso. Anche la lingua del posto è stata saggiamente scelta: su Medici si parla l’Interlingua, un idioma artificiale realmente esistente che è stato utilizzato per tutte le scritte presenti nel gioco, ma che non si ode mai nel doppiaggio. Il gioco è interamente localizzato in italiano, ma nel corso del nostro test abbiamo preferito giocarlo in inglese con i sottotitoli. In lingua italiana, infatti, tutto il lavoro legato alla creazione e umanizzazione dei personaggi con i loro accenti particolari si perde, mentre in inglese si possono apprezzare le varie sfaccettature degli amici e nemici di Rico (l’accento texano di Sheldon, in particolare, è sempre una garanzia).
    Come da tradizione, Just Cause 3 ci porta in un mondo fatto di intensi combattimenti, fughe a bordo di veicoli e tante, tantissime esplosioni. Il sistema di combattimento con le armi da fuoco funziona molto bene: non vi è un sistema di copertura (l’unico aspetto che, forse, ci lascia un po’ di amaro in bocca), ma le armi danno un’ottima sensazione e un feedback davvero eccellente se paragonate alla piattezza di Just Cause 2.
    I veicoli fungono sia da mezzo di trasporto che da vera e propria arma: vi sono veicoli corazzati, auto, moto, scooter e, naturalmente, barche e velivoli. Gli aerei questa volta sono più utilizzabili che in passato: al costo di un po’ di realismo, infatti, gli sviluppatori ci danno la possibilità di utilizzare caccia da combattimento che possono decollare e atterrare in pochi metri, consentendo al giocatore di spostarsi rapidamente senza la necessità di individuare ampie aree per l’atterraggio. Alcuni veicoli e velivoli sono dotati di armi, e possono tornare utili per espugnare le fortezze presenti nel gioco o, semplicemente, per fare un po’ di caos o prendere parte alle numerose sfide presenti nel gioco.
    Il sistema di movimento più pratico nel gioco, tuttavia, si affida alla triplice combinazione di rampino, paracadute e tuta alare, quest’ultima presente per la prima volta nella serie. Con una sapiente combinazione dei tre elementi ci si può spostare per Medici con rapidità e in maniera davvero spettacolare. Non ci sorprende, dunque, che gli sviluppatori abbiano inserito nel gioco numerose sfide legate alla tuta alare che - siamo certi - ci consentirà di mettere in scena alcune azioni da lasciare a bocca aperta.
    Per liberare le varie aree occupate dai sodati di Di Ravello dobbiamo creare il caos, fare esplodere un sacco di cose e abbattere statue e simboli del potere dittatoriale. Il rampino è stato opportunamente riveduto e può contribuire a generare enormi esplosioni a catena. Una nuova funzione, infatti, consente di collegare fra loro fino a quattro oggetti: quando il rampino viene ritirato, gli oggetti iniziano a collidere fra loro. Collegare un barile esplosivo a un distributore di benzina potrebbe creare qualche bel fuoco d’artificio, e ci siamo sinceramente divertiti nel fare saltare in aria alcuni generatori elettrici giocando a bowling con un grosso serbatoio di propano.
    Vi è poi la possibilità di distruggere ponti e bloccare convogli di veicoli nemici in maniere piuttosto creative. O, in alternativa, si possono utilizzare i veicoli come arma e lanciarli contro ai nemici o farli decollare attraverso delle speciali granate razzo.
    Nel gioco è poi presente una particolare meccanica che consente di modificare le capacità di Rico: si possono creare bombe a mano che esplodono in prossimità dei nemici, si possono migliorare i veicoli e le armi, l’efficacia del rampino. Il respec è possibile in qualsiasi momento, e il giocatore può scegliere la migliore combinazione per ciascuna missione, modificando l’approccio in maniera talvolta radicale.
    Al contempo, i veicoli sono modificabili: potete aggiungere il NOS a un trattore agricolo per trasformarlo in un bestione da 1000 cavalli. O, in alternativa, potreste tentare qualche strana modifica a un’auto da corsa per trasformarla in un veicolo utile in battaglia. La libertà concessa al giocatore di Just Cause 3 è davvero elevatissima, e in un titolo free roaming questo aspetto potrebbe rivelarsi cruciale. Siamo davvero molto curiosi di scoprire cosa la community riuscirà a inventarsi su questo gioco quando sarà disponibile: crediamo che su Youtube o su Twitch ne vedremo davvero delle belle.

Sword Coast Legends

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Digital Extremes

  • Data uscita:29 settembre 2015

     

     

