Ethero

lunedì 26 settembre 2016

Nier Automata


  • Piattaforme:PC, PS4

  • Sviluppatore:Platinum Games

  • Data uscita:23 febbraio 2017 Giappone

     

     

     

    Il prossimo 23 febbraio i videogiocatori nipponici avranno l’opportunità di mettere finalmente le proprie mani sulla versione completa di NieR: Automata (mentre la data d’uscita, per noi europei, risulta ancora da definire). In questi mesi lo abbiamo osservato molto bene, semplicemente perché, a nostro avviso, si tratta di uno dei titoli maggiormente promettenti in uscita nel 2017; dopo aver già analizzato parzialmente qualche elemento con una prima anteprima risalente allo scorso giugno, siamo nuovamente pronti a parlarvi del titolo Platinum Games, grazie anche al materiale inedito mostrato durante il TGS.

    Con il rilascio del nuovo materiale è stato possibile volgere nuovamente lo sguardo verso il campo di resistenza, che si definisce come un HUB generale e darà la possibilità al giocatore di comprare oggetti, potenziamenti e ottenere missioni secondarie. Sono state presentate anche nuove fasi di gameplay, che non hanno fatto altro che sottolineare – come se ce ne fosse stato bisogno – quanto sia stato preso seriamente il compito, da parte di Platinum Games, di rendere il battle system profondo ed appagante. Ogni nuovo elemento sembra al posto giusto ed integrato perfettamente, andando così a trasformare eventuali dubbi in reali certezze: il mix proposto, di velocità e dose di skill richiesta, risulta assolutamente convincente. Sia chiaro, non ci aspettiamo un quantitativo di techiche offensive simil-Bayonetta perché dubitiamo NieR: Automata voglia andarsi a definire come l’apoteosi definitiva degli action games; piuttosto siamo certi del fatto che si tratti di un prodotto dotato di un gameplay costruito su solidissime basi, che darà diverse soddisfazioni pad alla mano. NieR, per come vuole essere inteso a 360° non è soltanto puro gameplay e a riprova di ciò, seppur si tratti di una scelta davvero “particolare”, non ci ha stupiti più di tanto l’annuncio della presenza di opzioni di combattimento, che prevedono il passaggio, parziale o totale, del controllo del proprio personaggio durante lo scontro, all’intelligenza artificiale. Si tratta ovviamente di un’opzione che sarà possibile ignorare del tutto, ma lì dove un giocatore non si sentisse particolarmente agile in una specifica zona, oppure volesse esclusivamente godersi la trama ecco che si potrà attivare tale modalità automatica: a detta di Platinum Games, questa scelta, è da ricondurre alla volontà di non voler fare fuori nessun tipo di pubblico per Nier: Automata.  Ricordiamo inoltre che Square-Enix – che già mesi fa aveva preso in considerazione la possibilità di una versione di prova da trenta-quaranta minuti – ha finalmente confermato l’arrivo di una demo entro la fine dell’anno: sinceramente non vediamo l’ora di metterci le mani sopra, per avere conferme dirette, seppur in modo parziale, della bontà del lavoro svolto sul sistema di combattimento.
    Dall’ultimo trailer rilasciato è stato possibile assistere alla presentazione di alcuni personaggi presenti nel gioco, notandone alcuni inediti ed altri già presenti nel primo episodio. Nonostante ci fosse stata la parziale conferma di un suo ritorno, siamo certi che i fan del primo capitolo abbiano fatto un balzo sulla sedia non di poco conto nel visionare il ritorno di Emil, personaggio (con alcuni problemi di memoria) preso direttamente dal primo capitolo, in cui accompagnava il caro Nier durante il suo viaggio. Piacevoli inoltre anche le presenze di Devola & Popola, due androidi dai capelli rosa, anch’esse provenienti dal primo NieR; da sottolineare in questo caso la presentazione di un design molto più convincenti adesso rispetto al passato. Non vediamo l’ora di vedere come verranno gestiti tali personaggi, perché pur tenendo bene in mente le parole di Yoko Taro, secondo cui il “gioco sarà assolutamente godibile anche per tutti coloro che non hanno giocato il primo episodio”, siamo comunque certi che avremo qualche chicca e qualche riferimento specifico agli avvenimenti passati. Sul fronte nuovi arrivi invece, oltre il comandante del Bunker – da cui arriveranno gli ordini per i nostri YoRHa –  sono stati presentati i gemelli Adam ed Eve, e Pascal, personaggio che ci stuzzica per via del suo strano interesse per il genere umano. Considerando chi si sta occupando del plot, ci aspettiamo davvero tanto, sperando in una gestione generale della narrazione, che possa essere di un certo livello. Ricordiamo inoltre che, in tal senso, è stato confermato il sistema di finali multipli: tutto dipenderà da come il giocatore deciderà di gestire la propria partita, andando quindi a completare determinate side-quests oppure portando a termine soltanto le missioni principali.

Cossacks 3

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:GSC Game World

  • Data uscita:20 settembre 2016

     

     

    La storia di GSC Game World è piuttosto turbolenta: fondata nel 1995 da  Hryhorovych Serhiy, la software house ucraina è stata per dieci anni circa - dal 2000 al 2010 - il faro dell'industria videoludica dell'est Europa, soprattutto grazie alle serie Cossacks e S.T.A.L.K.E.R. Finito il periodo d'oro, sono iniziate le difficoltà economiche, le quali hanno prima portato alla cancellazione di S.T.A.L.K.E.R 2 e poi allo scioglimento di GSC Game World stessa nel 2011. In puro stile sovietico, dalla caduta della software house sono nati vari team di sviluppo indipendenti, nonché strani casi di appropriazioni indebite: memorabile il caso di West-Games che, millantando di essere composta da ex dipendenti di GSC Game World, raccolse circa 65 mila dollari grazie ad una campagna Kickstarter per il suo Areal, prima che il progetto venisse cancellato e che la software house venisse accusata di frode per non avere assunto nessun membro del team di sviluppo ucraino. La rinascita di GSC Game World avvenuta nel 2014 ha quindi lasciato tutti spiazzati, così come ancor più inaspettato è stato l'annuncio e l'arrivo di Cossacks 3 dopo anni di totale silenzio sulla serie strategica: a distanza di oltre quindici anni dalla sua nascita, eccoci dunque a parlare del sequel  - o meglio remake - del titolo che fece le fortune di GSC Game World.
    Per chi non conoscesse la serie, Cossacks è uno strategico in tempo reale nell'accezione più classica del termine, basato sulla raccolta delle risorse, sulla costruzione degli edifici e sull'aruolamento delle truppe: se siete cresciuti destreggiandovi con Age of Empires o con la serie Empire Earth, non avrete nessuna difficoltà a gestire le meccaniche di gioco, e se avete apprezzato i titoli poco sopra citati, è ben difficile che le meccaniche di Cossacks 3 non siano di vostro gradimento. GSC Game World conferma inoltre con il suo ultimo prodotto l'occhio di riguardo per la ricostruzione storica: il gioco è ambientato durante il XVII e XVIII secolo in un Europa scossa dalla Guerra dei Trent'anni, dalla Rivoluzione inglese, dalla lotta per il dominio dei mari tra Francia, Spagna e Inghilterra e dalla minaccia ancora viva dell'Impero Ottomano. La portata principale di Cossacks 3 risiede nelle cinque campagne che conducono il giocatore attraverso le principali battaglie che hanno imperversato in tutta Europa durante l'era moderna, passando dagli scontri navali avvenuti nelle acque del Mediterraneo, alla guerra tra il ducato di Polonia-Lituania e il regno di Moscovia, senza dimenticare l'atavica rivalità fra il Sacro Romano Impero e le truppe Ottomane per i territori balcanici ed ungheresi. Completare tutte le singole missioni che compongono ciascuna campagna richiede svariate ore e, se ci si aggiunge la presenza delle mappe casuali e dello strumento di editor che lascia carta bianca al giocatore per creare inediti scenari, è facile intuire come Cossacks 3 sia un gioco in grado di regalare svariate ore di gioco, con una longevità che diventa pressoché infinita grazie al multiplayer. Come se non bastasse, GSC Game World ha assicurato totale supporto alla community dei modder, che saranno liberi di esprimere le loro doti e di inserire nel gioco scenari, unità, fazioni ed edifici creati da 0. I tanti contenuti di Cossacks 3 non sono però adeguatamente supportati da uno standard qualitativo adeguato, soprattutto quando si guarda nel dettaglio molte delle missioni che costituiscono le campagne. Lasciando da parte le considerazioni sull'evoluzione e sugli sviluppi che gli strategici hanno avuto negli ultimi anni grazie alle serie Total WarCompay of Heroes e, in modo differente, grazie a tutte le produzioni Paradox Interactive e che fanno sembrare Cossacks 3 troppo ancorato all'origine del genere, ciò che più lascia spiazzati mentre si maneggia lo strategico made in Ucraina sono alcune scelte di game design abbastanza azzardate, per non dire proprio sbagliate.
    Forse il modo migliore per farvi capire a cosa ci riferiamo è proprio elencare alcuni esempi concreti. Prendiamo in considerazione la prima missione della campagna russa, dove l'obiettivo principale è quello di eliminare ogni singola unità dell'esercito Tataro. Sulla carta nulla di difficile, se non fosse per il fatto che sulla mini-mappa non vi fosse alcun indicatore che segnalasse per lo meno la zona dove erano stanziate le truppe nemiche. Di conseguenza, anche a causa dell'ampia estensione del territorio - che sarebbe anche un punto a favore - il risultato è stato un lungo e lento peregrinare per tutta la mappa, alla ricerca dell'ultimo arciere a cavallo, reso quasi invisibile perché nascosto dietro ad una miniera in fianco ad un bosco. Quasi un'ora persa a vagare nella desolazione più totale. Naturalmente non tutte le missioni sono inficiate da queste problematiche, alcune sono anche molto ispirate, soprattutto quelle dove siamo stati ingaggiati in enormi battaglie campali, ma purtroppo questa spiacevole situazione si è ripetuta spesso e (mal)volentieri in molti scenari. Volete un altro esempio? Guidando l'esercito del Parlamento inglese, avevamo il compito di reclutare nelle varie città delle truppe alleate per contrastare le forze del re: c'erano degli indicatori che segnalassero anche solo vagamente la posizione di questi insediamenti? Ovviamente no. A peggiorare la situazione subentra un uso piuttosto contorto della nebbia di guerra che, al posto di nascondere sul radar solo i territori non ancora esplorati, mantiene all'oscuro ogni singolo punto dove non è presente una nostra unità o edificio, fa niente se si è passati di lì pochi secondi prima. Sommando tutti questi passi falsi, il quadro che ne deriva non è certo dei più rosei ma, come vedremo più avanti, non è ancora finita. Va da sé che molti di questi inconvenienti vengono meno nelle schermaglie e nelle sfide online e dunque, se siete interessati soprattutto a queste due modalità di gioco, tralascerete questi difetti. Passando invece all'analisi delle fazioni, in Cossacks 3 ve ne sono ben dodici e viene quindi garantita una buona varietà sia in termini di edifici, tutti quanti ben caratterizzati e rappresentanti lo "stile" dello stato di riferimento, sia in termini di unità, anche se su quest'ultimo punto forse si poteva fare qualcosa di più sotto il punto di vista estetico.
    Cossacks si è sempre contraddistinto per le sue battaglie su larga scala, dove eserciti di svariate migliaia di cavalieri e fanti si scontrano su fronti molto estesi, e anche questa nuova incarnazione non fa eccezione. Il colpo d'occhio è necessariamente piacevole, la vista di queste lunghe schiere di moschetti che fanno fuoco all'unisono mentre i cannoni sparano enormi palle di ferro da un monte e la cavalleria si lancia in un assalto, trasmette la sensazione di avere davanti a sé un reale campo di guerra. Purtroppo c'è un ma piuttosto importante. A differenza di quanto accade nei Total War, GSC Game World è però rimasta fedele alla sua storia, con ogni singola truppa che viene gestita indipendentemente, anche nel caso in cui si decida di aggregarle per formare una divisione. Viste le notevoli dimensioni degli eserciti schierati, questa scelta appare penalizzante su più fronti. Nonostante vi sia la possibilità di utilizzare svariate tipologie di formazioni - a quadrato, a linea o a ranghi serrati - le battaglie prendono il più delle volte una piega decisamente caotica, con mucchi di picchieri che sciamano letteralmente contro le truppe nemiche, dimenticando qual si voglia impostazione tattica. Questa problematica accomuna un po' tutti gli strategici di questa tipologia, ma in Cossacks 3 il caos viene amplificato ancor di più dalla mole di unità su schermo. In secondo luogo, dovendo gestire ogni singola unità, l'IA fa decisamente fatica a calcolare correttamente il pathing di tutte le truppe, e dunque non è raro trovare una parte dello schieramento rigirarsi su sé stesso nel tentativo di risalire una collina. Infine, sempre rimanendo in tema di intelligenza artificiale, quest'ultima è parsa poco reattiva proprio durante gli scontri: mentre la battaglia imperversava, c'era sempre qualche unità che in tutta tranquillità si lasciava colpire da una raffica senza battere ciglio, per poi stramazzare al suolo. Infine, se da un lato è vero che il gioco permette la creazione di eserciti composti da migliaia di truppe, è anche vero che queste unità devono essere reclutate una alla volta nelle strutture apposite, con un serio rallentamento del ritmo di gioco, già di per sé piuttosto compassato. A rendere ancora più complicata la situazione subentra infine l'assenza di qualsivoglia shortcut da tastiera che possa richiamare una determinata azione. Su questa affermazione manteniamo però ancora qualche riserbo, in quanto nel menù delle opzioni era presente la voce "Key binding" nella versione da noi provata, ma questo tasto non era attivabile ed è stato poi rimosso al momento del lancio. Queste gravi lacune, assieme a delle interfacce non sempre chiarissime - manca ad esempio una vera e propria barra vitale posta sulla testa dei nemici oppure il range dei colpi - vanificano alcune trovate strategiche decisamente interessanti, come i tempi di ricarica differenti per ogni tipologia di unità, i loro punti di forza o di debolezza che le rendono adatte solo ad alcune avversari o, ancora, le possibilità tattiche offerte dalla morfologia del terreno.
    Arrivati a questo punto, non resta che puntare lo sguardo sul lato tecnico. Per il nuovo Cossacks 3, GSC Game World ha abbandonato l'oramai vecchio motore di gioco, optando per una grafica del tutto nuova ed in 3d. Pur non potendo reggere il confronto con le produzioni moderne e più blasonate, il colpo d'occhio restituito dalle lunghe file di moschettieri è sicuramente piacevole, sono presenti anche dei preziosismi come le rifrazioni delle navi sulle acque, anche se va detto che, quando si esegue uno zoom più ravvicinato sulle unità, si scorge un livello di dettaglio che di certo non fa gridare al miracolo e la mancanza di alcune animazioni. Nella versione pre-lancio da noi testata, nel menù delle opzioni era presente la lingua italiana, anche se al momento non era ancora stata completata la localizzazione e quindi abbiamo optato per un più sicuro inglese. Al suo approdo su Steam, la lingua italiana è però sparita dalle opzioni ma, vista la sua precedente presenza, confidiamo che venga reintrodotta a breve. Infine, segnaliamo qualche sporadico bug che, almeno nel nostro caso, non ha compromesso la fruizione del gioco e sui quali GSC Game World è già al lavoro.

