Ethero

venerdì 29 agosto 2014

Dark Souls 2 Crown Of The Iron King

  • Piattaforme:PC, PS3, Xbox 360

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:From Software

  • Data uscita:PS3-Xbox 360: 11 Marzo 2014 (US) - 14 Marzo 2014 (EU) - PC: 25 Aprile 2014

     

     

    Dev’essere un’esperienza interessante farsi un giro nel cervello degli sviluppatori di From Software. Nella testa di un essere umano medio probabilmente si trova un misto di Youporn, voglia di vacanze e problemi più o meno grandi da risolvere, ma la mente di uno dei designer della serie Souls… oh, è di certo qualcosa di seriamente contorto. Noi qua ce li immaginiamo così, continuamente a pensare a mappe sempre più articolate, a nemici sempre più infami e a dar vita a storie e background oscuri e ricchi di fascino. Potrà sembrare un eccesso, ma abbiamo le prove: basta giocare agli ultimi DLC di Dark Souls 2. Crown of the Sunken King è stato un successo, una bellissima e labirintica mappa nelle profondità abissali, condita da boss cattivelli e zeppa di novità lodevoli. Oggi, finalmente, arriva l’atteso secondo episodio della trilogia delle corone, Crown of the Old Iron King. Fuoco e fiamme ragazzi. Fuoco e fiamme.
    L’Old Iron King è una vecchia conoscenza per chi ha completato Dark Souls 2, e non sorprende quindi che il nuovo portale per il secondo DLC si trovi proprio nella zona dove l’incandescente antico andava affrontato. Una volta entrati dal solito portone cigolante, vi ritroverete in un’ambientazione che sembra una versione 2.0 della fortezza di ferro, con avversari seriamente incacchiati e una struttura molto più ramificata. Il colpo d’occhio forse è meno impressionante rispetto alla città sommersa in un primo momento, ma la nuova mappa non delude minimamente. Anche qui siamo di fronte e un mezzo ritorno al passato, con ramificazioni costanti, numerose zone da esplorare liberamente, trappole inaspettate e scorciatoie da sbloccare. I falò sono meno radi e non ci sono colonne mobili come nel predecessore, ma non mancano spunti brillanti. Troverete ad esempio nemici da affrontare da una debita distanza, perché esplosivi o tendenti al suicido col botto, Statue sputafuoco utilizzabili contro gli antagonisti se spostate al momento giusto, e una lunga serie di ascensori da attivare per raggiungere stanze inizialmente inaccessibili. La varietà, insomma, è superiore a quella vista nel gioco originale anche in questo caso, così come più elevato è il livello di sfida. La ricchezza di locazioni va inoltre elogiata senza se e senza ma: i From sono riusciti ancora una volta a mantenere uno stile uniforme per tutta la durata del DLC, e contemporaneamente a stupire di continuo con nuove meraviglie architettoniche. C’è un motivo se ce li immaginiamo con la testa ripiena di formule matematiche e visioni che farebbero impallidire Escher.
    Per certi versi in Crown of the Old Iron King gli avversari sono sullo stesso piano di quelli visti in Sunken, ma qui persino i soldati semplici fanno danni mostruosi e, seppur meno resistenti agli attacchi ravvicinati, bastano un paio di sviste a segnare la fine del vostro alter ego. Non mancano nemmeno i nemici da imprecazione tonante, tra cui i nostri preferiti sono probabilmente dei maghi con la tendenza al teletrasporto e il pallino del backstab, da eliminare pian piano e con grazia per evitare di spaccare lo schermo a testate. Passati questi ostacoli i boss non saranno da meno, e sembrano stati calcolati per spingere a giocare con uno stile aggressivo e senza paura. Sul serio, tergiversate troppo e vi faranno a pezzi, un po’ come accadeva con il Demone della Forgia. La loro pecca? Mancano ancora una volta un po' di originalità ed escluso un singolo incontro (il meno originale della combriccola, per di più), sono meno impegnativi del previsto.
    Gli amanti dell’equipaggiamento avanzato non hanno di che temere, peraltro: anche nell’ultimo DLC ci sono svariate chicche, tra cui una pletora di anelli sfiziosi (uno in particolare, che rende la schivata molto più “ninja” ci ha conquistato), qualche armatura dal look stilosissimo, e un paio di armi di quelle che fanno male solo a guardarle. Dovrete sudarvi ogni singolo oggetto conquistato, ma ne varrà la pena.
    Non molto da dire infine per quanto riguarda la longevità, che si attesta più o meno sulla durata di Sunken, anche se le fasi “post-corona” ci sono parse un pochino più elaborate.

lunedì 25 agosto 2014

Cloud Chamber


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Investigate North

  • Data uscita:7 agosto 2014

     

    Immaginate di aver appena finito di vedere un episodio della vostra serie tv preferita. Spinti dalla curiosità di sapere cosa hanno a che fare gli orsi polari con i disastri aerei e i sopravvissuti su un’isola deserta, oppure mossi dalla voglia conoscere l’identità della madre di due ragazzi costretti su un divano ad ascoltare racconti interminabili, decidete di andare su internet. Se lo show è abbastanza seguito, vi si aprirà davanti un mondo di teorie e ragionamenti sui vari episodi, nonché una serie di critiche feroci ai finali di stagione giudicati poco soddisfacenti; ogni appassionato, in altre parole, può esprimere la propria opinione e le proprie idee, cercando di anticipare l’operato degli sceneggiatori. Il funzionamento del titolo che ci accingiamo a recensire, Cloud Chamber, sviluppato da Investigate North, ha molto in comune con i meccanismi che abbiamo descritto: vediamo di capirne il perché.

    Proposto su PC a € 14,99, Cloud Chamber è un prodotto che sa come incuriosire i giocatori più attenti ai titoli fuori dagli schemi: se si va a leggere la descrizione del titolo data gli sviluppatori, infatti, la prima cosa che si leggerà sarà ”Massively Multiplayer story game”. Si tratta di un tecnicismo, in buona sostanza, che nasconde quella che non è altro che un’opera di intelligenza collettiva in cui i giocatori, alleati tra di loro, dovranno scoprire il mistero che circonda Kathleen Petersen. Questa giovane ricercatrice danese, protagonista del titolo, si ritroverà al centro di un esperimento scientifico che può far luce sulla sorte della madre, scomparsa in circostanze misteriose, e avere impatti sull’intera conoscenza umana relativa al funzionamento del pianeta Terra e dello spazio. Il tutto si basa sulla presenza di un segnale dalla natura non identificata, proveniente dall’etere: Kathleen, in particolare, sembra molto sensibile a questa presenza. Come se ciò non bastasse, la protagonista dovrà fronteggiare la presenza sfuggente del padre, Gustav, a capo proprio dei laboratori Petersen, che in più di un’occasione sembra ostacolare l’operato della figlia. A completare il quadro dei protagonisti troviamo Max e Thomas, che aiuteranno Kathleen nelle proprie ricerche. Il primo, in particolare, è un DJ le cui composizioni sembrano avere una certa importanza nell’ambito dell’esperimento, mentre il secondo è un reporter assunto dalla stessa Kathleen per documentare i vari step del suo operato. Quello che i giocatori dovranno fare, dunque, sarà analizzare i numerosi frammenti scaturiti dalla documentazione video di Thomas, oltre che documenti e filmati ufficiali della European Science Agency; lo scopo, è presto detto, è scoprire cosa sia successo a Kathleen, e svelare tutti i misteri che di volta in volta verranno introdotti.
    Sebbene in Cloud Chamber discernere tra narrativa e gameplay sia abbastanza complicato, è bene cercare di fare ordine e analizzare brevemente cosa offre, dal punto di vista della storia, il titolo Investigate North: possiamo dire subito che uno degli elementi centrali di tutta la vicenda sarà la scienza. Diversi video, infatti, faranno riferimenti a fenomeni scientifici come campi elettromagnetici, la stessa camera a nebbia oggetto del titolo, neutrini, l’origine dell’universo e il funzionamento del sole. Conoscere personalmente questi concetti sarà dunque di aiuto, ma è d’obbligo dire che giocare a Cloud Chamber non sarà un’esperienza da vivere in solitaria. Proprio come semplici appassionati di telefilm che cercano di capire il mistero che coinvolge la propria serie preferita, i giocatori dovranno scambiarsi opinioni, condividere teorie, cercare di capire gli indizi sparsi dagli sviluppatori. La storia, da par suo, riesce a mantenere alto l’interesse; c’è da dire che soprattutto chi ama le vicende che virano verso il fantascientifico, o che comunque sono incentrate sull’importanza della scienza con la S maiuscola, troverà in questo titolo una storia appassionante e intensa, che farà venire voglia di continuare a giocare fino a che non verranno svelati tutti i misteri proposti.
    Abbiamo detto che Cloud Chamber è un Adventure MMO: i giocatori collaborano tra di loro, si scambiano idee, e cercano di capire cosa sia successo. Nel concreto, però, che significa tutto ciò?
    Per comprendere i meccanismi del gameplay, dobbiamo tornare alla comparazione tra il titolo e il funzionamento di un forum dedicato a un qualsiasi telefilm: al posto dei vari episodi, però, nel gioco Investigate North sono presenti dieci capitoli, formati a loro volta da vari nodi. Questi, nel loro complesso, vanno a formare il database contenente tutti i frammenti della storia narrata. A livello puramente tecnico, una volta selezionato un capitolo si entrerà nella rappresentazione 3D dello stesso, all’interno della quale il giocatore potrà esplorare liberamente i vari nodi. Ogni nodo, in buona sostanza, è un video o un documento da visionare, analizzare, e commentare. In questo frangente troviamo la seconda assonanza tra Cloud Chamber e un normale forum o, meglio ancora, una normale pagina di Youtube: affianco al video da visionare, infatti, è presente uno spazio dedicato alle riflessioni dei vari giocatori. Come in un qualsiasi thread sarà possibile scrivere un nuovo post, commentare, e persino votare positivamente o meno i contributi già lasciati dagli altri utenti. Tutta questa componente social, evidentemente, non è fine a sé stessa, ma costituisce uno dei punti fondamentali dell’esperienza di gioco: più si contribuisce con osservazioni giudicate positivamente, e più si otterranno badge e riconoscimenti necessari per poter accedere ad informazioni altrimenti nascoste. In linea teorica, dunque, si potrebbe anche visionare i video e le immagini senza scrivere neanche un commento, ma così facendo non si avrà accesso a numerosi contributi, e si perderanno per strada frammenti di informazioni essenziali alla comprensione della vicenda.La prima domanda che viene in mente, nel momento in cui si comprende la struttura di gioco, potrebbe essere: una volta che i giocatori avranno scoperto il mistero di Kathleen (è bene dire che nel momento in cui scriviamo, questo non è ancora successo), i commenti lasciati in precedenza non costituiranno degli inevitabili spoiler per i nuovi arrivati? Il pericolo in questione sembra più o meno scongiurato grazie al criterio di posizionamento dei commenti: i più vecchi, in altre parole, scivolano verso il basso, e risultano meno visibili, al contrario dei più recenti. Dobbiamo dire che, alla prova dei fatti, questo sistema sembra funzionare abbastanza bene, visto che soprattutto nelle prime fasi di gioco non abbiamo riscontrato alcuno spoiler o riferimenti a eventi temporalmente distanti rispetto a quelli di cui eravamo già a conoscenza; c’è da dire, però, che la nostra prova è avvenuta pochi giorni dopo il lancio, e probabilmente solo nel lungo periodo si potrà valutare correttamente il tutto.
    In ogni caso, insieme al pericolo degli spoiler, l’altra minaccia tipica dei forum è rappresentata dalla presenza di troll, flame e simili. Il meccanismo che sembra danneggiare maggiormente l’intera struttura di gioco, difatti, sembra essere quello relativo ai messaggi di utenti che scrivono amenità varie esclusivamente al fine di prendere numerosi voti positivi, di modo da poter accedere ai filmati nascosti. Si tratta di un difetto che per la verità abbiamo riscontrato in poche situazioni, e comunque difficilmente eliminabile anche dal sistema di filtraggio dei messaggi basato sul rapporto tra voti positivi e negativi.
    Dobbiamo ribadire, dunque, che il sistema per ora sembra funzionare bene, e per quanto è stato possibile vedere l’atmosfera tra i giocatori è al momento improntata alla collaborazione e alla condivisione delle informazioni: l’obiettivo degli sviluppatori, a circa dieci giorni dall’uscita del gioco, sembra dunque essere stato centrato.
    Una ulteriore caratteristica peculiare di Cloud Chamber è costituita dal fatto che i filmati che i giocatori visioneranno sono recitati da attori in carne e ossa: il progetto coinvolge nomi di un certo spessore come Gethin Anthony (Game of Thrones) e Jesper Christensen (Casino Royale, Quantum of Solace). La protagonista principale, Kathleen, è invece interpretata dall’attrice danese Sara Hjort Ditlevsen. Dobbiamo dire che, complessivamente, la recitazione è sufficiente, o quantomeno positiva al punto da creare un certo coinvolgimento. Il compito più oneroso, ovvero quello di impersonare la protagonista, viene svolto dalla Ditlevsen in modo discreto, soprattutto per quanto riguarda il cambiamento di atteggiamenti e stati d’animo, conseguenze dell’impatto dell’esperimento su Kathleen.
    Per quanto riguarda le questioni maggiormente tecniche, invece, evidentemente il titolo non si segnala per pesantezza dal punto di vista hardware, visto che la rappresentazione di elementi 3D e 2D è poca o nulla, ma piuttosto per due richieste un po’ inusuali. Appena installato, infatti, il titolo richiederà la presenza obbligatoria di Quick Time 6, e costringerà il giocatore a effettuare una registrazione con tanto di username e password, proprio come se si trattasse di un forum. Questo accorgimento farà sì che il giocatore possa ricevere notifiche sul proprio indirizzo mail nel momento in cui un altro utente, all’interno del titolo, commenterà un suo pensiero.
    Dobbiamo constatare, poi, come alle volte la digitazione dei nostri commenti sia stata un po’ macchinosa, a causa di un ritardo di fondo tra l’input dato e la rappresentazione su schermo. Questo può portare a più di un errore, e di certo rende un po’ difficoltoso scrivere contenuti di una certa lunghezza.
    A questo proposito, non possiamo non citare quello che per gli utenti poco avvezzi all’inglese, rappresenta il maggior motivo per non acquistare Cloud Chamber: tutti i video, i documenti, nonché i commenti dei giocatori, sono esclusivamente espressi nella lingua di Albione. Non basta, come nella maggioranza degli altri videogiochi, saper comprendere il parlato e leggere i sottotitoli (peraltro non presenti in tutti i video), ma conterà anche saper scrivere in modo sensato; posiamo dire che chi difetta in almeno una di queste attività, dovrebbe pensarci molto bene prima di avvicinarsi al titolo, o quantomeno attendere una possibile conversione dei testi.
    Concludiamo con il comparto audio: in un titolo dove emerge il bisogno di analizzare attentamente ogni piccolo dettaglio, il sottofondo sonoro è elemento principe. Non è un caso, infatti, che la raccomandazione degli sviluppatori sia quella di giocare con le cuffie. Dobbiamo dire che il comparto in questione assume un ruolo decisamente importante durante i filmati che costituiscono la storia, ma anche nel semplice accompagnamento alla navigazione di menu e schermate.