    Presentatomi come una versione digitale del più famoso gioco di ruolo cartaceo di tutti i tempi allo scorso E3, al momento Sword Coast Legends è molto diverso da quello che i programmatori si prefiggevano, ma ha il tempo dalla sua parte, e il tempo è l'alleato più prezioso per un progetto come questo.
    Al momento, dal menu principale, il giocatore può accedere a due modalità, quella Storia e quella Dungeon Master, e, sebbene nelle intenzioni di N Space e Digital Extremes, i due studi che si sono occupati dello sviluppo, la seconda avrebbe dovuto essere preponderante rispetto alla prima, è proprio la corposa campagna per giocatore singolo a catturare, al momento, l'attenzione.
    Questo accade per due motivi: uno è insito nella qualità intrinseche dell'avventura, che forse eccede nel classicismo ma risulta solida e godibile, l'altro deriva dal fatto che l'editor, che consente ad un dungeon master di creare da zero il proprio antro, che sarà poi affrontato da altri quattro amici in cooperativa, è abbastanza limitato in quanto a toolset disponibili e tipologie di mostri con cui popolarlo.
    L'idea alla base, comunque, è valida oggi tanto quanto mi era sembrato lo fosse a giugno scorso: il dungeon master ha il controllo su diversi elementi, dalla forza delle creature da mandare contro i suoi amici al loro posizionamento, e lo stesso vale per trappole, bottini, indizi per la soluzione di enigmi, personaggi non giocanti e molto altro ancora.
    Dopo aver realizzato il dungeon, con la collaborazione del generatore casuale di ambienti, il DM può intervenire in tempo reale per aggiungere mostri dopo la sconfitta di alcuni di quelli piazzati originariamente, oppure muoversi a compassione per l'eccessiva difficoltà e possedere uno dei suoi mostri, combattendo così al fianco degli avventurieri cui stava cercando di fare le scarpe.
    Le possibilità sono moltissime, ma il ventaglio di scelte, al momento, è abbastanza limitato, tanto in termini di varietà visiva quanto di supporto della community (è possibile affrontare anche dungeon creati da terzi): se, per risolvere il primo problema, non posso che fidarmi delle parole dei ragazzi di N Space, già autori del sottovalutato Heroes of Ruin per 3DS, che fu supportato a lungo dopo il lancio, per il secondo sarà fondamentale il gradimento della community, che comunque potrebbe richiedere del tempo visto che il gioco, al momento di redigere questa recensione, è uscito dalla fase di early access solo da una settimana.
    La campagna, strutturata in maniera alquanto canonica per il genere, pur non reggendo il confronto con quelle di mostri sacri (anche recenti) come Pillars of Eternity e, soprattutto, Divinity: Original Sin, riesce ad intrattenere il giocatore per un lasso di tempo compreso tra le trenta e le quaranta ore circa, a seconda di quante delle decine di quest secondarie si deciderà di intraprendere.
    La scrittura e i dialoghi risultano essere, insieme all'arcinota ambientazione di D&D, la cosa migliore: ogni personaggio ha il suo punto di vista, una sua personalità ben definita, e basterà una manciata di ore per affezionarsi al necromante imbranato (Hommet), al ladro dalla lingua lunga (Larethar) o alla determinata sacerdotessa elfica (Illydia).
    Le vicende prendono il via dopo una serie di attacchi ad una carovana che il nostro alter ego, in qualità di mercenario del gruppo dell'Alba Ardente, era chiamato a proteggere per contratto, lungo la strada che conduce a Luskan, non lontano da Neverwinter.
    Accompagnati da terribili incubi premonitori, questi attacchi non solo sono feroci ed immotivati, ma sembrano avere come obiettivo i mercenari stessi più che la carovana e le sue merci...
    Lenta a carburare durante le prime ore, quando eccede nell'affidare al giocatore compiti pedestri (dalla discesa nelle fogne alle quest di raccolta e di consegna di oggetti), attorno alla decina di ore di gioco la campagna inizia a prendere piede, proponendo un intricato dedalo di misteri, tradimenti e cospirazioni, più che sufficiente a portare il giocatore fino ai titoli di coda.
    L'altro grande equivoco, che rischia di nuocere a Sword Coast Legends più del lecito, sta nel fatto che, pur essendo stato presentato come un adattamento videoludico del set di regole della quinta edizione di Dungeons&Dragons, il titolo propone un ritmo ed un sistema di combattimento, che, pur implementando la pausa tattica, richiamano più da vicino le dinamiche dei primi due Diablo che non quelle di un Neverwinter Nights.
    Il giocatore è a capo di un party da quattro personaggi, potendo cambiare in ogni istante quello controllato e con la possibilità di impartire comandi tramite la pausa tattica, attivata, come da tradizione, dalla pressione della barra spaziatrice.