domenica 18 settembre 2016

Space Rogue

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Simulazione

     

     

    Il giocatore veste i panni del capitano di una nave spaziale al quale un cliente misterioso chiede di distruggere una nave pirata dietro compenso. Inizia così un viaggio di esplorazione attraverso l’universo. Man mano che si procede, la trama evolve lievemente ma non risulta mai complessa e allo stesso tempo potrebbe sembrare anche poco coinvolgente. Tuttavia va considerato che il focus del gioco non è sicuramente la narrazione, ma sarebbe comunque stato un buon differenziante rispetto all'originale FTL. Parlando di gameplay infatti le differenze non sono tantissime, ma sono sufficienti a intrattenerci per alcune piacevoli ore. Andiamo a vederle più nel dettaglio.
    Il giocatore dovrà viaggiare attraverso l’universo tramite una mappa stellare in cui sono indicati pianeti e asteroidi. La mappa è procedurale e presenta una grande varietà di elementi. Ogni turno sarà composto da uno spostamento e un evento legato ad esso: possiamo incappare in razze aliene che ci sfidano, richieste di aiuto, navi pirata o altri avvenimenti particolari. Ognuna di queste situazioni porrà il giocatore di fronte ad una scelta di dialogo la quale determinerà l’esito dell’evento. Il giocatore potrebbe ottenere dei bonus oppure ricevere danni alla nave, nei casi peggiori invece comincerà un letale scontro all’ultimo sangue. Un grande elemento positivo in questa fase è che non avremo un tempo limite per esplorare ma potremo navigare per la galassia a nostro piacimento. Potremmo addirittura incontrare altre navi controllate dall’IA, le quali avranno un’aura rossa o verde a seconda delle loro intenzioni nei nostri confronti. Oltre a questi eventi potremmo anche approdare su pianeti occupati da mercanti o ingegneri in grado di riparare la nostra nave, la quale sarà molto probabilmente già ridotta ad uno straccio. Se la nave non avrà bisogno di riparazioni e vi avanzeranno un po’ di crediti, potrete investirli in migliorie dell’equipaggiamento militare o nel reclutamento di qualche nuovo membro della ciurma. Un uomo in più a bordo potrebbe fare la differenza in una situazione critica, quindi scegliete con attenzione. A ogni turno entra chiaramente in gioco il fattore difficoltà, tutt’altro che secondario per la nostra avventura. Se ricordiamo FTL, abbiamo ben presente un sistema che non perdona troppo gli errori e ci costringe a valutare bene ogni rischio. Nel caso di Space Rogue il gioco sarà anche meno permissivo alla difficoltà standard, e potrebbe risultare quasi frustrante per i neofiti del genere. Qualche errore di valutazione o una reazione inaspettata dal nostro interlocutore e finiremo facilmente alla deriva. Tuttavia il gioco offre davvero un sistema interessante di personalizzazione della difficoltà, offrendo molti parametri da modificare per ricercare un’esperienza più difficile o più facile, anche solo in alcuni aspetti. Non è un sistema che si vede molto spesso in giro ma forse in questo genere di giochi procedurali è spesso un’ottima soluzione per venire incontro alle esigenze del giocatore.
    Passiamo ora alla seconda fase clue del gioco: i combattimenti. Se la prima fase poteva differenziarsi per trama, situazioni o stile di gioco in generale, questa seconda risulta quasi troppo simile al suo predecessore FTL. La vostra nave sarà messa a confronto con una nave nemica e dovrete organizzare i membri dell’equipaggio e le vostre armi per preparare la vostra offensiva. Esistono principalmente due tipi di personaggi a vostra disposizione: guerrieri e ingegneri. I primi serviranno per scongiurare l’invasione nemica nella propria nave e i secondi saranno essenziali per riparare i colpi subiti. Tuttavia i danni allo scafo della nave saranno riparabili solo nelle apposite stazioni nei pianeti, o in seguito a qualche fortuito evento. Inoltre vi è un’ultima figura: il capitano. Quando il capitano della nave muore per voi è game over, tenetelo al sicuro! La nave avrà a disposizione diverse stanze, dagli scudi agli armamenti, fino al teletrasporto per assaltare le navi nemiche. Ognuna di queste stanze controlla un elemento in particolare e sarà necessario disporre in maniera strategica i membri a disposizione per una gestione ottimale delle risorse. Non sempre è facile governare una nave intera in sole tre persone! Durante il combattimento il giocatore avrà davvero tante cose a cui pensare: attaccare la nave nemica con la strategia di fuoco corretta, difendere la propria nave dagli intrusi, riparare questa o quella stanza, tenere al sicuro il capitano e tentare di sopravvivere fino alla fine dello scontro. Sotto questo punto di vista però, come già detto, ricalca davvero troppo le orme del suo predecessore e quindi non brilla di certo per innovazione. Nonostante tutto il gameplay risulta, forse proprio per quel motivo, dinamico e piacevole.
    Lo stile grafico è pulito e curato: Red Beat ci mostra un 3D isometrico dai colori sgargianti accompagnato da interfacce pulite e ben disegnate. Sotto questo punto di vista il giocatore è in buone mani. Per quanto riguarda il sonoro, la partita è accompagnata da una musica in loop che alla lunga può diventare un po’ alienante, ma niente che un vero hardcore gamer non possa affrontare mettendo una playlist personalizzata, già pronta sul computer.

venerdì 16 settembre 2016

Pes 2017

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore: Konami

  • Data uscita:15 settembre 2016

     

     

     Mancano ormai pochi giorni alla release del nuovo capitolo di PES, ventennale saga calcistica capace di rinascere dalle proprie ceneri grazie al passaggio alle console di nuova generazione, con Konami brava a cancellare anni di buio con una serie di buoni titoli che hanno riportato la serie al centro dell’attenzione. Reduci dal successo ottenuto con PES 2016, gli sviluppatori erano chiamati al compito più difficile: rispondere alle richieste degli appassionati migliorando già un titolo di altissimo livello, considerato da molti il miglior gioco di calcio degli ultimi anni. PES 2017 ha quindi davanti a sé un muro da scalare; sarà stato in grado di farlo?
    Dopo l’esperienza del capitolo precedente, considerato da gran parte degli appassionati come il migliore della saga sotto il punto di vista del gameplay, gli sviluppatori hanno saggiamente deciso di non rivoluzionare la formula per questo PES 2017, lavorando sui difetti emersi nel corso dell’anno passato. La prima differenza che salta subito all’occhio è il controllo della palla, riscritto completamente da zero rispetto allo scorso anno. Così come avviene nella realtà, anche in PES 2017 ogni stop sarà unico, con giocatori più tecnici come Messi e Ronaldo in grado di fermare con precisione il pallone rispetto ai giocatori delle categorie inferiori, spesso in difficoltà nel gioco di prima. Riscrivere il controllo di palla non influenza solo i semplici stop dei giocatori ma va a modificare anche il dribbling, vista la possibilità di eseguire controlli a seguire per evitare il pressing delle difese avversarie. Gli sviluppatori si sono poi concentrati sui passaggi, in particolare su quelli filtranti, vera spina nel fianco nel precedente capitolo, data l’estrema facilità con cui si poteva tagliare in due la difesa avversaria e presentarsi tutti soli davanti al portiere. In PES 2017 effettuare un passaggio perfetto è ora molto più difficile, con i giocatori che devono tenere conto di vari fattori come la vicinanza al difensore, l’impatto sul pallone e la posizione del corpo per effettuare passaggi precisi, rendendo fondamentale schierare a centrocampo un giocatore ad alto tasso tecnico in grado di far girare bene la squadra. 

