Ethero

mercoledì 30 settembre 2015

Raimbow Six Siege

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:1 dicembre 2015

     

     

    Rainbow Six Siege è uno dei videogame più attesi e controversi degli ultimi anni. Da una parte ci sono i fan storici della saga, che lo vedono come una mutazione snaturata della serie derivante dalle nuove tendenze del gaming, dall'altra ci sono quelli che al marchio non sono poi così attaccati o accettano un suo eventuale cambiamento, che sono esaltati come granate senza sicura per le possibilità offerte dal titolo. La recente conferma che non ci sarà una campagna ha infastidito anche noi della redazione, lo precisiamo, ma dopo averlo giocato durante svariati eventi preview e la recente beta, riteniamo sia un crimine non avere aspettative per l'ultimo shooter made in Ubisoft. Rainbow Six Siege dopotutto è una vera bomba.
    La beta chiusa che abbiamo recentemente provato contiene due nuove mappe, Hereford e Consolato, che dimostrano la stessa cura per il dettaglio vista in Plane e House. Le modalità coinvolte stavolta sono Secure Area e Bomb, con la prima che è a tutti gli effetti un deathmatch hardcore senza respawn e la seconda che sostituisce l'ostaggio con una bomba, disattivabile grazie a un comodo defuser casualmente affidato a uno degli agenti, abbandonabile a terra a piacere (non sembra inoltre creare problemi di movimento di alcun tipo). 
    Il gameplay è sempre quello che già abbiamo imparato ad amare: kill time praticamente nullo, si crepa con un paio di proiettili ben piazzati, ma obbligo costante di analizzare la mappa e studiare possibili piani d'azione, visto che in ogni mappa la distruttibilità offre dozzine di punti d'entrata e posizioni vantaggiose per l'assalto. Si parte con un'esplorazione della mappa tramite droni se si fa parte del team degli attaccanti, o con una fase di fortificazione nei panni dei terroristi. Una volta finito il minuto di preparazione si comincia, e la partita finisce quando si mette al sicuro l'obiettivo o una delle due squadre viene del tutto eliminata.
    Il bello è che non c'è una partita simile all'altra, tante sono le possibilità offerte. 
    Cominciamo dalle classi, ora più numerose e ricche di abilità. Lo Sledge con il suo martello in grado di tirar giù muri e lo Smoke con le sue granate fumogene sono sempre efficaci, ma noi abbiamo in particolare apprezzato il Fuse, capace di scatenare l'inferno con granate che trapassano le pareti, e l'IQ, dotato di un sensore che trova i dispositivi elettronici e ha per l'attacco una funzione simile (seppur più limitata) a quella dell'utilissimo Pulse e del suo rilevatore di battiti cardiaci.
    Le classi vanno sbloccate con una valuta interna del gioco, rapidamente ottenibile a forza di partite o guardando i tutorial di base. È bello notare come ci siano già stati secchi ribilanciamenti alle abilità, visto che il Pulse ci mette molto più tempo ad usare il suo sensore, e la velocità generale sembra diminuita rispetto alle prove iniziali. Certo, non siamo ancora davanti a una situazione perfetta, ma non è il caso di preoccuparsi. Son pur sempre una masnada di specializzazioni da equilibrare, e ci vorrà del tempo prima di ottenere un risultato impeccabile.
    Ma torniamo alla varietà di situazioni, vera forza del gioco Ubisoft. La distruttibilità totale delle pareti in cartongesso e parziale di quelle in cemento offre vantaggi enormi a chi ha l'intelligenza necessaria per creare dal nulla delle aperture utili. Durante la beta abbiamo visto numeri acrobatici degni del miglior film d'azione hollywoodiano: guerrieri addestrati che distraevano i nemici con una carica esplosiva e li eliminavano appesi al muro dalle finestre, squadre che attaccavano da tre lati e venivano comunque eliminate grazie a una pedina “sacrificabile” particolarmente rumorosa, uccisioni improvvise per non aver tenuto d'occhio le aperture del tetto, combinazioni di esplosivi capaci di pulire del tutto uno stanza e altre meraviglie. Una tale pletora di strategie è impossibile per qualunque altro shooter e rende esaltante ogni partita, specialmente se unita alla velocità dei round, calcolata abbastanza bene da non frustrare il giocatore anche in caso di morte quasi immediata. 
    Il titolo è chiaramente più godibile in team, se lo si affronta comunicando con i compagni e dando vita a tattiche complesse. Agli sviluppatori però è riuscito l'incredibile, perché Rainbow Six Siege riesce a divertire anche il giocatore solitario, che può sbizzarrirsi se affronta le situazioni con calma. Ovvio, non è un gioco per Rambo mancati. Correre senza un perché in un'area aperta o ignorare i rumori per fare una strage porta di solito a una morte ridicola e velocissima. 
    Persino il sostituto del singleplayer, la modalità Terrorist Hunt, ha valore. Si tratta di una sfida co-op contro numerosi terroristi controllati dall'IA e sparsi per le mappe del gioco. Anche alla massima difficoltà i terroristi non sono paragonabili agli avversari umani, ma il numero sopperisce in parte alle loro mancanze, rendendoli comunque un pericolo da non sottovalutare. Non è certo paragonabile a un gruppo di missioni accuratamente costruite, ma è una valida alternativa alle brutali sfide online. 
    Buono infine il comparto tecnico, con il gioco che presenta ancora qualche bug ma è stato comunque ripulito alla grande rispetto alla alpha, e un motore piacevole e piuttosto leggero, in grado di gestire egregiamente la distruttibilità sopracitata. Siege dà l'impressione di essere un progetto davvero curato e ricco di passione, non c'è che dire. L'unico neo è in effetti rappresentato dalla stabilità dei server su console, che hanno dato qualche problema agli utenti PS4 in particolare durante il matchmaking.