    Le abilità disponibili sono mostrate in una hotbar a fondo schermo, e sono regolate da tempi di cooldown differenti tra loro, a seconda della potenza dell'incantesimo e dei punti spesi per velocizzarne la ricarica: l'assenza di una barra del mana ricorda un po' le soluzioni tipiche degli MMORPG, e, probabilmente, toglie profondità tattica al sistema di combattimento, che, soprattutto durante le prime ore di gioco, raramente necessiterà della pausa tattica.
    Questo, se da un lato è sintomo di una buona intelligenza artificiale, che gestisce in maniera più che decorosa gli altri tre membri del party, denota anche una difficoltà media non certo insormontabile e, conseguentemente, una minore enfasi sulla crescita dei personaggi, che pure dispongono di rami delle abilità articolati e variegati.
    Rispetto ai titoli già citati, Sword Coast Legends preferisce andare sul sicuro, proponendo soluzioni ludiche già viste e non azzardando mai, il che si traduce in un'esperienza di gioco solida, divertente, ma anche un po' troppo familiare, a metà strada tra un sistema realmente a turni e le furiose risse in tempo reale dei dungeon crawler più famosi.
    La possibilità di incappare in imboscate, la gestione dell'equipaggiamento, il continuo rispondere dei personaggi agli input del giocatore richiamano molto anche Dragon Age Origins, ed è proprio in questo suo rifarsi eccessivamente ai classici del genere che l'ultima fatica basata sulla licenza Wizards of the Coast trova la sua più grande forza e, contemporaneamente, la sua debolezza più limitante.
    La familiarità vi porterà ad “indossare” questo titolo come fareste con il vostro paio di scarpe preferito, senza pensarci, traendone un monte ore non indifferente di esplorazione e combattimenti, ma, nel contempo, proprio in un momento storico in cui i giochi di ruolo stanno vivendo una seconda giovinezza, Sword Coast Legends faticherà a trovare lo spazio al sole che si sarebbe meritato anche solo un paio di anni fa.
    In ogni caso, considerando che, nelle intenzioni dei team di sviluppo, la campagna single player doveva essere una modalità quasi accessoria, i risultati raggiunti sono buoni, e rendono il titolo comunque consigliabile a tutti gli appassionati di giochi di ruolo di stampo occidentale.

    Con l'intenzione di aprire il mondo di Dungeons&Dragons a tutti, sfatando il mito che ne vuole il set di regole di difficile comprensione, N Space e Digital Extremes hanno optato per un motore di gioco abbastanza minimalista, che fosse sufficientemente scalabile per permettere anche a PC non di prima fascia di farlo girare senza problemi.
    Giocato su un PC di fascia media, Sword Coast Legends non denuncia particolare pesantezza, a discapito, ovviamente, del livello di dettaglio, lontano dagli standard cui gli ultimi congeneri ci hanno abituato: le texture sono povere, i personaggi sono mossi da un set di animazioni decisamente legnoso, e il buon character design, che cattura l'essenza di D&D, risulta penalizzato da una mole poligonale appena sufficiente.
    Non aiutano, poi, una serie di piccoli ma fastidiosi bug, soprattutto a livello sonoro, con l'audio che salta senza preavviso per qualche secondo per poi ritornare, e dei tempi di caricamento biblici, soprattutto in occasione del caricamento della partita dal menu principale.
    L'ottimizzazione, insomma, lascia ancora un po' a desiderare, e, come per l'editor, saranno solamente il tempo e il supporto post lancio degli sviluppatori a decretare lo stato del gioco tra qualche settimana.
    Noi, però, siamo chiamati a giudicarlo per com'è oggi, con i suoi difetti e i suoi pregi: tra questi ultimi, impossibile non annoverare l'intero comparto sonoro.
    Le musiche, composte dal veterano Inon Zur (autore delle colonne sonore di Baldur's Gate 2, Fallout 3 e Dragon Age 2, tra gli altri) catturano l'essenza della Costa della Spada come la grafica non riesce a fare, punteggiando ogni azione del giocatore con un commento audio intenso ed appropriato, con largo uso di strumenti inusuali (come quelli etnici e tribali).
    Benissimo anche il doppiaggio, non solo per la sua estensione (che copre oltre il 90% delle linee di dialogo), ma anche per la qualità recitativa, che raggiunge picchi nella interpretazioni di Larethar e di Soronil.

lunedì 19 ottobre 2015

Train Valley

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gestionale

  • Sviluppatore:Oroboro Games

  • Data uscita:16 settembre 2015

     

     

    Riuscire a costruire la propria rete di trasporti virtuale dà molta soddisfazione: piazzare i binari, acquistare le motrici, vedere i piccoli trenini che seguono pixel per pixel il percorso da noi tracciato fino ad arrivare sicuri a destinazione, è una sensazione che gli appassionati di titoli del genere conoscono molto bene. Il gioco che stiamo per analizzare, Train Valley, cerca di ridurre all’essenza questa esperienza, proponendo una variazione sul tema dei gestionali di reti di trasporto. Vediamo di capire di che si tratta.