    Se i filtranti sono stati depotenziati, la stessa cosa non si può dire dei cross, al momento sin troppo efficaci anche impostando la cpu al livello più alto di difficoltà. Basta infatti andare sul fondo e mettere un pallone in mezzo per creare un pericolo per la difesa, con gli attaccanti e i centrocampisti davvero troppo bravi nell’andare ad anticipare gli avversari, riuscendo spesso a colpire di testa verso la porta. Attenzione però: questo non significa che ogni cross è un gol sicuro, per una serie di motivi. Il primo, forse più importante, è il netto passo in avanti compiuto dai portieri, altro punto debole dei precedenti episodi e ora, dopo un grande lavoro da parte degli sviluppatori, in grado finalmente di dare sicurezza a tutto il reparto difensivo. Gli estremi difensori sono ora in grado di coprire bene lo specchio della porta negli 1 contro 1 con gli attaccanti e di eseguire parate spettacolari in caso di conclusioni da fuori area o su punizione. 
    Grande miglioramento anche per le parate in mischia, con i portieri in grado di rialzarsi immediatamente per evitare di lasciare la porta sguarnita, e sulle respinte, diverse a seconda della tipologia di tiro e ora non più sempre centrali. Qualche lieve incertezza permane sui calci d’angolo, con i portieri che rimangono fissi sulla linea di porta, lasciando gli attaccanti liberi di svettare di testa anche dal limite dell’area piccola. A complicare le cose si aggiungono le nuove istruzioni da corner: gli utenti possono scegliere tra quattro diversi movimenti, dal taglio sul primo palo ad un trenino per sorprendere con qualche blocco la difesa, utili per andare a liberare i migliori colpitori di testa della squadra. Non perfetti, dunque, ma il passo in avanti rispetto allo scorso capitolo è innegabile e non vediamo l’ora di scoprire cosa potranno fare gli sviluppatori nel prossimo capitolo.
    Il secondo motivo è la nuova IA adattiva introdotta per la prima volta nella serie con PES 2017, novità che promette di rivoluzionare le partite contro la CPU, rendendole più varie e più “umane”, vista la sua capacità di imparare e contrastare il nostro stile di gioco: scegliamo di andare sempre sul fondo per tutti i 90 minuti per cercare un cross? La CPU inizierà a raddoppiare i nostri terzini per negarci questa possibilità. Amiamo giocare per vie centrali, appoggiandoci al nostro attaccante per far salire la squadra? L’IA ordinerà ai propri centrali di anticipare il nostro giocatore, costringendoci a cambiare stile di gioco. L’IA adattiva non funziona soltanto in fase difensiva ma modifica attivamente la manovra di gioco offensiva della squadra avversaria, che inizierà ad utilizzare passaggi corti e veloci nel caso in cui dovessimo dominare in tutte le palle alte. Il risultato è veramente di buon livello e finalmente riusciamo ad assistere a partite sempre diverse l’una dall’altra, obbligando anche i giocatori più forti a cambiare la propria strategia di gioco a seconda dell’andamento della partita.
    Chiudiamo il capitolo gameplay parlando dell’arbitraggio, aspetto sempre problematico per la serie. In PES 2017 la situazione ci è parsa leggermente migliore rispetto ai capitoli precedenti, con gli arbitri che fischiano più spesso i contrasti più duri e applicano meglio la regola del vantaggio per non fermare occasioni potenzialmente pericolose. Il lavoro da fare è ancora molto però, con alcune partite in cui nessun fallo viene segnalato anche a fronte di interventi molto decisi.

    Uno dei punti di forza della serie di Pro Evolution Soccer è sempre stata la maniacale cura sulla componente tattica, con decine di opzioni su cui è possibile intervenire per modificare l’atteggiamento in campo della nostra squadra. PES 2017 non fa eccezione, introducendo le istruzioni avanzate. Prima di ogni partita potremo infatti selezionare quattro diverse tattiche, due per la fase offensiva e due per la fase difensiva, attivabili liberamente durante la partita con la semplice pressione di un tasto, senza passare dal menù di pausa. Tra le opzioni selezionabili troviamo il Gegenpressing, portato alla ribalta da Klopp e che costringerà i nostri giocatori a cercare di recuperare immediatamente il pallone dopo averlo perso, particolarmente utile dunque per chi ama mettere pressione sugli avversari; oppure il Tiki Taka, con i giocatori che cercano sempre di dettare una linea di passaggio sicura al portatore palla, e i falsi terzini, meccanismo rodato da Pep Guardiola durante la sua esperienza al Bayern, che sfrutta i due laterali per conquistare la superiorità in mezzo al campo, e altri ancora. 
    Utilizzare la giusta tattica a seconda del momento della partita diventa fondamentale per ottenere un vantaggio alle difficoltà più alte, cercando di sorprendere la CPU alternando stili di gioco anche molto diversi tra loro, passando dal pressing al contropiede con la semplice pressione di un tasto. Attenzione però, non fossilizzatevi sulle stesse tattiche contro tutti gli avversari che incontrerete: grazie infatti ai miglioramenti del Team ID, funzionalità che ripropone nel gioco i comportamenti delle squadre reali (come ad esempio il lancio lungo per cercare un esterno dopo il calcio d’inizio, utilizzato dal Napoli), ogni formazione di vertice che incontrerete affronterà le partite in modo diverso, da squadre che cercano il possesso palla come il Barcellona ad altre che puntano molto al contropiede. Per godere però di tutte queste sfumature tattiche consigliamo di giocare a PES 2017 ai livelli di difficoltà più alti: probabilmente, specie i meno esperti, faranno molta fatica anche solo a segnare qualche gol ma, con il passare delle partite, riuscirete a godervi maggiormente il titolo.

    Uno dei problemi storici della serie è sempre stata, inutile negarlo, quello della mancanza delle licenze di molte squadre dei principali campionati europei. Negli anni sono stati spesi fiumi di parole, tra chi giudicava queste mancanze inaccettabili e chi non se ne preoccupava, potendo contare su una community forte e numerosa, pronta a coprire queste mancanze con i celebri file opzioni, spariti con il passaggio alle console di nuova generazione ma ora pronti finalmente a ritornare. Dopo aver potuto provare l’import di immagini nella scorsa edizione, strumento utile ma abbastanza macchinoso e non adatto a tutti, PES 2017 introduce nuovamente la possibilità, solo su PlayStation 4, di importare tramite chiavetta USB tutte le divise e gli stemmi delle squadre non licenziate. La notizia ha fatto molto piacere alla community, e alcuni modder sono già al lavoro per offrire un pacchetto completo a pochi giorni dal lancio. Molto è infatti il lavoro da fare, con Konami che ha deciso di intraprendere la strada delle partnership con i singoli club per aumentare le licenze a propria disposizione. La situazione più difficile è forse quella dei campionati della nostra cara e vecchia Europa: per la Serie A dobbiamo segnalare l’assenza di Sassuolo e Juventus, presenti nel gioco con la rosa reale ma con nomi, colori e stemmi sociali inventati; la Spagna può invece contare sulla sola licenza di Atletico Madrid e Barcellona; la Premier vede invece l’arrivo delle licenze di Arsenal e Liverpool a fronte della perdita di quella del Manchester United. A tal proposito è lecito domandarsi se ha senso mantenere le costose licenze di Champions League ed Europa League, tornei presenti nel gioco e dall’atmosfera unica, con la riproduzione fedele di musiche e grafiche identiche a quelle reali, ma non affrontabili con le reali squadre partecipanti (a molti non farà certo piacere non poter giocare con una squadra leggendaria come il Bayern Monaco). 
    Situazione completamente diversa per il Sud America, ben rappresentato con la presenza del campionato brasiliano, argentino e cileno, tutti e tre completamenti licenziati. È quindi inspiegabile l’assenza della Copa Libertadores, trofeo dal fascino e dalle atmosfere uniche presente negli scorsi capitoli; scelta, questa, che ci lascia perplessi visto il grande numero di club sudamericani presenti in PES 2017. 
    Infine, oltre al buon numero di nazionali inserite nel titolo, è possibile ancora disputare la Champions League Asiatica, utilizzando magari quei team cinesi in grado di attrarre numerosi giocatori provenienti dai campionati del vecchio Continente. Sul fronte degli stadi troviamo una trentina di campi da gioco su cui disputare i nostri incontri, divisi tra quelli reali e altri inventati da zero per il gioco, con una netto vantaggio per quelli sudamericani: la situazione è però ancora in evoluzione, con gli stadi di Borussia Dortmund e Liverpool in arrivo nel corso dei prossimi mesi con un update gratuito. Sempre parlando di aggiornamenti, per il giorno di lancio è anche prevista una patch dedicata alle rose delle squadre, al momento ferme allo scorso Maggio, che dovrebbe aggiornarle alla fine dello scorso calciomercato, una feature richiesta a gran voce dagli appassionati che negli scorsi capitoli erano costretti ad aspettare anche mesi prima di avere le formazioni aggiornate al 31 Agosto.

Recore



  • Piattaforme:PC, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Comcept

  • Data uscita:16 settembre 2016

     

     

    Sempre più spesso durante la recensione di un nuovo titolo, secondo una qualche tradizione manichea autoimposta dagli stessi giocatori, si cerca di promuovere o bocciare un nuovo gioco descrivendolo o completamente bianco o completamente nero. Sia chiaro questa non è una volontà di qualcuno, alla fine l’obiettivo di una recensione è dare un’idea più chiara al consumatore di quello che sarà il prodotto finito prima che abbia l’occasione di acquistarlo, in modo da valutarne o meno la validità. Insomma sempre un sì o un no, sempre una scelta definitiva che parte però da una varietà di elementi impressionante, l’estrema complessità del medium in primis per approdare alla tensione inevitabile dei gusti del recensore a preferire un genere piuttosto che un altro. Il risultato è che questa recensione è una delle più strane che abbia mai dovuto effettuare: ReCore mi è piaciuto, mi ha divertito e lo consiglierei a tutti gli amanti dei platform/sparatutto, ma solo a costo di chiudere spesso un occhio o forse due sulle mancanze evidenti, strutturali e tecniche che affliggono il titolo. Un’analisi oggettiva diventa poi ancora più difficile dati i diversi elementi da tenere in considerazione e da bilanciare nella maniera migliore per la valutazione complessiva del gioco: il prezzo budget di 39Euro da una parte, l’approdo per la prima volta alla struttura del Play Anywhere dall’altra, bug e problemini su PC e cali di frame rate su console.
    Ma cerchiamo di venire a capo di tutto, partendo dalle basi narrative di questa nuova IP targata Microsoft.

