Ethero

martedì 28 luglio 2015

Sorcerer king

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:StarDock

  • Data uscita:16 luglio 2015

     

     

    I creatori di Galactic Civilizations e Fallen Enchantress, ovvero Stardock Entertainment, tornano a far parlare di sé grazie a un titolo 4X che si è rivelato decisamente interessante. Il progetto in questione si chiama Sorcerer King, e ha saputo attirare la nostra attenzione. Vediamo perché.In effetti sintetizzare Sorcerer King solamente con la sigla 4X è un po’ riduttivo, se si considera l’esperienza di gioco offerta. Di sicuro, infatti, è possibile trovare elementi propri dei giochi di ruolo e degli strategici a turni, e tutto sommato la prospettiva del titolo nei confronti del giocatore è in qualche modo asimmetrica. Gli stessi sviluppatori, infatti, si riferiscono a Sorcerer King identificandolo come un “4X asimmetrico”. Il motivo di questa originale definizione è presto detto, e deriva dal background narrativo: il grande Re Stregone, infatti, ha appena conquistato il mondo.  La notizia non è delle migliori, soprattutto se si considera che il giocatore andrà a controllare una delle piccole fazioni rimaste intatte per volere del Re. Come se non bastasse, però, il villain di Sorcerer King ha in mente un piano ancora più grande: quello, cioè, di accumulare abbastanza potere di modo da lanciare un incantesimo capace di tramutare tutte le forme di vita ancora presenti in materia magica, buona per poter ancora aumentare la propria potenza e forza.
    L’obiettivo del giocatore, dunque, è di quelli interessanti da raggiungere: cercare, cioè, di formare una forza militare forte abbastanza da poter sconfiggere il Re, senza però che lo stesso Re ne venga a conoscenza; agire con furbizia, infatti, sarà necessario perché l’occhio vigile del grande stregone sarà su di noi per tutto il tempo (vedremo meglio in seguito cosa significa tutto ciò in termini di gameplay). Come se tutto ciò non bastasse, il giocatore non potrà prendersela con tutta calma, considerata la presenza del Doomsday Counter, ovvero una barra presente su schermo che si andrà a riempire col passare dei turni. Va da sé che, una volta riempita la barra, il Re Stregone avrà completato il suo processo di rafforzamento, e il titolo finirà con una sonora sconfitta.
    In questo senso, dunque, il classico paradigma dei 4X viene rovesciato: in Sorcerer King, in altre parole, il giocatore non sarà (obbligatoriamente) contro tutte le altre fazioni presenti nel gioco, ma anzi sarà nel suo interesse riuscire ad allearsi con queste, per cercare di sconfiggere il grande nemico che tutto sa e tutto vede, ovvero il Re Stregone. E’ anche vero, però, che in certo senso tutto ciò restringe di molto la varietà delle situazioni di gioco in cui si potrà ritrovare il giocatore, visto che per sconfiggere lo stregone si dovrà quasi per forza iniziare con un approccio diplomatico, per poi diventare sempre più aggressivi. Non è detto che si riuscirà a vincere al primo tentativo, ma è anche vero che le situazioni di gioco non varieranno mai molto da questo canovaccio.
    Come è possibile comprendere, l’analisi del gameplay di un titolo come Sorcerer King è molto complessa, perché include numerose attività e, come visto, dinamiche tipiche di diverse tipologie di gioco.
    E’ possibile dire, in ogni caso, che l’attività principale del giocatore sarà l’esplorazione della mappa: sarà solo conoscendo il mondo di gioco che si potrà venire a contatto con le altre fazioni, costruire avamposti e nuove città, sconfiggere nemici e appropriarsi degli shard. Questi particolari elementi, sparsi per la mappa, consentono di ottenere mana, componente necessario per poter utilizzare gli incantesimi. Volendo scendere nello specifico, il mana si divide in lore, skill e appunto mana. Il primo elemento è richiesto per la ricerca dei nuovi incantesimi, mentre il secondo aumenta il livello del sovrano del nostro regno (e sblocca nuovi incantesimi da utilizzare nelle battaglie). Il mana vero e proprio, infine, è l’elemento che viene speso durante l’evocazione dei vari incantesimi.
    Dopo questa breve digressione sugli elementi magici, è bene tornare sulla fase di esplorazione ed espansione del proprio regno, perché da questa discendono tutti gli spunti di discussione di maggiore interesse per quanto riguarda il gameplay. Gli elementi principali grazie ai quali poter espandere il proprio piccolo regno sono gli avamposti e le città. I primi, infatti, consentono di allargare i propri confini, e poter entrare in possesso di utili shard, ma anche di sfruttare le risorse naturali come metallo e argilla. Le seconde, evidentemente, consentiranno di poter formare nuovi soldati e costruire strutture utili allo sviluppo del regno. Vale la pena sottolineare, però, come la nostra espansione territoriale non sarà così ben tollerata dal Re Stregone, che evidentemente tenderà a chiederci spiegazioni per le nostre mire espansionistiche. Se il nostro nemico non sarà soddisfatto dalle nostre spiegazioni, allora, manderà sul nostro territorio delle armate pronte a rimetterci al nostro posto. In questo caso sta alla scaltrezza del giocatore riuscire a non far insospettire troppo il Re, anche perché le sue armate, sebbene sempre poco aggressive, saranno sempre superiori in quanto a numero rispetto alle nostre.
    Durante l’esplorazione della mappa, poi, sarà possibile imbattersi in varie costruzioni con cui si potrà interagire. Tra gli elementi più importanti è giusto annoverare campi di battaglia abbandonati e, soprattutto, le “umili taverne”: una volta arrivati in prossimità di queste location, infatti, il gioco ci proporrà delle quest inizialmente testuali, sempre molto divertenti da leggere e scritte da Chris Bucholz. In queste situazioni il giocatore potrà scegliere cosa dire o fare selezionando le varie voci disponibili, e il tutto potrà concludersi sostanzialmente in tre modi. Si potrà trovare spesso una soluzione pacifica al problema, il che non implica spargimenti di sangue ma nemmeno ricompense così elevate in termini di loot, oppure l’NPC coinvolto potrà mandarci in qualche altra locazione specifica a cercare un determinato oggetto. Per ultimo, molte volte si potrà far finire il tutto alla vecchia maniera, e cioè con uno scontro.