    Sviluppato da Oroboro Games, Train Valley mette il giocatore difronte a una sfida che all’apparenza sembra semplice, ma che in pratica darà molti grattacapi. L’obiettivo, infatti, è riuscire a collegare varie stazioni tra di loro, all’interno di stage che seguono in ordine cronologico l’evoluzione delle linee ferroviarie. Si inizierà con i primi convogli a vapore nel 1832, e si continuerà fino ad arrivare alle soluzioni giapponesi tecnologicamente avanzate degli anni 2000. Non si tratta, dobbiamo precisarlo bene, di uno di quei titoli che puntano sulla gestione prolungata della propria rete ferroviaria: in Train Valley, in effetti, verranno proposti livelli separati tra di loro, all’interno dei quali dovremo ricominciare sempre dall’inizio. In verità esiste anche una modalità sandbox, in cui saremo liberi da tutti i vincoli che analizzeremo meglio nel secondo paragrafo, e in cui sostanzialmente potremo far girare i nostri trenini per tutto il tempo desiderato.
    Nel concreto, allora, l’obiettivo del gioco è riuscire a costruire una piccola rete ferroviaria di modo da far viaggiare i treni da una stazione all’altra. Il tutto senza far scontrare i convogli, o senza mandarli nelle stazioni sbagliate. Come si può intuire, questa dinamica rappresenta la forza ma più che altro la debolezza del gioco: in effetti Train Valley si atteggia più a rompicapo che a gestionale, visto che riuscire ad avere successo nei livelli più avanzati sarà questione veramente complicata. Nonostante ciò, è evidente come la struttura del gioco rimanga immutata per tutta la durata dell’esperienza, e difatti la sensazione di ripetitività sarà presente dopo poche ore di gioco.

    La fragile economia delle compagnie di trasporto

    Il traguardo principale di tutti gli scenari di Train Valley è sostanzialmente uno solo: non finire in bancarotta. Ogni stage, infatti, percorre alcuni anni di un determinato periodo storico, e in questo lasso di tempo il giocatore deve far sì che la propria compagnia prosperi e si espanda. Per fare ciò, molto semplicemente, si dovranno collegare correttamente le stazioni, fare in modo che i treni non si scontrino o vadano a finire in stazioni sbagliate, e limitare il più possibile i ritardi. Ogni treno che arriva nella stazione corretta, infatti, garantisce una entrata di denaro, che può essere reinvestita per costruire nuovi binari, e per pagare le tasse annuali. Se il rapporto tra entrate e uscite diventa negativo anche solo momentaneamente il gioco si interrompe, il livello termina, e si dovrà ricominciare tutto dall’inizio.
    Oltre all’obiettivo principale appena descritto, ogni livello proporrà traguardi secondari che varieranno a seconda dell’ambientazione. Il titolo, così, ci chiederà di volta in volta di guadagnare una certa cifra, oppure di non far arrivare neanche un treno nella stazione sbagliata, o ancora di non distruggere troppi elementi dello scenario.
    Il fulcro dell’azione di Train Valley, difatti, è proprio la posa dei binari che devono collegare le varie stazioni. Di norma, i livelli iniziano con solo due fermate da servire; dopo i primi guadagni inizieranno a spuntare nuove stazioni, il che obbligherà a tracciare rotte sempre più tortuose e precise. Per fare ciò, i giocatori dovranno semplicemente tracciare col mouse il percorso dei binari, ma l’insidia peggiore non risiede tanto nel percorso in sé. La sfida più grande del gioco, che difatti ci spinge a dire che Train Valley è sostanzialmente un rompicapo, è la gestione degli scambi. Ogni treno, infatti, dovrà essere indirizzato manualmente verso la sua stazione di arrivo, andando ad agire col mouse su ogni scambio interessato. Se il discorso si rivela semplice nel momento in cui su schermo sono presenti due, tre stazioni, negli stage più avanzati la situazione si rivelerà un vero e proprio delirio, con incroci, cambi di direzione, gallerie, ponti e altre variabili di cui tener conto. Di norma, il giocatore ha dalla sua il grande vantaggio di poter scegliere quando far partire i treni: per sapere dove indirizzare le locomotrici, difatti, gli sviluppatori hanno pensato a un sistema semplice ma efficace. Ogni stazione, allora, presenta un colore differente, e nel momento in cui un treno è in partenza, apparirà una piccola appendice colorata che identifica un’altra fermata della propria rete. A quel punto basterà cliccare sull’icona della stazione, e il proprio treno partirà automaticamente. Se il percorso e gli scambi sono corretti, avremo successo. Questa dinamica, unita alla possibilità di mettere in pausa il gioco, consente difatti di avere il più delle volte il quadro completo della situazione, ma è anche vero che nel momento in cui si aspetterà troppo prima di far partire un treno, questo si metterà in moto automaticamente. Se allora la nostra rete sarà troppo disordinata, e gli scambi non a norma, succederà l’irreparabile.
    Lo scontro di due treni, come intuibile, porta a una serie di conseguenze spiacevoli: per prima cosa i treni esploderanno, e i binari verranno distrutti. Tutto ciò significa che dovremo spendere non solo per ricostruire la strada ferrata, ma anche per togliere le macerie. Ogni elemento sufficientemente piccolo della mappa, infatti, può essere rimosso a patto di pagare un prezzo peraltro abbastanza elevato. Far scontrare due treni, specie nei livelli più avanzati, vuol dire in altre parole dover spendere talmente tanti soldi da costringere ad andare in bancarotta. E con la bancarotta, arriva anche la fine del livello.
    Vale la pena accennare nuovamente poi alla modalità sandbox, che forse rappresenta al meglio l’essenza del gioco: liberi da vincoli economici di sorta, sarà possibile costruire la propria rete di binari e far girare i propri treni per quanto si vuole. La sfida, in questo caso, è tutta di destrezza, e si limita al giusto raccordo tra i binari e al tempismo nell’azione degli scambi
    Train Valley non è un gioco che si perde in sottigliezze: certo, ogni livello cerca diproporre uno scenario che ricordi particolari locazioni geografiche, ma senza mai scendere troppo nel dettaglio. Lo stage italiano, ad esempio, include un bel vulcano da aggirare con le rotaie, mentre i primi livelli richiamano gli scenari americani dei primi del ‘900. Non mancano le location innevate della Russia, così come quelle più futuristiche del Giappone. In generale, considerato anche l’aspetto grafico, è chiaro come Train Valley sia un gioco senza un grande budget, che si concentra quasi totalmente sul gameplay descritto in precedenza; l’estetica del titolo, infatti, propone una grafica squadrata, vicina al cartoon, che in ogni caso garantisce un discreto livello di zoom. Oltre questo, è giusto dire che i giocatori non devono aspettarsi possibilità tipiche di un gestionale di linee ferroviarie: le vetture cambieranno con il corso del tempo, ma non è dato conoscere le loro caratteristiche, né è possibile scegliere che tipo di motrice acquistare. Non si tratta di un vero e proprio difetto: come detto in precedenza, il cuore dell’esperienza è un altro.  Il sonoro, invece, propone degli accompagnamenti audio che risultano abbastanza ripetitivi, mentre i rumori audio dei treni raggiungono la sufficienza.