Wrc 5

  • Piattaforme:PC, Xbox One

  • Genere:Simulazione guida

  • Data uscita:16 Ottobre 2015

     

     

    Una cosa accomuna ormai da tempo gli amanti del rally nel mondo dei videogiochi. La delusione. È un bel po’ che un titolo con le licenze ufficiali non riesce a donare le emozioni dei primi ed eccitanti capolavori del genere, e le case di sviluppo “massicce” sembrano concentrarsi sempre di più sui giochi di corse arcade, più accessibili e facili da vendere dei corsistici dedicati a queste spericolate gare fuori strada al limite dell’umano.
    La serie WRC ha placato brevemente la fame di sterrato dei fan, ma si tratta di un pasto davvero troppo ridotto e blando per soddisfare i palati più esigenti. Quest’anno, non bastasse, la patata bollente è passata in mano a BigBen Interactive, un nome che ben poca fiducia scatena tra gli appassionati. Noi siamo andati a provare WRC 5 da Ubisoft, per via di un accordo tra il colosso francese e BigBen. C’è da aspettarsi un disastro? Stando alla nostra prova no, ma un pasto completo si fa ancora fatica a vederlo all’orizzonte.
    Il nostro test di un paio d’ore è iniziato nel più classico dei modi: con delle prove di guida per farci prendere la mano con il sistema. La guidabilità delle auto, come tipico in titoli non simulativi al 100%, è scalabile e permette di attivare vari aiuti che facilitano enormemente la vita all’utente. Gli sviluppatori di Kylotonn Games, tuttavia, non hanno optato per una facilitazione estrema, costringendo anche chi naviga bellamente cullato dal cambio automatico e dallo sterzo agevolato a dosare per bene la frenata nelle curve più ostiche, pena una netta perdita di velocità o un sovrasterzo pericoloso. Certo, affrontando le meccaniche di petto mantenere il bolide in strada si fa enormemente più difficile, ma almeno abbiamo avuto la dimostrazione che il sistema ha delle peculiarità anche se se ne scalfisce solo la superficie. 
    Le debolezze però, ahinoi, non mancano. La pesantezza delle automobili pare mancare quasi del tutto e queste curvano quasi fluttuando, senza rendere in alcun modo la durezza delle curve nel fango o la furiosa ripresa dei motori. Anche le condizioni atmosferiche non influenzano enormemente la situazione e, nonostante la neve possa provocare problemi quando si sbaglia una manovra, i mezzi sembrano poter gestire il ghiaccio come se fosse comune asfalto. Difficile infine valutare la differenza di risposta tra le varie automobili al momento, ma per quel poco che abbiam giocato la diversificazione è parsa alquanto marginale.
    Una serie di peccati derivanti probabilmente dall’inesperienza, ma perlomeno il titolo riesce ad essere divertente, grazie a un buon sistema di danni e a una struttura assodata ma funzionale. La modalità primaria del progetto sembra infatti essere la carriera, una lunga serie di corse dove il proprio alter ego inizia dai team minori e si fa lentamente strada tra le grandi squadre. Non abbiamo per ovvie ragioni potuto affrontarla in toto, ma pone l'utente di fronte a una serie di gare ufficiali, con tappe che si susseguono senza sosta e poche soste al motorbox per le riparazioni. Sfidare la sorte prendendo le curve come se fossero gli angoli di un flipper è dunque impossibile: l'auto si degenera gradualmente ad ogni piccolo urto, e la differenza inizia ad essere davvero marcata quando lo stato dei freni e dello sterzo si fa grave. Esagerate con la spericolatezza e vi ritroverete un cassone inguidabile tra le mani, dalla velocità limitata. Non esattamente il modo migliore di guadagnare secondi e posizioni di tappa in tappa. 
    Certo, non è nulla di nuovo o rivoluzionario, ma funziona anche stavolta. Chi sperava in una arguta avventura ricca di sfaccettature, ribaltamenti di carriera ed eventi esaltanti dovrà però far calare parecchio le aspettative. 
    Questo, in parole povere, non è un titolo che punta ad essere indimenticabile o a settare nuovi standard. Lo si nota chiaramente anche dal comparto tecnico, tutt'altro che sfavillante. Il pop in degli elementi lontani è evidente, la qualità delle texture lascia un tantinello a desiderare, e il numero di poligoni delle macchine non le rende certo ultra realistiche. Piuttosto strane pure certe soluzioni per evitare secchi tagli di certi tornanti, con veri e propri "teletrasporti" dell'auto a centro pista invece di un semplice danno legato alla manovra dissennata.
    Nel codice preview poi il frame rate ci è sembrato abbastanza ballerino, con alcuni cali abbastanza evidenti causati dagli effetti particellari. Niente di grave, sia chiaro, ma non siamo davanti a un equivalente grafico di Forza o a Driveclub, quindi la performance ballerina stranisce non poco.
    Interessanti e impegnative invece le prove di guida che fungono da tutorial, anche se l'obbligo di mantenere una traiettoria perfetta in ogni momento le rende spesso più ardue delle competizioni stesse, e curiosa la scelta di introdurre nel gioco un rewind legato ai singoli checkpoint, più sensato in un titolo dedicato al rally rispetto al classico riavvolgimento del tempo. 

martedì 29 settembre 2015

Soma


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Frictional Games

  • Data uscita:22 settembre 2015

     

     