    Tutto questo ci dà l’opportunità, finalmente, di parlare delle battaglie. Prima di iniziare lo scontro vero e proprio, il titolo riepilogherà i due schieramenti e il possibile esito della battaglia (a meno che questa non sia generata da un dialogo all'interno di una quest); un espediente tradizionale, questo, e utile peraltro in situazioni in cui la vittoria schiacciante è assicurata, visto che si potrà optare per una risoluzione istantanea del conflitto.
    Una volta scesi sul campo di battaglia, invece, il titolo proporrà un’esperienza a turni, in cui l’ordine di attacco sarà determinato dall’ammontare di iniziativa di tutte le unità (più iniziativa equivale a dire maggiori turni giocabili e quindi maggiori possibilità di vittoria).  A livello generale queste sessioni di gioco ci hanno convinto: gli scontri sono tattici ma non per questo lenti, e costringono il giocatore a ragionare e soprattutto a utilizzare gli incantesimi del proprio sovrano sbloccati durante il gioco. Possiamo dire che in questi frangenti l’IA si comporta meglio rispetto a quanto non faccia durante la fase di esplorazione a turni; è più aggressiva, sfrutta bene le proprie abilità, e in generale attaccherà le nostre truppe più importanti o vulnerabili con un certo criterio. Durante le battaglie, allora, sarà molto importante poter contare sugli arcieri, sempre molto efficaci dalla lunga distanza (e privi di un qualsiasi range limit), e soprattutto sfruttare bene le abilità del proprio eroe. Ognuna delle sei razze selezionabili a inizio avventura, infatti, potrà contare su unità speciali che si caratterizzano per particolari skill, le quali aumentano e si sviluppano grazie alle vittorie sul campo di battaglia. Ognuno di questi eroi, infatti, possiede un articolato albero delle abilità che possono essere sfruttate al momento giusto. Le battaglie funzionano bene anche perché, nella maggior parte dei casi, durano il giusto: non sono né troppo lunghe né troppo brevi, e questo fa sì che il giocatore non inizi a utilizzare troppo di frequente la risoluzione automatica degli scontri.
    Un elemento molto importante legato agli scontri poi è il crafting, perché riuscire a equipaggiare le proprie unità (soprattutto i propri eroi) per bene garantirà loro tutta una serie di prevedibili e sempre ben accetti bonus offensivi e difensivi. Per poter usufruire di questi benefici, però, sarà necessario avere a disposizione determinati elementi che possono essere trovati grazie alla già citata esplorazione della mappa. Il sistema di crafting è molto articolato e diviso in due fasi, ovvero il crafting vero e proprio e l’incantamento delle armi. Alcuni degli elementi utili al crafting, specie nelle prime fasi di gioco, potranno essere ottenuti anche dal Re Stregone stesso: accettare doni dal grande nemico, però, farà sì che il Doomsday Counter acceleri, e difatti bisognerà sempre bilanciare le proprie capacità diplomatiche e le proprie necessità.

    Manteniamo la calma, tutti quanti
    Sorcerer King presenta diversi livelli di difficoltà: se nel più basso i nemici saranno docili e non attaccheranno mai le nostre postazioni, nel più elevato tenderanno (sempre con una certa calma, comunque) ad allearsi con il Re Stregone, e ad attaccare i nostri avamposti nonché le città. Va detto, però, che il titolo offre un certo grado di personalizzazione dell’esperienza: se si sceglie di non intraprendere la campagna principale, che parte sempre dalla stessa mappa e con la stessa disposizione di elementi all’interno del mondo di gioco, si potrà infatti optare per una partita personalizzata. In questi frangenti è possibile scegliere la grandezza della mappa, conoscere le fazioni presenti, il livello di difficoltà, il numero di shard, e la velocità con il quale il Doomsday Counter avanza.
    Parliamo poi dell’aspetto tecnico: graficamente parlando, il titolo si presenta con una estetica che, considerato il genere di titolo, appare sufficientemente adeguata. Di sicuro restringendo l’inquadratura si noteranno modelli poligonali non particolarmente definiti e texture non sempre così belle da vedere, ma il risultato finale è comunque piacevole e non desta particolari motivi di critica. Anche le animazioni delle unità durante le battaglie, tutto sommato, svolgono il loro compito in modo più che dignitoso.
    Il discorso non cambia per quanto riguarda il comparto audio: anche qui, infatti, troviamo musiche di accompagnamento adeguate al contesto, e sostanzialmente nulla di importante da segnalare né in senso positivo che negativo.

lunedì 27 luglio 2015

Feist

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Bits and Beasts

  • Data uscita:24 Luglio 2015

     

     