80 Days

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Cape Guy Ltd

  • Data uscita:28 settembre 2015

     

     

    Dopo il grande successo ottenuto in ambito mobile, e una carrettata di premi tra i quali spiccano riconoscimenti prestigiosi come il “Game of The Year 2014” del Time, oltre che il premio per la narrativa dell’Indipendent Games Festival, 80 Days sbarca anche su PC e Mac. Preparate i bagagli, armatevi di mouse, e vediamo se il nostro giro del mondo virtuale si conclude con un voto positivo.

    Sviluppato da inkle Ltd e Cape Guy Ltd, l'avventura testuale 80 Days si ispira chiaramente al romanzo “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne, riprendendone i personaggi e l’obiettivo principale. Il giocatore, allora, impersonerà il servitore Passepartout, e il suo compito sarà quello di accompagnare in giro per il mondo il misterioso Phileas Fogg. Proprio come nell’opera di Verne, partiremo da Londra con £ 4000, con lo scopo di effettuare il giro del mondo in 80 giorni o meno. Se ci riusciremo, avremo vinto la scommessa da £ 20,000 effettuata da Fogg e i suoi amici del Reform Club; in caso contrario, dovremo comunque portare a casa la pelle, ritornando a Londra nel minor tempo possibile.
    In tutto questo, quello che il giocatore dovrà farà sarà sostanzialmente determinare le tappe del viaggio, scegliendo quali città visitare in relazioni a numerose variabili quali il prezzo del trasporto, la sua durata, e altre interessanti opzioni di cui parleremo diffusamente nel secondo paragrafo.
    Dal punto di vista narrativo, 80 Days si dimostra una delle avventure testuali più complesse e variegate degli ultimi tempi: l’intero viaggio, in effetti, verrà rappresentato sui nostri schermi attraverso le note testuali di Passepartout, che si dilungherà nella descrizione di tutti gli spostamenti compiuti. La cosa si fa interessante nel momento in cui saremo noi a scegliere come far continuare la storia, decidendo in sostanza le azioni compiute dai personaggi cliccando sulla linea di testo che ci sembra più interessante. Facciamo un esempio per chiarire meglio questa dinamica: dopo essere partiti da Londra, ad esempio, siamo stati a Parigi, città in cui era in corso di svolgimento l’esposizione universale. La nostra scelta era quella di rimanere in albergo, visitare l’esposizione o semplicemente girovagare per quella che è la città natale di Passepartout. Ognuna di queste scelte presentava poi altrettante ramificazioni, e tutto ciò difatti non è solo importante ai fini narrativi, ma anche pratici. Le nostre azioni in quel di Parigi, infatti, ci hanno fatto scoprire il modo di arrivare a diverse città europee come Monaco, Berlino e Nizza. A quel punto, la scelta della prossima tappa del viaggio era solamente nostra.
    Come si può capire, dunque, la scoperta delle rotte da percorrere è spesso affidata all’interazione con altri personaggi: sarà parlando con passeggeri e macchinisti, principesse e furbi mercanti, che scopriremo le strade che ci avvicineranno al nostro obiettivo. C’è da dire peraltro che le scelte da noi effettuate, soprattutto durante alcuni avvenimenti relativi all’interazione con altri personaggi, influenzeranno la nostra relazione con Fogg: alla fine del gioco, un rapido riepilogo ci darà conto del nostro comportamento.
    Il titolo è dunque costellato da rotte segrete, viaggi improbabili, 170 città da visitare, e migliaia di parole su schermo che, nella nostra mente, riescono a disegnare scene vive e vibranti.
    Riuscire a imbroccare la rotta giusta, difatti, è tutta una questione di strategia: per avere successo in 80 Days, infatti, bisognerà sempre tener conto del tempo necessario ad arrivare da una città all’altra, dei fondi necessari, e della salute di Fogg. Per rimediare qualche soldo, ad esempio, è possibile effettuare la compravendita di beni preziosi nei mercati delle varie città; una prima edizione delle poesie di Coleridge acquistata per £ 58 a Parigi, infatti, valeva ben £ 4,300 a Venezia, e quindi il nostro viaggio è stato per forza di cose condizionato da questa variabile. Rimanere senza soldi, infatti, farà sostanzialmente finire il gioco, sebbene sia possibile farsi prestare alcune somme di denaro alle banche locali. Maggiore sarà la somma richiesta, però, e più tempo ci vorrà affinché il prestito venga accettato; tutto ciò può far perdere, come evidente, giorni preziosi sulla tabella di marcia. Il miglior modo per non finire al verde, dunque, è proprio quello di cercare di adattare il proprio viaggio per cercare i migliori mercati su cui comprare e vendere.
    Per quanto riguarda la salute di Fogg, dobbiamo dire che sarà nostro compito far sì che questi non si ammali in modo grave: in questo senso, ogni viaggio che intraprenderemo sarà più o meno faticoso, a seconda del tipo di mezzo utilizzato, e della strada percorsa. Da questo punto di vista, il gioco offre una varietà notevole: viaggeremo su treni, aeroplani, carretti scalcagnati, auto private e una quantità di mezzi strambi e fantasiosi. Non bisogna dimenticare, infatti, che il mondo descritto da 80 Days rientra a pieno titolo nell’immaginario steampunk fatto di enormi automi meccanici, vaporose città industriali e lontani paradisi orientali. La salute di Fogg è rappresentata da un semplice dato numerico, che va da 100 a 0: va da sé che ogni viaggio stancante farà scendere il numero verso il basso, e sarà nostro compito far sì che ciò non accada accudendo in vari modi il nostro padrone. Ciò detto, è anche vero che nei vari mercati potremo acquistare vari capi di vestiario che aiuteranno Fogg nei vari viaggi, riducendo dunque il rischio che la sua salute peggiori.
    Possiamo dire dunque che 80 Days è un’avventura testuale ma che al tempo stesso presenta forti elementi strategici, risultando estremamente rigiocabile. Sebbene a una prima occhiata veloce il titolo possa sembrare ripetitivo, la qualità di scrittura della storia, e le grandi possibilità di scelta offerte ai giocatori, fanno sì che la longevità del titolo si allunghi di molto. Tanto per fare un altro esempio della varietà del gioco, riassumiamo brevemente le nostre prime tre run: nella prima abbiamo scelto di attraversare la Russia sull’Orient Express, ma dopo essere stati avvertiti dei pericoli dell’estremo oriente da un commerciante incontrato a Varsavia, abbiamo scelto di andare verso Nord, tentando l’impresa e imbarcandoci verso l’Artico. Sapevamo che era un tentativo rischioso, ma abbiamo voluto provare lo stesso: il viaggio, però, ci ha riservato una sorpresa, e il mezzo meccanico sul quale stavamo viaggiando ha subito un’avaria, che ha portato poi alla morte di Fogg per congelamento. Nella seconda run, dopo aver rischiato più volte la bancarotta, siamo riusciti a terminare il viaggio in 111 giorni, mentre al terzo tentativo siamo riusciti a intraprendere il trasferimento finale da Lisbona a Londra proprio nell’ottantesimo giorno di viaggio. Come si vede, dunque, le combinazioni possibili sono tantissime: nei nostri primi tre tentativi, ad esempio, non abbiamo toccato le coste del Canada e del Nord America, mentre ci siamo spinti fino in Nuova Zelanda e Sudafrica.
    L’aspetto tecnico è elemento essenziale nell’analisi di 80 Days. L’intero mondo di gioco, infatti, è rappresentato da un mappamondo costellato da città da raggiungere, e rotte da tracciare. Una volta entrati in una delle tante metropoli, ma anche negli anfratti più sperduti del deserto africano, il titolo accoglierà il giocatore con una schermata basilare, che raffigurerà uno dei monumenti simbolo dei vari insediamenti. Si tratta di una trovata semplice, che in qualche modo tradisce il fatto che il gioco di cui stiamo parlando è stato sviluppato principalmente per piattaforme mobile. Anche l’interfaccia di gioco, difatti, è tutta improntata alla semplicità, visto che le varie icone da utilizzare saranno sempre ben distinguibili e chiare da visualizzare. Non sappiamo dire con certezza se 80 Days sia un gioco più adatto a brevi partite veloci sulla metro, piuttosto che a placide sessioni sul proprio computer di casa. E’ sicuramente vero che il titolo può essere fruito anche per pochi minuti al giorno (giusto il tempo di cambiare città, ad esempio), ma è altrettanto vero che per seguire bene tutte le annotazioni di Passepartout bisognerà prendersela con una certa calma. Il gioco difatti è molto verboso, e si dilunga in descrizioni e dialoghi dall’azzeccato gusto tardo ottocentesco. E’ un peccato, allora, che il titolo sia fruibile solo in inglese: chi non capisce neanche una parola della lingua di Albione, difatti, è automaticamente tagliato fuori dai giochi.
    Rispetto alla versione mobile, in ogni caso, 80 Days offre in questa sua rinnovata edizione nuove città, linee di dialogo e avventure: ad essere particolarmente rimpolpate sono state le rotte americane, che ora permettono di attraversare gli Stati Uniti da una costa all’altra. Il titolo, peraltro, propone anche una sorta di modalità multigiocatore: sul nostro mappamondo, infatti, vedremo in tempo reale le rotte intraprese dagli altri giocatori, oltre che i loro giorni di viaggio. Un modo come un altro, difatti, per aggiungere un po’ di competizione nella corsa al giro del mondo.