Ionball 2

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Ironsun Studios

     

    Per quelli di noi che hanno vissuto l'epoca videoludica degli anni 80 sarà impossibile non ricordare una pietra miliare come Arkanoid. Capostipite spirituale del proprio genere, questo titolo è stato oggetto di vari seguiti e di un numero smodato di cloni. Ionball 2: Ionstorm è un titolo che parte dalle meccaniche base del suo antenato e le rinnova con idee interessanti affiancate da un comparto tecnico al passo coi tempi, tentando di soddisfare il palato dei giocatori moderni e al contempo non deludere i fan degli arcade games di una volta.

    Lo scarno incipit narrativo del gioco ci vede scalare i piani della torre spaziale 734B. Il nostro intento sarà quello di riprendere il controllo del sistema, compromesso a seguito dell'hackeraggio da parte di un software intruso. Come di consueto in questo genere di titoli, la nostra arma migliore sarà una sfera che faremo rimbalzare per tutto lo stage con l'obiettivo di eliminare i nostri nemici, cercando inoltre di evitare che questa cada oltre la parte inferiore dello schermo. Affronteremo così una serie di schemi di difficoltà crescente, all'interno dei quali vedremo i vecchi e cari mattoncini colorati sostituiti dai piccoli droidi della sicurezza. Tra le file dei robot ribelli possiamo contare un discreto numero di modelli differenti, ognuno con caratteristiche e abilità proprie. Dai piccoli droni base il cui colore indica semplicemente il numero di volte cui è necessario colpirli per abbatterli, fino a quelli capaci di attivare uno scudo o perfino rigenerare i compagni caduti.
    La varietà dei nemici è buona e garantisce livelli diversificati tra loro, ognuno da affrontare con un approccio differente. Da segnalare la presenza di stage con gli angoli superiori smussati, una variazione rispetto al classico rettangolo che offre maggiori spunti per delineare traiettorie killer.  L'aggiunta della terza dimensione al titolo inoltre non rappresenta solo una miglioria estetica, in quanto alcuni elementi si troveranno al di sopra o al di sotto della nostro campo d'azione e saranno impossibili da colpire se non con armi dedicate. Verremo quindi frustrati quando alcuni rimbalzi con angolazioni perfette andranno sperecati, mentre il drone in traiettoria levita al di sopra della pallina rimanendo illeso.
    Oltre alla nostra fidata sfera avremo a disposizione svariati tipi di armi, selezionabili con la rotellina del mouse ed attivabili con la pressione del tasto destro. Queste saranno acquistabili ed upgradabili tramite l'accumulo di punti esperienza rilasciati dai robot distrutti. Nell'interfaccia di gioco sarà anche presente un'utile barra chiamata Super Ray: questa si riempirà col tempo e, una volta carica, farà deflagrare un nemico a caso, molto utile in quelle fastidiose situazioni in cui rimane un solo avversario e il rimbalzo giusto non vuole saperne di arrivare!
    Oltre alle armi sarà possibile migliorare la nostra "navicella" tramite l'acquisto di abilità passive. Queste ci forniranno diversi bonus, dall'aumento del danno inflitto dalla palla al miglioramento degli scudi, permettendoci così di assorbire più danni prima di esplodere. Alcuni nemici, ed i boss in particolare infatti, non staranno lì ad aspettare passivamente l'impallinamento ma risponderanno al fuoco con raggi laser e altre simili amenità. A proposito di boss, questi saranno pochi ma gli stage che li ospitano saranno originali, arrivando persino ad eliminare la necessità della pallina e creando veri e propri piccoli arcade game indipendenti. In diversi livelli saranno anche presenti dei buchi neri che teletrasporteranno la sfera da un punto all'altro dello schema rendendo così l'esperienza ancora più frenetica e psichedelica.
    La terza dimensione, oltre a rinfrescare la formula del concept originale con qualche nuova meccanica, regala al titolo un aspetto decisamente gradevole. I modelli dei nemici sono facilmente riconoscibili e lo stile futuristico non lesina in merito a esplosioni ed effetti visivi delle armi. La palla rimane sempre ben visibile grazie alla scia verde acceso che lascia dietro di sé, anche se alcune volte durante la nostra prova l'abbiamo persa di vista nelle fasi più dense di effetti. La natura robotica del comparto artistico ben si sposa con la colonna sonora metal/dubstep, aggressiva e galoppante al punto giusto, anche se alla lunga un po' ripetitiva. Purtroppo una nota dolente del titolo è la longevità: il tempo necessario ad affrontare i 60 stage di cui è composto è di circa tre ore, dopo di che sarà solo la nostra fame di gloria a spingerci a rigiocare il prodotto per arrivare in vetta classifica mondiale. Al nostro punteggio verrà sommato un moltiplicatore ogni volta che completeremo uno stage senza perdere nemmeno una vità, mentre verrà applicato un malus nel caso in cui, dopo un Game Over, decidessimo di riprendere a giocare dall'ultimo livello provato invece che iniziare una nuova partita. 

domenica 24 agosto 2014

Dead Island 2

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Yager Development

  • Data uscita:Primavera 2015

     

     