    Basta un attimo per cadere nel madornale errore di associare Feist a Limbo. La sua estetica fatta di chiaroscuri, la desolazione apparente, le minacce in agguato che popolano ambientazioni umbratili e quiete, sono tutti elementi che potrebbero influenzare facilmente le valutazioni più superficiali, quelle nate dalle associazioni più immediate e ovvie. Eppure Feist è qualcosa di completamente diverso dal capolavoro di Playdead, un titolo che certamente abbraccia il trial & error, ma che rifugge con decisione la conduzione di gioco basata sugli enigmi ambientali di ottima fattura che Limbo metteva a disposizione. Feist è survival probabilmente più intransigente degli altri, che si sforza di seguire una strada diversa nonostante sia fortemente influenzato dalle sperimentazioni artistiche adottate da Playdead.
    Non c'è voce che possa raccontare la storia di Feist; possono farlo solo le immagini in movimento che aprono i livelli di gioco, assieme alle suggestioni emanate da una foresta che appare silente e vuota, ma che è in realtà abitata da un microcosmo senza pietà. Dopo un breve preambolo che mostra la cattura del protagonista, il minuscolo animale riesce a liberarsi dalla gabbia in cui è stato imprigionato da creature sgraziate e villose, le stesse che si frapporranno tra voi e l'uscita delle poche aree messe a disposizione. Da quel momento in poi, Feist si trasformerà in una fuga continua da quel luogo di reclusione immerso nella natura, ma riuscirci non sarà esattamente una passeggiata, perché il bosco è vivo e le possibilità di difendersi sono esigue. 
    Sebbene nelle prime fasi sia possibile scappare dalle minacce e aumentare la distanza dagli inseguitori, ben presto questa tattica sarà impossibile da attuare per via della corposa presenza nemica, distribuita strategicamente lungo le aree. Bisogna pertanto ricorrere a ciò che si trova "sul campo", alla furbizia e a un po' di fortuna. Oltre a spostarsi e a saltare, la creaturina può spingere via oggetti e spostare grandi piattaforme; è capace di raccogliere sassi, pigne e ramoscelli per usarli come armi di fortuna; e può persino – quando possibile – afferrare certi tipi di nemici. Quest'ultima possibilità è il più delle volte gestita da una discreta percentuale di casualità, in special modo per quanto riguarda le api, che hanno movimenti repentini e poco prevedibili. Considerando che le armi migliori sono proprio i pungiglioni infiniti che potrete sparare sfruttando l'insetto, ecco che talvolta la situazione si fa più complicata del previsto, diventando a tratti persino ingestibile, con tentativi fortunosi che hanno la meglio sulla pianificazione. Anche una volta portato a termine Feist, non avrete il coraggio di ammettere a voi stessi che siete in grado di padroneggiare perfettamente i movimenti della piccola creatura pelosa. E non tanto perché ci sia qualcosa di innaturale nella gestione della fisica, ma perché agire rapidamente mentre si cerca una soluzione per salvare la pelle è un compito che risulta difficile, soprattutto quando i salti si rivelano un po' troppo appesantiti e certe dinamiche risultano fortuite.
    Il piccolo protagonista può morire all'istante solo quando cade in una trappola, rimanendo infilzato o schiacciato da grossi massi; durante gli scontri, invece, ci vorranno circa tre colpi prima soccombere. In assenza della barra della vita, le condizioni di salute possono essere dedotte dalla consistenza del pelo, che si arruffa progressivamente quando la situazione diventa sempre più disperata. È possibile recuperare un po' di salute mangiando le libellule, ma visto che raramente sono poste nelle zone con maggiore densità nemica, si capisce come siano in realtà più delle scuse per riprendere fiato che non insetti di utilità fondamentale. E ciò può essere tranquillamente confermato dalla presenza dei numerosi checkpoint, che non fanno mai ripetere lunghe sezioni di gioco. Grazie alla loro grande generosità, andare per tentativi non risulta essere mai troppo stressante, e dopo aver "preso le misure" e aver memorizzato le posizioni dei nemici (solo di quelli costretti all'immobilità), si riesce a proseguire senza eccessive frustrazioni di sorta. Il problema, è che si arriva alla fine piuttosto presto; per i più bravi, anche in poco più di un paio d'ore. I ripetuti fallimenti e quei puzzle ambientali appena abbozzati, che si risolvono con grande facilità e poca materia grigia, stiracchiano di poco una longevità comunque esigua. 
