Ethero

venerdì 26 luglio 2013

Mortal Kombat Komplete Edition

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:NetherRealm Studios

  • Data uscita:2 Agosto 2013 Retail

     

     

    La sfida tra gamers PC e Console è sempre viva e ardente, termine, quest'ultimo, particolarmente azzeccato quando si parla di Mortal Kombat, il celebre picchiaduro sviluppato da NetherRealm, che fa di atmosfere infernali e personaggi oltre il limite dell'umano parte integrante della propria riconoscibilità. Senza dimenticare il sangue. Litri di sangue. I giocatori console hanno avuto tutto il tempo per giocare e rigiocare il proprio picchiaduro preferito ma, a due anni di distanza dal rilascio del gioco su console, finalmente anche gli estimatori dell'ultraviolenza su PC possono godere dell'ultima incarnazione del brand.
    Correva l'anno 2011 quando, più o meno a sorpresa, venne annunciato Mortal Kombat, titolo semplice e d'impatto, quasi a voler far comprendere ai fan quanto grande fosse la volontà di NetherRealm di tornare alle origini e di voltare pagina da alcuni pessimi capitoli della saga.
    Mortal Kombat, altresì resosi noto come Mortal Kombat 9 o Mortal Kombat 2011 per evitare malintesi con la sua primissima incarnazione del 1992, seppe stupire gli estimatori grazie a un'incredibile quantità di contenuti offerti. Finalmente, nelle mani dei videogiocatori Xbox 360 e PS3, arrivò un prodotto completo, qualitativamente ottimo e ricco di funzionalità: una modalità storia capace di spiegare il background dietro personaggi celebri e amati da quasi vent'anni, ma mai sufficientemente raccontati sugli schermi videoludici fino a quel momento, una modalità Krypta con la quale sbloccare decine di bozzetti, costumi, e fatality aggiuntive, un multiplayer funzionale sebbene non perfetto che accompagnava una completissima serie di modalità per il giocatore singolo, e spaziava dalle immancabili “Skalate” a prove d'abilità per testare le proprie skills. Nell'era dei DLC e dei giochi usciti privati di alcune funzionalità per essere completati solo dopo il rilascio, a pagamento, Mortal Kombat fu considerata una perla rara di impegno da parte degli sviluppatori, e di rispetto per un machio stimabile...
    Tutto questo finché non uscirono i DLC delle skin classiche, dei personaggi aggiuntivi e infine la Komplete Edition a beffare chiunque avesse supportato il successo del gioco alla sua uscita, magari acquistando una bella Kollector Edition e spendendo decide di euro ulteriori sui contenuti scaricabili. Mortal Kombat KE è infatti un unico box contenente, direttamente su disco di gioco, i seguenti contenuti aggiuntivi: 

    -Skarlet
    -Kenshi
    -Rain
    -Freddy Krueger (cameo del personaggio reso celebre dalla saga Nightmare on Elm Street)
    -15 Skin Classiche per altrettanti personaggi
    -3 Fatality old-style, rispettivamente per Scorpion, Sub-Zero e Reptile

    Uno scherzetto dal quale, per fortuna o loro malgrado, i giocatori PC non si sono dovuti tutelare, non esistendo, infatti, una versione PC né di Mortal Kombat “base”, né della sua reincarnazione completa. Fino ad ora.
    Difficile rispondere alla domanda se sia valsa la pena di aspettare o meno, se oltre all'attesa non si considerano una moltitudine di altri fattori soggettivi.
    Sicuramente la possibilità di acquistare, senza spese aggiuntive, tutta l'esperienza offerta dal titolo in un'unica soluzione è un fattore interessante, comunque già offerto in passato anche ai giocatori console, senza alcune ulteriore aggiunta o particolare miglioria a celebrare questo rilascio su Computer.
    L'edizione PC infatti, nonostante il tempo passato, porta con sé tutti i difetti della versione console. Salvo l'aspetto grafico, che andremo ad analizzare successivamente, non v'è alcuna ottimizzazione né per quanto riguarda il gameplay, persistendo quindi hit-box approssimative e la legnosità tipica della saga, né per quanto riguarda l'integrazione dei contenuti aggiuntivi nel prodotto finito. I personaggi scaricabili, che in questa edizione troverete direttamente a disposizione nel gioco da subito, sono sempre relegati ad un menù a scomparsa che appare portando il cursore di selezione del combattente sul volto di Cyber Sub-Zero, personaggio che, peraltro, sarebbe dovuto rimanere segreto fino al completamento della storia e invece viene bellamente svelato già dalla prima battaglia.
    Se nella Komplete Edition console questi aspetti erano tollerabili, considerando il rilascio immediatamente successivo all'ultima serie di DLC, lo sono meno su una release che arriva a due anni di distanza, e per la quale sarebbe stata gradita un po' più di cura nella presentazione generale, anche di dettagli non determinanti.
    Fortunatamente, soprassedendo su queste mancate finezze e fiondandosi in combattimento, il videogiocatore PC può dire di avere per le mani un prodotto graficamente superiore, dotato di un comparto tecnico che ben si adatta ai diversi hardware PC sui quali si troverà a girare. Settando i dettagli al massimo, abbiamo apprezzato un'ottima qualità sia delle textures dei personaggi che, soprattutto, della resa visiva dei fondali, i quali acquisiscono profondità e credibilità non godibili in egual misura su console.
    Su PC meno prestanti, settaggi grafici elevati non portano a scatti evidenti, andando piuttosto a ridurre il framerate. Una scelta che in qualche modo consente anche ai giocatori non dotati di hardware di ultima generazione di scegliere quanta fluidità di gioco siano disposti a sacrificare in cambio del dettaglio visivo, senza avere a che fare con scatti che renderebbero il titolo ingiocabile. Purtroppo la funzione di autoconfigurazione sembra non riuscire ad azzeccare il miglior bilanciamento in questo senso e non v'è alcuna indicazione a schermo che aiuti ad impostare il corretto rapporto tra velocità e dettaglio, lasciando totalmente nelle mani del giocatore la scelta. Questo fattore può tradursi nella difficoltà, soprattutto da parte di giocatori che non abbiano provato le versioni console, nel comprendere quale sia la velocità di gioco “giusta”, portandoli, magari, ad abituarsi ad un ritmo di gioco troppo blando e che non corrisponde a quello previsto dai developers e giocato dalla maggior parte dei players.
    Apprezzato l'impatto con la nuova resa visiva, abbiamo affrontato alcuni passaggi della modalità storia, croce e delizia della versione originale. Qui l'espressione di piacevole stupore rimasta sui nostri volti dopo esserci rifatti gli occhi con la migliorata grafica, ha lasciato posto a incredulo stupore, già dalla primissima cut-scene. Probabilmente a causa della modalità di distribuzione digitale, tutti i contenuti video hanno infatti subito un downgrade evidente, che pesa nel complesso di una modalità nella quale tali contenuti sono piuttosto protagonisti.
    Resta totalmente inascoltabile il doppiaggio in italiano, che non ci aspettavamo venisse reinterpretato per il lancio della versione PC, ma che risentire ancora invariato a due anni di distanza, ha fatto riprovare lo stesso brivido sulla schiena sentito durante il primo walkthrough della modalità storia su PS3 o Xbox360. Considerando l'agghiacciante doppiaggio, che accompagna questa volta filmati abbondantemente compressi, ecco che la modalità storia diventa il primo dei fattori che più pagano il passaggio su computer.
    Fortutanamente la community di videogiocatori, come spesso accade nel mondo PC, non è stata a guardare (a ragion veduta) iniziando a dar vita da subito a mod interessanti. Mentre qualcuno preferirà installare la modifica che rende giocabili i Boss del gioco, i puristi preferiranno scaricare il corposo add-on di 13 GB divisi in 15 parti, che restituisce al gioco i filmati originali a 720p e con audio di ripristinata qualità, anche in italiano. Se ve lo state chiedendo, no, nessun fan ha deciso di ridoppiare il gioco, per ora.
    Come dicevamo poco sopra, la modalità storia è solo uno tra gli elementi penalizzati dalla conversione. L'altro comparto particolarmente vittima del cambio di piattaforma ci è parso quello multiplayer, anch'esso trasposto pari pari dal titolo originale, e tra tutti è l'elemento che peggio ha subito il passaggio dei due anni.
    Questa recensione è stata pensata e scritta, fino al punto in cui state leggendo, durante l'attesa di trovare un avversario online. L'avviso di ritrovamento del contendente è giunto proprio durante la stesura di queste righe, dopo un'attesa decisamente eccessiva. Sicuramente il tempo passato ha abbassato l'hype nei confronti del titolo, ma un intero weekend passato a cercare faticosamente degli avversari non può essere solo causa di un basso numero di giocatori disponibili, soprattutto considerando l'attesa del pubblico PC e  il prezzo budget. Lo scontro, ultimo di una serie che con similari lunghe attese siamo riusciti ad affrontare, s'è svolto ad un framerate eccessivamente basso, esattamente come la decina di scontri precedenti, il che ci ha fatto riflettere sulla prestanza del netcode. Nonostante i settaggi grafici ci consentissero di giocare alla velocità di gioco corretta in single player, il ritmo degli scontri in multiplayer è sempre risultato visibilmente più basso, al limite della moviola, forse a causa dei settaggi dell'avversario o semplicemente per via di un netcode per nulla ottimizzato.
    Della decina di scontri affrontati una abbondante metà è stata vinta, ma nessuno degli avversari ha saputo accettare la sconfitta, disconnettendosi proprio durante la X-Ray finale o poco prima di una Fatality: se della mancata sportività di molti giocatori non possiamo incolpare i developers, sicuramente possiamo storcere il naso davanti alla mancata introduzione di un sistema che impedisca disconnessioni truffaldine, a due anni di distanza. Cosi com'è ora, il comparto multipayer rischia di non avere le carte in regola per dare alla community di videogiocatori PC, il Mortal Kombat “da torneo” cui probabilmente ambivano.