    C’era un’aura di terrore attorno al primo Dead Island. Forse era stato quello straordinario trailer ad innescare il tutto. Forse era la sequenza iniziale, con quella rocambolesca fuga da un villaggio vacanze. O, forse, era l’idea di un luogo idilliaco che si trasforma in un’inferno a rendere il tutto terrificante. Insomma: Dead Island aveva le premesse di un survival horror, e solo dopo qualche ora di gioco l’aspetto free roaming prendeva il sopravvento, lasciandoci scoprire i numerosi segreti e la vasta scala dell’isola di Banoi.
    Credevamo che il sequel avrebbe mantenuto l’idea del primo gioco, ma ci sbagliavamo: Dead Island 2 è un’esperienza che punta più sul caos che sulla sopravvivenza, trasformando la lotta agli zombie in una grossa attrazione turistica. Insomma: se il primo Dead Island ci faceva fuggire da una vacanza, in Dead Island 2 la nostra vacanza passa attraverso l’uccisione degli zombie. Beh, più o meno.
    Per la prima volta la serie si sposta in un luogo reale: il teatro di Dead Island 2, infatti, è la California meridionale. Dopo l’esplosione dell’epidemia zombie in California, le autorità hanno deciso di “chiudere lo stato”, isolandolo dal resto del mondo. Così, la regione che fu un tempo il paradiso del surf e delle belle ragazze diventa una sorta di mondo a parte, nel quale vi abitano pochi sopravvissuti non disposti a lasciare le proprie case, una valanga di non morti e qualche turista. Perché, a quanto pare, chi è immune al virus zombie ama uccidere i non-morti. La California è diventata uno grosso parco a tema, nel quale chi cerca divertimento e gloria si reca per fare saltare la testa a qualche mangiacervello.
    Questa premessa ci dà immediatamente un’idea di come sia cambiato Dead Island nel suo sequel: il gioco è più incentrato sull’uccisione degli zombie che sulla sopravvivenza, e i momenti drammatici sembrano essere stati sostituiti da molti più momenti caciaroni, nel quali ci si concentra unicamente sullo sterminio di chi ci sta attorno. E, dopo due sessioni di gameplay alla Gamescom 2014, crediamo che questa svolta alla Dead Rising, con la conseguente crescita del ritmo nel gameplay, sia davvero positiva.
    Al contempo, non dobbiamo dimenticare che Yager Development, sviluppatori di Dead Island 2, hanno nel loro portfolio Spec Ops: The Line, un gioco spesso citato per la sua trama straordinaria. Anche se in un gioco casinista come Dead Island 2 non ci aspettiamo trame alla David Lynch, siamo abbastanza fiduciosi nelle capacità di Yager di saper creare un interessante impianto narrativo.
    Nonostante le variazioni nel mood e nel ritmo del gioco, il concept Dead Island 2 resta solidamente ancorato a quello del suo predecessore: parliamo di un gioco che dà indubbiamente il meglio di sé se giocato in compagnia. Con questa “zombie fest” in corso, i giocatori sono portati sia a collaborare per procedere nelle sezioni più dense di zombi che a mantenere una sana competizione sul numero di non morti uccisi. Così, non è raro vedere qualche compagno allontanarsi dal gruppo per lanciarsi letteralmente nella mischia, e iniziare a menare fendenti a destra e a manca per massacrare il maggior numero di nemici. A differenza di Dead Island, dove le armi da fuoco avevano un ruolo importante nonostante la loro relativa rarità e scarsità dei proiettili, in Dead Island 2 il gioco sembra fornirci un numero di proiettili maggiore rispetto al passato, pur invogliandoci a mantenere un approccio melee. In altre parole, tra il fucile e la spada il giocatore è naturalmente portato a scegliere quest’ultima: combattere circondati da un’ora di zombie è infinitamente più divertente che farlo dalla distanza, complice anche la spettacolarità dei combattimenti corpo a corpo. Uno dei nostri personaggi, ad esempio, aveva a disposizione un martellone potenziato con un danno di fuoco: in alcuni casi il nostro amico era in grado di mandare in aria gli zombie con un solo colpo, incendiandoli allo stesso tempo. Se non avete mai visto uno zombie andare contemporaneamente a fuoco e in orbita, Dead Island 2 vi aprirà nuovi orizzonti.
    I personaggi disponibili sono quattro - hunter, berserker, speeder e bishop - ognuna con peculiarità profondamente diverse dalle altre e con un attacco furia attivabile piuttosto spesso, con un tempo di cooldown relativamente breve. Nella nostra prova abbiamo giocato nei panni di un berserker (il tizio col martellone di cui parlavamo poc’anzi) e di una speeder, una sorta di ninja con la quale siamo riusciti a segnare un ottimo quinto risultato mondiale per numero di uccisioni alla Gamescom 2014. Quando hai a disposizione una katana e un attacco furia che finisce i nemici con la semplice pressione di un pulsante, il kill counter sale abbastanza rapidamente se ti trovi nel posto giusto, al momento giusto.

venerdì 22 agosto 2014

Civilization Beyond Earth

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Firaxis

  • Data uscita:Autunno 2014

     

    A differenza di quanto visto in occasione della fiera losangelina in cui la demo era ambientata nelle primissime fasi di gioco, in questa occasione abbiamo avuto un fugace assaggio di quello che ci aspetterà nelle sessioni più avanzate, dove il vero succo del gioco dovrebbe venire a galla. All’uscita, fissata per il  24 ottobre, non manca molto; rimbocchiamoci le maniche e partiamo per lo spazio profondo.
    Come affermato qualche riga più sopra, le similitudini tra Civilization: Beyond Earth e Civilization V non sono poche, a patire dall’utilizzo dello stesso motore di gioco fino ad arrivare al sistema di turni e movimento e alla locazione delle unità sul terreno di gioco. A dispetto di ciò, è bene ricordare che questo titolo è più da considerarsi come un sequel spirituale di Alpha Centauri piuttosto che un espansione della serie Civilization, sebbene i due lavori siano strettamente correlati. Ogni giocatore di vecchia data dopo aver visto nei primi capitoli della serie i vari popoli costretti a migrare lontano dalla Terra una volta raggiunto l’end game, avrà desiderato fortemente partire per lo spazio e continuare a prendersi cura di loro anche lontano dal pianeta natio. Proposito di questa sorta di spin off spaziale è proprio quello di dare una risposta a tutti coloro che più di una volta avevano annusato l’avventura spaziale senza poterla mai vivere in prima persona. Si tratterà ancora una volta di un titolo incentrato sulla colonizzazione di un altro pianeta piuttosto che sull’esplorazione, che promette di arricchire la formula implementando alcune interessanti feature venute fuori direttamente dalle espansioni dell’ultimo titolo di Firaxis Games. 
    L’introduzione dell’archeologia e la possibilità di tracciare rotte commerciali molto complesse e intricate darà maggiore profondità al gameplay, costringendo il giocatore a valutare attentamente le sue mosse ad ogni turno. Le Affinità daranno la chance di decidere in che modo la popolazione andrà a interagire con il popolo colonizzato, seguendo tre schemi differenti. Scegliere Harmony garantirà una convivenza pacifica tra i due popoli all’insegna della coesione culturale, permettendoci di apprendere nuove abilità e di evolverci assimilando caratteristiche proprie della specie colonizzata. Supremacy sarà invece il completo opposto, e permetterà di mettere in ginocchio i popoli autoctoni alzando barriere culturali impenetrabili. Purity, infine, è perfetta per chi punta a ricreare la Terra sul nuovo pianeta conquistato, mantenendo intatti usi e costumi del luogo di origine. Durante la dimostrazione è emerso quanto le scelte di Affinità abbiamo ripercussioni anche sul sistema di combattimento, dando accesso a tecnologie e unità esclusive da schierare in battaglia per meglio avvantaggiassi sulle popolazioni nemiche. 
    Al posto di prendere il comando di una civiltà e portarla dall’età della pietra a quella spaziale, in questo caso dovremmo espanderci in un pianeta alieno, in un mondo futuristico senza tempo, ma vivo e ricco di fazioni differenti. In tal senso, non essendoci nessuna progressione storica, gli sviluppatori hanno potuto sbizzarrirsi nella creazione di un Tech Tree corposo e articolato, che lascerà al giocatore il pieno controllo dei progressi da perseguire senza porgli alcun percorso predefinito. La libertà di controllo sarà totale, garantendo anche una certa dosa di varietà in chiave di interpretazione. L’aspetto politico di Civilization V rivive in Beyond Earth attraverso quattro rami di virtù (Might, Prosperity, Knowledge e Industry) che possono essere sviluppati fino a due contemporaneamente, creando delle sinergie che ci avvantaggino nelle trattative e nelle attività diplomatiche con gli altri popoli. Sappiamo inoltre che, con l’avanzare dei turni e il progredire dell’avventura, guadagneranno maggiore importanza i satelliti, da spedire in orbita per influenzare direttamente il terreno circostante in base alle loro abilità (con bonus per la produzione industriale o l’estrazione mineraria), oppure utilizzandoli direttamente come armi (alcuni sono dotati di raggio laser per danneggiare direttamente le unità nemiche). Il tutto sembra essere molto interessante, ma complici una presentazione molto stringata e l’assenza di una demo giocabile in prima persona, siamo ben lontani dall’esprimere un giudizio sul nuovo lavoro di Firaxis.

lunedì 18 agosto 2014

Dragon Age Inquisition

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:BioWar

  • Data uscita:21 novembre 2014

     