    ReCore, come tante altre produzioni attuali, decide di ambientare la sua storia nel più classico dei mondi post-apocalittici: terra in fase di deperimento, necessità di spostarsi su un altro pianeta e infine una fase di terraformazione per renderlo adatto alla vita umana. Ovviamente qualcosa va storto anzi, tutto va storto. Il processo, che sarebbe dovuto durare circa 200 anni, purtroppo viene a fermarsi per un guasto e quelli che dovevano essere i manutentori, pronti a sistemare il misfatto, non vengono risvegliati dal loro sonno profondo se non 96 anni più tardi. Joules Adam, figlia dello scienziato che aveva ideato la tecnologia che avrebbe permesso questo trasferimento, si ritrova così sola, accompagnata dal solo e fedele Mack, un nucleobot racchiusto per il momento in uno scheletro di cane, in un mondo che ha tutta l’aria tranne quella di essere stato terraformato. Sul perchè è lì, ci viene detto che, facente parte della divisione manutentiva della spedizione, fu lasciata sul pianeta all’interno di quello che in italiano viene chiamato, spazzasabbia, una specie di gigantesco veicolo in grado di muoversi per le dune sabbiose che caratterizzano la superficie di Far Eden, che per l’occasione ricorda una versione più ospitale, ma soprattutto dalle tinte più di quello che potrebbe essere Marte nel nostro immaginario collettivo. Sembra chiaro che l’obiettivo della storia sia riuscire a capire cosa ci sia dietro all'inaspettato disastro e venire a capo di questa situazione veramente drammatica.
    Purtroppo analizzando i personaggi del gioco, si può dire che essi, anche a causa delle animazioni un po’ legnose e il doppiaggio italiano non eccezionale, soprattutto in occasione delle cutscenes, non facciano passare nella maniera corretta tutta la portata tragica della vicenda, con dialoghi anche ben scritti, ma a quel punto scarsamente efficaci. I personaggi stessi perdono spessore e profondità, risultando eccessivamente logici e talvolta addirittura freddi. Questa inadeguatezza va a cozzare con una narrattiva in fin dei conti buona e raccontata in parte tramite le esperienze e le parole della protagonista e in parte dalla voce fuori campo del padre, che quasi come in un diario racconta il preludio degli eventi che parallelamente stanno accadendo a schermo. A questi si sommano una serie di registrazioni e note che vanno ad arricchire il background narrativo del titolo, che è molto più curato di quanto si voglia credere una volta completato il filone principale della storia, che parebbe appena sufficiente a giustificare lo svolgimento del gioco.
    Sebbene tutto prosegua con i tempi giustamente cadenzati, forse con una linearità fin troppo eccessiva, purtroppo verso la fine, la voglia di allungare il brodo viene e a galla e un espediente di gameplay mal riuscito rallenta il tutto e porta un titolo da circa sette ore a concludersi in otto e più. Per fortuna il gameplay che analizzeremo qua di seguito è sufficientemente divertente da non far annoiare il giocatore che, a quel punto sarà ancora per un po’ di tempo costretto a destreggiarsi in combattimenti e dungeon prima di giungere alla fine dell’avventura.
    La struttura di ReCore è quella di uno sparatutto/platform con abbondanti elementi GDR, la cui mappa di gioco è divisa in grandi macro aree dedicate all’esplorazione, dalle quali è poi possibile accedere ai vari dungeon sparsi qua e là per il mondo di gioco. Per proseguire nella storia sarà necessario affrontare due tipi di situazioni, la prima prevede traversate e lotte all’interno delle grandi distese sabbiose, che presentano in determinate zone percorsi da superare o nemici in continuo respawn, oppure dei lunghi corridoi divisi inpiccole micro sezioni dedicate al combattimento, al superamento di sezioni platform, o alla ricerca di oggetti in grado di attivare i meccanismi atti a proseguire.
    Per superare le zone platform dovremo fare uso prima di tutto delle capacità di movimento di Joule, divisibili in salto e scatto entrambi combinabili a piacere, rese possibili dall’esoscheletro che indossa, e poi delle abilità dei diversi scheletri dei nuclebot: con alcuni ci si potrà arrampicare in zone altrimenti impossibili da raggiungere oppure planare per distanze considerevoli una volta arrivati a un’altezza sufficiente. I movimenti, pur accompagnati da animazioni non paragonabili alle produzioni più moderne e afflitti da una legnosità di fondo, riescono comunque ad essere immediati.
    Tutta la progressione si svolge per recuperare pezzi di ricambio e schemi utili a creare parti migliori per i nostri nuclebots una volta tornati al tavolo di lavoro dello spazzasabbia, e aumentare così le loro statistiche divise in attacco, difesa e energia. La prima e la seconda sono di ovvia comprensione, l’ultima invece è quella che, in parole povere, permette di avere un numero maggiore di attacchi letali disponibili. Questi sono colpi particolarmente potenti che possono essere sferrati una volta riempita la barra corrispondente, dipendono strettamente dal colore del nucleo e dallo scheletro utilizzato, combinandosi in un ventaglio di modalità davvero amprio. I nucleobots, fin qui citati, sono quelli che abbiamo visto nelle precedenti demo, Mack (blu), Seth (giallo), Duncan (rosso) e potranno essere inseriti nelle diverse strutture dello scheletro, le cui diversità sono dovute al compito che avrebbero dovuto avere nel processo di terraformazione, per un totale di cinque.

    Si è parlato del colore del nucleo e delle varie mosse che vanno a diversificarsi a seconda del colore utilizzato, questo perchè una delle meccaniche principali di ReCore si basa per l’appunto su questo elemento. Il fucile di joule nel corso dell’avventura sarà dotato di elementi aggiuntivi chiamati amplificatori, che daranno all’arma la capacità di effettuare danni di un determinato colore. Ovviamente la funzionalità non è solo estetica perchè un danno eseguito con l’amplificatore di un colore o tramite un nucleobot dello stesso effettuerà un danno maggiorato ai nemici della cromia corrispondente.
    Il fucile di Joule sarà inoltre l’unico elemento livellabile dell’equipaggiamento della protagonista e salirà in seguito ai vari combattimenti. Anche i nucleobots saliranno di livello e oltre a essere potenziati con i vari pezzi, potranno accrescere le proprie statistiche, fondendo i nuclei estratti dai nemici. Durante i combattimenti potremo infatti decidere se esaurire la barra della vita nemica, oppure con un minimo di accortezza in più far scendere la vita sotto un determinato valore per poi far partire un quicktime event molto simile a un tiro alla fune, tra strattonate e rilasci della presa, il cui obiettivo principale sarà quello di entrare in possesso del nucleo nemico. Le due strade da percorrere non sono sostitutive fra loro, dato che la prima fornirà un buon numero di pezzi di ricambio e la seconda invece andrà a sopperire alla mancanza di nuclei, utili per potenziare i vari bots.
    Affrontare i vari combattimenti, sarà in fin dei conti molto divertente anche se il livello di difficoltà, eccessivamente tarato verso il basso, non metterà mai il giocatore di fronte a una sfida realmente accattivante. In compenso tutte le variabili in battaglia tra movimenti, continuo cambio di colore e di nucleobot, così come il perfezionamento dietro le linee sempre dei nostri amici, renderanno gli scontri molto più affinati e godibili, facendoci riconoscere nella tempestività dei vari successi i meriti di aver preferito una combinazione piuttosto che l’altra o l’attacco giusto al momento giusto.
    Infatti i nemici, pur non offrendo una gamma molto variegata, sono molto ben caratterizzati e, abbinati a diversi colori del nucleo, compiranno attacchi completamente diversi, che dopo un po’ saremo in grado di riconoscere e leggere in anticipo. Alcuni poi sono dotati di un nucleo ibrido fra due colori, e varieranno da una tonalità all’altra, ma nel passaggio formeranno un altro colore tra verde, arancione e viola, e saranno vulnerabili a entrambi i tipi di danno da cui il colore si è formato. Altro caso ancora sono i mini boss e i boss veri e propri, che, in possesso dei nuclei prismatici, varieranno colore a cadenza regolare e si potrà sconfiggerli solo tramite estrazione dopo averli opportunamente danneggiati. Niente di nuovo sulla struttura di questi combattimenti che seguiranno gli stessi canoni visti finora, e non offriranno  nemmeno un livello di sfida particolarmente più elevato.

    Durante l’avventura dovremo affrontare missioni principali e secondarie, le prime prevedono dei dungeon preparati ad hoc per l’occasione, mentre le altre hanno bene o male la stessa formula a contraddistinguerle. Oltre all’obiettivo base del completamento, parallelamente ne avremo altri opzionali, che se raggiunti sbloccheranno ricompense aggiuntive per il giocatore. Solitamente ce ne sarà uno relativo al tempo di completamento, un altro basato sul ritrovamento di un nucleo giallo e infine uno basato sull’attivazione degli otto interruttori presenti durante il percorso. Spesso se volessimo conquistare al 100% quanto il dungeon ha da offrire, saremo costretti ad affrontarlo più volte.
    Per prendere parte a una delle missioni sarà necessario essere in possesso di un numero definito di nuclei prismatici e aver raggiunto con Joule un determinato livello: una volta soddisfatte queste due caratteristiche si potrà prendere parte al tutto. Alcuni di questi dungeon saranno segnalati, mentre altri, con ricompense e guadagni migliori, starà a noi trovarli esplorando in lungo in largo la mappa. E' da notrae come all’inizio la progressione dettata da primarie e secondarie utili a salire di livello e guadagnare i nuclei prismatici è tutto sommato bilanciata, mentre verso la fine, anche per un timore narrativo nel voler concludere anzitempo la storia, partirà una vera e propria caccia ai prismatici, rendendo molto di ciò che dovrebbe essere opzionale, di fatto, obbligatorio e quindi un po’ tedioso.
    Il gioco comunque, come si può aver intuito, ha molto da offrire e, una volta entrati in sintonia con tutte le meccaniche, è facile trovarsi a rigiocare i dungeon oppure a esplorare la mappa in cerca degli schemi più forti. Per spostarsi si dovrà fare tutto a piedi fino a che, nel nostro perigrinare, non giungeremo nei pressi di una stazione per il trasporto rapido, una volta sbloccata sarà raggiungibile dagli altri punti adibiti. In ogni caso, se dovessimo essere dispersi lontani da tutto e tutti, dal menù principale con la pressione del tasto Y saremo in men che non si dica di ritorno sullo spazzasabbia. Per quanto possa sembrare una velocizzazione notevole è meglio non farsi ingannare, perchè i caricamenti, soprattutto su console, sono tanto lunghi da far preferire il ritorno a un punto di trasporto direttamente a piedi.