Rayman Legends


  • Genere:Platform

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:30 Agosto 2013

     

    L’industria videoludica sembra un luogo magico pieno di coniglietti, idraulici saltellanti, armi da fuoco, coniglietti che fanno stragi con enormi armi da fuoco, e un sacco di altre belle cosette spuntate direttamente dalla fantasia illimitata dei programmatori. Negli anni si è evoluta, nobilitata, e ingrandita a dismisura, ma è sempre rimasta parzialmente un luogo oscuro, dove il dio denaro detta legge con fin troppa frequenza, e decisioni non brillantissime ai piani alti segnano per sempre il destino di team meritevoli.
    Ubisoft ultimamente sta dimostrando una certa apertura mentale con le sue politiche aziendali, specialmente quando si tratta di lasciare una certa libertà creativa a team talentuosi, ma non è esente da cavolate a livello di marketing. La più eclatante è stata probabilmente quella legata a Rayman Legends, platform molto atteso e inizialmente annunciato come esclusiva WiiU, poi magicamente trasformatosi in un multipiattaforma e ritardato di parecchi mesi. Lo stesso team di sviluppo non è stato felice del delay, anche perché, stando alle dichiarazioni dei game designer, i ragazzi impegnati nel progetto si erano spaccati le ossa per rispettare le tempistiche imposte inizialmente, e si sono trovati con un gioco completo inspiegabilmente spostato più in là e vittima dell’inarrestabile odio internettiano dei fan Nintendo.  
    Da una parte la mossa non è sembrata furba nemmeno a noi, ma dall’altra una cosa va detta: c’è da essere contenti. Perché abbiamo provato a fondo Rayman Legends, e sarebbe stato uno spreco limitare tanto ben di dio a una sola console. 
    Se avete giocato a Rayman Origins il gameplay vi sarà molto familiare. Legends riutilizza praticamente lo stesso schema di controllo, recuperando tutti i personaggi già visti con qualche curiosa aggiunta (Rayman vestito come Ezio Auditore da Firenze ci ha fatto sorridere, tra i molti). Le meccaniche sono semplici: ogni protagonista è dotato di un salto sensibile alla durata dell’input e perfettamente calcolato per navigare al meglio le complesse mappe, della capacità di saltare di muro in muro, di uno scatto, di una planata e di una serie di attacchi fisici per eliminare i nemici. 
    E’ il level design a distinguere Legends da ogni altro platform, e persino dal suo predecessore. Pur non avendo provato un codice completo, nella nostra versione preview si potevano visitare a piacere gran parte dei mondi del gioco, ognuno dotato di una serie di livelli a tema estremamente originali. I primi sono risultati ovviamente i più basilari, anche perché pensati per introdurre le meccaniche e in generale più facilotti da completare rispetto al resto, ma una volta iniziate le scorribande per gli altri livelli sono comparse trovate spettacolari, capaci di mutare completamente l’esperienza di gioco.
    Non scherziamo, si va da locazioni in trasformazione continua con piattaforme mobili a zone subacquee, passando per livelli dove va sfruttata persino la fisica dei liquidi, o a boss fight esagerate da superare abusando al meglio dell’ambiente circostante. Particolarmente curiosi i livelli in cui è obbligatorio usare le abilità del simpatico moscone Murfy per avanzare, che su WiiU andava indirizzato tramite gamepad e ora si sposta invece automaticamente nella zona designata per permettere al giocatore di eseguire al volo le necessarie azioni contestuali. L’assenza di gamepad su Ps3 e Xbox360 ha portato certi livelli con Murfy a trasformarsi in zone da superare sfruttando i movimenti della mosca con il giusto tempismo, leggermente più ardui della variante per WiiU. E’ comunque un cambiamento marginale, e gli amanti della sfida saranno soddisfatti dalle numerose zone di difficoltà elevata disponibili, indipendentemente dalla console posseduta. 
    Oltre ai livelli succitati, ci hanno colpito molto positivamente anche i mondi “invasi”, che appaiono a fianco di certe zone una volta liberati un quantitativo sufficiente di Teensies. Queste locazioni vanno superate in un tempo prestabilito per ottenere una tra tre medaglie, e risultano estremamente problematiche nelle fasi avanzate, perché ricchissime di ostacoli. Sono parti di gioco basate quasi esclusivamente sulla memoria e sul ritmo dei salti, così come sul ritmo si basano gli stupefacenti livelli musicali del gioco, brevi ma suggestive mappe da attraversare a tempo di musica. Momenti davvero ispirati, che brillano ancor di più quando si considera che i temi utilizzati sono classici “rimaneggiati” come Eye of the Tiger, e che l’avanzamento del protagonista si sposa alla perfezione con i suoni in sottofondo. 
    Davanti a una tale diversificazione dei quadri sembra impossibile annoiarsi giocando a Rayman Legends, ed è un bene, anche perché parliamo di un titolo con un quantitativo smodato di contenuti, che vanta addirittura gran parte dei livelli di Origins tra le tante chicche disponibili. 
    I designer hanno fatto un lavoro stratosferico nello strutturare i livelli, ma gli artisti non sono stati da meno, creando un titolo dalla grafica 2D davvero magnifica. Rayman Legends è coloratissimo, e i suoi disegni animati si fondono alla perfezione con i rari elementi tridimensionali delle mappe e con gli effetti particellari dei liquidi e dei botti. Tutto è estremamente ispirato e folle, capace di stupire tanto per l’impatto visivo quanto per l’originalità.
    Come abbiamo già detto parlando dei contenuti, la longevità pare da record. Ci sono persino un Challenge Mode,e il “Rayman Soccer” che mette i giocatori l’uno contro l’altro in un campo da calcio improvvisato, dove l’obiettivo e fare più goal possibili colpendo una grossa palla galleggiante. Non mancano ovviamente numerosissimi costumi e personaggi da sbloccare a forza di Teensies liberati, e i soliti comodi riquadri per i perfezionisti che indicano esattamente quanti Lum ed esserini vi sono ancora da trovare in ogni singolo livello. 
    Insomma, questo gioco vi terrà impegnati ore, e ore, e ore, e ore. Davvero un lavoro notevole.