    Difficile. Difficile rivoluzionare completamente un seguito e al contempo accontentare i fan del primo episodio, un’operazione che quasi mai nella storia ha avuto successo e che solo poche case di sviluppo hanno osato intraprendere. Ecco, Bioware è una di queste ma la tempesta che li ha investiti con il passaggio dal combat system estremamente tattico del primo episodio alla cacioneria del secondo, dove mollare fendenti a destra e manca risultava efficace tanto quanto tentare di pianificare un attacco coordinato con tutti i membri del party, non è stata semplice da superare. In molti hanno preferito il primo, qualche coraggioso ha amato il secondo allo stesso modo (tra cui c’è anche chi sta scrivendo questo pezzo) e c’è anche qualcuno che invece avrebbe semplicemente messo le teste dei dev su una picca.
    All’annuncio di Dragon Age Inquisition le orecchie erano ben tese verso Electronic Arts per capire come le cose si sarebbero evolute e che direzione la produzione avrebbe intrapreso, quand’ecco che l’annuncio di una sorta di ibridazione tra i due stili di gioco ha parzialmente fatto tirare un sospiro di sollievo ai fan. Nessuno però ci aveva ancora messo mano e la Gamescom 2014 ha avuto questo semplice e preciso compito: farci provare in prima persona il lavoro svolto da Bioware fino a questo momento.
    Entrati nella saletta a porte chiuse abbiamo subito preso possesso della nostra postazione, nessuna presentazione o benvenuti di rito, solo una breve spiegazione sui controlli principali, e in men che non si dica ci trovavamo in una zona paludosa del Thedas pronti a intraprendere la nostra prima missione.
    La prima cosa che balza all’occhio è la costruzione del personaggio, curata in ogni dettaglio, dall’armatura scintillante all’arma forgiata in modo sapiente con quello stile realistico che da sempre contraddistingue il design delle armi di Bioware, favorendole agli enormi spadoni sproporzionati dei fantasy più classici. Muoviamo i primi passi, rigorosamente con il controller nonostante stessimo giocando una build PC, e le animazioni ci soddisfano mostrandoci il nostro guerriero che si muove leggero sui viottoli della zona di partenza. Intorno a noi un modo credibile e vivo, con fronde e erba mosse dal vento per un’impatto globale decisamente piacevole, tanto da rapirci e farci subito dimenticare la missione principale.
    Decidiamo quindi di sfruttare la vastità delle sezioni open world per darci all’esplorazione, completare qualche quest secondaria e prendere un assaggio di quello che sarà il gioco completo.
    Con questa prova siamo andati esclusivamente a scalfire la superficie ma quello che abbiamo trovato ci è piaciuto, seppur con qualche riserva. Addentrandoci nel territorio scopriamo monumenti da attivare con il mago presente nel nostro party, erbe e materiali da raccogliere per il crafting e NPC da conoscere. Bioware da questo punto di vista non si è certamente smentita proponendo come sempre dialoghi curati e a scelta multipla, che non solo danno spessore all’intera storia ma ci permettono di plasmare a piacimento il carattere del nostro personaggio e, con tutta probabilità come è sempre accaduto fino ad oggi, anche la sua storia.
    Ci muoviamo verso i punti evidenziati nella minimappa per scoprire qualcosa di più del mondo e qualche piccola magagna inizia comunque a saltare fuori. Nonostante l’ampiezza della mappa alcuni percorsi risultano obbligati e l’esplorazione è comunque incanalata da vie principalmente prestabilite, utili a non perdere tempo a vagare nella zona.
    Sono i non morti le creature che ci attendono, scheletri arcieri e guerrieri dotati di semplice spada: carne da macello per il nostro equipaggiamento attuale. Un paio di fendenti e le ossa volano in ogni dove con una buona fisica dei corpi che ricompensa il giocatore ad ogni colpo messo a segno. La mobilità dei nostri guerrieri è ottima ed è possibile eseguire combattimenti veloci e dinamici come in ogni hack ’n’ slash che si rispetti. Questi attimi ci ricordano in maniera sin troppo marcata quel Dragon Age 2 che aveva sollevato dubbi gli anni passati e decidiamo quindi di iniziare a utilizzare anche le altre tre classi a nostra disposizione: un tank, un ranger e un mago. Testiamo anche la rotazione delle skill, scoprendo che ogni membro del party concatena attacchi semplici in combo, esplodendo un colpo finale più spettacolare e potente degli altri, e la sinergia con le abilità attive funziona piuttosto bene. Lanciamo quindi un uncino come il miglior Scorpion verso il nostro nemico e lo attiriamo a noi stordendolo, cambiamo al volo sul mago e iniziamo a tempestare di saette magiche i non morti inermi mentre il nostro ranger si muove furtivamente nelle retrovie, utilizzando colpi alla schiena in grado di causare un enorme quantitativo di danno. Uno degli sbilanciamenti maggiori alle difficoltà più alte di Dragon Age 2 derivava proprio da questo aspetto, ma la build attuale non ci ha permesso di verificare se i nemici diverranno letali come in passato o avranno una mitigazione del danno maggiore, rendendo più gestibili le imboscate. Dopo un paio di combattimenti conclusi nella frenesia, decidiamo di cambiare stile di gioco e passiamo alla schermata di selezione tattica ove impostare tranquillamente i movimenti del party e ci assale la nostalgia vedendo che effettivamente la nuova impostazione ci permette di gestire alla perfezione i comandi in sequenza, le azioni da svolgere e il posizionamento del nostro team. Dragon Age insomma sembra poter mantenere le promesse fatte, anche se da questa prima prova emergono diversi problemi sulle hitbox e sui path seguiti dall’intelligenza artificiale. Ovviamente, inoltre, non ci è stato possibile andare ad esaminare tutta quella serie di problemi i bilanciamento che avevano afflitto il predecessore.
    Ultima nota sull’arco, che abbiamo trovato in una cassa e utilizzato immediatamente. La possibilità di scoccare frecce in movimento sembra potenzialmente distruttiva per l’ia e siamo curiosi di vedere come le skill più pericolose dei ranger verranno gestite. 

Pro Evolution Soccer 2015

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:Konami

  • Data uscita:13 novembre 2014

     

    Il motore di gioco sviluppato da Kojima Production ha garantito alla serie un palpabile salto di qualità, ma quando si parla di simulatori sportivi c’è una sola cosa che conta davvero: il gameplay. Quelli che si sono avvicinati maggiormente alla quadratura del cerchio sono indubbiamente i ragazzi di Visual Concepts, che sono riusciti ad unire un comparto grafico sopraffino a un gameplay profondo e rifinito, incontrando all’unanimità i favori di pubblico e critica. Per quanto riguarda la serie di Konami, a decretare il cambio di rotta è stato un insieme di fattori, tra cui la creazione di un team di sviluppo distaccato con base in Inghilterra che ha collaborato in modo serrato con i colleghi giapponesi per portare nelle case degli amanti del pallone la migliore esperienza possibile. 
    Partendo da ciò che di più prezioso il brand di PES è riuscito a costruirsi fin dai tempi della PlayStation 2, ovvero solide community di appassionati altamente federiate, Konami è andata alla ricerca di un maggior realismo. Lavorare a stretto contatto con i fan gli ha permesso di raccogliere uno sterminato numero di informazioni riguardanti qualsiasi squadra e calciatore presente nel gioco, in un tempo relativamente breve se paragonato a quanto si avrebbero impiegato a farlo internamente. La formula è quella di rilasciare aggiornamenti settimanali contenenti tutte le informazioni necessarie sullo stato di forma dei singoli giocatori, sulle tattiche adottate dalle squadre e finanche sui cambiamenti estetici di ogni calciatore. Nuovi tagli di capelli, l’utilizzo di una fasciatura o di una esultanza particolare saranno inseriti progressivamente e in tempi rapidi all’interno dell’economia del gioco, snellendo il processo di aggiornamento ed evitando il rilascio di gigantesche patch correttive poco tempestive. Un ulteriore salto di qualità è dato dall’estensione del Player ID a un gran numero dei calciatori presenti nel gioco, caratterizzando ognuno con il suo personale stile. Questa è una diretta conseguenza di quanto esposto in precedenza: la maggiore presenza di statistiche sempre aggiornate permette ai developer di differenziare in maniera più precisa due calciatori diversi. Seguendo lo stesso discorso, il campionario di animazioni ha subito un ampliamento, imitando meglio i vari stili di corsa e di dribbling dei vari calciatori. Anche l’intelligenza artificiale ha subito dei miglioramenti, arrivando a replicare in maniera plausibile e fedele alla realtà il comportamento in campo e lo stile di gioco di ogni club. In tal senso gli undici titolari alternano le fasi di possesso con quelle di non possesso in maniera più marcata diverso agli altri anni, disegnando in campo schemi di gioco molto più realistici in entrambe le situazioni. 
    Sul fronte delle modalità di gioco, le principali novità riguardano l’introduzione di due nuove varianti alla formula classica della Master League e della Carriera. In Pro Evolution Soccer 2015 fanno il loro ingresso MyClub e Role Control, entrambe potenzialmente interessanti e capaci di offrire un’effettivo diversivo grazie alla loro natura più manageriale. La prima è una modalità nella quale bisogna mettere insieme un team partendo da zero, inviando gli scout in giro per il mondo in cerca di talenti e migliorandone le statistiche con specifici allenamenti. I membri dello staff tecnico, invece, avranno degli schemi e delle formazioni preferite, che dovremo cercare di assecondare procurandogli i giocatori che meglio si adattano ai ruoli rischiesti. In tal modo si accresce il feeling tra i membri della squadra e i risultati non faranno fatica ad arrivare, con prestazioni consistenti e un miglioramento delle statistiche degli stessi calciatori. MyClub sarà giocabile sia online che offline, e i crediti ottenuti durante le ore di gioco potranno essere trasferiti da una partita all’altra. 
    Role Control è invece una modalità cooperativa piuttosto atipica ma dalle premesse interessanti, che non vediamo l’ora di provare con mano. Vista la difficoltà di controllare un singolo giocatore alla volta, gli sviluppatori hanno deciso di sviluppare un modello di gameplay che ricreasse il feeling del biliardino, affidando ad ogni giocatore un intero reparto da controllare. L’unico neo è che attualmente questa modalità è solamente offline e per tre giocatori, che si divideranno difesa, centrocampo e attacco. Le aspettative per questa nuova modalità sono alte e, se dovesse avere il successo sperato tra i fan della serie, non è escluso l’arrivo della stessa online nei prossimi anni. 
    Ultimo accenno alla Master League Online, che verrà riproposta migliorata in alcuni aspetti. Segnaliamo la presenza di micro-transazioni che permetteranno a chi vorrà di acquistare dei potenziamenti da utilizzare in game. Pro Evolution Soccer 2015 arriverà nei negozi più tardi rispetto al solito, ovvero il 13 novembre, su Xbox 360, Xbox One, PlayStation 3, PlayStation 4 e PC. Sarà però possibile provare la demo con lago anticipo a partire dal prossimo 17 settembre, e coloro che preordineranno il gioco otterranno la “Squadra dell’Anno” nominata dalla UEFA all’interno della modalità MyClub. 