    Feist è certamente un'avventura godibile, che sa intrattenere e ammaliare con la particolarità del suo art design, ma va comunque detto che gli scenari sono un po' vittima di una ripetitività di fondo che non può essere perdonata a cuor leggero. Per gran parte dell'avventura le variazioni sono davvero minime e le uniche varianti al sistema di gioco sono rappresentate dalla necessità di avere la meglio su un numero crescente di nemici. Eppure Feist riesce a catturare il giocatore con la sua strana malia, derivante principalmente dallo stile grafico accattivante e dal design riuscito e del tutto particolare di alcune creature. Si tratta di un survival che funziona, dalla resa estetica assai derivativa ma a suo modo originale; non aspettatevi però nulla di poetico, toccante o addirittura straniante: Feist è un titolo più modesto e di tutt'altro lignaggio.

lunedì 20 luglio 2015

Tembo The Badass Elephant

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:GameFreak

  • Data uscita:21 luglio 2015

     

     

    Il fatto che SEGA non sia più l’azienda che aveva fatto sognare una generazione di giovani crescuti a Mega Drive e Game Gear è ormai assodato, ma ciò non significa che sotto questo grande marchio non possano nascere ancora degli ottimi prodotti.
    L’azienda nipponica si è circondata di sviluppatori di tutto rispetto, creando sodalizi importanti, l’ultimo dei quali ha chiamato in causa nientemeno che i Game Freak, i creatori dei Pokémon. A questo storico team giapponese è stata affidata la creazione di Tembo: The Badass Elephant, un platform 2.5D che sembra chiamare in causa svariati titoli del passato e che, per nostra fortuna, si rivela sin da subito un prodotto degno dei propri sviluppatori.
    Il titolo ci mette ai comandi di Tembo, un ex elefante da guerra richiamato in servizio da un suo ex commilitone, determinato a fermare la conquista della Terra da parte di un misterioso esercito. Il pachiderma si comporta esattamente come ci si aspetterebbe da un animale di quella stazza: carica i nemici, li travolge, sfonda muri e vetrate e, in generale, combina una serie di disastri a catena causando un sacco di chiasso e frantumi.
    Lo scopo del gioco consiste nel mettere la parola fine all’esistenza degli invasori, il tutto salvando dieci ostaggi disseminati nei vari livelli di gioco e, spesso, ben nascosti. L’uccisione dei nemici e il salvataggio degli ostaggi sono determinanti per accumulare un punteggio necessario a sbloccare il penultimo livello di ogni mondo, il quale si conclude con un boss finale. Vi sono in totale tre mondi più qualche livello aggiuntivo che si sblocca in seguito, ma non vi sveleremo cosa accade dopo la sconfitta del terzo boss.
    Il gioco è strutturato come un platform della vecchia scuola, con una difficoltà tarata verso l’alto e una serie di bonus spesso ben nascosti e difficili da raggiungere se non prestando attenzione ai vari elementi che costituiscono il livello. Ad eccezione dei nemici base, che possono essere travolti senza troppa preoccupazione, ogni cattivo in Tembo: The Badass Elephant richiede di seguire un pattern ben preciso, e dirigersi verso destra come un caterpillar potrebbe non rivelarsi sempre la strategia vincente. 
    Sono innumerevoli le citazioni e gli omaggi presenti nel gioco. Ritroverete tanti grandi classici del platform nel titolo e, in particolare, non potrete fare a meno di notare una certa somiglianza nel ritmo di gioco con i vecchi titoli della serie Sonic, saga peraltro citata esplicitamente sia nell’animazione della raccolta delle noccioline bonus - molto simile agli anelli del porcospino blu - sia in una particolare fase di gioco che richiama il vecchio Sonic Spinball.
    Il carisma di Tembo: The Badass Elephant è uno dei suoi punti di forza. Lo stile artistico del titolo è eccellente, e in generale si ha la sensazione di avere a che fare con un prodotto molto ispirato, per quanto semplice. Le meccaniche, come detto, non apportano nulla di realmente nuovo alle formule viste nei platform dell’era classica, ma è il modo in cui le varie fonti di ispirazione sono state combinate a rendere tutto fresco e molto divertente.
    L’esperienza di gioco non è straordinariamente longeva - parliamo di meno di quattro ore per completare il gioco - ma il tempo trascorso in compagnia di Tembo è davvero ben speso, con un ritmo di gioco che raramente rallenta.
    Per allungare il brodo, tuttavia, gli sviluppatori obbligano il giocatore a trovare gran parte degli ostaggi al fine di giungere alle fasi più avanzate di gioco, costringendo spesso a rigiocarsi qualche livello per raggiungere un punteggio bonus sufficiente a proseguire. Se consideriamo che molti ostaggi sono celati da una fastidiosa meccanica di trial and error, questo aspetto può essere letto come un semplice mezzuccio per aumentare in maniera forzosa la longevità complessiva dell’avventura. Questa caratteristica, dunque, si classifica come uno dei pochi punti negativi del gioco