venerdì 19 luglio 2013

Strider

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Double Helix Games

  • Data uscita:Febbraio 2014

     

    Pensate a quanti anni sono passati dalla nascita dei videogiochi. Ora moltiplicate questi anni per un numero folle di titoli e proprietà intellettuali varie, e otterrete una galassia formata da personaggi più o meno leggendari, ambientazioni più o meno evocative e serie storiche pronte a tornare con la forza di un’eruzione vulcanica. Di recente le case hanno ravanato non poco in questo brodo primordiale di saghe classiche, uscendosene con reboot di ogni tipo, o semplici riedizioni hd per fare cassa. Capcom, in particolare, ha navigato per benino sulle onde dei suoi grandi giochi del passato, eppure ha sempre lasciato da parte uno dei marchi più adatti a un remake di un certo livello: Strider. Parliamo pur sempre di una sorta di super ninja futuristico, amato da moltissimi videogiocatori e tornato alla ribalta grazie alle sue molteplici apparizioni in crossover quali i Marvel vs Capcom. Una gallina dalle uova d’oro per un action game insomma. 
    Tutti si aspettavano un ritorno del prode Hiryu prima o poi, e infatti le previsioni si sono rivelate vere al Comic Con di quest’anno, con un bell’annuncio arricchito da un trailer di presentazione e da qualche minuto di gameplay. Il reveal, tuttavia, si è rivelato essere un po’ meno “epico”, di quanto si potesse desiderare. Vediamo perché.
    Chi si aspettava un remake totale, o magari una trasformazione in un action hack n’ slash in terza persona, è stato subito tappato dal primo trailer. E’ evidente che questo nuovo Strider non è altro che una sorta di riproposizione evoluta in finto 3D dell’originale, con visuale fissa a lato e gameplay basato su mappe bidimensionali. Come i vecchi Strider, in poche parole, un action platform ricco di nemici e proiettili da schivare, nobilitato da una mobilità notevole del protagonista e dal suo carisma. 
    La prima cosa che si nota è come l'agilità di Hiryu sia rimasta stellare, visto che il protagonista può ancora attaccarsi alle pareti e scalarle, eseguire salti doppi, e rapide scivolate a terra. Tante possibilità ben si sposerebbero con livelli alternativi ricchi di ostacoli, o persino qualche sezione stealth per spezzare il ritmo, ma per ora non ci è dato sapere se effettivamente saranno presenti nella campagna. Quel che è certo è che il livello mostrato era ricco di combattimenti e azione adrenalinica, e che il nemico è ancora una volta il pericolosissimo Grandmaster Meio, avversario storico della saga.
    Anche gli scontri sono simili al passato: Strider Hiryu dispone di una potentissima spada chiamata Cypher, in grado di fare a pezzi con facilità qualunque nemico base e di potenziarsi con dei power up sparsi per i livelli. La novità è rappresentata proprio dai potenziamenti, che sembra saranno permanenti o comunque selezionabili di missione in missione una volta ottenuti, dando al gioco una spruzzata di metroidvania che non può che fargli bene dopo tutti questi anni.
    Le mappe paiono essersi evolute allo stesso modo. La prima mostrata era infatti molto estesa, ricca di zone da esplorare e navigabile in vari modi. L’estensione maggiore delle locazioni e la presenza di potenziamenti da scoprire potrebbero aggiungere notevole varietà e longevità al gioco, distaccandolo dai ben più lineari predecessori.
    La dimostrazione visionata ci è sembrata veloce e divertente, ma qualche dubbio è rimasto. Gli impatti coi nemici non ci sono parsi particolarmente chiari, e i proiettili in particolare sono difficili da distinguere nel caos. Forse il cambiamento è dovuto anche alla maggior accessibilità del tutto, visto che la barra della vita di Hiryu si è dimostrata fin troppo resistente ai colpi, tolto un incontro con un potente miniboss della guardia d’elite di Meio. La battaglia con il succitato miniboss ci ha comunque permesso di notare il ritorno dei satelliti del protagonista, che gli donano per un periodo di tempo limitato la capacità di lanciare proiettili dalla distanza. Una volta sconfitta, la guardia ha persino garantito all’eroe una nuova abilità, un colpo caricato in grado di infliggere danni moltiplicati e necessario per avanzare.
    Lo stile grafico del gioco sembra strizzare l’occhio ai vecchi coin op della serie. Tutto si vede attraverso un filtro che ripropone le scan lines dei cabinati, mentre la grafica è fondamentalmente un remake completamente in 3D dei modelli visti nei predecessori, con Strider che ha mantenuto praticamente lo stesso aspetto del secondo capitolo. L’unico cambiamento è rappresentato dalla sciarpa del protagonista, ora non più composta da tessuto ma da plasma (regole della fisica, addio) e divenuta un elemento dell’interfaccia, visto che cambia colore per indicare l’attivazione di uno specifico power up. 
    Il gioco ci è sembrato piacevole da vedere, anche se forse ci aspettavamo di più a livello di dettaglio. L’unica cosa che gratta in modo non proprio piacevole sui nostri desideri è il nome del team di sviluppo, quei Double Helix che sembrano essere passati improvvisamente da “squadra di quarta categoria” a “software house affidabile”, dopo l’annuncio di Killer Instinct. Ci sarà da fidarsi? Noi speriamo con tutto il cuore di sì. Una cosa l’hanno dimostrata comunque: sanno sfruttare bene il fattore nostalgia. Infatti hanno chiuso la dimostrazione con un serpentone rosso facilmente riconoscibile per chi ha giocato il titolo originale…

The Mighty Quest For Epic Loot


  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Ubisoft Montreal

  • Data uscita:Gennaio 2014


    Preso in mano il titolo il tutto risulta assolutamente intuitivo. Il nostro castello completamente deserto è pronto per essere arredato al meglio e in pochi minuti, grazie al rapido tutorial, il giocatore possiede tutte le basi per muoversi in autonomia. La semplificazione nella costruzione delle strutture base è apprezzatissima, e ora il corridoio centrale avrà degli speciali alloggi prefissati per posizionare il fabbro, il portale di evocazione, l'alchimista e tutta una serie di costruzioni utili per sviluppare eroi e fortezza. Non è cambiato fortunatamente il sistema per il piazzamento dei mostri, sempre diviso ad aree e dotato di un valore prefissato per ogni zona che eviterà di ammassare le nostre amabili creaturine in un sol punto.
    Ogni esserino ha infatti un valore proprio, dal singolo punto per i minion più deboli fino ad arrivare alla ventina per i boss più grossi e pericolosi. Il giocatore dovrà a questo punto tentare di combinare tra loro questi valori per restare nel limite concesso dalle varie sale del castello e, al contempo, tentare di imbastire le difese nel migliore dei modi. Fanno eccezione le trappole, che invece potranno essere posizionate in numero ridotto ma senza limitazioni per quanto concerne il posizionamento.
    Un sistema che funziona e con il quale passerete diverse ore nel tentativo di rendere impenetrabile la vostra fortezza.
    Con l'aumentare dei livelli e la raccolta di oro ed energia vitale, le due valute principali di Mighty Quest for Epic Loot, potrete aggiungere stanze e, di conseguenza, anche aumentare il numero di creature presenti all'interno del vostro castello con una meccanica che vi porterà ad avere una quantità di servitori da tenere sotto controllo davvero incredibile.
    Tutto questo servirà semplicemente ad evitare agli altri giocatori di arrivare alla vostra stanza del tesoro e rubarvi i tanto faticati guadagni, o quantomeno una parte di essi. Per impedirlo avrete due modi: sperare che i vostri servi li uccidano o essere abbastanza astuti da creare un percorso talmente tortuoso da impedirgli di arrivare a destinazione entro il tempo limite. In caso di successo due gabbie gigantesche cadranno sui vostri forzieri, mettendoli al sicuro e facendovi tirare un sospiro di sollievo.
    Sarà possibile riposizionare a proprio piacimento i mostri una volta comprati, metterli nell'inventario o eliminarli del tutto. Questo torna particolarmente comodo per rivedere le difese, e i replay dei precedenti assalti vi consentiranno di studiare strategie sempre più complesse. Un sistema che abbiamo apprezzato davvero moltissimo.