    Le due nature del titolo
    Come già anticipato nell’anteprima Gamescom di questo titolo, ci sono fondamentalmente due nature che vanno a comporre la struttura di ReCore, quella giapponese incarnata dai Comcept capitanati da Keiji Inafune e quella americana impersonata invece dagli Armature. Se gran parte delle meccaniche con la relativa parte pseudo-GDR, su cui si basa la personalizzazione dei nucleobots, esibiscono in maniera decisa il lato nipponico del gioco, ancora di più ciò è visibile nell’art-design: personaggi dettagliati fanno il paio a ambientazioni iconiche, ma appena abbozzate in termini di dettaglio tecnico. Joule e i nucleobots, per esempio, soprattutto su PC sfruttando appieno la potenza dell’HW e possono vantare un dettaglio invidiabile (non riscontrabile invece nelle animazioni, facciali e non). Le ambientazioni d’altro canto hanno texture poco definite e poligoni, soprattutto delle rocce, con numeri di mesh propri degli engine di una generazione fa, per fortuna però il risultato è complessivamente gradevole grazie a un’art design indubbiamente affascinante e agli accorgimenti nelle minuzie, come lo spostamento della sabbia sotto i nostri piedi.
    Le musiche, che ritroviamo principalmente durante i combattimenti, incitano la lotta e accompagnano con note epiche e maestose gli scontri. Durante l’esplorazione saremo invece cullati dai rumori che popolano l’atmosfera di far eden: il vento che soffia sulle dune, i rumori dei piloni che riprendono vita dopo anni di avaria. Il doppiaggio italiano accetabile durante la partita non si adegua per niente alle cutscenes e banalizza i personaggi senza garantire quella profondità emozionale che alcune situazioni avrebbero il potenziale di esprimere.
    Primo della serie Play Anywhere, questo titolo con un solo codice associato al proprio account Xbox, funziona sia su PC che su console, motivo per cui è necessario fare un distinguo nell’analisi tecnica.
    C’è da dire fin da subito che sia su console sia su PC il gioco regge. Regge, badate bene non vuol dire che giri alla perfezione, anzi, i problemi da entrambe le parti ci sono, ma in ogni caso, personalmente (sarò anche fortunato), non ho avuto nessun crash e nessun bug così grosso da rovinare l’esperienza del gioco. Farò a proposito due discorsi differenti a seconda della versione che stiamo analizzandoLa versione Xbox One non ha grossi bug e risulta decisamente più rifinita della controparte PC, purtroppo i compromessi fatti per mantenere una parvenza di stabilità del framerate sono davvero importanti. L’illuminazione è quasi totalmente pre-renderizzata o assente e le texture sono di qualità appena accettabile. Il framerate in generale è stabile nelle ambientazioni esterne, anche se un numero elevato di nemici potrebbe comunque influire negativamente, anche se non in maniera drastica. Più problematici invece i corridoi interni dei dungeon che, se pieni di nemici, fanno crollare gli FPS ben sotto la ventina. I caricamenti sono l’altro tallone di Achille della produzione, dato che sovente superano il minuto, e diventano facilmente irritanti dopo che se ne sono dovuti affrontare due di seguito, nel caso del ritorno allo spazzasabbia. Abbiamo poi riscontrato un bug relativo al marker degli obiettivi, che ogni tanto tende a sparire: fastidioso, ma niente di insormontabile o in alcun modo impediente.
    Auspicabile una patch al day one per stabilizzare il framerate, visto che già è stato detto che non risolverà la lentezza dei caricamenti, che purtroppo sono più frequenti di quanto ci si possa aspettare da un titolo del 2016.La versione PC, è decisamente più problematica di quella xbox ma anche qui, tutto sommato, siamo di fronte a una build tutto fuorchè ingiocabile. I bug derivati da una maggiore risoluzione e quindi principalemente di compenetrazione poligonale sono molto più frequenti: graficamente possono infastidire, ma non danneggiano l’esperienza complessiva.
    Lasciano un po’ perplessi i requisiti di sistema per il gioco, che prevedono, a fronte di un dettaglio grafico non certo insormontabile, configurazioni molto performanti. Nel nostro caso abbiamo dovuto fare qualche tweak al ribasso su un notebook dotato di i7 6700HQ e GTX980M per riuscire ad avere un’esperienza mediamente fluida. Ricordiamo poi che questa versione è accessibile solamente attraverso il Windows Store che, pur non particolarmente amato dal popolo dei videogiocatori, è comunque in continua evoluzione e non si è frapposto minimamente tra noi e la fruizione del titolo.

lunedì 12 settembre 2016

Nba 2K17

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Data uscita:16 settembre 2016

     

     

    Come di consueto, si avvicina l appuntamento con i titoli sportivi di 2K. Non poteva mancare all appello l'annuale titolo di basket, con i ragazzi di 2K chiamati ad un'impresa quasi impossibile: migliorare ulteriormente una saga già di altissimo livello, capace di ricreare alla perfezione ogni minimo dettaglio di una partita NBA. Nonostante l'impresa potesse sembrare impossibile, i ragazzi di Visual Concept sono riusciti a stupirci ancora una volta.
    Realismo è sempre stata la parola d'ordine degli sportivi targati 2K e anche NBA 2K17 non fa eccezione. Un realismo che comincia dall'aspetto grafico di questo NBA 2K17, con modelli dei giocatori ulteriormente migliorati per replicare alla perfezione le controparti reali. Grande lavoro anche per la riproduzione delle varie arene, con gli sviluppatori che si sono concentrati su dettagli che prima non erano stati presi in considerazione come l'illuminazione e i suoni: giocare allo Staples Center, con le tribune in ombra a contrastare il campo ben illuminato, sarà ben diverso rispetto al disputare una partita alla Quicken Loans Arena, in cui tutto il palazzetto è illuminato quasi a giorno. Anche i colori vanno in questa direzione; gli sviluppatori hanno detto come in passato non erano mai stati soddisfatti della resa visiva delle uniformi dei giocatori, spesso contraddistinte da colori smorti e poco fedeli, e solo con questa edizione sono riusciti a ottenere una resa finalmente credibile, in grado di rispettare gli elevati standard della serie. 
    Una delle maggiori critiche alla serie nelle edizioni passate era l'infedeltà dei roster di Eurolega, con le squadre che schieravano i giocatori della passata stagione e non di quella in corso. NBA 2K17 cambia finalmente le carte in tavola con gli sviluppatori che, grazie a una nuova formula che prevede un certo numero di squadre fisse, hanno potuto lavorare in anticipo per portare nel gioco i roster ufficiali della stagione che partirà a breve, una decisione che farà sicuramente la felicità di tutti gli appassionati del torneo cestistico più importante del vecchio continente. A proposito dei giocatori, il gioco avrà diverse cover a seconda delle edizioni: la standard riportera in copertina l'astro nascente Paul George, mentre la Legend Edition avrà Kobe Bryant: un modo per onorare uno dei giocatori più importanti degli ultimi 20 anni in occasione del suo ritiro avvenuto lo scorso aprile. Per la prima volta nella storia, l'Italia potrà vantare una cover esclusiva, con Danilo Gallinari chiamato a rappresentare il gioco sulla copertina dell'edizione nostrana. Italia presente anche nella colonna sonora del gioco per il secondo anno consecutivo: se l'anno scorso avevamo trovato i Club Dogo, in NBA 2K17 è il turno di Ghemon, rapper originario di Avellino presente nel gioco con la canzone "Adesso Sono Qui".
    Come ogni anno, gli sviluppatori di Visual Concept si sono concentrati sul limare il gameplay del titolo, con la parola realismo sempre ben presente.
    Rispetto ai passati giochi della serie è stato introdotto un nuovo sistema di gestione della stanchezza dei giocatori in campo che ci obbliga come mai prima d'ora a gestire le rotazioni della nostra squadra. I giocatori si stancano infatti maggiormente rispetto al passato e, all'aumentare dell'affaticamento, inizieranno a peggiorare le proprie prestazioni, sbagliando tiri semplici e riducendo l'elevazione. All'aumentare della stanchezza aumenta anche il rischio di infortunio, con il risultato che potremmo ritrovarci la squadra decimata nei momenti cardine della stagione solo per non aver fatto ruotare a dovere i nostri uomini durante le partite di regular season.
    Novità anche per la fisicità dei giocatori che va ad incidere su diversi aspetti del gioco come i rimbalzi, con dozzine di nuove animazioni per replicare la lotta tra i centri per prendere posizione, le stoppate, rinnovate per dare maggiore importanza ai rim protector e i contatti senza palla, con i giocatori che dovranno sudare per sfruttare i blocchi e liberarsi per un tiro più comodo.
    Proprio i tiri sono l'ultimo aspetto su cui si sono concentrati i ragazzi di 2K: a partire da NBA 2K17 ogni conclusione, ad esclusione delle schiacciate, avrà un proprio meccanismo di timing: in questo modo avremo finalmente il controllo totale di quello che accade in campo, feature che farà felice i giocatori più esperti della serie che passeranno ore per padroneggiare i layup nel traffico o per aumentare la propria percentuale nei tiri da tre.
    Tutto questo è solo una piccola parte delle novità introdotte nel gioco, che vede modifiche anche sui passaggi, difesa e IA della CPU che approfondiremo in fase di recensione.
    Infine, per tenere fede all'immersività del titolo anche il pubblico e gli altri giocatori avranno reazioni realistiche, seguendo con attenzione gli spostamenti di palla e reagendo dinamicamente in base alle azioni di gioco.

Mother Russia Bleeds

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:Le Cartel

  • Data uscita:5 settembre 2016 su PC (a fine anno su PS4)

     

     

    "Non si decide di diventare tossicomani. Un mattino ci si desta in preda al “malessere” e lo si è"
    La scimmia sulla schiena - William S. Burroughs