Assassin's Creed Unity

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:28 ottobre 2014

     

     

    Vive la révolution. L’ambientazione di Assassin’s Creed: Unity, con ogni probabilità, è stata per anni la più desiderata dai fan. Un periodo instabile e pieno di fatti e personaggi storici concentrati nel giro di un decennio è semplicemente perfetto per la serie con gli assassini e i templari, e ora che Ubisoft ha deciso di accontentarci l’attesa è salita alle stelle. Se aggiungiamo il fatto che Unity sarà il primo gioco della saga pensato per la next-gen e che uscirà in un anno ricordato più per i giochi rimandati che per quelli usciti, non vi sono davvero ragioni per non provare almeno un po’ di (in)sano hype nei confronti di questo gioco.
    Se l’ambientazione è risultata sin da subito convincente, però, qualche dubbio è sorto nel momento in cui Ubisoft ha parlato di Unity come di un gioco con profonde funzionalità cooperative. Qualcuno ha storto il naso, qualcun’altro ha pensato che il gioco avrebbe preso una direzione non gradita. Gli sviluppatori hanno immediatamente corretto il tiro, spiegando che - in realtà - questo gioco è un’esperienza che può essere vissuta interamente in single player, ma in cui il multiplayer cooperativo avrà un ruolo tutt’altro che marginale. Un po’ di confusione, insomma, che abbiamo potuto chiarire dopo una prova al cospetto della tanto discussa modalità cooperativa.
    La modalità cooperativa di Assassin’s Creed: Unity si colloca a metà strada tra una modalità secondaria e la modalità principale. In breve, nel gioco vi saranno missioni pensate esclusivamente per il giocatore singolo, destinate a narrare le vicende principali del racconto e scarsamente rigiocabili. La modalità cooperativa, invece, riguarda principalmente delle quest secondarie, orientate esclusivamente all’ottenimento di loot ed esperienza ma non per questo prive di risvolti narrativi, e spesso di una durata piuttosto ragguardevole (si è parlato di missioni pensate per durare almeno un’ora).
    In alcune particolari aree del gioco si possono attivare tali missioni, che ci presentano una schermata con tre scelte. Si può decidere di affrontare la missione cooperativa in single player: chi intende giocare Assassin’s Creed: Unity senza mai fare ricorso al multiplayer, potrà farlo. Il problema è che la difficoltà delle missioni cooperative non viene scalata a seconda del numero di giocatori presenti: una missione pensata per quattro giocatori, infatti, risulterà estremamente difficile se giocata in single player. Qualche giocatore potrebbe trovare affascinante affrontare tali missioni in solitaria, per ottenere un maggiore grado di sfida, ma in generale Ubisoft sembra “invitarci con le buone” a giocare le missioni coop in compagnia di qualche altro giocatore. Le altre due scelte ci consentono di invitare alla partita i nostri amici o, in alternativa, di trovare altri giocatori tramite un sistema di matchmaking. Considerando la grande quantità di fan del franchise Assassin’s Creed, crediamo che trovare qualche compagno di gioco non sarà mai un problema.
    Una volta ottenuta la missione, i giocatori troveranno davanti a sé uno scenario inedito. Al fine di agevolare la rigiocabilità delle missioni cooperative, infatti, l’ubicazione dei nemici e la presenza di eventuali passaggi bloccati da una porta chiusa viene generata in maniera procedurale. Così, ad ogni replay i giocatori avranno a che fare con qualcosa di nuovo, e saranno costretti a ridiscutere le tattiche di volta in volta, piuttosto che procedere meccanicamente verso l’obiettivo. Ma non è finita: persino il pattern dei nemici è stato modificato radicalmente: dimenticatevi i percorsi su binari dei precedenti Assassin’s Creed, in Unity i cattivi si muovono con più naturalezza, compiono deviazioni e tendono a fermarsi in maniera apparentemente improvvisa. In breve: ci sarà da soffrire, ci sarà da lottare. Fortunatamente, gli sviluppatori hanno pensato bene di alternare aree dense di nemici ad aree sicure, in modo tale che - anche nell’incognita della randomicità - vi siano momenti in cui i giocatori possano riprendere fiato e riorganizzarsi.
    Anche quando si raggiunge l’obiettivo della missione - che può variare dalla semplice apertura di uno scrigno ben custodito fino alle classiche missioni di assassinio o di ricerca di indizi - la missione non termina: i giocatori devono infatti abbandonare l’area della missione in sicurezza prima di poter cantare vittoria, una scelta che certamente darà luce a numerose fughe rocambolesche, specie in seguito a un piano stealth mandato alle ortiche all’ultimo istante.
    La presenza di una così forte modalità cooperativa ha indotto gli sviluppatori a permettere una profonda personalizzazione del proprio personaggio. Si tratta dell’Assasin’s Creed più evoluto in questo senso, che ci permette di scegliere tra una enorme vastità di vestiti che influenzano le caratteristiche del personaggio (letalità, resistenza, invisibilità e agilità) oltre alle proprie abilità passive. Vi è poi una enorme gamma di armi, divise tra spade, armi lunghe, armi pesanti, pistole e fucili. Per dare un’idea della quantità di armi a disposizione, soltanto nella categoria spade abbiamo contato ben 27 elementi, ma il numero potrebbe addirittura crescere nella versione definitiva del gioco.
    Oltre a questi aspetti, vi è la possibilità di assegnare al personaggio quattro skill attive, che applicano diversi effetti e che consentono, ad esempio, di creare un personaggio capace di curare, un personaggio capace di individuare la posizione dei nemici dietro ai muri e di condividerla con i propri compagni, in grado di portare con sé un maggior numero di oggetti, di scassinare i lucchetti attraverso un minigioco, eccetera. Si tratta di una sorta di sistema di classi quasi invisibile ai giocatori, ma che saprà influenzare in maniera radicale il comportamento del proprio party.
    Il fighting system di Assassin’s Creed è stagnante da parecchio tempo. Uno degli aspetti più deboli della saga, infatti, si riscontra proprio nel combattimento troppo uguale a se stesso nelle varie iterazioni della saga. Anche Unity non si discosterà troppo da quanto visto in precedenza, ma nella demo presentataci alla Gamescom abbiamo con piacere constatato che i nemici sembrano non attendere il proprio turno per affrontarci, mettendoci rapidamente in pericolo. Non abbiamo visto sufficienti sequenze di combattimento per poter esprimere un giudizio su questo aspetto del gioco, ma possiamo già affermare che - in coop - qualcosa cambia.
    Nello specifico, la presenza di più assassini sul campo di battaglia può dare luogo a tattiche mai viste prima nella serie. Ad esempio, è possibile iniziare un combattimento con un assassino, consentendo a un secondo assassino di giungere indisturbato alle spalle del nemico impegnato in singolar tenzone per eliminarlo con un colpo di lama celata. O, in alternativa, con una mossa di soffocamento, una delle tante novità di Unity.
    Non vi è dubbio, però, che la massima soddisfazione la si ottenga coordinando alla perfezione un attacco con i propri compagni. Quando si vedono scendere da un muro quattro assassini controllati da altrettanti giocatori, che con tempismo perfetto si scagliano su altrettante guardie, la soddisfazione è davvero molto grande. Crediamo, insomma, che questa modalità cooperativa di Assassin’s Creed: Unity saprà offrire una nuova gamma di emozioni anche a chi conosce alla perfezione questa serie.
    Dopo il chiacchierato caso del downgrade grafico di Watch Dogs, abbiamo sviluppato una certa immunità nei confronti delle demo di Ubisoft. Dobbiamo dire che la demo presentataci nel corso dell’E3 2014 ci aveva lasciati letteralmente a bocca aperta, ma per le ragioni di cui sopra siamo rimasti con il beneficio del dubbio.
    Dopo questa prova alla Gamescom 2014 possiamo confermare che molti dei nostri dubbi erano infondati, mentre altri sono stati tristemente confermati. Ovvero: la grafica di Assassin’s Creed: Unity è straordinaria. Parliamo senza ombra di dubbio del miglior capitolo della saga da un punto di vista tecnico, nonché di uno dei migliori prodotti presenti nel catalogo delle console next-gen. Al contempo, il gioco ha ancora bisogno di una bella ripulita: abbiamo notato svariati problemi nel motore grafico che, nonostante un frame rate davvero stabile, si è spesso perso in grossolani casi di compenetrazione poligonale e di vistoso aliasing sulle ombre. Problemi che potranno essere risolti prima dell’uscita del gioco ma che, per il momento, stonano nel bel mezzo della festa grafica di questo quinto capitolo della serie.

giovedì 14 agosto 2014

Far Cry 4

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Ubisoft Montreal

  • Data uscita:18 novembre 2014

 
 
 
 La prima demo di Far Cry 4 riservata alla Gamescom 2014 ci porta sul bordo di un precipizio: attorno a noi c’è solo un forte vento, la nuda roccia grigia contrastata dai colori sgargianti delle bandierine di preghiera tibetane. Non vi è nessuna strada: l’unico modo per proseguire è saltare nel vuoto e, con l’ausilio di una tuta alare, paracadutarsi su di un campo controllato dagli uomini di Pagan Min, il controverso nemico di questo quarto episodio. In questo frangente abbiamo l’occasione di notare la splendida grafica del titolo su PS4: non è un passo avanti siderale per la serie, ma possiamo già affermare che la versione next gen del titolo è piuttosto spettacolare.
Non appena i nostri piedi toccano la neve, veniamo accolti da una coppia di Yak che pascolano ai margini del campo. La loro reazione è imprevedibile: uno di loro fugge, l’altro si ferma, vacilla e ci carica. Lo spaventiamo con un colpo di pistola e, nella maniera più silenziosa possibile, ci muoviamo tra le rovine di un villaggio abbandonato, dove alcuni nemici sono di pattuglia. Eliminiamo il primo con una silenziosa balestra a due colpi, poi un secondo e un terzo. Il quarto nemico, che cammina a ridosso di un pendio, si avvicina alla nostro nascondiglio pericolosamente. Decidiamo di estrarre una pistola silenziata e di fare fuoco, ma il nostro piano non riesce: il nemico è solo ferito e chiama i rinforzi. Nel silenzio di un villaggio fantasma in mezzo all’Himalaya, si sta per scatenare l’inferno.
Il gioco inizia a spawnare nemici nei luoghi che avevamo già ripulito, e nel giro di qualche minuto ci ritroviamo circondati. Far Cry 4 è un gioco abbastanza impegnativo, e la missione prosegue con qualche difficoltà: l’errore ci è costato caro, e per circa cinque minuti siamo stati bloccati in una sparatoria, resa ancora più complessa da un’intelligenza artificiale piuttosto prudente, che tende a nascondere i nemici dietro le rocce e a non lasciarli quasi mai scoperti, oltre a dare loro la capacità di utilizzare il fuoco di copertura quando decidono di uscire allo scoperto. Da questo punto di vista, il gioco ci ha lasciato delle ottime sensazioni.
La parte finale della demo ci obbliga a muoverci in maniera stealth, in quanto l’uso delle armi da fuoco porterebbe al fallimento della missione (e al game over della demo). In questo caso abbiamo dovuto fare uso della nostra astuzia, ed eliminare il primo uomo di pattuglia, per poi nasconderne il cadavere dietro una roccia. Il secondo si è beccato una coltellata nella schiena, mentre il terzo è stato ferito mortalmente dopo qualche nostra esitazione, in quanto il cattivo tardava a mostrarci le spalle e un leone di montagna ci ha attaccati in un momento delicatissimo. Non sappiamo se questo genere di sequenze “obbligatoriamente stealth” saranno presenti nel gioco definitivo, in ogni caso è evidente che Far Cry 4 è un titolo che potrà dare grandi soddisfazioni a chi ama i videogiochi in cui si uccide in maniera silenziosa.
La seconda demo di Far Cry 4 ci ha condotti nello straordinario mondo di Shangri-La. Gli sviluppatori ci hanno spiegato che il posto è legato al folklore tibetano, anche se una rapida ricerca su Wikipedia ci ha fatto scoprire che il luogo è stato inventato di sana pianta da James Hilton, nel romanzo del 1933, Orizzonte Perduto. Il giocatore può accedere a Shangri-La osservando degli arazzi che si trovano nel gioco, e che gli permettono di entrare in una sorta di stato di trance dal quale accedere a questo misterioso luogo. Se, nel romanzo di Hilton, Shangri-La è una sorta di paradiso, in Far Cry 4 è un vero inferno: un luogo di un colore rosso accesso, popolato da uomini seminudi con la capacità di teletrasportarsi, straordinariamente coriacei e armati di arco. Anche noi li affrontiamo con un arco, dalla gittata breve e dal danno ridicolmente basso. Al nostro fianco c’è una tigre bianca, detta “Il Protettore”, che possiamo indirizzare verso i nostri nemici con il tocco di un pulsante e che, a quanto pare, si rivela provvidenziale per proseguire in maniera stealth in questo mondo. Quando si attira l’attenzione dei nemici, infatti, il viaggio a Shangri-La diventa drammaticamente pericoloso: il nostro arco è lento a tendersi, ed è sufficiente farsi affiancare da due o tre nemici per trovarsi in una pessima situazione.
Confessiamo di non essere riusciti a terminare la demo di Shangri-La, sia per questioni legate al tempo a nostra disposizione (ci hanno letteralmente cacciati), sia per l’elevata difficoltà di questa fase. Shangri-La sarà un momento infernale per i giocatori, che si ritroveranno dall’essere soldati armati fino ai denti a uomini seminudi con un arco ben intagliato, ma lento e inefficace, alle prese con uomini e/o demoni. Casomai non fosse chiaro, questo mondo parallelo presente in Far Cry 4 si differenzia in maniera molto evidente dal resto del gioco, e crediamo che saprà arricchire e rendere ancora più interessante questo viaggio tra le montagne più alte del mondo.