    Pathos 2, la grande stazione di ricerca subacquea dove è ambientato quasi interamente SOMA, è senza dubbio la cosa migliore di questo survival fanta-horror ad opera di Frictional Games, il team svedese a cui dobbiamo alcuni dei titoli horror più amati dai fan del genere come i tre capitoli di Penumbra e i due di Amnesia. A Pathos 2 si è consumata una tragedia di cui sono rimaste molte tracce e si tratta di un’ambientazione perfetta se vi siete già deliziati della Sevastopol di Alien: Isolation o della Ishimura di Dead Space. Laboratori scientifici, corridoi, stanze di decompressione, magazzini, sale macchine e condotti di areazione ma soprattutto lunghi passaggi direttamente sul fondo del mare, che equivalgono bene o male a quelle sezioni a gravità zero di tanti titoli fanta-horror odierni. Esplorare Pathos 2 con i suoi rumori, le sue luci traballanti, i suoi cadaveri e la sua architettura “cyborg” vale già di per sé il prezzo del biglietto (28 euro su Steam), e forse qualcosa di più se avete adorato i primi due BioShock e se la formula “a nascondino” di Outlast e Amnesia non vi è mai stata stretta.
    Anche in SOMA infatti il nostro alter ego Simon non può combattere. Non che manchino le armi o gli oggetti contundenti da raccogliere, ma lo scontro con le creature che popolano Pathos 2 non è contemplato e così, quando finiamo di fronte a questi ibridi tra uomo e macchina, è meglio non farsi vedere e se proprio siamo individuati la cosa migliore da fare è correre o nascondersi. Almeno in Alien: Isolation si poteva spaventare lo xenomorfo con il fuoco e far fuori in qualche modo gli androidi, ma in SOMA c’è solo spazio per la fuga. Alla lunga questo fatto può diventare negativo, ma nella prima parte del gioco, complici gli effetti di distorsione visiva che colpiscono la nostra vista quando si avvicina una creatura, la tensione è notevole e la è anche quando capitiamo per la prima volta su Pathos 2 avvertendone subito l’atmosfera di orrore e mistero. SOMA però non è un gioco davvero spaventoso tolte le prime due-tre ore di gioco. Certo, il mood è quello giusto e qualche spavento ben assestato dalla “regia” del team svedese non manca, eppure non si provano le stesse sensazioni di un Amnesia, di un Doom 3 o del già citato Alien: Isolation. Un po’ perché le prime volte che si muore si riprende a giocare subito prima dell’incontro con la creatura, un po’ perché Frictional Games ha optato per una trama e per tematiche più adulte, riflessive e complesse rispetto al solito canovaccio fanta-horror, un po’ perché la tensione è diluita da numerosi passaggi (come gli spostamenti sul fondale) in cui non c’è nessun pericolo.
    Solo a tratti insomma si può parlare di vero e proprio horror-game, ma per molti questo sarà sicuramente un pregio. Ci riferiamo in modo particolare agli amanti dell’esplorazione e delle avventure grafiche, visto che non mancano alcuni enigmi (nulla di complicatissimo comunque) e che la narrazione, tra voci registrate e note testuali, è molto importante nell’economia del gioco. Se infatti escludiamo il bizzarro incipit ambientato in una metropoli dei giorni nostri (la parentesi certamente meno felice del gioco), una volta che si è messo piede a Pathos 2 SOMA cambia completamente registro. È vero che la trama ci mette un po’ per carburare ed è altrettanto vero che Simon sembra sempre fin troppo calmo e compassato contando quanto gli stia succedendo, ma scoprire i segreti di questo luogo, il perché di quegli uomini-macchina e la missione che ci tocca intraprendere guidati dalla voce di una coscienza umana è molto avvincente, senza contare l’ottimo finale che chiude con una nota di speranza questa esperienza così straniante

Resident Evil Umbrella Corps

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Data uscita:Febbraio 2016 

     

     