    Non è solo la difesa ad essere importante, ma anzi, se il vostro interesse è quello di scalare le classifiche ed arrivare in prima posizione, dovrete farvi coraggio ed assaltare voi stessi i castelli nei paraggi. Esistono fondamentalmente due tipi di fortezze: quelle create dall'intelligenza artificiale, standard per tutti ed estremamente semplici da assaltare, e quelle degli altri giocatori, fucine delle peggiori trappole che si possano immaginare. Ogni avversario infatti tenterà nei modi più subdoli di uccidervi sfruttando ogni singolo trucchetto. Attualmente le creature che vanno per la maggiore sono i ciclopi, in grado di spingervi verso trappole o incastrarvi negli angoli, e dei maledettissimi esserini voodoo capaci di resuscitare i loro compagni caduti sotto forma di scheletri non morti, obbligandovi a perdere minuti preziosi per sterminare le ondate che vi verranno scagliate contro. Le ricompense per abbattere un castello ideato da un umano però sono molto più gustose e oltre a punti esperienza, oro ed energia vitale verrete ricompensati anche con speciali corone, che rappresentano in tutto e per tutto il vostro livello di abilità: attenti però a non morire o questi speciali gingilli andranno in fumo facendovi scendere in classifica.
    Tre le classi disponibili attualmente: l'arciere, il guerriero e il nuovissimo mago, introdotto giusto con la closed beta.
    L'arciere è la classe principe per quanto riguarda gli attacchi a distanza. Armato di balestre a ripetizione può con pochi colpi abbattere anche il nemico più potente e la capacità di utilizzare trappole per rallentare il nemico lo rende assolutamente pericoloso. Qualcosa però è cambiato nel bilanciamento in questi mesi e la sua strapotenza vista nell'evento di aprile è stata ridimensionata. Il problema principale si verifica quando i nemici attaccano in massa, dato che i colpi perforanti si possono veramente contare sulle dita di una mano e la mancanza completa di cure rende i combattimenti estremamente pericolosi. Ad accompagnarci e aiutarci nell'impresa avremo anche un'aquila capace di colpire i nemici, beccare più esseri in fila o da piazzare come sentinella in un punto preciso del castello, pronta ad attaccare con il suo stormo chiunque si avvicini.
    Purtroppo sarà possibile scegliere solo una di queste abilità, dato che condividono tutte e tre lo stesso cooldown.
    Il guerriero, dal canto suo, non ha lo stesso range dell'arciere, ma la pesante corazza lo rende un'instancabile sterminatore. Pochi i danni subiti, e grazie alle sfere energetiche lasciate cadere dai nemici trovarsi senza vita sarà realmente difficile, salvo nelle battaglie contro i boss.
    Interessantissime le sue abilità, che vanno dalla classica carica frontale alla possibilità di evocare fiamme sulla lama per causare più danno, aure magiche e stun di vario tipo, utilissimi per prendere fiato. Il suo equipaggiamento prevede, oltre ai classici spadoni a due mani, anche mazze, in grado di stunnare il nemico in maniera passiva, e lame più veloci per un rateo di attacco aumentato.

    La terza e ultima classe invece, quella del mago, è disponibile esclusivamente sotto pagamento, ma non risulta essere sbilanciata rispetto alle altre due. Indubbiamente uno dei punti di forza del mago è la capacità di risucchiare vita dagli avversari, potendo fare a meno così di pozioni e oggetti rigeneranti. Tuttavia i mostri più coriacei richiederanno tattiche ben più complesse e la necessità di coordinare adeguatamente le magie piroclastiche, tra le quali fireball e muri di fiamme, con fulmini e saette in grado di rimbalzare da un nemico all'altro. Ottima la selezione di staffe che in questo caso prevede sia proiettili che vanno il linea retta, sia colpi che vanno a bersagliare direttamente il mostro selezionato ignorando le creature ante stanti.

martedì 16 luglio 2013

Formula 1 2013

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Codemasters

  • Data uscita:Novembre 2013


    La presentazione è cominciata subito con la principale novità di F1 2013: i contenuti classici. La feature, che da molti anni gli sviluppatori desideravano inserire nel loro titolo, darà finalmente agli utenti la possibilità di affrontare gare al cardiopalma a bordo dei bolidi dei gloriosi anni 80 e 90, quando l’elettronica era al minimo e i riflessi di un pilota rappresentavano la sua unica protezione. Il gioco presenterà non solo delle macchine di quel periodo, ma una vera e propria serie di divertenti modalità dedicate, commentate dal leggendario commentatore Murray Walker. Non mancheranno ovviamente neppure piloti di quell’epoca, come Nigel Mansell o Gerhard Berger, oltre a effetti sonori dedicati e a quattro piste storiche aggiuntive.  
    Pure le auto del 2013 hanno però ricevuto dei ritocchi sensibili, basati sui dati reali e sulle prestazioni dei vari team. Come spiegato dagli sviluppatori, modifiche di questo tipo sono importantissime per gli appassionati, e uno degli obiettivi primari di Codemasters è riflettere al meglio lo sport nel loro videogioco. Interessante anche l’inserimento dei salvataggi mid-session, pensati per quei giocatori che non sempre possono dedicare 40 minuti o un’ora a una sessione. Ora anche giocatori meno dedicati potranno salvare in qualunque momento, e riprendere da lì la loro partita. 
    L’intelligenza artificiale, poi, non è stata dimenticata. Il team ha affermato di essere molto contento dei risultati ottenuti, e di aver creato un'IA ancor più responsiva, competitiva e realistica, senza rendere il gioco necessariamente più difficile per il giocatore medio. 
    Verso la fine si è parlato anche di grafica, visto che F1 2013 sarà ancora su current gen e utilizzerà lo stesso motore, ma è stato limato in moltissimi aspetti, tra cui illuminazione, gestione delle ombre, qualità delle texture e dettaglio generale. Gli effetti particellari in particolare ci hanno sorpeso.
    L’unica nota stonata? La chiusura, con la presentazione della “Classic Edition”, che conterrà tutti i contenuti classici oltre al titolo base. Già, avete capito subito, significa che vedremo nei negozi anche un’edizione standard, con contenuti tagliati al lancio. Le auto classiche ci saranno sempre, ma solo quelle degli anni 80 con 2 delle 4 piste in più. Si tratta di un'accettata contenutistica al day one, che verrà riproposta come DLC per gli acquirenti normali. E’ una cosa che ormai fanno gran parte degli sviluppatori, ma fatichiamo sempre a digerire. 