Alien Isolation

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Creative Assembly

  • Data uscita:7 ottobre 2014

     

    Sono passati otto mesi da quel nostro primo incontro con Alien: Isolation. E, fino ad oggi, lo abbiamo descritto come un gioco spaventoso. D’altro canto la paura è un’istinto primordiale, che tutti gli animali possiedono e che consente di sfuggire ai predatori. In Alien: Isolation, dove noi siamo la preda, è lecito - se non addirittura fondamentale - provare paura. Vi è però da considerare che la paura non può durare in eterno: prima o poi si vincono i propri timori, si affronta la realtà e si cerca di andare avanti. Non a caso Esopo, nella sua infinita saggezza, diceva che l’abitudine rende sopportabili anche le cose spaventose. Così, dopo essere stati sballottati e sconvolti dalle nostre fugaci prove al cospetto di Alien: Isolation, abbiamo avuto l’opportunità di metabolizzarlo con calma, seduti nella comodità del nostro divano, giocando ad una lunga demo piuttosto stabile e curata. E, dopo qualche decina di morti e qualche santo tirato giù dal calendario, abbiamo potuto analizzare con più calma questo prodotto per capire se sia effettivamente valido anche al di fuori delle brevi ma intense sezioni di gioco presentateci nel corso del 2014.
    A bordo della base Sevastopol, Amanda Ripley sta investigando sulla scomparsa di sua madre. La grande base commerciale, però, cela al suo interno l’essere più terrificante e letale dell’universo, uno xenomorfo, che inizia a sterminare tutti gli abitanti della stazione orbitante. Così, la missione della nostra Amanda degenera ben presto in una corsa alla sopravvivenza, sotto la costante minaccia dell’alieno e con a disposizione soltanto le proprie gambe e il proprio cervello
    Sevastopol, però, non è una base deserta: sulla stazione sopravvive ancora un certo numero di abitanti, molti di essi determinati - come noi - a sopravvivere e ad aiutare il prossimo. Ma, al contempo, nei momenti di disperazione qualcuno potrebbe non reggere alla tensione e lasciarsi prendere dal panico, causando ricadute su tutto l’equipaggio superstite. Insomma: vi è tensione anche nelle relazioni umane della Sevastopol, e non è chiaro se, in che modo e per quanto le persone che incontriamo saranno disposte ad aiutarci per fuggire da questo inferno. E, naturalmente, non è detto che tutti i presenti siano amichevoli.
    Mentre si esplora la base si ha la possibilità di accedere a registrazioni e archivi computerizzati che, tassello dopo tassello, ricostruiscono la storia della Sevastopol e quello che è accaduto dal momento dell’invasione aliena. Lo scenario è drammatico, e la maggior parte delle testimonianze che raccogliamo provengono dalle memorie di persone sterminate dall’alieno. I messaggi trasudano di paura e dubbio, a tratti di rassegnazione, e in generale gli sceneggiatori sembrano avere realizzato qualcosa di buono, per quanto non troppo distante dagli stilemi di molti altri survival horror. Nella demo, in altre parole, non riusciamo a riconoscere lo stile presente nei film della trilogia, ma riconosciamo una certa capacità di mantenere alta l’attenzione nei confronti della storia. In un gioco che fa leva principalmente sulla tensione indotta dalle meccaniche stealth, non è cosa da poco.
    A differenza delle altre demo provate in passato, questa nuova versione di anteprima ci scaraventa nell’azione con un inventario piuttosto ricco, selezionabile da una comoda ruota attivata con un pulsante. Se le armi a nostra disposizione hanno una certa efficacia contro i residenti ostili della Sevastopol, esse sono totalmente inutili contro l’alieno: scaricargli un intero caricatore di pistola lo farà incazzare ancora di più, anziché farlo fuggire. Inoltre, l'uso delle armi contro umani e androidi potrebbe attirare l'attenzione dell'alieno, trasformando un banale conflitto a fuoco in una vera e propria carneficina, con un solo vincitore alieno. Come annunciato dagli sviluppatori, tuttavia, le armi avranno comunque un ruolo importante nel gioco, in quanto si renderanno necessarie per superare alcuni passaggi. In altre parole, l’alieno si può sconfiggere con le armi, ma in maniera indiretta: una pistola, ad esempio, può essere utilizzata per creare un diversivo o per aprirsi una nuova via. Il piede di porco si può utilizzare per deviare la corrente e attivare porte e interruttori, mentre i bengala possono servire sia per illuminare la via quando ci troviamo a corto di batterie, sia per distrarre lo xenomorfo. Insomma: Alien: Isolation è un gioco in cui la nostra astuzia deve battere quella dell’alieno, ed è dunque necessario saper valutare l’ambiente in un tempo rapido e con prontezza di riflessi, il tutto mantenendo la calma in una situazione sempre al confine con il panico. Ciò non toglie che gli strumenti saranno fondamentali per il prosieguo dell’odissea, tant’è che nel gioco è previsto un sistema di miglioramento e creazione degli oggetti attivabile tramite la raccolta di progetti sparsi nelle mappe.
    Lo strumento vitale per sopravvivere in Alien: Isolation è il rilevatore di movimento USCM, che ci indica la posizione approssimativa dell’alieno e la sua direzione di provenienza. Leggere il sensore richiede appena uno sguardo, e si è dunque spinti ad estrarlo in continuazione per capire se l’alieno si trova in un raggio potenzialmente letale. Con un uso sapiente del sensore e tanta cautela, si può esplorare la base e scoprire i numerosi segreti che essa nasconde. Soltanto nella prima area della demo abbiamo scoperto una grossa quantità di stanze totalmente opzionali, le quali spesso racchiudono mappe, oggetti consumabili e qualche pezzo extra di trama. L’esplorazione, in altre parole, sarà ripagata. Ma, con ogni probabilità, ci costerà parecchi tentativi, in quanto la distanza temporale tra una situazione apparentemente tranquilla e un game over è spaventosamente breve.
    Vi sono poi delle situazioni in cui il contatto con l’alieno è inevitabile. In queste situazioni, le soluzioni sono due: fuggire o nascondersi. La prima strada è la più complessa: l’alieno è almeno cinque volte più veloce di noi e, a meno di non avere un portello a chiusura ermetica nelle estreme vicinanze, correre equivale a suicidarsi. Scegliere un buon nascondiglio, invece, può rivelarsi provvidenziale. Talvolta è sufficiente rannicchiarsi in una zona buia della stanza e pregare che l’alieno non ci veda, in altri casi è possibile infilarsi sotto un tavolo o chiudersi in un armadio. Non è raro che lo xenomorfo individui comunque il nostro nascondiglio e ci uccida, mentre in alcuni casi siamo chiamati a trattenere il respiro nella speranza che il mostro non fiuti l’odore del nostro fiato.
    L’IA di Alien: Isolation ci ha lasciato un’ottima impressione: l’alieno si comporta in maniera imprevedibile, ma sembra apprendere dalle nostre azioni. Tende a indagare nei posti dove ci nascondiamo più spesso, e quando rimaniamo troppo statici in un posto inizia a pattugliarlo in maniera quasi ossessiva, lasciandoci strettissimi margini di azione e pochissimo respiro.
    Al contempo, però, alcune apparizioni dello xenomorfo sono totalmente scriptate, e in almeno un paio di casi siamo morti al primo tentativo perché non ci aspettavamo l’arrivo della bestia spaziale. In quei casi abbiamo visibilmente inveito contro il televisore, poiché abbiamo vanificato almeno 15 minuti di gameplay trascorsi a tagliare la tensione con un coltello. 
    Molta della frustrazione incontrata in questa prova di Alien: Isolation, infatti, deriva da una scelta di The Creative Assembly che certamente farà discutere: l’assenza di checkpoint di salvataggio. Come negli horror vecchio stampo, i salvataggi si effettuano in particolari “terminali telefonici” dedicati a tale scopo. Una scelta che potrebbe piacere a molti puristi del genere survival horror ma che, con la minaccia costante dell’alieno, potrebbe infastidire, specie se consideriamo che durante l’operazione di salvataggio si è comunque vulnerabili e che l’ubicazione dei save point è totalmente sconosciuta al giocatore, a patto di non trovare le mappe della Sevastopol. 
    Come abbiamo scritto in apertura, c’è il rischio che tutta questa paura si tramuti in routine e che dunque, dopo alcune ore di gioco, porti all’assuefazione del giocatore e alla sua insensibilità. Naturalmente è presto per poter dare dei giudizi in merito a questo aspetto, ma possiamo affermare che dopo quattro ore in compagnia di Alien: Isolation, l’alieno non fa più la stessa paura che si prova al primo incontro. In alcuni frangenti, infatti, la paura di incontrare l’alieno coincide con la paura di dover rifare da capo una lunga sezione di gioco, magari dopo essersi mossi a tentoni per mezz’ora. Ciò è dovuto al fatto che il gioco è tremendamente difficile e punitivo, capace di far pagare caro al giocatore qualsiasi minimo errore.
    Ciononostante, il gioco ha la straordinaria capacità di creare una tensione costante per tutta l’esperienza o quasi: quando l’alieno è presente, infatti, ogni singolo passo dello xenomorfo sulle lamiere della Sevastopol fa salire un brivido lungo la nostra schiena, e quando si ode il suo verso di attacco si sa con qualche secondo di anticipo che per noi, ormai, è finita.
    Eppure, Alien: Isolation è sorprendente: i momenti di relativa tranquillità sono estremamente rarefatti, e la tensione si mantiene costante. Quando crediamo di essere al sicuro, la morte è dietro l’angolo: il gioco richiede una concentrazione davvero elevata, e crediamo che buona parte del suo fascino sia dovuto proprio alla capacità di saper provare - mentalmente e fisicamente - i giocatori.
    Il reparto grafico di Alien: Isolation promette bene. Non ci troviamo di fronte a un gioco stellare per numero di poligoni e varietà nelle texture: gli ambienti un po’ asettici e grigi della Sevastopol non aiutano a creare una straordinaria varietà, ma gli sviluppatori hanno compensato in maniera egregia con una fantastica cura nei dettagli, un level design non lineare ed estremamente propenso all’esplorazione, il tutto mantenendo una certa fedeltà artistica all’opera di Ridley Scott. Ritroviamo i fascinosi computer con monitor monocolore e le registrazioni video analogiche, ma non è finita: l’intero titolo è avvolto da una patina che ricorda quella delle pellicole cinematografiche dell’era pre-digitale. Da questo punto di vista, The Creative Assembly sembra avere fatto centro.
    Il sonoro, come già detto nelle precedenti anteprime del gioco, è incredibile. Sia che usiate le cuffie, che un buon impianto, i passi dello xenomorfo vi faranno accapponare la pelle, e la musica incalzerà di continuo le vostre azioni più rischiose. Sorprendentemente, questa build ci ha dato un assaggio della localizzazione italiana, caratterizzata da un doppiaggio di livello molto buono, per una volta accompagnato anche da un eccellente lavoro di mixage. Se il risultato finale - come crediamo - sarà uguale a quanto visto in questa versione preview, potremo ritenerci più che soddisfatti.