    È l'alba del 1986 e la Solncevskaja Bratva sta divorando lentamente l'Unione Sovietica. Il crimine organizzato ha accresciuto il proprio potere e sta insinuando i suoi tentacoli negli affari del paese, in quelli loschi e nei palazzi del potere. Mentre la brutalità della mafia mette in ginocchio il paese e la situazione politica diventa convulsa e fuori controllo, i sommovimenti popolari iniziano a presentare i prodromi d'una rivoluzione di cui si intravedono già le violente implicazioni. La condizione sociale di chi tenta di resistere è però disperata: la popolazione è sempre più ai margini, la qualità della vita è pessima e una terribile droga, la Nekro, si è diffusa a macchia d'olio e il suo abuso è diventato un atto abitudinario.
    Sono questi i presupposti da cui parte Mother Russia Bleeds, che si presenta in modo diretto, crudo, senza troppi fronzoli e con una propensione per la violenza e le controversie che non viene celata mai per un attimo. Questa scelta si dimostra sin da subito una carta vincente, perché sottolinea quanto i personaggi siano senza alcuna possibilità di redenzione: un gruppo di folli in un mondo amorale e perso, senza speranza, piegato da contingenze nefaste e dall'assenza di una luce guida. Questo campionario di reietti è inoltre devastato dagli effetti della Nekro, che dà l'illusione momentanea di una forza sovrumana ma provoca terribili allucinazioni e insopportabili malesseri. 
    Mother Russia Bleeds è un picchiaduro a scorrimento classico, quasi uno Streets of Rage sotto acidi, che sa come mettere in scena feroci critiche sociali e raccontare - sebbene in chiave alternativa - un periodo storico le cui vicissitudini meno in vista sono forse troppo poco considerate. E lo fa con delle efficaci linee di dialogo che inframmezzano gli otto livelli di gioco, alcuni dei quali – soprattutto nel finale – piuttosto lunghi e impegnativi da portare a termine. La narrazione è dunque presente: prolifera attraverso la bocca dei personaggi, si esprime tramite gli ambienti di gioco e getta una luce oscura sul protagonista che sceglierete, attraverso alcune scene dove la dipendenza dalla Nekro reclamerà il suo conto. Al di là della rivoluzione intestina da aizzare, del paese da difendere con pugno (e calci) di ferro e della volontà di ribellione a un male più grande e organizzato, il protagonista che sceglierete (tra i quattro disponibili) dovrà lottare contro i propri demoni.
    Natasha è la donna del gruppo, che disprezza i suoi nemici e non vede l'ora di frantumare crani. Boris è quello che viene definito il maniaco; è completamente fuori di testa e in passato è stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Sergei vive in una comunità rom; è orgoglioso, carismatico, impulsivo e gli piace prendersi gioco dei nemici. Ivan è "fratellone" del gruppo, il più quieto e serio, ma anche il più aggressivo e violento. Adora polverizzare, distruggere e schiacciare tutto con le proprie mani.
    Il bilanciamento dei quattro personaggio è il più classico che ci possa essere, con Sergei che è il più equilibrato assieme a Boris; Natasha che è la più veloce, ma anche la meno efficace; e Ivan che è il meno rapido, ma in compenso provoca più danni. In termini di mosse a disposizione non ci sono differenze tangibili, ma cambiano talvolta i modi per portare a segno alcuni colpi. Giusto per fare un esempio, il calcio con salto di Boris ha un allungo minore rispetto a quello di Sergei, mentre altri personaggi possono essere più rapidi coi pugni a differenza di altri, sfruttando dunque dei frame per bloccare sul nascere le animazioni d'attacco di alcuni nemici. Si tratta però di differenze minime per chi ha intenzione di portare a termine il gioco a difficoltà normale, mentre avranno un peso maggiore per coloro che vorranno tentare di finire il gioco alla massima difficoltà. In ogni caso, per ottenere il maggior punteggio possibile bisogna variare il più possibile le proprie mosse, anche se ciò vi costringe a scoprirvi maggiormente, soprattutto quando le ondate nemiche diventano davvero molto nutrite.
    Oltre al tasto adibito al pugno e a quello per il calcio, è possibile abbinare i colpi di base col salto, oppure effettuare una presa, la quale può tradursi in una successiva proiezione verso uno dei due lati o essere usata per bloccare un avversario mentre si sceglie di devastarlo di cazzotti. I nemici possono essere inoltre picchiati da terra fin quando non muoiono, a mani nude, con armi bianche o con armi da fuoco. Quest'ultime, presenti nelle fasi più avanzate, vanno usate con parsimonia e i proiettili andrebbero sempre indirizzati verso gli oppositori armati, quelli più pericolosi o contro i boss, tutti ben realizzati. Ne esce fuori un bilanciamento globale sempre ottimo, che presenta picchi di asperità solo negli ultimi due livelli.
    La meccanica di gioco più interessante è rappresentata dall'uso che si fa della Nekro. Un indicatore a forma di siringa accanto alla barra della salute indica tre tacche di droga da usare: col grilletto sinistro si ripristina una porzione di energia, mentre con quello destro si entra in una sorta di "overdose violenta" dove tutto è accelerato, dai contorni un po' sbiaditi, forsennato. È una delle migliori giustificazioni a un potenziamento viste nella storia dei videogiochi, un'intuizione a cui vanno dati dei meriti doverosi. La Nekro va estratta con la siringa dai nemici ridotti in fin di vita e in preda alle convulsioni; quelli dalla pelle verdastra ne sono letteralmente gonfi. Attenzione, però: se deciderete di sfondare il loro cranio con un colpo d'arma da fuoco o spappolandoglielo con le mani quando siete in overdose, perderete questa opportunità. 
    La particolare modalità berserk dura pochi secondi ma sarà fondamentale nei momenti in cui i nemici su schermo diventeranno troppi. In questi frangenti, una nota di merito va anche alla colonna sonora, che accompagna lo stato di iperattività con musiche accelerate e molto sincopate, mentre le melodie sbiadiscono leggermente in toni più acidi; ciò si nota in modo più evidente in alcuni livelli con tracce di aggressivo e invasato frenchcore e speedcore. Oltre a dare un tocco caratteristico all'elemento più di spicco del combat system (mediamente articolato ma privo di combo), rende bene l'idea delle conseguenze immediate della droga; quelle a lungo termine, invece, le noterete durante l'avventura. Ma non vogliamo rivelarvi nulla, dato che si tratta di qualcosa di assai rilevante all'interno della storia.
    Alle ambientazioni cittadine dove regna l'abbandono e la mancanza di decoro urbano sono alternate quelle al chiuso, alcune delle quali – come Il NightClub – volutamente provocatorie. Mother Russia Bleeds non ha paura di mostrare la faccia più oscura e perversa del genere umano, pertanto vi troverete davanti (e sugli sfondi) schiavi sessuali, inquietanti e altissimi uomini in latex, altri in gran sovrappeso che indossano cappucci o maschere da maiale e, assieme a questi, tutta una serie di figure con cui non vorreste mai avere a che fare. Il motivo è presto detto: in Mother Russia Bleeds nessuno può ambire alla salvezza. Tutti sono condannati e maledetti, sporchi, consumati dalla droga e da se stessi, immersi come sono in un mondo che ha bisogno della più violenta delle rivoluzioni.
    Mother Russia Bleeds offre la possibilità di affrontare l'avventura in co-op locale, e vi lascia anche scegliere se attivare o meno il fuoco amico. Se non avete la possibilità di giocare con una persona, si può comunque attivare a ogni missione un bot controllato dall'intelligenza artificiale, ma va ammesso che nella maggior parte dei casi – anche a difficoltà normale – il compagno assurge alla funzione di spalla con limitata forza d'urto, il quale difficilmente riuscirà a togliervi dai casini quando i gruppi di nemici diventano nutriti. Oltretutto, dato che tenderà a subire in media molti più colpi di voi, dovrete gestire con maggior parsimonia le ricariche di Nekro, che in questo caso vi serviranno anche per rianimare il compagno gravemente ferito. Nelle fasi più avanzate può insomma rappresentare un reale motivo d'impaccio, ed è per questo motivo che consigliamo una co-op con un amico o direttamente la campagna in solitaria.
    Oltre alla modalità storia, che vi porterà via circa 6 ore (ma potrebbero aumentare, a seconda del vostro grado di abilità e dalla difficoltà selezionata), potrete affrontare le arene. Molte di queste verranno sbloccate man mano che si avanza nell'avventura e contengono al loro interno diverse tipologie di nemici e armi, che possono spostare non di poco l'equilibrio delle partite. In questa modalità ci si trova all'interno di aree circoscritte e bisogna sopravvivere a ondate nemiche sempre più pericolose. Si tratta insomma di una modalità extra per chi ancora non è sazio dopo la storia, che rimane comunque discretamente rigiocabile.
    Durante la nostra prova siamo incappati in alcuni bug anche piuttosto gravi, che bloccavano in modo irreversibile il gioco. I ragazzi francesi di Le Cartel, su nostra diretta segnalazione, sono stati celeri e li hanno risolti all'istante, e questo ci fa ben sperare per le successive patch minori che renderanno ancora più stabile il codice. Al di là di ciò, anche il giudizio tecnico rimane molto buono: la realizzazione in pixel art è parecchio ispirata e ha uno stile inconfondibile, molto truculento, ricco di violenza e momenti gore. Mother Russia Bleeds è infatti un gioco rivolto a un pubblico maturo, sia perché ciò che mostra è sempre molto esplicito, sia perché le tematiche che tratta sono delicate. Ma soprattutto, è latore di messaggi universali, terribili ma incredibilmente veritieri. E questo, per un genere come quello dei picchiaduro a scorrimento, rappresenta un decisivo passo in avanti.

Call of Duty Zombies in Spaceland


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Infinity Ward







Dopo la presentazione e il reveal trailer a Colonia, eravamo davvero ansiosi di capire come si sarebbe declinata la modalità zombie a corredo del corporso pacchetto di Call of Duty di quest’anno, che non avrebbe latitato nemmeno della Remastered del capitolo più importante della serie. 
Considerato tutto, forse la sfida di zombie è quella che ogni anno richiede a designer e sviluppatori l’impegno creativo maggiore, dato che non è sempre facile riuscire a immaginarsi qualcosa di completamente folle, ma sufficientemente adatto da inserire nel gameplay di Call of Duty (ricordiamo tutti il tragico esperimento con gli alieni di qualche anno fa). A questo punto, con un 2016 che ha fatto del revival di vecchie annate gloriose del passato uno dei suoi mantra principali, non potevamo che auspicare un citazionismo storico che ci riportasse a cavallo degli anni ’80, uno dei decenni più affascinanti per i giovani giocatori del 2016.
Eccoli i famigerati anni ’80 che probabilmente molti lettori, il sottoscritto compreso, non hanno avuto il piacere di vivere, pur consapevoli di essersi persi probabilmente uno dei periodi più interessanti per eccentricità della cultura POP: insegne al neon, colori fin troppo accesi anche per i più alternativi, epigoni della disco music a non finire e film spesso di bassa lega destinati a diventare in breve veri e propri cult. È proprio in uno di questi studi che prendono vita tutte le vicende di Zombies in Spaceland. Il direttore Willard Wyler, un tempo star del settore, ha deciso di invitare dei ragazzi per una finta audizione, da cui poi avrà inizio tutta questa avventura surreale a bordo del treno della follia. Il tutto è stato organizzato da Wyler per far entrare quattro giovani nel film che è anche l’ultima grande occasione che gli resta per tornare alle luci della ribalta di un palcoscenico, che ormai era arrivato a non apprezzarlo più. Per l’occasione l’ambientazione sarà un grande parco dei divertimenti, con attrazioni di ogni tipo, dalle più semplici montagne russe a veri e propri scivoli della morte da cui è lecito aspettarsi proprio di tutto. I quattro ragazzi, incarneranno gli stereotipi tipici degli anni ’80, con il jock, il nerd, la valley girl e il rapper. 
Esattamente come le precedenti modalità zombie, anche questa presenta la classica suddivisione in sezioni, sbloccabili pian piano attingendo dal portafoglio che andrà ad arricchirsi compiendo azioni come uccidere zombie o svolgere le attrazioni presenti nella zona. Ogni volta che passerà un certo lasso di tempo, o sconfitti un certo numero di zombie, passeremo all’ondata successiva il cui unico compito sarà quello di impedirci di sbloccare un’ulteriore zona della mappa. Ovviamente tutto sarà a tema con la situazione, e al posto dei soliti zombie anonimi di altre produzioni, troveremo non morti usciti direttamente dai film anni ’80, tra cui annoveriamo anche veri e propri clown esplosivi. Il risultato di questo eccentrico e scoppiettante mix è un’ambientazione coinvolgente, esilarante e (per quanto surreale) credibile e per questo divertente. Dal punto di vista del gameplay, Zombies in Spaceland offre lo stesso solido gunplay della serie, con armi prese a destra e manca dai vari capitoli, il tutto condito da interessanti aggiunte l’una più folle dell’altra. Una volta raggiunto un determinato quantitativo di pecunia potremo sostituire una delle bocche da fuoco con un’altra tra quelle trovate per la mappa. Non contenti, una volta eseguite un certo numero di azioni potremo sbloccare delle carte, che attivano un determinato potere con cui saremo in grado di scatenare letteralmente l’inferno in terra oppure che ci permetteranno di sbloccare determinate abilità difensive. In particolare sono interessanti quelle che sfruttano le meccaniche cooperative permettendo di ottenere un determinato bonus solo a patto di essere sufficientemente vicini a un altro membro della squadra. Oltre a tutto ciò dobbiamo considerare un’altra valuta in-game ovvero i ticket; questi si ottengono compiendo determinate attività proposte in tempo reale nel parco dei divertimenti, e una volta ottenutone un certo quantitativo potremo sfruttarli per accedere alla Ruota del Destino con cui ottenere interessanti oggetti, come per esempio armi di diverso genere.
A seguire le nostre avventure all’interno del parco dei divertimenti, troveremo un DJ d’eccezione interpretato da David Hasselhoff, che farà da commentatore in tempo reale di ciò accade nel parco dei divertimenti. Tra l’altro la sua compagnia consisterà anche di una soundtrack di altissimo livello, composta da brani tratti dagli anni ’80 senza esclusione di colpi. 
Tornando alla narrativa, l’assistant director che abbiamo intervistato durante l’evento ci ha anticipato come l’obiettivo principale di questa modalità sarà andare alla ricerca di tutti gli easter egg presenti nella mappa, perché solo così potremo realmente capire cosa si cela dietro al mistero all'apparenza irrisolvibile di Zombies in Spaceland. Alla domanda "il livello di follia supererà il drago che abbiamo visto nel penultimo DLC di Black Ops 3?", la risposta è stata: “Sì, abbiamo fatto ancora di peggio”, non nascondendo un inevitabile ghigno alla fine della frase e inducendoci in speculazioni di gran lunga fuori da ogni tipo di ragionevolezza.