giovedì 16 luglio 2015

F1 2015

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Codemasters

  • Data uscita:10 luglio 2015

     

     

    Il campionato di Formula 1 che si avvicina alla pausa estiva sta confermando i valori visti nel 2014: le Mercedes volano, nemiche solo di loro stesse e della guerra fredda interna tra Hamilton e Rosberg, con le Ferrari e le Williams a fare da sparring partner e il povero Alonso cupo e chino al volante di una McLaren disastrosa e disastrata.
    Videoludicamente parlando, il 2015 era indicato come l’anno dello sbarco su next-gen della simulazione ufficiale su licenza; noi abbiamo atteso Codemasters al varco, carichi di hype ed aspettative dopo un F1 2014 insoddisfacente. Siamo stati ripagati? Non del tutto.
    Veniamo al dunque ed iniziamo a giustificare il voto appena al di sopra della sufficienza, partendo dalle modalità di gioco. Come ormai anche i sassolini di Spa sanno, F1 2015 non ripropone la Carriera presente nei predecessori: niente creazione del proprio alter ego, niente avanzamento spalmato su più anni, né evoluzione della vettura o confronto col compagno di squadra. Tutto spazzato via, senza un motivo logico.
    Lo scarno menu affianca alla gara veloce due diverse possibilità di affrontare un campionato completo: la “Stagione del campionato”, i cui settaggi sono a discrezione del giocatore, e la “Stagione Pro”, variante decisamente più hard-core in cui tutto è configurato alla massima difficoltà e non c’è spazio di scelta: si corre in sessioni complete (gare al 100%), senza aiuti alla guida e con la visuale bloccata all’abitacolo. Un approccio da veri puristi che richiede, oltre ad una buona dose di tempo e pazienza, anche un ottimo volante.
    Se consideriamo la “Stagione Pro” appetibile per una ristrettissima cerchia di pubblico, il giocatore “medio” si troverà in mano sostanzialmente solo la “Stagione”, il cui core è basato sul mero progredire gran premio dopo gran premio. Un pugno alla longevità, insomma, che rischia di portare molti ad abbandonare il gioco prima rispetto a quanto accaduto con le altre versioni. Peraltro, la Carriera è in buona compagnia: è sparito anche il multiplayer in cooperativa, modalità certo meno importante, ma comunque apprezzata da una discreta fetta di community; community che, dal canto suo, non ha perso tempo ed ha alzato la voce nei canali di comunicazione con Codemasters. Come biasimarla.
    Da segnalare, ad onor del vero, la presenza del Campionato 2014 interamente giocabile: quello che sarebbe stato un valore aggiunto non da poco, però, diventa un piccolo contentino, utile se non altro a permetterci di correre ancora in Germania (tappa cancellata quest’anno dal calendario).
    Avviata una gara veloce ci si imbatte in alcune piccole aggiunte di contorno da tempo reclamate. La presentazione televisiva porta al debutto di un commentatore (no, non è né Gianfranco Mazzoni né Carlo Vanzini purtroppo) e, soprattutto, della tanto agognata cerimonia sul podio. L’atmosfera ne guadagna, per quanto la voce fuori campo si limiti all’introduzione delle varie sessioni e al riepilogo. Degne di nota, a proposito delle sessioni, un ritorno e un’introduzione gradevoli: le prove libere nella loro interezza e la possibilità di seguire i piloti avversari tramite le camera car mentre si è comodamente seduti sulla propria monoposto.
    Al semaforo verde, però, tutti questi orpelli lasciano il posto ad una serie di bug spesso divertenti, spesso solo fastidiosi. Tra tempi assurdi in qualifica (ci è capitato di vedere Rosberg chiudere il Q1 a Monza con il tempo di 59 secondi netti), trenini ai box dovuti all’ingresso contemporaneo dei piloti della stessa scuderia e Lotus che al livello di difficoltà massimo sverniciano in rettilineo anche la miglior Mercedes, il gioco offre un campionario di glitch e cattive ottimizzazioni degne di una versione beta. Certo, nulla che non sia risolvibile con una serie di patch, ma al momento in cui scriviamo è un problema serio che incide inevitabilmente sul giudizio finale. Così come non possiamo non riportare la mancanza della Safety Car: ci abbiamo provato in tutti i modi, credeteci, ma neanche con il peggior Maldonado siamo riusciti a far uscire quella maledetta AMG, anche perché la fisica dei danni, seppur meno permissiva, rimane abbastanza superficiale.
    E’ un tremendo peccato che F1 2015 presenti queste carenze, perché in pista le sensazioni di guida sono buone. Preso sul giro singolo, il gameplay mostra i muscoli regalando all’appassionato ciò che si aspetterebbe dal proprio propulsore turbo ibrido V6 che, rispetto alla stagione 2014, ha guadagnato in cavalli ed in efficienza delle batterie con ciò che ne consegue a livello di prestazioni (si parla di un ricavo di circa 2 secondi a giro). La vettura è agile e scattante, veloce in rettilineo e nervosetta in accelerazione, guidabile da chiunque grazie alla consueta scalabilità degli aiuti. Premesso che come ovvio la user experience migliore si ottiene con un buon volante dotato di force feedback, il pad può compiere egregiamente il suo dovere a patto di attivare il traction control.
    Le differenze rispetto a F1 2014 sono evidenti fin dalla prima staccata, quando si coglie un altro miglioramento sostanziale: la frenata è molto più “modulata” e gentile, riducendo drasticamente il pericolo di bloccaggio e permettendoci finalmente di rinunciare all’ABS. Tale correzione si riflette anche sul bagnato, dove essere competitivi alle difficoltà maggiori non è più una chimera.
    Insomma, i passi avanti sul gameplay ci sono, così come alcune conferme (vedi l’ottima simulazione del consumo delle gomme e degli stint) e Codemasters sembra aver recepito i feedback della community anche per quanto riguarda la IA, adesso aggressiva ed umana nel commettere errori, nonché nel ritirarsi per problemi meccanici, donando alle gare un pizzico di imprevedibilità. Ma a che prezzo? L’idea è che siano stati sacrificati aspetti dal peso specifico altissimo (la modalità carriera su tutti) per concentrarsi su altri della stessa caratura ed uscire così sul mercato a metà stagione, come promesso dopo la pubblicazione di F1 2014. E’ evidente che, a conti fatti, il gioco non sia valso totalmente la candela, se la percezione finale è quella di trovarsi di fronte ad un prodotto incompleto.
    Se cercate la vera next-gen sotto forma di simulazione di guida, qui la troverete solo in parte. F1 2015 è spinto ancora una volta dall’EGO Engine che, seppur spremuto fino all’ultima goccia, rimane un motore nato e concepito per la passata generazione. Fortunatamente, almeno da questo punto di vista, Codemasters salva la baracca, perché nonostante tutto l’impatto grafico nel suo complesso rimane soddisfacente. Il vantaggio più grande, naturalmente, è la garanzia di fluidità in qualunque situazione. La versione PS4 (quella utilizzata per la recensione), viaggia che è un piacere a 1080p e 60 fps, offrendo una buona cura nella riproduzione delle livree e un antialiasing generalmente sufficiente, salvo qualche singhiozzo nelle piste “complesse” o sul frame rate degli specchietti retrovisori. Su PC le cose vanno un pelino meglio, grazie ai filtri post-processo ed una resa dei riflessi più realistica, a patto di avere l’hardware adatto a sparare il tutto al massimo livello di dettaglio.
    Il comparto sonoro è forse quello che ha goduto di maggiori novità, partendo dalle comunicazioni con l’ingegnere ai box. In qualunque momento della sessione premendo l’apposito tasto sul pad è possibile richiedere informazioni su pista, meteo, condizioni della vettura e piloti avversari, sia tramite una scelta multipla sia parlando direttamente nel microfono del proprio head set. Una volta imparate a memoria le parole chiave, diventa una feature più utile di quanto si possa immaginare inizialmente. Certo, rimane borderline se consideriamo i divieti imposti dalla FIA in materia team radio, ma è un dettaglio.
    Degna di segnalazione, poi, la correzione del bug che funestava il rombo del motore a giri alti, difetto che, soprattutto nella versione dello scorso anno, complicava non poco la vita nel cambio di marcia.
    Note negative invece sul fronte multiplayer online: ad oggi il matchmaking fatica tremendamente a trovare una lobby disponibile e non mancano segnalazioni di sporadici bug nelle classifiche. Altro lavoro per gli sviluppatori, per farla breve: da qui a fine stagione il tempo per fixare le magagne più grosse non manca.