    Un tempo Capcom era sinonimo di qualità assoluta, di videogiochi strepitosi ed oltremodo memorabili; come software house è stata in grado di crescere intere generazioni con titoli rivoluzionari e capaci di influenzare l'intera industria, molti di essi ancor oggi ritenuti veri e propri cult.
    Qualcosa dev'essere andato storto, se consideriamo la situazione attuale della compagnia. Che sia per la chiusura di sussidiarie del calibro di Clover Studio o semplicemente per via dell'incapacità di stare al passo coi tempi e con la propria immagine, un cambiamento c'è indubbiamente stato; come sappiamo, attualmente la società nipponica si dedica prevalentemente alla realizzazione di porting di vecchie glorie su qualunque piattaforma o store possibile e immaginabile (virtual console, cellulari, marketplace vari etc.), sfornando inoltre un numero esagerato di "collection", edizioni definitive, remake in HD, remaster e via dicendo.
    Basta fare due conti per rendersi conto di quanto la situazione stia degenerando: nel 2013 Capcom ha rilasciato un totale di 34 titoli (contando le varie versioni per differenti console, la quota sale a 54): di questi, solo sette erano effettivamente originali, mentre il resto si suddivide tra porting, riedizioni ed affini. Di originale sono stati prodotti inoltre un paio di dlc e, se vogliamo, due remake (in cui quantomeno è possibile notare l'effettivo uso di risorse della compagnia). L'anno successivo si scende a 33 giochi (45 release totali): solo uno di essi era originale, a cui si aggiungono due dlc, la pubblicazione di un indie sviluppato da una piccola startup, nonché l'ennesimo paio di remake. Il resto (41 giochi!) è composto esclusivamente da porting, gran parte dei quali per cellulari. Giungiamo dunque all'anno corrente: 23 titoli rilasciati, 67 release totali. Di questi, l'unico materiale "nuovo" è composto da un singolo titolo (per altro, a episodi), un puzzle game per cellulari, ed un browser game low-budget.
    La paura che Capcom si possa seriamente ridurre a vivere di rendita continuando a vendere vecchi titoli, dedicandosi unicamente (ed inspiegabilmente) a quel paio di franchise che ancora vendono abbastanza - almeno stando alla software house - è sempre più forte tra i fans.
    In un contesto simile, l'annuncio di Resident Evil: Umbrella Corps non poteva che generare opinioni contrastanti, tanto tra la community quanto tra la stampa videoludica.
    Per festeggiare il ventesimo anniversario di Resident Evil, la software house nipponica ha deciso di realizzare uno sparatutto in terza persona. E viste le prime reazioni dei fans, si direbbe che Capcom sia davvero l'unica a festeggiare.
    L'idea dietro al cambio nella formula è riconducibile al successo della serie in Europa ed America, superiore persino alla popolarità del brand in Giappone. Il titolo è realizzato da uno staff composto (anche) da veterani dello sviluppo di passati Resident Evil e Lost Planet, nonché appassionati di survival (assicura il producer).
    Umbrella Corps è perennemente online, privo di qualsivoglia storia, trama o campagna.
    Nonostante questo, non si tratta di un "what if": il titolo risulta infatti canonico all'interno della serie, non contraddicendo il lore della popolare saga. Si svolge immediatamente dopo gli eventi di Resident Evil 6: Masachika Kawata (producer del gioco) fa notare come l'Umbrella Corporation sia già stata distrutta, sottolineando come ciò rappresenti di fatto la premessa principale di Umbrella Corps.
    Dopo la caduta dell'associazione, infatti, una moltitudine di organizzazioni ha iniziato a muoversi al fine di recuperare i materiali e le conoscenze dell'Umbrella Corporation, tentando di conquistarne armi biologiche e tecnologia.
    Contro ogni possibile aspettativa, la serie torna con uno sparatutto in terza persona, proprio come il non riuscitissimo Operation Raccoon City. Il TPS consiste in battaglie tra due squadre rivali di mercenari, costrette a sfidarsi in scontri a fuoco, a contendersi un bottino o altri obiettivi a
    seconda della tipologia di partita. Ad esempio, la modalità "One Life Match" consiste in un deathmatch in cui è impossibile tornare in gioco dopo la morte.
    Le partite si svolgeranno in mappe claustrofobiche ed oscure, di dimensione variabile ma sempre attente a mantenere il medesimo stile. Vista la natura opprimente delle ambientazioni, non troppi giocatori potranno sfidarsi in contemporanea durante la stessa partita, il che dovrebbe rendere più rapido il matchmaking. Le mappe saranno caratterizzate da svariati passaggi nascosti, nonché da un "feeling a 360 gradi": in pratica, il giocatore rimarrà in un costante stato di tensione sapendo di poter essere attaccato da qualunque direzione, anche dall'alto o dal basso. La verticalità del titolo va a particolarizzare aree di gioco già caratteristiche in quanto disseminate da zombie (definiti "imprevedibili") e mostruosità assortite direttamente tratte dai passati capitoli di Resident Evil.
    Gli zombie rappresenteranno una sorta di elemento neutro durante le partite, in quanto non portati spontaneamente ad attaccare i giocatori. Questo perché i mercenari saranno provvisti di "Zombie Jammer", un backpack base atto a tenere lontane le svariate creature deformi, almeno finché non le si attacca. A quel punto però, il giocatore verrà riconosciuto come una minaccia per gli infetti, con ovvie conseguenze. La struttura del gioco rendere facile attaccarli senza volerlo: capiteranno spesso nel bel mezzo di scontri a fuoco in corso, modificandone inevitabilmente le sorti.
    Ogni giocatore sarà provvisto di pistola e "Zombie Brainer", l'equivalente dell'arma melee; sarà possibile selezionare personalmente le armi principali e quelle secondarie, o in alternativa affidarsi ad uno dei quattro set base (sub, main, brainer e grenade: la presentazione del Tokyo Game Show ne mostrò tre). Ogni arma è pensata per essere bilanciata rispetto alle altre; non ci sarà un'arma definitiva, in quanto tutte compenseranno i propri punti di forza con parametri più deboli.
    Una volta finite le munizioni dei fucili, la pistola base potrà rappresentare il "piano B"; sarà però accompagnata dall'uso di uno scudo (sfruttando il braccio libero), rendendola un'effettiva opzione tattica piuttosto che una mera risorsa disperata. Stando a Capcom, il gioco presenterà altre meccaniche inusuali: un esempio è il Tactical Shield, device che permette di utilizzare uno zombie come copertura.
    Un producer del gioco ha dichiarato che essere bravi a mirare e colpire il bersaglio sarà essenziale, ma ci sarà anche la possibilità di eccellere nel gioco sfruttando l'ambiente a proprio vantaggio, preferendo un approccio più tattico.
    Durante un'intervista è stato chiesto a M. Kawata e J. Vance, produttori del titolo, se il leveling fosse gestito in modo da garantire una differenza tra giocatori effettivamente più abili e players che hanno semplicemente giocato più a lungo.
    La risposta è stata a tratti spiazzante, in quanto pare che il problema sia stato risolto, o meglio, rimosso alla radice in modo piuttosto drastico. Il leveling, essenzialmente, non sarà presente nel gioco: stando alle parole di Kawata, "sei tu a dover diventare più bravo".
    Sarà tuttavia presente un sistema di punteggi tali da permettere la personalizzazione di alcune opzioni riguardanti il proprio personaggio. Il focus è infatti improntato sulla differenziazione di armi ed oggetti speciali, piuttosto che sulla cosmetica o sul livello del proprio personaggio; la personalizzazione di aspetto ed armi del nostro alter-ego sarà comunque presente.
    Umbrella Corps, inizialmente pensato per PS4, ha un focus sul controller piuttosto che concentrarsi su tastiera e mouse: essenzialmente, non ci saranno differenze tra la versione console e quella PC. Non sarà inoltre venduto a prezzo pieno (probabilmente, risulterà intorno ai 30 euro), ma i produttori hanno confermato come il titolo non si focalizzi sulle microtransazioni. Infine, sono stati annunciati potenziali dlc-packs gratuiti.
    Per ora non si sa molto altro sul gioco previsto per l'inizio del 2016; la reception del pubblico (in particolare, degli appassionati del brand), tuttavia è stata simile a quella di Metroid Prime: Federation Forces.
    Citando James Vance, "Umbrella Corps is, basically, an ironic title (Umbrella Corps è, essenzialmente, un titolo ironico)".
    C'è da chiedersi se l'ironia dei producer del gioco sia compatibile con quella dei fans della serie.

sabato 26 settembre 2015

Assassin's Creed Syndicate


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:23 ottobre 2015 (PS4, XONE) - 19 novembre 2015 (PC)

     

     