lunedì 12 ottobre 2015

Star Wars Battlefront


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:DICE

  • Data uscita:19 novembre 2015

     

     

    La febbre di Star Wars sta crescendo. Per i fan di questa storica saga, il 2015 è un anno di estrema importanza: l’uscita del settimo film è un evento di enorme portata, e da qualche mese Disney sta alimentando la passione con un merchandise sempre più invasivo nei propri negozi e un sacco di operazioni mirate a inoculare la passione anche nelle nuove generazioni. Per fortuna, la macchina di Star Wars ha pensato anche ai propri fan, con prodotti rivolti al pubblico storico che culminano, spesso, in un sacco di fan service. In questa categoria rientra anche Star Wars: Battlefront, titolo sviluppato da DICE in arrivo il 19 novembre.
    Dopo tre giorni in compagnia della beta, a cui abbiamo avuto accesso anticipato, possiamo tirare le somme su questo primo assaggio di uno dei giochi più attesi dell’anno.
    Il marchio DICE dovrebbe farvi saltare alla mente la serie Battlefield. In effetti, a un primissimo sguardo Star Wars: Battlefront ricorda la storica saga FPS. Ritroviamo le grandi mappe con ampi spazi aperti, il combattimento veicolare e un caos generale delle battaglie che sembra richiamare il terzo e quarto capitolo della serie. La verità è che le analogie si fermano a questi aspetti superficiali: una volta entrati in gioco, infatti, scopriamo una struttura profondamente diversa, sia per le meccaniche di gioco che per il feeling generale.
    Partiamo proprio dalle meccaniche: le due modalità a squadre disponibili nella beta - Drop Zone e Walker Assault - ci mostrano sin da subito alcune differenze importanti nel gameplay. In Drop Zone i giocatori sono chiamati a catturare e difendere una capsula per alcuni secondi: ad ogni cattura e mantenimento andati a buon segno, la squadra guadagna un punto. Alla fine del tempo a disposizione, la squadra con più punti vince. Si tratta di una sorta di modalità Re della Collina in cui il combattimento risulta molto frenetico e gli spazi sono piuttosto ridotti e pieni di cunicoli e luoghi per aggirare i nemici. In Walker Assault, invece, le cose cambiano in maniera radicale. La mappa, ambientata su Hoth, richiama la celebre battaglia iniziale del quinto episodio e porta i giocatori in una schermaglia che divide le due squadre in attaccanti (l’impero) e difensori (i ribelli). Gli attaccanti hanno a disposizione due AT-AT Walker che, lentamente, si dirigono verso la base dei ribelli. I ribelli, per contro, devono impedire l’avanzata dei giganteschi corazzati quadrupedi con ogni mezzo. I difensori possono conquistare alcune stazioni radio che chiamano in soccorso gli Y-Wing, i quali possono abbattere le difese degli AT-AT Walker e consentire ai giocatori di metterli fuori uso.
    In questa modalità il combattimento veicolare assume una grande importanza: i giocatori possono prendere il controllo dei caccia imperiali o degli snowspeeder, che possono ingaggiare battaglie aeree, compiere azioni di disturbo sulle truppe o, nel caso del velivolo ribelle, mettere fuori combattimento i Walker avvolgendo le loro gambe con un cavo, come avveniva nella celebre sequenza del film di George Lucas. Gli stormtrooper possono invece prendere possesso delle armi dell’AT-AT, che si suddividono in cannoni leggeri, pesanti o attacchi di artiglieria, o - in alcuni casi - possono salire a bordo di un più piccolo AT-ST. AT-AT e AT-ST sono utilizzabili solo per un minuto, un’idea intelligente che consente a tutti i giocatori di prendere possesso di un veicolo pesante almeno una volta ogni due partite.
    L’acquisizione dei veicoli è cruciale per l’esito della battaglia, dato che i giocatori rimasti a piedi possono fare ben poco contro i mezzi più pesanti. Vi sono torrette e armi fisse, ma in generale chi riesce a conquistare veicoli e velivoli ha un vantaggio non indifferente sul campo di battaglia.
    Vi sono poi i jedi e i sith, ovvero Luke Skywalker e Darth Vader che possono essere utilizzati per un breve periodo di tempo. Questi personaggi sono estremamente potenti, possono uccidere grandi quantità di nemici con facilità, ma non sono invincibili e devono essere usati con criterio.
    Per fare tutto questo, però, il giocatore è costretto a muoversi per la mappa e raccogliere i vari power up che determinano sia l’attivazione di veicoli, velivoli e personaggi speciali che la ricarica o l’acquisizione delle armi speciali. Sul campo si trovano spesso granate a implosione, bombe di prossimità, armi pesanti e attacchi aerei a uso singolo, che risultano molto più potenti delle armi standard e possono creare un po’ di panico dietro le fila avversarie. La raccolta dei power up va di pari passo con il loadout del personaggio, che si modifica sia acquistando armi con i punti esperienza ottenuti che acquistando delle carte, perk che sbloccano le armi secondarie o che danno un bonus di attacco a quella primaria. Come detto, poiché anche le armi secondarie ottenute dalle carte richiedono talvolta di essere ricaricate tramite i power up disseminati sulla mappa, il movimento in Star Wars: Battlefront risulta essere particolarmente incentivato.
    Tutto ciò si traduce in un combattimento frenetico, con lunghi spostamenti a piedi reminescenti di Battlefield ma con un time to kill estremamente breve. Nel gioco si muore spesso, il respawn è pressoché istantaneo e basato su di un sistema che non ci ha pienamente convinti. Ci è capitato di spawnare in faccia ai nemici o in luoghi assolutamente inappropriati innumerevoli volte nel corso delle nostre partite, un aspetto che ci ha fatto preoccupare e che temiamo non verrà completamente risolto in tempo per l’uscita.
    Allo stesso modo, non ci ha convinto il bilanciamento del gioco, che sembra favorire un po’ troppo le forze imperiali su Hoth. Un aspetto che potrebbe essere letto in maniera positiva dai fan più ortodossi della serie ma che, certamente, non contribuisce a costruire un’esperienza di gioco equilibrata.
    La beta giunge inoltre con la modalità survival in una mappa ambientata su Tatooine, già vista alla scorsa Gamescom, dove il giocatore è chiamato a resistere a sei ondate di nemici che prevedono l’incursione di due AT-ST alla terza e alla sesta ondata. In multiplayer - e in particolare in split screen - questa modalità risulta molto divertente, sebbene l’intelligenza arficiale non brilli particolarmente. Star Wars: Battlefront, d’altro canto, è  un gioco orientato esclusivamente al multiplayer, e non siamo sorpresi di trovare qualche lacuna in questo aspetto.
    Confessiamo, però, che l’assenza di una modalità per giocatore singolo potrebbe fare storcere il naso a molti. Le modalità visibili nella beta (ma non accessibili) non sono certo numerose, e la carenza di contenuti potrebbe rappresentare uno dei punti deboli del gioco al momento dell’uscita.

     

sabato 10 ottobre 2015

World Of Warship

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Data uscita:Aprile 2016



    Andando a memoria è difficile ricordare giochi dedicati alle battaglie navali di successo. Certo, correndo indietro con la mente qualcosa di divertente emerge e persino gli scontri in mare di Assassin's Creed sono meritevoli di menzione, ma un titolo di qualità assoluta è quasi impossibile da trovare.
    Gli scontri navali sono infatti lenti, poco adatti all'azione frenetica a cui ormai siamo abituati e per riuscire ad attirare il pubblico di oggi serviva qualcosa di rivoluzionario, una visione completamente nuova che ridesse lustro ad una nicchia di giocatori da troppo tempo a bocca asciutta.
    Dopo l'immenso successo di World of Tanks e la parentesi non altrettanto fortunata di World of Warplanes, è proprio Wargaming a cogliere la palla al balzo, proponendo un titolo riuscito e dal taglio decisamente originale.