Redout


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Guida arcade

  • Data uscita:2 settembre 2016





Esistono titoli capaci non solo di interpretare al meglio un genere, ma di diventarne al tempo stesso la figura cardine per antonomasia. Se si pensa a un gioco come Wipeout, allora è già ben chiaro cosa bisogna aspettarsi: un modello di guida arcade, scenari futuristici e dalla grafica squadrata, competizione sfrenata, ma soprattutto tanta, tanta velocità. È questa la ricetta proposta anche da Redout, un progetto tutto italiano sviluppato da 34BigThings che è sfrecciato rapido e prorompente sui nostri monitor. Vediamo di scoprire tutti i particolari di un gioco che, come è possibile intuire dal voto affibbiatogli, ha saputo convincere.

Chiariamo subito il concetto: Redout è un gioco tosto. Non stiamo parlando tanto delle modalità di gioco, dello stile grafico o del gameplay: l’esperienza proposta dagli sviluppatori sembra essere volutamente esigente, difficile ma non cattiva, esaltante in alcuni punti e capace di fare infuriare in altri. In poche parole, si tratta dell’essenza dei giochi di guida arcade cui la produzione italiana dichiara chiaramente di ispirarsi.
Dal punto di vista delle modalità di gioco, il titolo offre opzioni classiche: il giocatore potrà infatti disputare una sfida singola, declinata in nove differenti tipologie di corse, che andremo a sviscerare maggiormente in seguito. Segue poi il gioco online, e infine la modalità regina: la carriera. Questa scelta consentirà di gareggiare in circa 80 gare: l’obiettivo è quello di partire con una vettura dalle prestazioni modeste, fino a scalare i livelli di esperienza che garantiranno l’accesso a navicelle di classi sempre più performanti e superiori. Nel concreto, dunque, la carriera si compone di una sequela di eventi da affrontare e, se possibile, vincere; i propri risultati alla fine di ogni gara verranno ricompensati con le classiche medaglie di bronzo, argento e oro, fino ad arrivare al platino, dedicato ai giocatori veramente irresistibili. 

La struttura della carriera offre qualche spunto di discussione: ogni gara, vincente o perdente che sia, permetterà di ottenere dei punti esperienza; le migliori performance, inoltre, verranno premiate con dei fondi da spendere per potenziare e comprare nuovi bolidi, ma non basta. Periodicamente, si verrà contattati dalle scuderie partecipanti agli eventi, per dei contratti della durata di una o più gare. Se si riuscirà a centrare l’obiettivo prefissato nell’accordo, di norma mai così impossibile, si avrà diritto a consistenti e quanto mai utili bonus. 
In questa modalità di gioco, però, non ci ha convinto totalmente la successione degli eventi, che ci è apparsa un po’ disordinata, se non dispersiva; i piloti virtuali, infatti, potranno prendere parte a ognuna delle gare presenti nella grande lista disposta nella schermata apposita. L’intoppo risiede forse nella troppa libertà data al giocatore, che in sostanza potrà scegliere in ogni momento la competizione da intraprendere; considerato che man mano che si accumuleranno risultati positivi verranno aggiunte nuove sfide, è molto probabile che si possano perdere per strada alcune corse, che i più pignoli potranno comunque recuperare in ogni momento. Il messaggio sembra essere quello che è possibile “livellare” anche dimenticandosi di affrontare qualche gara; questo comportamento, volontario o meno, non impedirà di progredire in maniera più o meno efficace, almeno durante le prime ore di gioco.
Prima di passare all’analisi del gameplay, merita una riflessione la situazione del comparto online. Il titolo, infatti, consente di lanciarsi in competizioni contro altri giocatori: nel momento in cui scriviamo, precedente all’uscita del gioco, i server sono ancora però deserti, e pertanto non è stato possibile saggiare le prestazioni in questo ambito. Da segnalare l’assenza di opzioni per il gioco in locale: non è presente, dunque, lo split-screen.

Dobbiamo dire che il nostro impatto con il gioco è stato per certi versi brutale: appena scesi in pista siamo stati surclassati dagli avversari in maniera anche un po’ umiliante e tragicomica, non riuscendo ad impostare le curve in alcun modo, e invidiando le traiettorie precise e nette dei nostri rivali. Tutto quello che riuscivamo a fare era premere continuamente il tasto per attivare il turbo, e andare a sbattere in maniera violenta contro le barriere ad ogni curva. Convinti di avere un minimo di abilità, abbiamo continuato a riavviare le gare concluse in ultima posizione; tutto ciò fino a che non siamo arrivati all’illuminazione, che ci ha svelato il segreto per riuscire almeno a terminare le corse in maniera decorosa, ovvero l’utilizzo calibrato della levetta analogica destra. In questo modo è possibile eseguire lo strafe, avvantaggiandoci negli spostamenti laterali supplementari a quelli eseguiti con la levetta sinistra, delegata alla direzione dello scafo. Oltre alla gestione dei movimenti, però, dovrà essere tenuta in considerazione la propria posizione all’interno del circuito; andare a sbattere contro i bordi, infatti, farà calare la “salute” della navicella: nel momento in cui l’apposito indicatore scenderà a zero, difatti, il nostro bolide esploderà, obbligandoci ad una pausa di preziosi secondi.
Dosando attentamente l’azione delle due levette, dell’acceleratore e saltuariamente del freno è possibile allora venire a capo della sfida, ma probabilmente ciò non significherà vittoria certa. Per poter trionfare, infatti, sarà necessario acquistare i power up, divisi nel gioco in attivi e passivi, e migliorabili singolarmente attraverso quattro upgrade. La prima tipologia di potenziamenti permetterà di attivare speciali contromisure, come ad esempio un attacco EMP che disturba i concorrenti vicini e prosciuga la loro energia, oppure l'introduzione della possibilità di sprigionare in un solo istante tutto il proprio turbo. I power up passivi, invece, permetteranno di migliorare parametri quali l’aderenza, la velocità massima e la durata del turbo. Ogni potenziamento è utilizzabile con le navicelle di tutte le scuderie e classi presenti: i diversi bolidi, a questo proposito, sono differenziati tra di loro per mezzo di diversi parametri, che condizionano visibilmente le loro prestazioni in pista; dobbiamo dire però che la strategia da noi utilizzata, ovvero quella di utilizzare inizialmente una navicella con una velocità di base molto elevata e basso grip, sembra avere pagato. Le prestazioni iniziali della vettura, infatti, ci hanno consentito di raggranellare i fondi necessari ad acquistare i primi power up, tra i quali consigliamo vivamente quello relativo al miglioramento dell’aderenza. Portato al suo massimo livello, questo potenziamento ci ha consentito una manovrabilità estrema, che difatti ci ha fatto vincere quasi la totalità delle gare con una certa facilità.
Proprio i power up ci danno lo spunto per parlare del livello di difficoltà; Redout è un gioco di guida arcade che non sembra puntare molto sullo scontro tra nemici: certo, spesso gli avversari ci verranno addosso di proposito, ma non ci si deve aspettare competizioni dominate da power up offensivi che determinano il risultato di una corsa. Quello che conta, allora, è guidare bene: nel momento in cui si riesce a fare ciò, si inizierà a vincere con costanza; l’intelligenza artificiale si è dimostrata dunque agguerrita in molte occasioni: a questo proposito, gli sviluppatori hanno confermato che il lavoro sul comportamento dei nostri avversari sarà oggetto di ulteriori sviluppi, per cui è presumibile aspettarsi in tempi brevi una IA ancora più reattiva ad attenta al nostro stile di guida. Tutto quello descritto finora trova applicazione concreta nelle modalità di gioco: come detto in precedenza, le opzioni in questo campo saranno molte, a partire dalle classiche gare di tre giri con o senza power up, fino ad arrivare a competizioni in solitaria contro il tempo, corse ad eliminazione e a punti, nonché sfide dove le tradizionali barriere a bordo pista sono assenti, e andare lunghi è sinonimo di un bel salto nel vuoto e di corsa finita.
La scelta più crudele, però, è la modalità sopravvivenza, che prevede la presenza di ostacoli assai fastidiosi rappresentati da
mine che, se sfiorate, rallenteranno il nostro incedere e diminuiranno
la nostra salute. Il tono del discorso non cambia di molto quando si parla della modalità Boss: in questo caso, si avranno davanti lunghe corse di svariati minuti in cui si dovranno percorrere spezzoni di tracciati collegati tra loro in maniera volutamente cattiva, grazie a dei portali che trasporteranno violentemente il giocatore tra una sezione e l’altra. Tutto ciò rende queste sfide sicuramente affascinanti, ma forse un po’ frustrantiRedout, dunque, è un titolo da non prendere con le molle: ogni curva andrà affrontata con attenzione e cercando di seguire la traiettoria migliore; l’acquisto e l’utilizzo vario di power up, soprattutto quelli che garantiscono bonus all’armatura o alle caratteristiche primarie, deve adattarsi poi alle varie modalità di gioco, in modo da avere i benefici maggiori. Questo solido impianto di gameplay, però, viene sostenuto da quello che a nostro avviso è il punto di maggiore impatto della produzione italiana, ovvero il game design, che si unisce a un aspetto stilistico peculiare. Più volte, durante le gare, siamo rimasti sorpresi dalle evoluzioni del tracciato che, insieme alla velocità estrema di gioco e alla grafica stilizzata, riescono a creare un’esperienza veramente esaltante in alcuni frangenti. Tra tutti, la nostra predilezione va ai salti: mentre si è in aria, infatti, si dovrà fare attenzione a direzionare bene il proprio mezzo, aiutandosi con i due stick analogici; tutto ciò non è sempre facile, a causa della posizione della telecamera che, nella sua alternativa di default, è posta dietro allo scafo, e difatti nasconde spesso il punto di arrivo durante i balzi più alti. Basta un solo errore per finire fuori dalla pista e compromettere la propria gara. Quando si riesce a inboccare la rampa con la giusta velocità, ci si libra in aria alla corretta altezza e si atterra nel punto giusto, però, la soddisfazione è garantita. Sono presenti, poi, anche sezioni sott’acqua, veloci cambi di ambiente, così come i classici cerchi della morte, in cui sarà necessario alzare l’anteriore del mezzo con la levetta destra, per evitare scintille e sfregamenti col tracciato che equivalgono a rallentamenti.
Graficamente, il titolo offre un aspetto che, ancora una volta, rimanda ai classici del genere: l’aspetto di Redout è stilizzato, squadrato, molto colorato e sfreccia davanti agli occhi in maniera veramente convincente; i quattro ambienti proposti spiccano per le loro tinte vivaci e tipologie differenti, a partire dai ghiacci dell’Alaska, e passando dal deserto e dalle profondità di un vulcano (nostra scelta preferita), fino ad arrivare a un Abruzzo futuristico e psichedelico. In alcuni casi, la tavolozza cromatica unita all’estrema velocità potrebbe stancare la vista dopo un po’, per cui è d’obbligo avvisare i giocatori maggiormente sensibili a questi aspetti. Considerato che il titolo è fruibile con successo anche su soluzioni VR, poi, la configurazione hardware richiesta prevede una potenza di calcolo perlomeno adeguata agli standard moderni. 
Nelle nostre prove, effettuate con tutte le opzioni grafiche al massimo, il titolo ha tenuto una stabile media molto vicina ai 60 FPS nella maggioranza delle occasioni grazie ad un processore Intel i5, 12 GB di RAM e una scheda video Radeon R9 380 da 4 GB; come si può intuire, dunque, il gioco è sì esigente, ma non così esoso nelle richieste. Il sonoro convince alla stessa maniera: i sottofondi musicali mischiano sonorità elettroniche e sintetiche in maniera del tutto adeguata al tipo di gioco; la qualità del comparto audio, tra l’altro, regala una solida resa posizionale che riesce, nei sistemi dotati di satelliti e subwoofer, a creare un effetto immersivo apprezzabile.