Fifa 15

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:EA Sports

  • Data uscita:25 settembre 2014

     

    Fifa ha costruito gran parte del suo successo grazie al grande numero di modalitá, partendo dalla Carriera fino ad arrivare al Pro Club e ad Ultimate Team, diventato nel corso degli anni quasi un gioco a parte. In occasione della presentazione dell'accordo tra EA e Lega Calcio abbiamo potuto provare con mano il gioco e scoprire le novità per questa edizione.
    Una delle principali critiche delle passate edizioni era rivolta all'intelligenza dei portieri, spesso autori di papere spettacolari e di uscite a vuoto. Dopo essersi quindi concentrati sui giocatori di movimento in Fifa 14, gli sviluppatori hanno deciso di migliorare anche i portieri dotandoli di una loro IA. Finalmente il nostro estremo difensore sarà in grado di leggere le diverse situazioni di gioco, aspettando una palla in area di rigore per fermarla con le mani piuttosto di spazzarla a caso pur essendo libero dalla pressione degli avversari. In caso di deviazioni sui tiri poi, a differenza delle edizioni precedenti, il nostro portiere potrà cambiare direzione in tempo reale, provando ad effettuare una parata in controtempo. Tranquilli però, non pensiate di vedere portieri imbattibili in grado di parare ogni vostro tiro; gli attaccanti avranno a disposizione nuovi modi per segnare come far passare la palla sotto le gambe del portiere, particolarmente utile negli 1 vs 1. Purtroppo non abbiamo potuto provare questi miglioramenti visto che non erano ancora stati implementati nella build a disposizione. 
    Piatto forte dell'evento erano però le varie modalità di gioco, con piccole e grandi novità già anticipate da EA nel corso delle ultime settimane. Svecchiata la modalità carriera, con una sezione ricerca completamente nuova e che si ispira a quella già vista in Ultimate Team. Miglioramenti anche per il potenziale dei giocatori, che ora non salgono più velocemente nel corso di una sola stagione ma avranno bisogno di più tempo prima di diventare dei potenziali campioni. EA ha promesso anche un lavoro sulla presentazione delle partite e sulla storyline della stagione, che saranno da rivedere quando avremo a disposizione la versione Italiana del gioco. L'aggiunta più gradita è sicuramente il rinnovo della sezione di gestione della squadra. Sarà possibile salvare fino a sei formazioni differenti a seconda dell'avversario da affrontare: potrete così cambiare velocemente i vostri uomini in campo a seconda che affrontiate una partita di Coppa o una di Campionato, senza dover perdere lunghi minuti per fare ogni volta tutte le modifiche prima di scendere in campo. Ogni giocatore potrà poi ricevere particolari ordini offensivi e difensivi che modificheranno in maniera sensibile il loro comportamento in campo.
    Per quanto riguarda le licenze, da segnalare il ritorno, dopo lo scandalo scommesse, del campionato Turco con le sue 18 squadre, un modo per pareggiare la perdita del campionato Brasiliano. Da segnalare la partnership con la Barclays Premier League, ora riprodotta fedelmente con tutti e venti gli stadi delle squadre protagoniste e con la grafica ufficiale di presentazione delle partite proprio come nella realtà. Oltre 200 i volti dei giocatori del massimo campionato inglese inseriti nel gioco e, per quanto riguarda la nostra Serie A, segnaliamo la presenza di Palacio, Higuain, Pogba e Pirlo con i volti fedeli dopo le numerose lamentele delle passate edizioni.
    Passando alla modalità Pro Club non possiamo non segnalare una nuova feature, condivisa con le classiche stagioni online, che permetterà agli utenti, una volta finita una partita, di far ripartire subito la ricerca per il prossimo avversario senza dover sistemare nuovamente la formazione. Un modo per evitare il più possibile i frequenti tempi morti. Sarà inoltre più facile cercare giocatori per il proprio club o cercare una formazione a cui unirsi grazie ad un nuovo sistema di ricerca. Il nostro calciatore virtuale avrà inoltre molte nuove opzioni di personalizzazione, dagli scarpini alle esultanze.
    Abbiamo potuto scoprire anche le prime novità di Ultimate Team, chiamato al riscatto dopo un’edizione francamente deludente, ricca di problemi ai server che hanno allontano in fretta molti giocatori dalla modalità.
    Poche le novità introdotte e la principale è sicuramente la possibilità di provare alcuni giocatori in prestito riscattandoli dal menù EAFC, ora richiamabile velocemente da tutte le modalità di gioco. Una volta riscattato un giocatore avremo a disposizione solo un certo numero di partite e, una volta scaduto il contratto, il calciatore scomparirà automaticamente dal nostro club.  Nel corso dell'anno i vari giocatori verranno aggiornati, in modo da poter provare giocatori sempre diversi. Sin dall'inizio del gioco potremo riscattare i giocatori del catalogo, dando un vantaggio agli utenti con un livello elevato che potranno contare su top player fin dalle prime partite. Altra novità meno interessante sono le "concept squad", grazie alle quali potremo studiare l'effetto sull'intesa della nostra squadra in seguito all'inserimento di nuovi giocatori. Potremo anche condividere le nostre rose create con gli amici che potranno, a loro volta, rimandarcele con le loro modifiche. Una feature che è già adesso usata da moltissimi utenti di FUT attraverso appositi siti che permettono di fare la stessa cosa. Sarebbe stato interessante dare la possibilità di provare quei giocatori prima di acquistarli, magari contro squadre controllate dalla CPU. Aggiunta anche l’opzione di disputare le stagioni contro gli amici come già avviene fuori da Ultimate Team. Chiudiamo con le leggende, anche per Fifa 15 in esclusiva per le versioni Microsoft. Saranno presenti 15 nuove leggende con giocatori del calibro di Franco Baresi, Franz Beckenbauer e altri ancora, aggiunte che portano una buona varietà agli utenti più facoltosi. 
    Chiudiamo con le versioni old gen, anche questa volta non mostrate. Gli sviluppatori hanno promesso miglioramenti anche per queste versioni ma le poche informazioni rilasciate fino ad ora non fanno presagire nulla di buono.