    World of Warships si aggiunge così alla lunga lista di titoli free to play della compagnia bielorussa ambientati durante la seconda guerra mondiale. Proprio come i suoi predecessori anche questo WoWs propone i canonici dieci tier per fazione, e quattro classi differenti di imbarcazioni. Troviamo Destroyer dedite alla distruzione delle altre navi grazie all'uso di torpedo, portaerei dalla gestione strategica accentuata, veloci Cruiser indispensabili per dare una visione dell'area di gioco ai propri alleati e Battleship con cui cannoneggiare da chilometri di distanza i vascelli nemici.
    È proprio questo elemento a rendere unico e speciale World of Warships. Il sistema di fuoco proposto dagli sviluppatori risulta ben fatto e ricercato, miscelando sapientemente arcade e realismo in una composizione che diverte e richiede una buona dose di abilità per essere sfruttata al 100%. Passerete intere ore a guardare dentro il vostro mirino telescopico cercando di anticipare i movimenti di una nave nemica che si trova a più di dieci chilometri di distanza, vi ingegnerete cercando di prevedere l'alzo corretto per centrare lo scafo o i motori così da rallentarne l'avanzata, e sparerete mirando decine di metri oltre la prua sperando che il vostro bersaglio non cambi rotta.
    Le battaglie si combattono fondamentalmente da una distanza siderale e il gioco delle parti consiste nel compiere manovre inaspettate o nascondersi dietro le numerose isole che popolano le mappe di gioco per sorprendere gli avversari. Gli scontri a fuoco, ovviamente, avvengono anche a distanze meno marcate, trasformando la strategia in pura e semplice azione, con i giocatori che guardano disperatamente le barre utili a segnalare la ricarica riempirsi velocemente, sperando di riuscire a sparare prima che sia il nemico a farlo.
    Ogni nave, di qualsiasi tipologia si tratti, ha ovviamente statistiche proprie, così come armamentari e numero di cannoni. La posizione in mare è altresì indispensabile e riuscire a posizionarsi lateralmente permetterà di aprire il fuoco con tutte le batterie, piuttosto che limitare il giocatore ai pochissimi cannoni di prua in caso di attacco frontale.
    Wargaming ha poi speso energie e tempi di sviluppo per dotare tutti i vascelli di numerose hit box, aggiungendo oltretutto un fattore casuale basato su colpi critici e penetrazione, e andando così a dare maggior imprevedibilità alle battaglie. Colpire il deposito munizioni, spesso posto al di sotto della linea dell'acqua, causerà un incendio che potrebbe propagarsi ad altri settori delle navi causando danni ingenti a meno che le fiamme non vengano domate per tempo.
    Come dicevamo il realismo delle hitbox viene alternato in questo caso con una gestione arcade delle riparazioni, strutturata intorno alla pressione di un semplice tasto e ancorata ai semplici cool down. È un binomio che funziona più che decentemente e permette di non prestare troppa attenzione ad elementi tediosi, mantenendo invece sempre un occhio sulla battaglia e quello che accade intorno a noi. Muoversi rapidamente tra i cannoni e usare la visuale aerea sono azioni fondamentali poi, per evitare torpedo nemici e mettersi in buona posizione per sparare, in un gioco dove rimanere immobili significa affondare nel giro di una manciata di secondi.
    Ad aumentare la profondità del gameplay intervengono tutta una serie di skill e funzioni presenti solo nelle navi di tier più elevato, come ad esempio onde radio per individuare più velocemente i nemici, aerei di pattuglia che aumentano il vostro raggio d'azione o ancora fumogeni per nascondervi dalla vista degli avversari.
    Tutti elementi interessanti, funzionali e indispensabili per evitare che gli scontri divengano semplici arene dove chi spara con maggior precisione vince: in World of Warships il gioco di squadra e un uso sapiente di tutti i mezzi a nostra disposizione sono gli unici modi per portare a termine con successo una missione.
    Le cose però potrebbero comunque andare per il verso storto, e un siluro non visto potrebbe farvi terminare la partita nel giro di qualche minuto. Nessuna paura in questo caso, uscendo dalla partita e tornando al porto potrete tranquillamente e senza penalità salire su un'altra imbarcazione della vostra collezione e iniziare un nuovo match. Purtroppo il lato free to play della produzione ha spinto Wargaming a mettere un numero davvero limitato di slot per le navi e una volta aggiunti cinque vascelli alla vostra flotta sarete costretti a comprare posti aggiuntivi con moneta sonante o a vendere le navi di tier più basso inutilizzate. Per sbloccare le navi si segue il procedimento standard di questo genere di giochi, acquisendo esperienza indispensabile per comprare i potenziamenti del vascello in uso così da poter sbloccare il successivo, in un loop di partite e upgrade che vi terrà incollati al gioco per ore e ore di fila.

    Oltre alle imbarcazioni, World of Warships presenta una velleitaria gestione dei comandanti, anch'essi con abilità uniche in grado di potenziare alcuni elementi dei vascelli, e un sistema di bandiere da sistemare sugli alberi della nave che vi permetterà di acquisire gold ed esperienza più rapidamente (sempre sborsando qualche euro in più), nulla che però metta in discussione la completa fruibilità del titolo per chi non vuole davvero spendere un centesimo.
    Il titolo è stato lanciato ufficialmente da circa due settimane con una quantità di contenuti sufficiente, ma non propriamente esaltante. Le modalità di gioco non sono moltissime e risultano abbastanza classiche, senza contare che al momento sono presenti solo due fazioni complete, giapponesi e americani. La Russia è presente solo con due vascelli premium, acquistabili cioè solo a suon di euro, mentre Germania e Italia arriveranno in un secondo momento.
    È un titolo in divenire, che sicuramente crescerà e si strutturerà via via con il passare dei mesi, ma già allo stato attuale è in grado di offrire svariate ore di divertimento, anche grazie a un comparto tecnico che si difende estremamente bene. Le navi si danneggiano nelle zone colpite, le trasparenze dell'acqua sono straordinarie e più in generale è tutto il colpo d'occhio a lasciare davvero soddisfatti. Se dovessimo recriminare su qualcosa potremmo farlo sulla scelta di tenere la fisica delle onde praticamente ininfluente sulle imbarcazioni e sulle virate forse spinte davvero troppo verso una gestione arcade. Parliamo di scelta e non di difetto per quello che riguarda la fisica delle onde però, perché è la stessa Wargaming ad aver deciso di non gravare troppo sui processi di calcolo, proprio per fare in modo che il maggior numero possibile di persone, con fasce estremamente differenti di pc, potesse usufruire e godere del gioco. Una scelta che ha comunque pagato già nel breve periodo visto che i server, stabilissimi e senza lag, ospitano regolarmente circa 30.000 giocatori connessi per un totale di circa 3 milioni di iscritti. Noi continueremo a solcare per gli oceani ancora un bel po' dopo questa recensione. Ci vediamo in mare aperto.

Anno 2205

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Blue Byte

  • Data uscita:3 novembre 2015

     

     

    La serie di giochi Anno propone da diverso tempo un’esperienza soddisfacente e variegata, legata soprattutto al particolare periodo storico proposto. Dopo gli scenari dal futuro di Anno 2070, allora, Ubisoft e Blue Byte si sono spinti ancora più in là: con Anno 2205, infatti, si parte all’esplorazione della Luna. Vediamo le nostre impressioni a poco meno di un mese dall’uscita del gioco.