    Lo insegnano le cosiddette “comete” del mondo musicale, le carriere dei registi, e quelle degli scrittori di best seller: aver sempre successo è difficilissimo, quasi impossibile. Non importa davvero quanto radiosa sia una prestazione, arriva per tutti il momento di confrontarsi con il proprio pubblico, o a causa di un passo falso o della manifesta incapacità di rinnovarsi a dovere.  
    Per la serie Assassin’s Creed questo momento corrisponde probabilmente all’uscita del nuovo capitolo, Syndicate.
    Per trovare le motivazioni non è neppure obbligatorio scavare a fondo, basta dare un’occhiata agli ultimi capitoli della serie, che hanno perso la via prima a livello narrativo e poi strutturale, con Unity in particolare che non ha avuto il coraggio di affrontare il cambiamento fino in fondo ed è risultato forse troppo ambizioso per le capacità del team di sviluppo. A Syndicate spetta dunque il difficile compito di riconquistare le masse, e di dare al marchio una scossa capace di proiettarlo nella nuova era del gaming. 
    Lo abbiamo testato per tre lunghe ore a Londra, nella Whitechapel di Jack lo Squartatore, e possiamo già dirvi senza troppo timore che gli sviluppatori sembrano aver imparato molto dagli errori del passato. Basterà? 
    Cominciamo da un elemento che contraddistingue da subito Syndicate dalla maggior parte degli altri capitoli: i protagonisti stavolta sono due, e hanno una caratterizzazione finalmente fatta come si deve. In Syndicate controllerete infatti Evie e Jacob Frye, due assassini iperattivi e poco propensi a seguire le regole. Londra, il teatro dell’avventura, è ormai dominata dai templari e dal loro crudele gran maestro, e i fratelli sono a dir poco insofferenti per l’inattività del consiglio e l’apparente timore degli altri assassini nei confronti dell’invalicabile città. Dopo un’operazione piuttosto rocambolesca, decidono dunque di salire su un treno e riconquistarla, fregandosene bellamente degli ordini provenienti dall’alto.
    Ora, di primo acchito l’inserimento di un personaggio femminile come Evie nel gioco potrebbe sembrare una forzatura legata alle insistenti polemiche sulle donne negli Assassin’s Creed viste per i precedenti capitoli, tuttavia la nuova coppia di protagonisti funziona alla grande, poiché gli sceneggiatori hanno finalmente abbandonato gli eroi cupi tipici della saga per due scavezzacollo piuttosto simpatici che discutono spesso e volentieri, e da soli rappresentano un bel passo avanti per la narrativa. Difficile dire se la trama tornerà sulla retta via (sembra rifarsi molto di più allo stile dei recenti film Marvel, se non altro), ma il carisma di Jacob ed Evie lascia ben sperare.
    Il resto, al solito, dipende in larga parte dalle comparsate dei personaggi storici, con personalità del calibro di Karl Marx (sì, è stato a Londra, abbiamo controllato e ovviamente lo ha fatto anche Ubisoft), Charles Dickens, Alexander Bell e Charles Darwin. Il loro inserimento nelle vicende è ancora una volta di gran classe e non manca di strappare qualche sorriso, oltre a risultare a volte piuttosto educativo.
    Ma basta tergiversare, concentriamoci sui cambiamenti al gameplay, che poi è l’elemento da analizzare più a fondo in questa delicata situazione.
    Parliamoci chiaro, che Syndicate avrebbe avuto nette similarità a Unity dal punto di vista delle meccaniche lo si sapeva. Dopo la faticaccia fatta per trasformare il sistema di gioco, rendere più assennato lo stealth ed introdurre elementi di personalizzazione, sarebbe stato folle pensare a una rivoluzione totale da parte del team di sviluppo, con partenza da zero. Syndicate è difatti un gioco molto vicino al suo predecessore per quanto riguarda le meccaniche:  riprende la tipica formula action-adventure dei precedenti capitoli, la inserisce in una città estesa e completamente esplorabile, e vi aggiunge un sistema stealth con copertura, gadget vari utilizzabili per uscire dalle peggiori situazioni, e combattimenti costruiti attorno a combinazioni semplici e contromosse. In parole povere, la base è rimasta la stessa, ma questo non significa che non ci siano stati miglioramenti sostanziali. Il primo e più evidente riguarda proprio lo stealth, che in Unity aveva davvero poco senso davanti a un’IA nemica facilmente exploitabile (quando non completamente rimbecillita) e a una strutturazione poco furba dei livelli che favoriva troppo spesso l’approccio aggressivo. Syndicate è diverso, e fin da subito si nota una maggior cura per la costruzione delle zone di Londra, calcolate per contenere numerosissime guardie e ancor più possibilità di approccio rispetto alle fasi “sandbox” viste nel predecessore. 
    Le prime missioni, volutamente semplificate per far impratichire con le meccaniche, possono infastidire e mostrano purtroppo il fianco del sistema, la cui finezza lascia ancora a desiderare in certi casi. Tuttavia dopo aver affrontato qualche compito nel capitolo 7 ci siamo dovuti ricredere, di fronte alla reintroduzione di missioni con grosse mappe al chiuso, e allo sfruttamento di situazioni che è quasi sempre meglio affrontare con arguzia. Muoversi silenziosamente è insomma un buon modo per facilitarsi la vita in Assassin’s Creed Syndicate, specie se non si hanno i riflessi necessari per un botta e risposta con una dozzina di avversari. 
    Attenzione però, la limatura delle meccaniche viste in Unity non implica l’assenza totale di novità, la più sostanziale delle quali è indubbiamente il rampino. Ottenuto dopo poche ore di gioco, questo simpatico strumento non solo permette di salire sui tetti a velocità estreme, ma funge anche da zipline, garantendo di passare da un edificio all’altro come lampi o addirittura di ottenere posizioni di vantaggio sopra a nemici che pattugliano i tetti, fermandosi a metà corda per una facile uccisione. Molti penseranno subito agli Arkham, ma il rampino ha un uso diverso da quello visto nei titoli Rocksteady e rappresenta una piacevole trovata per spostarsi rapidamente tra gli edifici della labirintica Londra. Una volta cominciato ad usarlo, non vorrete più sfruttare il caro vecchio free running per raggiungere la quest successiva. 
    Ah, già, il free running. Anche questo è stato perfezionato, per la cronaca, e nonostante sia stato mantenuto il sistema di corsa verso l’alto e verso il basso di Unity, sembrano in larga parte spariti i momenti in cui i protagonisti si incartavano contro ostacoli invisibili. Chiaramente tutto ciò rende molto più piacevoli le missioni.
    Pochi invece i cambiamenti a livello di campagna. Siamo sempre di fronte a un open world, con Londra divisa in grossi quartieri ricchi di quest da completare. Il fatto di aver completamente evitato il multiplayer, tuttavia, ha dato modo agli sviluppatori di curare maggiormente buona parte dei compiti secondari, più ispirati e complessi rispetto al passato, e di introdurre anche una sorta di sistema di furto dei mezzi alla Grand Theft Auto dedicato ai carri trainati da cavalli. Questi rappresentano il secondo miglior modo di gironzolare per Londra dopo il rampino, e anche se la loro fisica non è delle migliori sono abbastanza spassosi da guidare durante gli inseguimenti, specie quando si riesce a far volare il corpo del povero inseguitore a decine di metri di distanza con un urto ben piazzato. Tra rampini, stealth finalmente sensato, carri guidabili e gadget, la varietà non manca di certo, e il fatto che il combat system sia nettamente più fluido e veloce aiuta ancor di più. Certo, non siamo ancora davanti a un free flow eccezionale, ma almeno ora bisogna stare attenti ad avversari armati di pistola, il numero di guardie e la finestra per i counter limitata costringono a fare attenzione, e la rapidità delle combo, unita a stordimenti obbligatori contro nemici in parata, evitano che la noia sopraggiunga da subito. Abbiamo sempre dubbi sulla potenza delle bombe fumogene, che fortunatamente sono state depotenziate, mentre la presenza di varie armi nella schermata di personalizzazione permette di variare ancora una volta danni e velocità in base ai gusti dell’utente. 
    In particolare abbiamo apprezzato la possibilità di cambiare tra Evie e Jacob in quasi ogni momento, e lo sviluppo diviso tra i due. Le skill e gli skill points guadagnati sono gli stessi, ma aver due protagonisti permette di buildarne uno per il combattimento puro e l’altro per lo stealth, garantendo l’uso di approcci diversi a piacere, al di fuori delle missioni che obbligano all’uso di uno solo dei due. Un’altra trovata più che buona, che conferma ulteriormente la natura di “bella evoluzione di Unity” di Assassin’s Creed Syndicate.
    Pensate poi che tra le aggiunte c'è pure la gestione di una vera e propria gang controllata dai fratelli, con tanto di skill sviluppabili e missioni dedicate. Un elemento gestionale che potrebbe svilupparsi in modo inaspettato e soddisfacente nel prodotto finito, e che avremmo volentieri esplorato di più se solo avessimo avuto del tempo extra.
    Meno bene invece il comparto tecnico. Le animazioni sono sempre eccellenti, lo precisiamo, ma c’è stato un evidente calo nel dettaglio di npc e alcuni elementi, dovuto probabilmente alla volontà degli sviluppatori di mantenere stabile il frame rate sui 30 fps (non sono fissi, ma i cali sono minuscoli stavolta, e comunque abbiamo pur sempre testato una versione incompleta del titolo). In particolare si notano ancora abitanti di Londra che si comportano in modo strano e bug sparsi qua e la, specialmente legati ai cavalli e alla loro incredibile capacità di buttar giù lampioni in ferro con un tocco. Chiaro, la versione del gioco è priva degli ultimi ritocchi, e siamo contenti di aver già trovato molti meno problemi rispetto a quanto visto in Unity, ma dispiace vedere come Ubisoft non sia riuscita a padroneggiare del tutto il motore usato per gli ultimi capitoli della serie. Nessuna lamentela infine per Londra, splendida e molto curata. Ma se siete fan del marchio probabilmente già ve lo aspettavate.