domenica 4 settembre 2016

Call Of Duty Infinite Warfare

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Infinity Ward

  • Data uscita:4 novembre 2016

     

     

    Quando si parla di Call of Duty è inevitabile considerare la modalità multiplayer come la base su cui poggiano tutte le speranze del gioco; purtroppo, durante le varie fiere estive non ci era stata ancora data la possibilità vi vedere qualcosa di relativo a questa modalità, grande regina del titolo, lasciata infine come ciliegina sulla torta di un COD XP che si preannunciava davvero ricco di novità. Il COD XP per chi non lo sapesse è il seguito di un evento svoltosi nel 2011, in occasione della presentazione di Modern Warfare 3 che cerca di racchiudere in un unico grande evento celebrativo la Call of Duty World League, la prima presentazione hands-on del multiplayer di Infinite Warfare e poi tanto ancora. Quest’anno infatti accanto all’epifania del multiplayer che catalizzerà la scena della prossima stagione della World League, abbiamo trovato anche la modalità multiplayer di Call of Duty: Modern Warfare Remastered e Zombies in Spaceland. In poche parole, una full-immersion totale nel mondo di Call of Duty in attesa dell’arrivo il 4 novembre della nuova stagione dell’FPS targato Activision. Per la presentazione ufficiale abbiamo ascoltato Dave Stohl poi seguito da Joe Cecot, rispettivamente l'uno a capo dello studio di sviluppo e l’altro dei designers, pronti ad illustrarci ciò che di lì a pochi minuti saremmo andati a toccare con mano. Cerchiamo però di capire in pratica quali sono le novità che Infinity Ward vuole portare con la nuova modalità competitiva di Infinite Warfare.
    Tutto ha inizio con il solito reveal trailer tanta azione, la solita musichetta travolgente, ma soprattutto tanti aspetti che paiono, come al solito, novità assolute per la serie. Durante l’articolo li analizzeremo uno per uno, ma per il momento possiamo riassumerli in: nuove classi con caratteristiche differenti pronte a dare spazio a ogni tipo di giocatore, anche quelli alle prime armi. A dare una generale spiegazione di questa affermazione compaiono a schermo i seguenti elementi: Rigs, Payload e Traits. Per Rigs intendiamo quella struttura esterna che va a comporre l’armatura e l’esoscheletro del personaggio, per Payload si intendono delle armi o delle abilità particolari, per Traits invece delle abilità caratteristiche passive o comunque automaticamente riattivabili. In pratica combinando questi tre elementi, parafrasabili in classi, consumabili e perks passivi, si potrà ottenere il setup più affine al nostro stile di gioco. Una volta poi create più combinazioni, queste si potranno salvare così da poterle cambiare senza sosta durante la partita. Questo aspetto, per altro molto vicino alle Exo Suites che ci hanno accompagnato da Advanced Warfare, ci ha fatto capire come anche per Call of Duty il futuro del competitivo sia sempre più vicino alla strutturazione dei personaggi di un team in classi diverse fra di loro, e non più in personaggi tutti ugualmente personalizzabili. Scegliere un combat rig piuttosto che un altro non ci permetterà infatti di accedere a tutti i tipi di payloads o traits, ma soltanto a quelli dedicati a quella particolare categoria, garantendo sì un’ampia libertà di manovra, ma comunque limitata rispetto al passato. Ricordiamo poi che tutta questa gestione delle classi è abbinata alla solita struttura dell’equipaggiamento e delle killstreaks. Le Rigs disponibili in totale sono sei, ciascuna con una particolare propensione a essere giocata con un determinato set di armi e a un range predefinito.
    La prima e quella più simile al soldato classico di Call of Duty è il Warfighter: è una classe totalmente votata all’attacco ed è il massimo per il combattimento 1vs1 a media distanza. Merc è invece il tank di supporto, più resistente e perfetto per fornire fuoco di copertura contro i vari nemici. FTL è una classe rapida e adatta al combattimento ravvicinato, tutte le abilità gli permettono di coprire brevi distanze in poco più di un attimo, riuscendo a cogliere di sorpresa ogni nemico. Lo Striker è invece quello dotato di tutta la strumentazione tattica e riesce quindi a fornire supporto di questo tipo a ciascun compagno. Phantom, come dice anche il nome, è invece la rig per quelli che amano essere come fantasmi e sparire nell’ombra per poi colpire in maniera letale anche da considerevoli distanze. Synaptic, l’ultima, è rappresentata da un robot da combattimento molto veloce che punta tutto sul combattimento ravvicinato o melee o con armi a cortissimo raggio. La cosa che si è notata durante l’hands-on è che le differenze, evidenti dal lato estetico non lo sono altrettanto nel gameplay; soprattutto paragonando il titolo a un altro di enorme successo sufficientemente contemporaneo, Overwatch. Che lo si apprezzi o no, è inevitabile convenire che il titolo Blizzard abbia 22 personaggi (per il momento)di cui ognuno completamente diverso dall’altro. Qui invece ci ritroviamo con lo stesso gameplay di base, armi uguali, armamentario letale e tattico identico con differenze riscontrabili solo per quanto riguarda le abilità aggiuntive, che di certo personalizzano l’esperienza, ma purtroppo non riescono a renderla unica. Durante le partite effettuate, infatti, si può stimare un buon 90% il tempo dedicato a sfruttare il proprio armamentario e solo il 10% quello per godere dei payloads e dei traits scelti. Non neghiamo che l'esperienza fatta possa essere legata alla durata della prova e all’inesperienza di fronte a queste novità, però dobbiamo anche ammettere che le potenzialità lette nel trailer di aver qualcosa di davvero rivoluzionario non si sono fin qui viste.
    Finito il discorso sulle rigs, passiamo a quello sulle armi. Tutte appartengono a un’ambientazione futuristica che cerca disperatamente di rimanere in contatto con il presente. Il design delle bocche da fuoco, per quanto completamente rivisitato, non si discosta più di tanto dai concept alla base di quelle attuali, confermando una volontà indubbia di mantenere un forte legame con il presente. Questo aspetto estetico è stato mantenuto anche dal punto di vista del feeling che ciascun ferro è in grado di esprimere, sia quelli dotati di proiettili, sia quelli energy-based. 
    Questi ultimi hanno una diversa gestione della meccanica della ricarica, infatti, aggiungono la possibilità tattica di poter attendere giusto un attimo in più per vedere il proprio contatore virtuale delle munizioni andare a riempirsi, per poi continuare a sparare, senza effettuare alcun tipo di ricarica manuale, comunque possibile. Quello che possiamo confermare è che a parte questo, usare un fucile a proiettili o uno energetico risulta molto simile, riuscendo a garantire la stessa bontà del feeling pad alla mano. Che sì, non si discosta molto dagli altri titoli targati COD, ma indubbiamente continua a convincere e a piacere.
    Quest’anno poi per la prima volta nella serie, si andrà ad aggiungere un ulteriore elemento di personalizzazione comune nel mondo dei GDR, ma inedito in questo genere di sparatutto: stiamo parlando del crafting. Attraverso una valuta in-game dal nome salvage, potremo arricchire il nostro arsenale, creando delle armi davvero insolite, non solamente con particolari bonus in-game, ma anche con skin dalle trame fin troppo eccentriche. Tra queste ce ne sono alcune definite ELITE, che stravolgono completamente il loro modo di funzionare, e che hanno funzionalità aggiuntive davvero efficaci.
    Finiamo il discorso con le mappe, queste come al solito sono strutturate in un numero variabile di lanes, tutte diverse fra loro. L’importante in tutti i Call of Duty è garantire sempre spazio per ogni tipo di giocatore nel bilanciamento generale del gioco, con il cecchino supportato logisticamente da due o tre postazioni tattiche in cui ruotare, e gli altri che in un modo o nell’altro possono affrontare il combattimento a distanza media, o soprendere il nemico parandosi dinnanzi a lui da un momento all’altro sfruttando passaggi alternativi, magari ricorrendo al wall-running. Nella sessione siamo riusciti a provare in sequenza Breakout, Frontier e Frost.
    Breakout è una mappa di medie dimensioni, con un ritmo degli incontri non troppo veloce, dove le classi bilanciate riescono ad avere facilmente la meglio sulle altre, soprattutto nella lane centrale. Per chi ama gli scontri ravvicinati c’è sempre stata comunque la possibilità di arrivare a scontri più diretti, per cui anche anche quell’approccio ci è sembra funzionale.
    Frontier invece è una mappa circolare, dotata di due lane, il phantom in questo caso è la classe che ci sentiamo di sconsigliare, dato che anche sulla lane più slow-paced è preferibile un atteggiamento intermedio. In questa situazione non abbiamo potuto fare a meno di apprezzare la rapidità del FTL e del Synaptic davvero eccezionali se abbinati a un fucile a pompa o un SMG.
    Infine Frost, la mappa più ampia tra quelle che abbiamo potuto provare. E’ una mappa dove i molteplici passaggi per collegare le varie lanes rendono necessario perfezionare il gioco di squadra, al punto da farci prediligere l’utilizzo di una rig di supporto come lo stryker o il Merc, potendo offrire così le giuste coperture sia offensive, come le torrette, sia difensive, come gli scudi portatili. In Frost abbiamo potuto giocare a una delle due nuove modalità di gioco, stiamo parlando di Defender: una specie di gioco con la palla, simile a quello classico per il possesso per la scuola calcio, dove l’obiettivo è tenere il pallone il più possibile cercando di non perderlo anche passandoselo fra i membri della squadra. La modalità in questione ci ha divertito molto e andrà ad aggiungersi alle altre 16 che compongono il pacchetto totale, formato da 15 classiche e due inedite. 
    Dopo il faticoso lavoro compiuto a favore della campagna single player, per inserire sezioni zero-g con spostamenti degli assi di gioco davvero credibili, frutto di una collaborazione diretta con la Nasa, lascia l’amaro in bocca non vederle replicate anche nel multiplayer. In una delle tre mappe infatti una volta ucciso un nemico, questo iniziava a fluttuare per aria, sintomo di una mancanza di gravità, che però non colpiva in alcun modo le rigs, i cui movimenti sono rimasti sempre completamente immuni da questa mancanza.
    Ultima postilla finale del discorso la vanno a ricoprire le mission teams, che costituiranno, a seconda della fazione scelta, una serie di obiettivi paralleli a quelli dei vari match, che una volta completati, sbloccheranno alcuni oggetti da equipaggiamento e l’arma leggendaria di quella fazione.