venerdì 10 luglio 2015

Street Fighter V

  • Piattaforme:PC, PS4

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:Capcom

  • Data uscita:Dicembre 2015



    Nel duro mondo delle console le guerre si vincono a forza di esclusive, e la cosa è particolarmente vera nel piccolo feudo dei picchiaduro, ove i cavalieri sono pochi ma incacchiati come faine affamate e un solo marchio può ribaltare completamente le sorti di una battaglia. Microsoft aveva preso il largo a inizio generazione con il caro vecchio Killer Instinct, rinnovato completamente e oggi amatissimo da una grossa community di giocatori (principalmente americana). Ora però Sony si è rifatta sotto, e dopo essersi accaparrata Guilty Gear Xrd ha fatto proprio un alleato colossale dalle lande del Giappone: Street Fighter
    Che Street Fighter V sia esclusiva PS4 non è andato giú a molti giocatori, ma se non altro il titolo per ora sta dando buone impressioni a quasi tutti coloro che hanno avuto la fortuna di provarlo. All'E3 gli avevamo dato un'occhiata da vicino, tuttavia abbiamo voluto aspettare un po' prima di fare un'anteprima completa e, dopo le ultime rivelazioni del Comic-Con, pare sia stata una scelta vincente. Proprio ieri infatti è stato svelato il ritorno di Ken, e se credete che il biondo combattente sia identico alle sue precedenti incarnazioni potreste rimanere sbalorditi.
    Parliamo prima delle modifiche alle meccaniche, che sono veramente parecchie. Non avendo provato in prima persona il combat system, al momento è difficile capire se le combo siano più permissive che in passato, ma il sistema di fondo dovrebbe essere sempre basato sui link e richiedere pertanto comunque un tempismo notevole nell'esecuzione. La gestione delle normal è dunque molto simile a quella del predecessore, ma tutto il resto ha subito una vera e propria mutazione. Le ultra ad esempio, il cui indicatore dedicato è scomparso per lasciare posto alla V-Gauge vengono ora sostituite dalle Critical Arts. Queste sono funzionalmente identiche, se non fosse che sfruttano la stessa barra delle mosse EX, e pertanto il loro utilizzo risulterà molto più rado durante i match. Capcom potrebbe aver scelto di far ciò per limitare l'importanza delle Ultra durante i match, portando i giocatori a concentrarsi di più sul corpo a corpo viscerale e su combinazioni di colpi spettacolari.
    Sinceramente approviamo molto questa scelta, poiché restituisce importanza alle basi (che comunque già erano importantissime in Street Fighter 4) e risulta ulteriormente ringalluzzita dall'introduzione di nuove meccaniche, legate proprio alla V-Gauge di cui parlavamo prima. 
    Il nuovo indicatore V si riempie subendo danni e va utilizzato in due modi: o per eseguire counter difensivi che consumano una barra chiamati V-Reversal, o per attivare il V-Trigger, un potenziamento temporaneo che sblocca le reali abilità di ogni combattente. Ora, questa trovata è chiaramente influenzata dall'attivazione dell'istinto del nuovo Killer Instinct, ma in Street Fighter V sembra che gli sviluppatori vogliano portare al limite le diversificazioni degli effetti, cambiando del tutto lo stile di gioco in base al personaggio che sfrutta il Trigger. Facciamo qualche esempio: Ryu, il cui V-Trigger si attiva più rapidamente per via di una barra più corta del normale, potenzia le sue capacità di zoning ottenendo hadoken elettrici, con danno più elevato e in grado di spezzare la guardia se caricati. Chun Li raddoppia certe normal, un trucchetto che le permette di eseguire combo folli. Nash guadagna una mobilità estrema e può teletrasportarsi, diventando imprevedibile in attacco. In parole povere, il V-Trigger può ribaltare un match e portare a repentini cambi di strategia.
    Le potenzialità, poi, aumentano esponenzialmente quando si vanno a prendere in considerazione le V-Skill, abilità variabili che non usano la barra ma danno ai personaggi strumenti aggiuntivi legati alla difesa o al movimento. Pensate a Ryu: la sua V-Skill non è altro che la parry di Street Fighter 3rd Strike, utilizzabile in serie, ed è l'unico personaggio ad avere questa abilità difensiva! Gli altri guerrieri invece ottengono “regali” come un balzo rapido di avvicinamento, nel caso di Chun Li, o risposte ai proiettili, caratteristica di M.Bison e Nash. 
    Ma torniamo al biondo Ken Masters, tornato con un look completamente nuovo e ormai ben diverso da quello degli shoto tipici. La differenziazione non sta solo in una capigliatura che di anno in anno degenera sempre più e nella magliettina aderente da tamarro sportivissimo comunque, lo stile di combattimento di Ken infatti è cambiato quanto il suo aspetto. Masters è sempre uno shoto, dotato di fireball e shoryuken, ma ora risulta estremamente dissimile da Ryu, laddove in passato le differenze erano secche, ma più sottili. La media distanza sembra ormai sempre più il regno del karateka americano, che vanta gli immancabili calci micidiali ma ora conta anche un Tatsumaki Senpukyaku modificato per permettergli di beccare il nemico all'improvviso anche da lontano (con la variante forte che colpisce ad arco e colpisce l'avversario anche in aria) e addirittura un calcio discendente rapidissimo che può essere utilizzato per mettere pressione durante l'offensiva. La sua V-Skill non fa altro che rincarare la dose, permettendogli di scattare all'improvviso verso l'avversario, chiudendo le distanze e allungando eventuali combo, o di eseguire uno step kick per tener a bada il nemico. Insomma, un personaggio che si tiene lontano quanto basta e poi parte all'improvviso con un'offensiva brutale, pompata da un V-Trigger che aumenta il danno dei suoi colpi speciali e cambia le loro proprietà.
    Capcom desidera chiaramente un roster composto da combattenti del tutto unici, e Ken lo dimostra. Ora siamo curiosi di vedere cosa accadrà ad Akuma.
    Parlando proprio di Akuma, un altro personaggio con occhi ben poco umani è comparso per un istante alla fine del trailer di presentazione di Ken. Le speculazioni si sprecano, ma non sembrerebbe essere una faccia nota, bensì un guerriero completamente nuovo. Alcuni pensano si tratti di un combattente dalle origini neo zelandesi, per la presenza di un'arena in quella nazione, ma è ancora presto per dirlo.
    In chiusura, al momento rimangono dubbi solo sui danni (che sembrano fin troppo elevati) e sul bilanciamento, principalmente a causa di una dimostrazione di forza mostruosa da parte di Justin Wong all'E3, che ha fatto vedere come un charge character come Bison giovi fin troppo della carica velocizzata e sia quasi inarrestabile se usato in modo intelligente. Comunque è ancora presto per esprimersi, e i cambiamenti alla formula saranno di sicuro ancora tanti. 

Company Of Heroes 2 The British Forces

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Relic Entertainment

  • Data uscita:3 Settembre 2015

     

     

    Ricordato da molti come uno dei migliori giochi strategici di tutti i tempi, il primo Company of Heroes è un gioco invecchiato straordianriamente bene, che ancora oggi è in grado di divertire a lungo con una campagna impreziosita da una serie di espansioni di altissimi livelli.
    Il secondo gioco, uscito nel 2014 e spostatosi sul fronte sovietico, non seppe replicare lo straordinario successo del predecessore, ma riuscì comunque a radunare attorno a sé una folta schiera di appassionati che hanno contribuito a mantenere viva e attiva una community di giocatori online.
    Così, a distanza di due anni dall’uscita del gioco, ecco tornare Company of Heroes 2 con una nuova espansione, dedicata alle forze britanniche e - curiosamente - rivolta esclusivamente al multiplayer, il tutto a un prezzo speciale e in versione standalone.
    Abbiamo avuto l’opportunità di giocare alcuni match in collegamento con i Relic a Vancouver, facendo la conoscenza delle nuove truppe e delle nuove mappe di gioco. Prima di tutto, questa espansione - che sarà venduta a un prezzo di poco inferiore ai 13 euro - include una quantità di contenuti piuttosto corposa. Parliamo di ben 8 mappe che si aggiungono a quelle già esistenti in Company of Heroes 2, e di un esercito completamente nuovo che include 15 nuove unità, ovviamente accompagnate da una serie di comandanti con abilità uniche. Se un solo esercito vi dovesse sembrare una cosa di poco conto, i Relic hanno trovato il sistema per differenziare completamente lo stile di gioco a seconda delle scelte del giocatore nel corso della partita, con modifiche così profonde da creare virtualmente due eserciti ben distinti tra loro. Quinn Duffy, Game Director di Relic, ci ha spiegato la filosofia dietro questo approccio.