domenica 20 settembre 2015

Blood Bowl 2

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Strategico

  • Data uscita:22 settembre 2015

     

     

    Mancano ormai pochissimi giorni all'arrivo nei negozi di Blood Bowl 2. Grazie all'accesso anticipato su Steam siamo riusciti a mettere le mani in anteprima su una versione preliminare del gioco, giusto per farci un'idea delle qualità e del valore del titolo.
    Il primo capitolo ci aveva saputo divertire, tenendoci impegnati a lungo anche data la nostra passione per il gioco scatolato targato Games Workshop e quest'anno le cose speriamo possano ripetersi. Vediamo allora insieme tutte le novità principali.



    Meta!
    Blood Bowl è l'incarnazione del football americano in veste fantasy, dove provetti allenatori di squadre immaginarie si destreggiano tra gesti antisportivi e tattiche brutali per riuscire a portare la palla ovale in meta, più o meno come accade nel football dei giorni nostri insomma.
    Divertente, strategico e basato anche sulla fortuna Blood Bowl 2 vuole ripercorrere il successo del predecessore, mantenendo quasi inalterata la formula, aggiornandola tuttavia con alcune chicche che non potranno che far felici i fan.
    La più grossa novità sulla carta, non ancora disponibile nella versione da noi provata, sarà la modalità campagna che avrà il compito di insegnare le basi del gioco ai novizi trascinandoli attraverso una serie di partite unite da una specifica storyline. Prenderemo così il controllo dei novelli Reikland Reavers e li condurremo fino alla gloria e all'onore. Ci aspettiamo di dover gestire diverse cose della squadra come sponsor, eventuali infortuni o eventi predeterminati e speriamo il tutto non si riduca a un semplice tutorial corposo. Staremo a vedere.
    Notizie invece buone e cattive arrivano per quanto concerne le razze giocabili. La cosa migliore è la presenza inedita dei bretonniani, che arrivano sui campi da gioco determinati a vincere. La squadra sarà una via di mezzo tra i classici umani e le squadre più massicce, offrendo strategie e tattiche diverse da quelle viste fino ad oggi. Restano confermati anche orchi, skaven, nani, chaos e ben tre razze di elfi ma si sono perse le tracce dei goblin e degli ogre, fazioni che, anche se poco giocate, erano una validissima alternativa per fare partite spensierate e all'insegna del divertimento. Che Focus le riproponga a sorpresa nella versione finale? Noi lo speriamo vivamente.
    La cattiva, anzi pessima notizia invece riguarda Uomini Lucertola e Wood Elves, tagliati brutalmente dal pacchetto e proposti come incentivo al preordine per le diverse piattaforme. Una possa che sinceramente non riusciamo a digerire e che avrà sicuramente un peso sulla valutazione del prodotto. Tagliare ben duq squadre (parliamo del 25% circa dei team giocabili) solo per rivenderli come pacchetti aggiuntivi ci pare decisamente eccessivo, soprattutto quando nel primo capitolo queste erano presenti sin dal day one.