    L’esperienza è stata indubbiamente positiva: le macchine moderne si guidano magnificamente, sono velocissime, rispondono alla perfezione e offrono un’esperienza estremamente impegnativa con gli aiuti disattivati e il cambio manuale. Il gameplay è estremamente simile a quello dell’anno scorso, ma i comandi ci sono sembrati ancor più precisi, e il controllo durante eventuali slittate o perdite di aderenza maggiore.
    Passati alle macchine classiche, però, è stata tutta un’altra storia. Se con le auto moderne ce la siamo cavata discretamente, i bolidi degli anni 80 e 90 si sono rivelati estremamente brutali. Guidare una vecchia Williams è come cavalcare una belva feroce, il controllo è secco e graffiante, e si fa davvero fatica a tenere l’auto in strada ad alte velocità. La sensazione è profondamente diversa rispetto alle formula 1 attuali (specialmente se si usa un buon volante come quello che avevamo a disposizione), e dimostra un notevole impegno nel ricreare il modello di guida dei contenuti classici. 
    Dopo aver completato qualche giro, e mangiato più erba di quanto sia sensato fare, ci siamo lanciati in una serie di domande con gli sviluppatori, per chiarire qualche dubbio extra. Ecco cosa ci hanno risposto.

domenica 14 luglio 2013

Rise Of The Triad

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Interceptor Entertainment

  • Data uscita:31 luglio 2013

     

     I first-person shooter non sono più quelli di una volta. Basta voltarsi un attimo e dare un'occhiata alle produzioni della prima metà degli anni novanta per accorgersi che, a un certo punto, qualcosa è cambiato. Ora, questa non è la sede adatta a intraprendere lunghe digressioni sull'escalation degli sparatutto bellici o l'avvento del fotorealismo. Limitiamoci a dire che, ogni tanto, è bello riscoprire qualche perla del passato, soprattutto quando si tratta di titoli che, a loro tempo, erano considerati davvero fuori dal comune. L'esempio di turno si chiama Rise of the Triad, sparatutto in prima persona pubblicato originariamente nell'ormai giurassico 1994, che si distinse non solo per la presenza di un gran numero di nemici, abilità e armi, ma anche per una ricca e innovativa modalità multiplayer, capace di coinvolgere fino a undici giocatori in contemporanea.
    Ebbene, a circa diciotto anni di distanza dalla prima release, Rise of the Triad sta per tornare in una veste del tutto nuova, con un comparto grafico al passo coi tempi, ma soprattutto con la stessa azione frenetica e sopra le righe che ne fecero un masterpiece alla fine dello scorso millennio.Apogee Software ha affidato la licenza di Rise of the Triad a Interceptor Entertainment, casa di sviluppo che in occasione del reveal tenutosi al QuakeCon 2012 ha voluto mettere in chiaro quanto consideri importante l'eredità dello shooter in questione. Il realismo non è importante. Così come è marginale la presenza di una trama che tenga bene uniti i pezzi dell'esperienza di gioco. Tutto ciò che conta è il binomio violenza-velocità, condito occasionalmente con schizzi di sangue oltremisura ed esplosioni che farebbero morire d'invidia persino Michael Bay.
    I giocatori avranno ancora una volta la possibilità di scegliere tra cinque protagonisti differenti, tutti membri dell'High-Risk United Nations Taskforce, un gruppo di agenti d'elite che per il bene delle lingue di tutto il mondo si fa chiamare anche semplicemente "HUNT". Ogni personaggio vanterà stats differenti, per cui il momento della scelta non sarà guidato dal solo fattore estetico. Preferire Doug Wendt, ad esempio, significherà avere a dispozione più punti ferita rispetto a ogni altro character, sacrificando però il fattore la velocità. Taradino Cassat avrà invece valori medi per ogni parametro presente. E così via.

    In sostanza, sarà bene scegliere tenendo bene a mente lo stile di gioco che s'intende mettere in pratica. Anche perché nessuno ama trovarsi in difficoltà all'arrivo di monaci deviati con la passione per il saio e l'hobby di pianificare la distruzione di Los Angeles. Sì, è un incipit trito e ritrito, ma come vi avevamo preannunciato: la trama in questo caso non è il punto focale.
    Le nostre aspettative più grandi riguardano infatti il carattere (o meglio caratteraccio) tipico di Rise of the Triad. Per descrivere ciò di cui parliamo cominciamo dagli smembramenti: un colpo ben piazzato potrà letteralmente staccare di netto il braccio o la gamba dell'avversario di turno, dando vita a una sorta di fuoco d'artificio fatto di sangue e carne maciullata. Stessa identica cosa vale per le esplosioni, dannatamente pirotecniche e tanto fuori misura da giustificare, ancora una volta, una bella pioggia di arti svolazzanti su schermo. Una violenza inaudita che sarà possibile scatenare grazie al folle arsenale di armi ripescato con le pinze dall'originale titolo del 1994. Entreranno quindi in scena aggeggi che spaziano dal ragionevole "Heat Seeker", un lanciarazzi che insegue il nemico utilizzando un comune sensore termico, all'assolutamente epica "Excalibat", una mazza da baseball magica che, oltre a poter essere utilizzata in modo classico, è in grado di sparare palle da baseball infuocate e pronte a esplodere. Cosa innegabilmente fantastica.
    Il tutto assume un sapore ancora più interessante se ci si aggiunge un ritmo di gioco davvero molto veloce, dove per sopravvivere sarà spesso necessario muoversi ininterrottamente e saltare da una parte all'altra come forsennati. Non a caso faranno il loro bel ritorno anche i celebri jump pads, piattaforme che spareranno il giocatore in aria e tanto in alto da permettergli di raggiungere sporgenze altrimenti inarrivabili.
    Per quanto riguarda le modalità: il single-player sarà caratterizzato dalla presenza di venti livelli suddivisi in quattro episodi diversi, tutti conclusi da boss-battle uniche e, si spera, fedeli alla tradizione.
    Sul multiplayer, invece, le cose da svelare e precisare sono ancora un bel po'. Quello che sappiamo con certezza è che i match supporteranno sfide per un massimo di trentadue giocatori e che lo stile di gioco sarà, con ogni probabilità, ancora più frenetico di quello descritto per il single player. Pare inoltre che Interceptor Entertainment metterà a disposizione dei suoi giocatori un bel set di mod tools, così da permettere a chicchessia di prendere e tirare su un livello totalmente personalizzato. Arriveranno inoltre mappe e altri contenuti aggiuntivi post-lancio assolutamente gratuiti. O almeno, questo è quello che promette la software house.


    Il Rise of the Triad originale, quello degli anni novanta, era stato inizialmente concepito come seguito di Wolfenstein 3D e, non a caso, condivideva con quel gioco alcune scelte di design dettate dal celebre motore grafico firmato John Carmack. A quasi due decenni di distanza troviamo un titolo finalmente libero dai vincoli architettonici del passato: gli angoloni sono definitivamente spariti e le mappe sembrano essere piuttosto articolate in quanto a planimetria e struttura. Il titolo si avvale dell'Unreal Engine 3, motore grazie al quale è stato possibile far risplendere il monastero e tutte le ambientazioni del predecessore di una nuova, moderna, luce. Quello che abbiamo visto è però ancora troppo poco per giudicare il comparto tecnico, per cui vi toccherà aspettare l'analisi completa in sede di recensione.
    Concludiamo, però ,spezzando una lancia a favore della colonna sonora, che pare protendere verso composizioni miste di electro-rock e metal capaci di rendere adrenaliniche perfino le pulizie di Pasqua. Non sarà difficile farsi coinvolgere in una carneficina.

mercoledì 10 luglio 2013

Ride to Hell:Retribution

  • Genere:Guida arcade

  • Sviluppatore:Eutechnyx

  • Data uscita:28 Giugno 2013

     