    “Per The British Forces abbiamo applicato una dottrina di design unica. Storicamente parlando, l'esercito britannico era molto solido da un punto di vista difensivo, e una volta catturata una zona, essi erano molto difficili da cacciare. Noi non volevamo un esercito che fosse puramente statico, così quando abbiamo esaminato le loro unità mobili, in particolare quelle veloci come i carri armati pesanti quali il Comet, abbiamo visto la possibilità di concedere al giocatore la scelta di giocare un ruolo più difensivo o di assumere un ruolo più offensivo. Noi chiamiamo questo sistema Hammer / Anvil (Martello / Incudine): quando il giocatore evolve l'albero tecnologico, si possono prendere un paio di decisioni importanti e adattare l’esercito al proprio stile di gioco o alle esigenze del momento. L’esercito del Commonwealth nel primo Company of Heroes aveva aspetti simili, ma era troppo facile passare dall’attacco alla difesa, ed era difficile affrontare l’esercito britannico come nemico. In British Forces abbiamo fatto in modo che quelle scelte fossero più integrate nel design complessivo dell'esercito. Se il giocatore sceglie l'approccio Anvil, le unità saranno più statiche e difensive, e avrà unità più lente, come il carro armato Churchill che può assorbire una quantità notevole di danni e sostenere un forte esercito di fanteria. Se si sceglie l'approccio Hammer, si può colpire più duro, ottenere carri armati veloci e abilità di attacco più aggressive per la fanteria. In definitiva, le decisioni del giocatore si integrano ampiamente nel proprio esercito.”
    In effetti questo approccio appare evidente sin dai primi minuti di gioco: mano a mano che si inizia a comprendere lo svolgimento della battaglia, infatti il giocatore è naturalmente portato ad intraprendere una strada ben definita. Non si tratta tanto di una scelta dettata dal proprio gusto o stile di gioco, ma piuttosto dal modo in cui si pone la battaglia. Nel nostro test, svoltosi in un due contro due, il nostro compagno di squadra ha scelto un approccio Hammer lasciandoci a svolgere il ruolo di “tank”, ottenendo la capacità di arrestare l’avanzata delle truppe avversarie mentre il nostro compagno si occupava di aprire una via sul lato opposto della mappa. In multiplayer questa idea sembra funzionare, anche se la coordinazione richiesta fra i giocatori è visibilmente superiore, e in generale la lancetta della difficoltà si sposta verso livelli più alti. Quando il sistema sarà metabolizzato dai giocatori, però, tutto potrebbe diventare incredibilmente interessante.
    Le nuove unità sono apparse equilibrate. La fanteria, i mitraglieri, i meccanici, i cecchini e i commandos offrono diverse possibilità offensive e difensive. La fanteria base ha la capacità di curarsi e di aumentare la precisione dell’artiglieria, i mitaglieri hanno a disposizione il fuoco di copertura, i meccanici possono fare saltare le coperture avversarie, i cecchini hanno un fucile in grado di penetrare le corazze dei veicoli leggeri e i commandos completano l’offerta aggiungendo la componente stealth alla formula.
    Tra i carri, i già citati Comet e Churchull offrono due approcci opposti, ai quali si aggiungono lo Sherman, il Cromwell, il Valentine, il Crocodile e l’AVRE.
    I due nuovi comandanti sono basati rispettivamente sulla capacità offensiva e difensiva, e già nelle primissime fasi di gioco permettono di modificare in maniera significativa l’approccio del proprio esercito.
    Le forze britanniche sono state splendidamente realizzate grazie ad un intenso lavoro di motion capturing che ha davvero tirato fuori il meglio dal motore Essence Engine 3.0. Il tutto, però, è stato reso ancora più credibile da un doppiaggio di ottima fattura. Ne abbiamo parlato con Quinn Duffy:
    “Per British Forces, abbiamo creato un esercito basato su quello presente alla fine della guerra, che stava iniziando ad essere a corto di manodopera, ma che voleva davvero finire la guerra. Volevamo anche un esercito caratteristico, e abbiamo voluto fare in modo che venisse rappresentato dal duro, indomito personaggio di Churchill e dai soldati di prima linea. Così, sulla base di questa idea, abbiamo creato una divertente lista di personaggi con delle biografie. Successivamente, abbiamo lavorato con un ottimo sceneggiatore in Inghilterra, e poi abbiamo fatto il casting e le registrazioni a Londra con il risultato di ottenere un doppiaggio davvero credibile, che sembra rendere giustizia alle origini dei soldati.”

domenica 5 luglio 2015

Moto Gp 2015

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Milestone

  • Data uscita:24 giugno 2015

     

     