    Ottimi progressi tecnici

    Blood Bowl 2 porta però in grembo tanti, tantissimi passi avanti dal punto di vista grafico. L'interfaccia è stata completamente ridisegnata per una lettura ancora più chiara del terreno di gioco. Percentuali di riuscita delle azioni e dadi sono stati rivisti e ora risultano super comprensibili anche per i novizi.
    Persino il contorno è stato ricostruito da zero, con una palette di colori viva e luminosa che amplifica la magnificenza dei cinque stadi, presenti, tra le altre cose completamente modificabili.
    È stata ripromessa anche una completa rivisitazione dell'intelligenza artificiale e, per quanto abbiamo potuto provare effettivamente le cose rispetto al passato sono migliorate, con l'IA che a livelli di difficoltà maggiori ora tenta di sfruttare tattiche più ricercate, piuttosto che barare spudoratamente sui dadi come faceva prima.
    La crescita evolutiva di Blood Bowl insomma è chiara e lampante e speriamo non siano proprio le scelte commerciali piuttosto impopolari ad affossare il tutto.
    Sarebbe insomma un vero peccato se la cura riposta anche nelle più piccole cose, come l'eccellente telecronaca in diretta o le nuove telecamere che gestiscono l'azione di gioco, dovessero passare come contentini ininfluenti per i fan quando invece dimostrano quanto cyanide tenga al proprio prodotto.
    Ad arricchire le competizioni multi giocatore poi, oltre alle consuete dozzine di leghe che già in questa versione riempiono i server online, ci penserà un interessante mercato dei giocatori dove gli allenatori potranno decidere liberamente di vendere o acquistare rinforzi per la propria squadra, magari con quella skill che non si riesce proprio a far uscire con gli avanzamenti.
    Il rischio è ovviamente quello di trovarsi poi nelle fasi avanzate con squadre davvero troppo forti ma è un'idea interessante per avvicinare Blood Bowl 2 alle esigenze anche di chi ha poco tempo.
    Attualmente le transazioni vengono gestite attraverso una sorta di moneta virtuale ottenibile con le vittorie sul campo e speriamo che questo elemento non venga trasformato in micro transazioni che potrebbero davvero a quel punto mandare anche questa buona idea gambe all'aria. 

mercoledì 16 settembre 2015

Incell

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Nival Interactive

     

     

    È molto probabile che in pochi, ben o mal informati che siano, abbiano già sentito parlare di Nival. Si tratta di una software house indipendente situata in Russia che, dopo anni passati a sviluppare strategici a tema militare, ha scelto recentemente di muovere i primi passi in una seconda, nascitura direzione del gaming contemporaneo. Con Nival VR, dipartimento specializzato nella realizzazione di titoli in grado di sfruttare i visori per la realtà virtuale, la società ha dato il via a un progetto davvero singolare, il cui scopo è di unire spirito ricreativo e piglio pedagogico in una serie di piccole produzioni digitali di stampo arcade. Il primo step di questo percorso si chiama InMind, più che un videogioco in senso stretto un prototipo completabile in non più di una manciata di minuti. Distribuito a inizio anno su Steam, iOS e Android in formula Free-to-Play, il titolo voleva approfondire il funzionamento del sistema nervoso direttamente dal suo interno, ovviamente tramite schematica ricostruzione virtuale. InCell è semplicemente l’evoluzione naturale di quel primo esperimento grezzo, reso ora un po’ più accattivante per la media utenza non soltanto perché finalmente portatore di una sfida ludica reale, ma anche in quanto fruibile perfettamente anche con i tradizionali pad e tastiera. Classici sistemi di controllo, questi ultimi, sui quali, è bene specificarlo, la nostra prova si basa integralmente. Dunque, che siate biologi in erba o semplici fan di Esplorando il corpo umano, preparate le valigie: la destinazione, questa vota, è l’interno di delle cellule.
    Nell’anno 2134 le ricerche in campo medico hanno conquistato traguardi inimmaginabili. Tra le invenzioni tecnologiche più avanzate e rivoluzionarie ce n’è una capace di rimpicciolire l’essere umano a dimensioni microcellulari, per cui, accompagnato da un’assistente sintetica, gli è consentito l’accesso agli organuli della cellula prescelta per osservarne lo stato di salute direttamente in loco. InCell ci consentirà di visitare le profondità di tre unità biologiche malate per curarne le infezioni in corso, a patto che se ne raggiunga il nucleo prima dell’effettivo attacco virulento, iniettandovi il vaccino in tempo. Prima di gettarci a capofitto nell’impresa, però, ci attenderà un breve tutorial atto a spiegare le pochissime meccaniche di gioco con cui è necessario prender presto confidenza. Il titolo è categorizzabile nel filone dei twitch arcade, che sfrutta un incedere in-game rapido e continuo per misurare la reattività del giocatore lungo percorsi cosparsi di ostacoli. Selezionato il livello di sfida –ve ne sono appunto tre, da Medium ad Extreme– si sceglie il primo dei tanti organuli da affrontare per spingersi step by step sempre più vicini al nucleo. Ci si trova quindi a dover percorrere stage di forte stampo scenografico e, soprattutto, incentrati su lunghe piste tubolari, che attraversano gli organuli in maniera sinuosa da principio a fine. L’utente, beneficiario di una visuale in prima persona e abbandonato all’avanzamento automatico della propria vettura cibernetica, dovrà semplicemente guidare il mezzo a destra e sinistra al fine di evitare pareti rallentanti e, nel contempo, intercettare specifici pannelli verdi utili al boost. Ad agevolare l’impresa interviene solamente un’interfaccia che mostra a schermo due parametri da tenere sempre sott’occhio; il primo rappresenta la distanza in secondi che ci separa dall’ondata di virus che avanza alle nostre spalle, azzerata la quale saremo costretti a ricominciare la nostra corsa daccapo, ovvero dall’organulo più distante dal nucleo; il secondo, invece, riguarda il numero di proteine raccolte di corsa in corsa. Proprio queste ultime rivestono un ruolo decisivo nel concludere con successo ciascuna partita, trattandosi di una vera e propria unità di scambio utile a ottenere certi benefici nelle gare successive. Al termine di ogni livello, infatti, il software propone di scambiare un certo quantitativo dei protidi accumulati con uno di due bonus a scelta, che variano da una percentuale d’incremento della velocità del nostro bolide a qualche secondo in più per distanziare il virus, fino a una maggiore secrezione enzimatica nell’arco dei successivi tracciati e altri ancora.
    All’anima da racing arcade puro si aggiunge quindi una componente tattica che dona un pizzico di personalità in più all’intera esperienza, rimpolpata dal fatto che, scambio di proteine a parte, anche la scelta degli specifici organuli da percorrere man mano dovrebbe avere una certa rilevanza. Scegliere di gareggiare su un ribosoma, un mitocondrio o un lisosoma incrementerà specificamente alcuni valori del nostro mezzo di trasporto, ed è dunque decisione da ponderare con discreta attenzione. Discreta, ma non eccessiva, poiché in modalità Medium e Hard il livello di sfida si fa sentire davvero poco, a discapito dei buoni propositi forniti dal gameplay. La competizione diventa seria soltanto giunti alle soglie del terzo stage, quell’Extreme Mode che, alla prova dei fatti, rende invece fin troppo onore alla propria nomea, dimostrandosi impossibile da completare senza sfoderare una performance pressoché perfetta. La curva di difficoltà, insomma, impenna con troppo vigore sul finale e tende a demoralizzare inevitabilmente finanche il gamer più allenato. Va detto, comunque, che i developer non stanno affatto ignorando il problema, e si sono anzi adoperati da subito per rilasciare una prima patch proprio a sostegno di un maggiore bilanciamento generale.
    Come il prodotto suo predecessore, InCell tenta d’iniettare un po’ di linfa didattica tra le sopraccitate meccaniche da videogame duro e puro. A ben vedere, lo sforzo si manifesta quasi esclusivamente negli intermezzi tra una sessione corsistica e la successiva, per cui, al cospetto di ogni organulo ancora inesplorato, la voce robotica della nostra collaboratrice interverrà a spiegarne sommariamente la funzione all’interno dell’organismo, che sarà poi sempre ribadita all’approcciarsi di ogni nuovo organulo della stessa specie tramite apposite didascalie. Non siamo comunque di fronte a un serious game in senso stretto: l’opera Nival non possiede né ambizioni enciclopediche né piglio formativo, ma manifesta il solo desiderio di stuzzicare superficialmente la curiosità dell’utente, il quale, dato l’incipit interattivo, potrebbe scegliere di approfondire gli argomenti trattati anche in territorio extra ludico. L’esperimento non è privo di fascino, ma pecca tuttavia di scarsa incisività, poiché le sole parole faticano a trovare effettivo appoggio in un corrispettivo scenico adeguato nella pur breve durata dell’esperienza. Detto altrimenti, gli ambienti microcellulari si somigliano un po’ tutti, e per di più non vantano una cifra artistica particolarmente accattivante né di un dettaglio grafico generoso, aspetti probabilmente dettati dalla natura a basso budget della produzione. Quantomeno, il titolo vive di un’atmosfera adeguata e piacevole, densificata, in particolar modo, da una mini colonna sonora in tre brani elettronici dai ritmi rilassati e sognanti.