    Anno 2205 proporrà la classica intelaiatura da city builder, ma i cambiamenti rispetto al passato sono evidenti fin dall’inizio: avviata la nostra partita, infatti, abbiamo dovuto scegliere tra tre differenti aree terrestri sulle quali poter sviluppare la nostra città. Ognuno di questi territori differiva per grandezza, presenza di siti di costruzione costieri e di montagna, oltre che per una sorta di specializzazione (una mappa, ad esempio, garantiva un surplus nella produzione di energia, una nell’estrazione di materiali rari, e così via). Questa scelta iniziale rientra nell’opera di colonizzazione della Luna: il nostro obiettivo finale, infatti, sarà arrivare sul nostro satellite di modo da estrarre preziose risorse che possano far fronte alla crisi energetica della Terra. Per fare ciò, allora, il primo passo sarà proprio stabilire un insediamento terrestre in un territorio ricco di risorse naturali (ovvero la prima mappa da noi scelta). Il piano, però, non si ferma qui, perché nel momento in cui si sarà potenziato lo spazioporto del nostro insediamento, partirà la seconda fase della colonizzazione, che prevede l’insediamento nel territorio artico. Una volta raggiunti gli obiettivi richiesti anche in questa seconda fase, allora, si potrà partire alla conquista vera e propria della Luna.
    Se a grandi linee la questione sembra semplice, nel concreto le problematiche saranno parecchie. Per cominciare, dovremo far fronte alle esigenze dei cittadini delle nostre colonie, e va da sé che le richieste cambieranno sia in rapporto alla tipologia di cittadino, ma anche e soprattutto rispetto all’ambiente in cui questi si trovano. Facciamo qualche esempio: i primi abitanti del nostro lussureggiante insediamento terrestre, infatti, non chiedono altro che cibo e riparo, mentre i coloni dell’insediamento artico spingeranno da subito per avere un sufficiente riscaldamento. Gli abitanti della Luna, evidentemente, richiederanno ossigeno. Tutto ciò si traduce nell’esigenza di avere a disposizione le strutture necessarie, che a loro volta richiedono tutta una serie di risorse quali l’energia elettrica (anche questa, generabile in maniere differenti a seconda dell’ambiente), l’alluminio e via dicendo. Una volta che gli abitanti ritengono soddisfatti tutti i loro bisogni, si potrà procedere con l’avanzamento di classe degli stessi, che inizieranno dunque ad avere nuove e più raffinate esigenze. L’avanzamento dei propri abitanti, molto semplicemente, è necessario per costruire gli edifici più avanzati, che potranno dunque permetterci di arrivare sulla Luna.

    Le risorse rappresentano la chiave del successo di Anno 2205: riuscire a ottenerle sarà complicato, e scegliere come utilizzarle potrà garantire il successo o la sconfitta. Abbiamo detto che i materiali possono essere estratti sfruttando i vari giacimenti presenti sui territori, ma in effetti il titolo offre anche un’altra possibilità: quella, cioè, di ottenere preziose risorse accettando delle quest secondarie assegnateci da vari personaggi. Tra queste missioni, che prevedono ad esempio la ricerca di determinati oggetti o persone, figurano anche gli interventi militari. Sulla mappa generale di gioco, infatti, saranno presenti delle aree di crisi occupate da oppositori del programma di esplorazione lunare. In queste zone è possibile dunque pilotare la propria flotta contro le imbarcazioni nemiche. Gli scontri ci vedranno in costante inferiorità numerica, ma è anche vero che si potrà scegliere il livello di difficoltà di queste particolari sessioni (più la sfida sarà semplice, però, e meno risorse otterremo). In questi stessi scenari incontreremo altri personaggi che ci proporranno delle piccole quest, e anche qui le ricompense saranno in termini di risorse o denaro. Le fasi di combattimento in tempo reale ci hanno tutto sommato convinto pur nella loro iniziale semplicità: le cose si fanno più interessanti nel momento in cui si avanzerà nei vari livelli dell’esperienza militare, visto che ciò permetterà di migliorare la propria flotta.
    Saper gestire il proprio arsenale sarà cosa decisamente buona e giusta, visto che durante gli scontri potremo anche contare su misure speciali, decisamente potenti e capaci di tirar fuori da situazioni scottanti. Parliamo dunque del supporto aereo o sottomarino, ma anche di attacchi a impulsi EMP, mine acquatiche, e i sempre graditi droni di riparazione. In ogni caso, sembra chiaro come si tratti di fasi di gioco per la maggior parte delle volte opzionali o, se si vuole, ignorabili da chi non è interessato alle dinamiche militari.
    Quello che sembra importante segnalare, al di là dell’esperienza delle singole colonie, è il modo in cui gli sviluppatori abbiano cercato in qualche modo di creare un mondo di gioco complesso e variegato. Abbiamo detto, infatti, che all’inizio di ogni fase della missione sarà possibile scegliere un territorio terrestre, artico o lunare che sia. Gli altri territori scartati saranno comunque governati dalla IA, e pagando una certa somma di denaro sarà possibile avervi accesso, di modo da stabilire rotte commerciali. La stessa cosa è possibile con le proprie colonie, e anzi sarà spesso necessario, considerato che una data risorsa di cui abbonda un insediamento, ad esempio, è assai rara e richiesta in un altro. Tutta l’impostazione data al gioco, dunque, non prevede una sola città, ma tanti insediamenti medio-grandi collegati tra di loro, accessibili in maniera semplice (almeno nel caso delle città controllate dal giocatore), e molto variegati tra loro in termini di obiettivi richiesti.
    Anno 2205 sarà dunque un gioco complesso da gestire, in cui si dovrà creare un intero sistema di città in qualche modo complementari tra loro, ed estremamente efficienti al loro interno. Spendere troppo in costruzioni, ad esempio, farà perdere costantemente del denaro: questi stessi fondi, invece, potrebbero essere risparmiati pensando a una migliore pianificazione urbana, sempre tenendo conto dei limiti imposti dal territorio. Tutto questo sarà ancora più importante sulla Luna, dove l’ostilità dell’ambiente si tramuterà in piogge di meteoriti capaci di distruggere costruzioni e case: per ovviare a ciò, si dovrà costruire uno scudo adatto a contenere questa minaccia.
    Va da sé che tutta questa varietà di ambienti e situazioni richieda un comparto tecnico all’altezza, se non altro per differenziare in maniera credibile le varie location. Dobbiamo dire che, da questo punto di vista, Anno 2205 riesce a soddisfare pienamente, grazie a una grafica pulita e molto definita in alcuni suoi particolari. Ci ha impressionato favorevolmente, ad esempio, la realizzazione delle ambientazioni artiche, belle da vedere soprattutto dall’alto, selezionando il livello minimo di zoom possibile.
    Ingrandendo l’inquadratura al massimo livello, invece, è possibile scorgere la vita dei nostri insediamenti, con veicoli in movimento e abitanti affaccendati. In questi frangenti è possibile osservare la cura riposta nei dettagli, soffermandosi ad esempio sui vari mezzi di trasporto, o anche sull’abbigliamento dei piccoli omini che popolano le nostre città. Questo dà l’opportunità anche di osservare le architetture di strutture e palazzi, nonché dei ponti, edificabili nelle aree terrestri.
    Per ultimo, qualche appunto sul sonoro, apparso non ancora del tutto rifinito in alcune situazioni: in alcuni frangenti delle cutscene iniziali, o comunque durante l’apparizione di qualche personaggio secondario, è possibile notare qualche sbavatura. In particolare, alcune volte abbiamo sentito pronunciare frasi non incluse nei sottotitoli, o sincronizzate in modo non proprio perfetto.