    Non ci sono corse più spettacolari di quelle della Moto GP. Non è una disciplina sportiva, è furore, è adrenalina, è il sorpasso continuo delle capacità umane a bordo di missili con due ruote, una sfida tra individui che hanno abbandonato la paura per sposare totalmente la velocità.
    Avere in mano la licenza ufficiale del più noto campionato di corse motociclistiche e renderle giustizia non è dunque impresa da poppanti, e che una casa italiana come Milestone abbia dimostrato di poterlo fare con MotoGp 14 resta motivo di orgoglio per chi, nel bel paese, mangia pane e videogiochi. La crescita della software house nostrana è stata rapida e inarrestabile negli ultimi anni, e i suoi ultimi progetti lasciano ben sperare per il suo futuro, nonostante ci sia ancora parecchio da lavorare su certi fattori. Ora però i progetti su cui lavorare sono aumentati e mantenere elevata la loro qualità diventa sempre più difficile, figuriamoci poi se questi vengono sottoposti all'occhio critico degli amanti del motociclo. MotoGP 15 è la linea di confine, quella che va superata per dimostrare la capacità del team di lavorare in modo egregio su prodotti difficili nonostante i molti impegni. Sarà un'altra sorpresa, oppure stavolta i Milestone hanno tirato il freno?
    Dare i natali a un sistema di guida elaborato è come costruire una granitica fortezza. C'è chi azzecca subito posizione, materiali e forma delle mura, e c'è chi invece parte da una base solida e semplice, e di anno in anno ci aggiunge torri da guardia e protezioni sempre più resistenti. I ragazzi di Milestone sembrano aver seguito la seconda strada con i loro prodotti dedicati al motociclismo: mattone dopo mattone, hanno messo in piedi un sistema di controllo notevole, capace di adattarsi alle esigenze del giocatore e quasi totalmente personalizzabile. MotoGP 14 aveva peraltro soddisfatto più o meno tutti i fan delle due ruote, quindi una rivoluzione sarebbe stata priva di senno. Con MotoGP 15 gli sviluppatori hanno voluto limare le meccaniche invece di stravolgerle e ampliare con timore quasi reverenziale gli elementi più riusciti.
    Una simulazione totale risulta, per ovvie ragioni, impossibile da ottenere se si parla di motociclette, ma l'equilibrio raggiunto con questo nuovo capitolo è da manuale. Per chi cerca un'esperienza arcade basta attivare gran parte degli aiuti, poiché farlo vi mette sì al controllo di veicoli stabilissimi anche in caso di manovre poco felici o spallate agli avversari, ma non impedisce di percepire la secca differenza tra una categoria e l'altra, con la Moto 2 e la Moto 3 nettamente più permissive rispetto ai bolidi della categoria regina. 
    La profondità del sistema la si percepisce davvero solo selezionando la modalità pro, o avvicinandosi ad essa con quella semi-pro. Una volta fatto, manovre improvvise e mal calcolate vi porteranno a ballare pericolosamente, dimenticarsi dell'importanza del gommaggio sarà spesso un suicidio in curve ad alta velocità, e arriverete a dover gestire alla perfezione i freni separatamente, senza contare la possibilità di mettersi in carena con un comando manuale. Le moto ballano la rumba senza aiuti e mantenerle stabili macinando decimi su decimi durante i giri è un'impresa per pochi appassionati, che richiede passione e allenamento. Non basta la presenza del rewind ad allentare la tensione durante le gare di MotoGP 15, se si decide di affrontarle domando la bestia senza redini, e il fatto che ora la perdita di controllo si percepisca con più chiarezza rispetto all'anno scorso non è certo una facilitazione sufficiente. Abbiamo apprezzato anche l'aggiunta di alcuni stili di guida al mix selezionabile durante la creazione del personaggio, e la fluidità leggermente migliorata delle animazioni del pilota, che sembra impattare positivamente sulla risposta in curva.
    I miglioramenti ci sono pertanto stati, pur essendo roba da poco, e si gode in particolare di un passo avanti nell'intelligenza artificiale, che alle difficoltà facili è permissiva senza esserlo eccessivamente per i principianti, mentre a quelle più alte sa essere davvero agguerrita, non dimenticandosi inoltre di commettere alle volte errori semirealistici, come uscite di pista dopo un durissimo 1 contro 1 (anche se sono eventualità rare).
    La creazione del personaggio da noi citata poco fa non è poi inutile, poiché va ricollegarsi alla principale modalità del titolo Milestone: la carriera. Ad un primo impatto sembrerà di giocare alla stessa identica modalità dell'anno scorso, con tanto di interfaccia ed elementi presi di peso. C'è però una grossa novità, che riguarda i team e le sponsorship ottenibili dopo le prime gare affrontate. Superate a dovere le prime due sfide in Moto 3 e vi verrà data la possibilità non solo di entrare in team con bolidi più performanti, ma anche di fondare una squadra di vostra proprietà, con tanto di mezzi personalizzabili e modelli di moto acquistabili con i punti GP ottenuti durante le competizioni. Sulla carta è uno spunto spettacolare, il problema è che l'elemento gestionale del proprio team, al di fuori dei miglioramenti alle moto ottenibili con pacchetti dati e del fattore estetico, non è abbastanza complesso da portare a dedicarsi anima e corpo a tale novità. Le poche modifiche alle livree e ai simboli non aiutano, relegando la trovata nella prigione delle buone idee applicate in modo superficiale. Certo, gareggiare con una moto con colori assurdi ha il suo fascino, ma al di fuori dell'attrattiva per i fashionisti irrecuperabili crediamo che si possa fare qualcosa di molto più concreto per dare un senso a questa opzione. 
    Per il resto abbiamo la solita pletora di modalità, anch'essa rimasta quasi immutata. Il Beat the Time è una sfida contro il tempo con moto preselezionate appassionante, e i Real Events 2014 restano la ciliegina sulla torta di un prodotto capace di occupare per molte ore un appassionato, con la loro capacità di buttare il giocatore nel mezzo dei momenti storici del motociclismo. 
    Sempre presenti chiaramente le opzioni base, e più piacevoli le gare online, grazie a un netcode che sembra essersi stabilizzato parecchio rispetto al passato (anche se vogliamo aspettare prima di mettere la mano sul fuoco). I miglioramenti più sensibili, ad ogni modo, sono stati fatti a livello tecnico, visto che la versione PS4 da noi provata, oltre a vantare un frame rate molto più stabile rispetto al predecessore nel multiplayer locale (seppur ancorato a 30 fps), pare aver fatto propri alcuni miglioramenti visti in Ride, tra cui un'illuminazione ritoccata a dovere, texture dell'asfalto più pregevoli e modelli delle moto estremamente dettagliati. 
    Occhio, aspettate prima di applaudire: siamo ancora davanti a un titolo abbastanza arretrato a livello grafico, specie quando si aguzza la vista per osservare gli edifici a fondo pista o si guardano da vicino vegetazione e terriccio. Anche l'IA, che abbiamo elogiato prima, non è esente da singhiozzi e comportamenti idioti, senza contare che la scelta musicale del menu principale è quantomeno... discutibile. Va tuttavia detto che a livello di bug è stato fatto un buon lavoro, e abbiamo notato molti problemi in meno rispetto ad altri titoli della casa.
    Attenzione: noi abbiamo testato la versione PS4 del gioco, senza trovare particolari problemi. Sembra che la versione Xbox One del titolo presenti invece qualche magagna grave, per cui è stata recentemente rilasciata una patch. Tenetelo a mente