    Partiamo dall’inizio. Ride to Hell Retribution è un gioco che ha avuto uno sviluppo travagliato: sparito dal sito del publisher nel 2008, è poi ricomparso magicamente negli ultimi mesi, pronto a spuntare nei negozi in periodo estivo. 
    Noi l’abbiamo preso in mano con aspettative bassine, più che altro perché è noto come sia difficile per un gioco riprendersi quando la sua creazione va incontro a continui tagli, rimandi e quant’altro. Quello che ci siamo trovati in mano ha però superato ogni nostra più nera aspettativa, ed è entrato di diritto nel negaolimpo popolato da giochi leggendari del calibro di Big Rigs, E.T. e Captain Bible. Qui si fa la storia signore e signori. La storia brutta. Ma brutta brutta.
    Per farsi un’idea precisa di cosa ci attende, basta guardare con attenzione i primi minuti di gioco. Una manciata di secondi che raccolgono tutto ciò che c’è di malvagio nel gaming odierno. QTE, sezioni di guida su binari, una sequenza con una torretta, e delle cutscene buttate dentro a muzzo che inizialmente paiono non avere senso. 
    Pochi di voi sopravvivranno all’impatto con questo agglomerato caustico di scene pessime, con in volto l’espressione di un tizio che ha appena visto apparire dal cielo la De Filippi, Totò Cutugno, e gli Street Sharks contemporaneamente. Eppure il lavoro di Eutechnyx non raggiunge il fondo qui, e riesce addirittura a peggiorare con virtuosismi che farebbero impallidire Ronaldo post-infortunio. 
    Impersonerete un rude motociclista di nome Jake, un veterano del Vietnam tornato a casa dal suo fratellino e dal vecchio zio dopo molti anni, pronto a riprendere la solita vita fatta di due ruote rombanti, giacche inutilmente intamarrite e birra a fiumi. Proprio a causa di una di quelle giacche intamarrite, tuttavia, il fratello del protagonista viene sgozzato per strada da una banda di criminali davanti a cui la Banda Bassotti pare un gruppo di geni del male. Già, in pratica questo sfavillante team di stereotipi razziali (si va dal redneck spinto alla caricatura dell’australiano) vede il fratellino di Jake con la sua giacca completamente sformata, si ricorda di aver preso botte dal padre di quest’ultimo, e decide di vendicarsi di cattiveria. Risultato? Jake si arrabbia e decide di ammazzare tutti quanti. Premessa pessima di suo insomma, coadiuvata da alcune tra le peggiori interpretazioni mai sentite in un videogame, che rendono qualunque scena involontariamente demenziale.
    L’effetto, per chi bazzica nel cinema di bassa lega, è simile a quello del film The Room di Tommy Wiseau. Inizialmente concepito come un’opera drammatica, il lungometraggio risultò talmente malfatto da essere divertente, al che Wiseau spacciò il tutto per una commedia dark e fece soldoni. Ecco, Ride to Hell ha un effetto simile: a tratti è talmente pessimo da portare chi lo gioca a ridere come un’idiota senza potersi trattenere. Ci sono scene così male animate e così senza senso, che vi ritroverete a rotolare sul pavimento per metà del tempo. La parte migliore? E’ tutto così assurdo da sembrare quasi voluto.
    Basterebbe questo a rendere il titolo unico nel suo genere, ma non abbiamo ancora trattato nel dettaglio il gameplay. Tenetevi forte.
    In pratica per metà del tempo Jake sarà a bordo del suo bolide, in lunghe fasi a ostacoli da superare accelerando o frenando. La “variazione” deriva dalla presenza di nemici eliminabili schiacciando più volte uno specifico tasto che vi si incollano addosso fino alla morte, da avversari da superare o da imprecise fasi di shooting. Dire che queste sezioni sono noiose è riduttivo, ma quelle alternative non sono da meno, visto che Jake si troverà anche a dover menare le mani contro innumerevoli scagnozzi nemici, in mappe lineari e davvero poco ispirate. Il sistema di combattimento scimmiotta quello degli Arkham, con attacchi leggeri, bordate pesanti per spezzare la guardia nemica, e la possibilità di eseguire delle contromosse. 
    Sulla carta tutto bene, peccato che l’IA nemica sia a dir poco inesistente, che qualunque avversario possa essere eliminato con una semplice combinazione chiusa da una testata spezza difesa, e che Jake disponga pure di una sorta di “modalità berserk” invincibile, durante la quale si infuria e fa partire un QTE che significa morte istantanea per l’avversario.  
    Le sparatorie sono pure peggio, con armi che risultano dannose solo se colpiscono alla testa, e molti scontri che si possono superare semplicemente correndo verso i nemici e mazzuolandoli per benino mentre questi ci crivellano di colpi. Volete vedere la differenza tra un combat system ben calcolato e una massa di meccaniche fuse a casaccio? Ride to Hell: Retribution sarà l’esempio negativo perfetto per farsi un’idea di come NON va programmato un videogame. 
    Fa abbastanza sorridere il tentativo degli sviluppatori di inserire un hub sotto forma di cittadina navigabile, con tanto di personalizzazione della moto, spacciatore a cui vendere la droga sparsa per i livelli, e venditore di armi, ma è inutile dire come anche questo extra sia a dir poco approssimativo. 

    E’ quando si passa al comparto tecnico, comunque, che si entra di diritto nel reame del grottesco. Il gioco sembra un prodotto di 10 anni fa... anzi, a pensarci bene avrebbe fatto probabilmente una magra figura anche allora. I modelli 3D sono scarsamente dettagliati, le animazioni indecenti, i caricamenti continui, le ambientazioni scarne e limitatissime, e le texture sfocate e orrende, sempre che decidano di caricare. Aggiungete a tanta bontà bug enormi, ragdoll impazzito dei nemici, e mappe che teletrasportano il giocatore quando questi esce dalle barriere invisibili da cui queste sono delimitate, condite infine con una spruzzata di tearing in ogni santissima scena, e otterrete qualcosa di indescrivibile.

giovedì 4 luglio 2013

The Walking Dead 400 Days



  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Telltale Games

  • Data uscita:3 luglio 2013

     

    Dopo una prima serie in grado di riscuotere un successo mondiale, accaparrandosi plausi da critica e pubblico, Telltale Games torna sui nostri schermi con 400 Days, un sesto capitolo che farà da anello di congiunzione tra la prima e la seconda serie di The Walking Dead ed è anche per questo che per giocarlo sarà necessario possedere la prima stagione. Telltale ha saputo rinnovare le avventure grafiche, lasciando al giocatore la sensazione di poter plasmare la storia di Clementine e Lee a proprio piacimento, attraverso scelte fondamentali e con una narrazione in grado di rapire e conquistare chiunque ci sia entrato in contatto. Le aspettative per la Season Two quindi sono altissime, sarà riuscito questo primo assaggio a rapirci come i capitoli precedenti?

    400 Days ha pochissimi punti di contatto con la storia di Lee e Clem. Non mancano ovviamente piccoli riferimenti sparsi qua e là per i giocatori più attenti e il ritorno ad alcune vecchie location, ma si tratta comunque di piccoli easter egg e nulla più, sebbene sia possibile proseguire sul file di salvataggio della prima stagione.
    Questo capitolo abbandona infatti tutti i vecchi personaggi e lascia inalterato il finale, donando al giocatore cinque storie nuove di pacca con altrettanti protagonisti inediti.
    Ambientato nei pressi di una pompa di benzina della Georgia, 400 days ha l'unico scopo di introdurre gli individui che impareremo ad amare o odiare nella season 2. E in questo Telltale Games è davvero maestra. Sebbene infatti il titolo tenga impegnati solo per un'ora e mezza, questo basta a imprimere a fuoco nella mente i nuovi volti, far appassionare alle vicende e a far nascere in pochissimo tempo simpatie o odio verso le persone che incroceranno la vostra strada.
    Tra i cinque personaggi principali spiccano sicuramente Vince, un galeotto accusato di omicidio, e Shel, una ragazza che si trova a dover proteggere Becca, una giovane bambina inizialmente timorosa ma in grado di tirare fuori una personalità davvero unica.
    Ci siamo affezionati a loro perché nel loro legame abbiamo rivisto quello nato tra Clem e Lee, con lo stesso desiderio di protezione e un'insana voglia di scendere a qualsiasi compromesso pur di continuare a sopravvivere nella maniera più sicura possibile. Il rischio di avere una storia clone della prima stagione tuttavia non si palesa, dapprima perché Becca è più grande rispetto a Clem e, soprattutto, perché già da questi primi minuti di gioco ci è sembrata molto meno ingenua e indifesa di quello che vuol far credere. Sicuramente ci saranno risvolti interessanti.