Astebreed


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Edelweiss

     

    Quando un titolo risulta nettamente più complicato o difficile della media, si usa definirlo “di nicchia”. È un collegamento naturale: d’altronde si tratta di videogiochi che non vengono sviluppati per tutti, ma solitamente per una piccola massa di utenti già esperta in uno specifico genere, o in grado di apprezzare dettagli che al giocatore meno esperto sfuggono o non importano minimamente. 
    Ecco, tra i giochi di nicchia, i Danmaku sono probabilmente da infilare in un incavo ancor più profondo e oscuro, che pochissimi hanno il coraggio di esplorare. Noti dalle nostre parti come Bullet Hell, questi titoli sono sparatutto a scorrimento vecchio stile, resi unici da un livello di difficoltà spesso folle. Parliamo di videogame ove ogni schermata è letteralmente ricoperta di laser e proiettili, e per avanzare è obbligatorio memorizzare alla perfezione i pattern, capendo dove e come muovere la propria navicella. Nel 90% dei casi tanta bontà è accompagnata anche da una resistenza del proprio alter ego pari a zero, che non permette di fare alcun errore. 
    Roba da invasati, direte voi, fatto sta che tali prodotti hanno il loro fascino, e vantano un’armonia matematica che dona soddisfazioni inarrivabili a chi ha la costanza necessaria a dominarli. Gli Edelweiss, sviluppatori indipendenti nipponici con già qualche titolo all’attivo, sono indubbiamente appassionati del genere e hanno deciso di prendere ispirazione da molte delle sue caratteristiche per creare uno shoot ‘em up di nome Astebreed. Il risultato? Un lavoro che fonde la velocità dell’azione dei Danmaku al gameplay variegato degli sparatutto nipponici da sala giochi vecchio stile. Noi l’abbiamo provato, e oggi vi diremo se i proiettili di Edelweiss hanno fatto tutti centro.
    La trama in Astebreed ha un’importanza secondaria. Gli sviluppatori hanno pure provato a mettere in piedi qualcosa di relativamente elaborato, ma hanno proprio sbagliato tipologia di gioco: Astebreed, in quanto shoot ‘em up, ha una durata abbastanza ridicola, e la sua campagna si conclude nel giro di un’ora o poco più. Questo rende praticamente impossibile esplorare a fondo il carattere dei protagonisti o affezionarsi a loro, e il fatto che la storia sia al livello di un manga shonen di bassissima lega non aiuta di certo. Fortunatamente qua è solo il gameplay a contare, e da questo punto di vista Astebreed non delude minimamente.
    Vi ricordate Einhander? Se la risposta è no, non preoccupatevi, è un gioco vecchiotto. Astebreed però deve molto a quel titolo, perché come lui fonde cambi improvvisi di inquadratura e la possibilità di attaccare sia dalla distanza che in corpo a corpo. Il sistema di Astebreed comunque non è una scopiazzatura, risulta piuttosto unico e permette al giocatore di eseguire numerose manovre complesse, legate a due tipologie di sparo e a combinazioni con la spada.
    A bordo di un poderoso robottone potrete sparare in linea retta o a cono, e tenere schiacciato il grilletto del fuoco per targettare automaticamente i nemici nelle vicinanze. Fatelo con lo sparo allargato e il lock-on sarà circolare, mentre con il fuoco diretto l’area del targeting diminuirà e dovrà essere direzionata, ma la velocità con cui i proiettili diverranno a ricerca crescerà sensibilmente. Considerando il numero dei nemici a schermo, questa funzione verrà usata molto più spesso del fuoco normale, che peraltro si depotenzia mentre i colpi energetici danneggiano i nemici targettati. Qui subentra la spada, importantissima sia a causa dei danni elevati che riesce a infliggere agli avversari che per la capacità di distruggere i proiettili. 
    Ben presto vi ritroverete dunque a usare una combinazione di spada e attacchi a ricerca, navigando tra un mare di colpi energetici e laser. Non fatevi però ingannare dalla velocità estrema dell’azione e dal numero smodato di cose da evitare: come detto in precedenza, Astebreed prende solo qualche elemento dai Bullet Hell, e risulta molto più accessibile. Riesce a farlo in primo luogo grazie alla presenza sul robot di uno scudo rigenerante, che permette al giocatore di subire parecchi colpi prima di soccombere. La capacità di teletrasportarsi per brevi tratti inoltre facilita la schivata di laser di grosse dimensioni, e assicura di levarsi rapidamente dalle zone calde. Infine, dai Danmaku prende direttamente l’area vulnerabile, molto più piccola rispetto al modello del robot e pertanto indicata per muoversi con grazia tra i pericoli. 
    Con questo ad ogni modo non vogliamo dire che il gioco sia eccessivamente facile. In normal la campagna è fattibilissima, ma spesso e volentieri durante le tante boss fight verrete bersagliati da proiettili rossi che non possono venir distrutti, o troverete ammassi di nemici da eliminare rapidamente prima di finire circondati. Per gli amanti delle sfide, poi, c’è la difficoltà hard, ove lo scudo non si rigenera, i proiettili aumentano, e diventa ancora un obbligo memorizzare come e dove spostarsi. 
    Insomma, nel caso il gioco dovesse prendervi, vi renderete subito conto di quanto brillanti siano stati gli Edelweiss a livello di game design. Un principiante può godersi senza problemi l’azione adrenalinica di Astebreed in normal o easy, e migliorare con il tempo, mentre un giocatore esperto si dedicherà anima e corpo alle leaderboards, tentando di ottenere punteggi impossibili e di completare il gioco alla massima difficoltà senza subire danni. Una formula furba che permette di divertirsi anche a coloro che non mangiano pane e laser a colazione, e non fa pesare più di tanto la durata scarsa della campagna (peculiarità dell’intero genere).
    Astebreed non è però perfetto. Qualche debolezza c’è nel gameplay, dove l’uso della spada è fin troppo preponderante e lo sparo normale risulta fondamentale solo per la sua funzione di targeting. La possibilità di usare a raffica la mossa speciale respingendo proiettili con la lama, peraltro, facilita eccessivamente certe fasi, poiché l’uso base di questa abilità dona al mech qualche istante di invulnerabilità. C’è anche un picco finale nel livello di sfida, con un boss estremamente più impegnativo rispetto al resto dell’avventura, ma si tratta di una svista accettabile.
    Tecnicamente, invece, poco di cui lamentarsi. Il gioco è graficamente semplice, ma ricco di stile ed effetti speciali. Un plauso va fatto anche alla regia, con cambi di visuale che spesso rendono ancor più spettacolari momenti già di per sé over the top. Peccato che la struttura della produzione non supporti in alcun modo la cooperativa. Avremmo apprezzato qualche modalità extra con telecamera fissa e un amico appresso. Sarà per la prossima volta. 

Pineview Drive

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:VIS

     

    Sin dalla prima schermata, gli sviluppatori di Pineview Drive avvertono che le persone con problemi cardiaci e le donne incinte dovrebbero fare a meno di usufruire del gioco. La frase successiva, “fatelo a vostro rischio”, sembra far presagire momenti di puro terrore e uno stato d’ansia che si protrarrà per tutto l’arco dell’avventura. In parte, bisogna ammetterlo, è così, ma solo prima di capire esattamente fino a dove può osare il titolo dei tedeschi Visual Imagination Software. 
    Pineview Drive comincia col protagonista fermo davanti a un enorme e sinistro cancello che dà su un ampio giardino circolare. Una volta spalancate le sue ante, viene spiegato che l’enorme magione che vi sta di fronte è stato il luogo di soggiorno del vostro alter ego e di sua moglie, scomparsa in circostanze misteriose proprio durante la villeggiatura. Tornerete a Pineview Drive vent’anni dopo, con la speranza di trovare un indizio o forse una traccia che possa ricondurre alla causa di quella dolorosa perdita, e con la consapevolezza che avrete solo trenta giorni a disposizione per svelare il mistero. Il posto è di quelli che tolgono il fiato, e non per la sua rara bellezza: antiche statue che sembrano poggiare il loro gelido sguardo sulla vostra schiena, scricchiolii e rumori inspiegabili, fruscii molesti tra le aiuole, un’altalena sgangherata che oscilla anche senza un alito di vento, un vecchio faro oltre una scogliera sorvegliata uno spaventapasseri, e una villa tardo ottocentesca piena di porte, scale e poltergeist.
    L’orrore di Pineview Drive viene costruito con attenzione e si presenta per gradi, in un crescendo di intensità che trova la sua massima espressione nelle prime giornate di esplorazione. Sebbene la magione riesca a mantenersi spettrale fino alla fine, con colpi da maestro che fanno letteralmente gelare il sangue nelle vene, ci sono dei clamorosi cali che dipendono essenzialmente da due fattori: poca creatività nel variare le situazioni all’interno di un’ambientazione che rimane sempre la stessa, e l’insopportabile backtracking che vi fa girare a vuoto per tempi piuttosto lunghi. Quest’ultima caratteristica, soprattutto quando non accompagnata da eventi che smorzano quella che è un’evidente forzatura, si palesa come un riempitivo incapace di aggiungere qualcosa di concreto all’esperienza di gioco. Fondamentalmente, in Pineview Drive ogni giornata è suddivisa in due tronconi: la parte in cui si deve cercare una chiave, e la fase successiva che vi obbliga a provare tutte le porte della magione fin quando non trovate quella che si apre. Il ritrovamento delle chiavi, giorno dopo giorno, è strettamente legato a uno scarejump o a un evento improvviso che non potete prevedere in alcun modo. E quando in preda alla disperazione non sapete più cosa fare, arriva perentoriamente una frase recitata dal protagonista, pronta a guidarvi verso il punto in cui dirigervi per far progredire così l’avventura.
    In Pineview Drive non c’è nessun mostro, nessun nemico, nessuno che sia veramente in grado di uccidervi. Solo la vostra paura può farlo, e giusto verso la fine, quando si accumuleranno una serie di “spaventi” in successione capaci di far diminuire la barra della salute del protagonista. Sinceramente, non accade quasi mai (nella mia prova è capitato solo due volte), ma l’idea che l’orrore vada subìto, anziché essere contrastato in qualche modo, dà innegabilmente fastidio. Non dovrete scappare da nessuna parte, non dovrete nascondervi e non dovrete fare le cose di fretta: Pineview Drive è un horror dove le presenze spiritiche si manifestano e fanno sentire il giocatore al centro di una congiura, lo denudano e lo umiliano, riducendolo a una nullità. Le manifestazioni paranormali, sebbene risultino essere abbastanza efficaci nella maggior parte dei casi, dopo un terzo del gioco cominceranno a perdere di mordente, per il semplice fatto che alcuni schemi vengono reiterati con un po' troppa pigrizia. Ecco dunque che aprirete le porte con più spavalderia e che girerete gli angoli con la consapevolezza che in fondo, oltre a qualche ombra grottesca, non può esserci nient’altro. Sembra quasi di andare al luna park ed entrare nella casa degli orrori: sai bene che si verificherà una serie di situazioni sempre peggiori, ma a posteriori ti rendi immediatamente conto della loro artificiosità e innaturalezza. In trenta giorni, l’orrore messo in scena risulta essere fortemente diluito, e nonostante l’impianto di base sia assolutamente buono, ciò che è stato costruito sopra è per certi versi uno spreco di materiale. Il buon comparto tecnico e la perfetta gestione delle luci, assieme a una direzione artistica con pochi sbandamenti, riescono a calare l’utente dentro quella che a tratti pare la trasposizione videoludica de L’incubo di Hill House, che Shirley Jackson scrisse a metà del novecento. Considerando che il romanzo della scrittrice americana sia riconosciuto come una delle più significative opere legate alla credenza dei fantasmi, è un vero peccato che l'atmosfera di Pineview Drive, al confronto, sia così rarefatta. Il senso del ritmo non andrebbe mai sottovalutato.