    Porte che si aprono e domande che attendono una risposta, ecco quanto c'è di interessante in 400 Days. Sono tantissime infatti le situazioni appena accennate, gettate sul fuoco e lasciate bollire nelle menti dei videogiocatori.
    Le cinque trame si intrecciano tra loro in momenti temporali differenti, magari solo per pochi istanti, aprendo dubbi e curiosità su che fine possa aver fatto un personaggio o come un legame che sembrava fortissimo possa essersi interrotto così bruscamente.
    Difficile unire tutti i puntini di questo prequel, ma quel che è certo è che i giocatori si troveranno davvero sommersi dalle emozioni nella nuova stagione.
    Dal canto nostro Bonnie e Wyatt si sono già fatti odiare a sufficienza, mentre il giovane Russel non l'abbiamo ancora inquadrato bene. Ci ha lasciato l'impressione di essere il classico ragazzino spocchioso e stupido anche se, e qui è bene sottolinearlo, alcuni suoi atteggiamenti lasciano intravedere un animo buono e impaurito, molto più interessante sotto questo punto di vista di quel folle del suo compagno.
    Preferiamo non addentrarci ulteriormente nella storia per evitare qualsiasi spoiler, assicurandovi però che quanto proposto in questa ora e mezza di gioco vi farà riflettere.
    Pochissime, se non nulle le novità in termini di gameplay: ci troveremo a dover fuggire in un bosco, in una scena a dire il vero non riuscitissima, e a nasconderci in un campo di grano in una sorta di mini gioco stealth estremamente semplice. Si sente la mancanza di qualche enigma complesso e alcuni QTE ci hanno dato una forte sensazione di Deja vù, ma aspettarsi di più da questo capitolo intermedio era forse volere un po' troppo. Quel che è sicuro è che la nuova stagione tenterà di stupirci nuovamente con una trama incredibile, ma vogliamo qualche evoluzione anche nel gameplay, qualche tocco originale che possa far svettare nuovamente il prodotto in cima alle classifiche di preferenza.Un dollaro a storia, questo è il prezzo che dovrete pagare per poter godere del prologo alla Season 2 di The Walking Dead, a meno che non siate stati così scaltri da acquistare la versione completa direttamente dal sito Telltale, nel qual caso questo contenuto aggiuntivo sarà offerto in maniera del tutto gratuita.

Rogue Legacy

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Cellar Door Games

  • Data uscita:27 giugno 2013

     

    Vi ricordate grandi classici come i primi Castlevania, Ninja Gaiden su NES o il primo Metroid? Il loro livello di difficoltà ai tempi sembrava naturale, nonostante si trattasse di titoli tutt’altro che permissivi, e capaci di divenire spaventosamente frustranti a forza di lanciare vagonate di nemici e ostacoli fastidiosissimi contro al giocatore. Ripresi in mano ora, probabilmente questi leggendari giochi sarebbero in grado di portare più di un uomo alla calvizie da capelli strappati, forse anche a causa della tendenza sempre più diffusa degli sviluppatori di rendere le loro opere accessibili a tutti e guidate dall’inizio alla fine, che ha rammollito un’intera generazione di gamer. C’è tuttavia qualche software house che ogni tanto si discosta dalla massa, e decide di creare un videogame che non solo si rifà al passato, ma riprende il cattivissimo livello di sfida dei grandi nomi che hanno popolato gli antichi cabinati e i televisori Mivar. 
    Rogue Legacy è esattamente questo, un titolo che si ispira a un tempo ormai lontano, ma innova la formula con un paio di brillanti trovate legate alla… genetica. Vediamo come.
    Rogue Legacy deve molto ai Castlevania. E’ a tutti gli effetti un hack n’slash platformer bidimensionale, dove le azioni disponibili sono molto limitate, e i nemici numerosi ed estremamente aggressivi. Il proprio personaggio è inizialmente il figlio di un misterioso cavaliere, la cui famiglia è per ragioni oscure legata a doppio filo a un enorme castello che sembra avere il potere di cambiare forma con il tempo. Compito del giocatore sarà scoprire tutti i segreti del castello, e aprire un'enorme porta dorata sconfiggendo dei boss nascosti in sezioni della roccaforte di difficoltà variabile. 
    Tutto nella norma insomma, e nella norma è anche il nostro eroe, che pare inizialmente solo in grado di sferrare fendenti con la spada, usare magie offensive variabili e saltellare allegramente. Si scopre però molto presto che Rogue Legacy non si riduce a una manciata di meccaniche contornate da una piacevole grafica retro style. Il lavoro dei Cellar Door Games è infatti una sorta di rogue-like, dove la morte è permanente e ad ogni protagonista mandato all’altro mondo si vestono i panni di un suo successore. Non si tratta di uno di quei titoli dove la dipartita può essere evitata con un salvataggio caricato al momento giusto, o ha un significato limitato: qui tutto si basa sul decesso dei propri guerrieri, che permette fondamentalmente a tutte le generazioni successive di migliorarsi. 
    Lo sviluppo dei vari personaggi infatti è costante e l’equipaggiamento si tramanda di eroe in eroe, così come permanenti restano i potenziamenti alle caratteristiche, ottenuti spendendo l’oro sparso per il castello e droppato dai nemici uccisi in un comodo menu a forma di maniero. Inizialmente si muore quasi a raffica, ma dopo qualche partita decente il nostro alter ego diverrà abbastanza poderoso da facilitarci la vita nelle prime fasi, una caratteristica poi necessaria per affrontare a dovere le sezioni avanzate del castello, che corrispondono a balzi notevoli nel livello di sfida.
    La cosa più curiosa non sono ad ogni modo gli elementi gdr, ma le caratteristiche congenite dei vari eroi. Ad ogni morte potrete scegliere uno tra tre successori, ognuno dotato di specifiche peculiarità, e non sempre positive. La scelta è randomica, e potreste facilmente trovarvi con un eroe miope, pelato, incapace di contenere le flatulenze, malato di mente o chissà cos’altro. Difetti e qualità vengono inseriti in modo molto semplice nel gameplay: eroi con problemi di vista vedranno sfocato a una certa distanza o in bianco e nero, malattie mentali potrebbero portarvi a vedere nemici illusori, un protagonista affetto da Alzheimer non si ricorderà la mappa, e così via. Ci saranno però anche caratteristiche neutrali, come l’essere gay, che non influenza minimamente le capacità del protagonista, o addirittura positive, come l’ADHD, che vi restituirà punti magia distruggendo oggetti. 
    Queste trovate sono spesso simpatiche e ben implementate, anche se all’inizio sceglierete eroi affetti da gravi problemi quasi solo per scoprire come questi vengono rappresentati in game, e una volta soddisfatta la vostra curiosità eliminerete dalla lista i difetti più gravi per utilizzare solo i successori più “fortunati”. 
    Ciò che distingue davvero Rogue Legacy è proprio il succitato sistema di sviluppo, che si evolve ben presto in un complesso albero di classi alternative e abilità, a cui vengono appaiati degli utili venditori all’esterno del maniero. Le classi sono più di otto, da sbloccare mano a mano, e nonostante non siano bilanciate alla perfezione offrono stili di gioco sensibilmente differenti. Volete un tank estremamente resistente ma non eccezionale in attacco? I barbari fanno per voi. Un amante dell’assalto diretto punterà invece sui ninja, mentre i giocatori più tattici cercheranno i minatori per ottenere più denaro, o i Lich che aumentano gradualmente di potenza ad ogni uccisione. Se a tutta questa varietà aggiungete la possibilità di potenziare ogni classe, in modo da ottenere abilità passive o attive extra, vi renderete presto conto di come Rogue Legacy sia in realtà un titolo profondo e rifinito, nonostante la semplicità di base.
    Parlando dei venditori, questi permetteranno di ottenere non solo armature e spade extra, ma persino abilità di movimento, grazie a rune incantate trovate nei forzieri che vi garantiranno doppi o tripli salti, scatti istantanei, o di recuperare punti vita a ogni kill. In particolare, per chi desidera sconfiggere boss molto impegnativi o avanzare costantemente nella mappa del castello, tornerà utile l’architetto, capace di bloccare il mutamento della fortezza e di mantenere invariate le sue stanze. 
    Esatto, "mutamento". Perché, come abbiamo detto all’inizio, il castello di Rogue Legacy è un luogo mistico che ad ogni avventura cambia layout. Bloccarlo con l’architetto vi porterà a guadagnare meno denaro, mentre esplorarlo ancora da zero vi permetterà di ottenere qualche moneta in più, seppur con il rischio di trovare brutte sorprese in qualche stanza.
    E' incredibile come Rogue Legacy riesca a stupire di continuo il giocatore. La mappa randomizzata del castello riesce sempre a offrire qualche sorpresa, e ad ogni partita potreste trovare easter eggs che descrivono i primi lavori degli sviluppatori, miniboss nascosti, fastidiosi elfi, e persino un clown che vi offrirà denaro una volta superate delle prove di abilità. Se c'è una cosa criticabile, è solo la varietà dei nemici, che seppur estremamente variegati risultano spesso semplici versioni pompate e ingrandite di mostri già visti nelle ale iniziali della roccaforte.
    Anche i controlli hanno qualche singhiozzo, specialmente quando si deve colpire verso il basso, con una mossa che ricorda non poco l'utilizzo del pogo stick di Ducktales. Spesso la precisione del colpo lascia a desiderare con la configurazione di tasti iniziale, e può creare problemi in stanze piene di piattaforme attivabili, o mobili su cui saltare per evitare nemici sottostanti. Per eliminare quasi del tutto il problema, fortunatamente, basta attivare un'opzione per sferrare quell'attacco solo cliccando verso il basso in volo. 
    La responsività aumentata non diminuirà la comunque altissima difficoltà del gioco, ma almeno vi permetterà di sopravvivere un pochino più a lungo. 
    Tecnicamente non abbiamo critiche di sorta da fare. Rogue Legacy ha stile, è pulito, colorato e piacevole, oltre a vantare musichette di sottofondo riuscite. La longevità è molto variabile, e un giocatore estremamente allenato potrebbe finire tutto in una manciata di ore. Non vi consigliamo comunque di farlo, sarebbe un peccato. Le cose da scoprire sono tantissime, e il titolo dei Cellar Door Games merita di essere assaporato lentamente, specie se nell'ultimo periodo sentite la mancanza di un po' di sfida. 

     

mercoledì 3 luglio 2013

TrackMania 2:Stadium

  • Genere:Arcade Guida

  • Sviluppatore:Nadeo

  • Data uscita:2 Agosto 2013

     

     Sessantacinque tracciati per il single player, un editor che consente di crearne infiniti e una modalità multiplayer online strapiena dei più folli architetti che abbiate mai conosciuto. Le ragioni di Nadeo appaiono validissime, soprattutto se si considera il prezzo di TrackMania 2: Stadium, e dunque ci sono buone possibilità che l'operazione di rinnovamento vada in porto, ovvero che i tantissimi appassionati di TrackMania Nations abbandonino l'ormai vetusto episodio per abbracciare una modernità fatta di tante piccole cose, non solo relative al comparto tecnico. Come un tuono 
    Ma andiamo con ordine. Abbiamo provato il gioco durante la fase beta e ha suscitato in noi delle belle sensazioni, riproponendo quelli che sono da sempre i punti di forza della serie, ovvero un gameplay da una parte incredibilmente semplice e immediato, dall'altra frenetico e impegnativo, laddove i requisiti per sbloccare il livello successivo implichino una perfetta conoscenza della pista, delle sue curve, dei punti in cui si può andare a tutto gas e di quelli in cui invece bisogna mollare il pedale, dei salti spettacolari e dei temibili giri della morte. La progressione è evidente nel corso della campagna in single player, divisa in "tornei" di diverso colore che alzano man mano l'asticella e ci chiedono di ottenere prima medaglie di bronzo, poi d'argento e infine d'oro per poter proseguire nella nostra scalata verso il successo. E la chiave è tutta lì: nel tornante che hai affrontato sul filo della collisione con una barriera, nel salto con la vettura perfettamente allineata al tracciato, nella traiettoria che ti consente di mangiare ancora un paio di decimi prima di tagliare il traguardo. TrackMania, insomma.
    L'azione di TrackMania 2: Stadium è basica ma terribilmente solida. Che si giochi con il controller o con la tastiera, il risultato non cambia, il coinvolgimento è il medesimo e i tracciati, veri protagonisti della produzione Nadeo, sanno regalare grandi emozioni. Gli sviluppatori hanno giocato con tornanti, dossi, rampe e tre differenti tipi di superfici: l'asfalto classico, che garantisce grip e velocità; lo sterrato, molto divertente grazie alla guida in derapata; l'erba, una variante a tratti imprevedibile. Come un tuono Queste soluzioni si alternano in modo graduale durante la campagna in single player, che si fa via via più complessa e continua a metterci alla prova, presentandoci ora un tracciato con sezioni difficili da interpretare, ora un salto da effettuare alla velocità giusta pena lo schianto. È tutto dannatamente "vecchia scuola": ci si butta in pista e si prende confidenza con le insidie che hanno preparato per noi, con la possibilità di resettare lo "stint" in ogni momento grazie alla pressione di un tasto, ricominciando da qualche metro prima di un errore oppure da capo. In alcuni tratti addirittura la vettura può "spegnersi" e bisogna procedere per inerzia per alcuni istanti, mentre attraversare i temibili giri della morte si traduce automaticamente nel passaggio alla visuale in prima persona. E cadessimo? Anche quella sensazione la vivremmo da protagonisti. Insomma, i ragazzi di Nadeo si sono effettivamente sbizzarriti con le sperimentazioni, del resto l'eredità dell'originale Stadium non è facile da sopportare ed è dunque chiaro che servivano degli sforzi extra. Va inquadrato nel medesimo discorso il potente editor integrato, che ci permette di creare la pista dei nostri sogni oppure una vera e propria "trappola" in cui attirare ignari utenti. Da questo punto di vista le cose non sono cambiate rispetto alla nostra prova precedente: le potenzialità ci sono tutte e l'interfaccia è abbastanza semplice, ma in alcuni frangenti gli strumenti andrebbero migliorati.Giocato da soli, TrackMania 2: Stadium può durare una manciata di ore oppure molto di più, a seconda della vostra abilità e dell'esperienza con i meccanismi della serie, che fondamentalmente sono sempre quelli. Come detto, è stato fatto un ottimo lavoro in termini di progressione e l'unico limite della campagna sta forse nella mancanza di una struttura un minimo articolata, difetto che viene ingigantito da un'interfaccia grafica che proprio non ci ha convinto e che definiremmo quasi "amatoriale". Come un tuono Ad ogni modo, messe da parte le sfide solitarie è possibile confrontarsi con il comparto online e con le sue immancabili sorprese. Una di queste è abbastanza amara: durante la beta ci era sembrato che gli utenti e i relativi server fossero molto più numerosi, ma potremmo sbagliarci o magari aver beccato giornate "fiacche". La scelta ad ogni modo non manca, e bastano pochi secondi per selezionare una partita preesistente o crearne una personalizzata. Una volta in pista, molto spesso si sbatte contro architetture letteralmente malate, ad esempio una gara che comincia con un tornante stretto e che magari, dopo pochi metri, ci costringe a spiccare salti possibili solo con un'adeguata rincorsa. Sono ancora piuttosto numerosi i fenomeni dovuti al lag, con vetture che scompaiono oppure scattano vistosamente sullo schermo. Come al solito, far parte di una nutrita compagnia di appassionati può metterci al riparo da qualsiasi inconveniente e regalarci serate all'insegna del divertimento, quindi si tratta di un fattore da tenere in debita considerazione. Veniamo quindi alla realizzazione tecnica e cominciamo subito col dire che le meraviglie viste in TrackMania 2: Canyon sono un'altra cosa rispetto a Stadium, molto più semplice e "spoglio", dunque meno impressionante in termini di impatto visivo. Intendiamoci: i passi in avanti rispetto all'episodio del 2006 sono sostanziali e si vedono tutti, la fluidità è alta anche su configurazioni non al top e si è giocato in modo interessante con luci e ombre, anche a supporto del gameplay, ma il risultato finale rientra semplicemente nella norma rispetto a ciò a cui ormai i possessori di PC sono abituati nell'ambito dei giochi di guida.