sabato 12 settembre 2015

Mad Max


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Distributore:Warner

  • Data uscita:4 settembre 2015

     

     

    In un periodo in cui i giocatori PC devono ancora riprendersi dall’affair Batman: Arkham Knight, sono arrivati sul mercato due titoli molto attesi le cui versioni per PC erano tenute sotto stretta sorveglianza proprio per il pasticcio combinato da Warner e Rocksteady con il nuovo capitolo di Arkham. Da un lato Metal Gear Solid V: The Phantom Pain con il suo carico di ripicche, rimpianti ed enormi aspettative per tutto quello che è successo a Mr. Kojima. Dall’altro Mad Max, gioco con sicuramente meno appeal ma molto atteso dagli amanti degli action free-roaming, dai fan di Just Cause e da chi è rimasto folgorato dal film di George Miller. Lo abbiamo già recensito qui in versione console e, seppur il voto finale non sia stato altissimo, abbiamo riconosciuto alla creatura di Avalanche Studios diversi pregi, non ultimi l’elevato grado di personalizzazione della fiammante Magnum Opus, le meccaniche di gioco poco originali ma solide e rodate e gli ottimi effetti atmosferici. Abbiamo così deciso di testare il gioco anche su PC per vedere se dopo l’ottima versione PC di The Phantom Pain anche Mad Max si comportasse altrettanto bene. Ecco com’è andata.
    Mad Max è forse uno dei titoli a tripla A con una versione PC tra le migliori viste quest’anno. Lo abbiamo testato con un Intel Core i7 930 a 2.8 GHz, 12 GB di RAM, una GeForce GTX 770 con driver Nvidia 355.82 (ottimizzati proprio per questo titolo) e un SSD Samsung da 256 GB, scaricando il tutto da Steam dove il gioco è disponibile a 49,99 euro. Fin dal primo avvio ci si accorge di come il team svedese abbia mantenuto appieno le promesse di uno sviluppo su PC attento e premuroso, al pari di quello per Xbox One e PlayStation 4. In effetti, con Vsync attivato, siamo riusciti a mantenere i 60 fps stabili pressoché in tutte le nostre 6-7 ore di prova, pur maxando tutte le numerose impostazioni grafiche. Anzi, abbiamo fatto di più. Visto che non c’è un vero controllo sull’antialiasing (si può solo attivare o disattivare) e che molto probabilmente Avalanche ha optato nativamente per un filtro di tipo FXAA, abbiamo preferito attivare il più efficace SMAA tramite SweetFX, ottenendo un risultato migliore in termini di AA senza però un impatto gravoso sulla fluidità.
    Senza Vsync abbiamo raggiunto in alcuni punti anche i 70 fps, ma con l’apparire del tearing abbiamo preferito riattivare il Vsync e giocare con 60 fps davvero granitici. Per quanto riguarda le opzioni disponibili, l’unico rammarico è proprio l’assenza di un parametro davvero valido per l’AA, ma per il resto abbiamo sette valori da impostare per filtro anisotropico (fino a 16x), cinque impostazioni per il dettaglio geometrico e tre per la risoluzione delle ombre. Troviamo poi l’attivazione/disattivazione del motion blur, degli effetti particellari, del SSAO (niente HBAO+ invece) e del parallax mapping. Ma non è finita qui visto che ci sono impostazioni anche per le texture, l’illuminazione, l’upsampling della nebbia e degli effetti particellari, la profondità di campo e la luce volumetrica. Con tutti questi valori al massimo livello e giocando in Full HD, la nostra GTX 770 ha retto alla grande, anche perché le texture (forse il vero punto debole nel quadro grafico del gioco) non hanno mai messo in crisi i 2 GB di VRAM di cui è dotata la scheda. Gli unici micro-segnali di rallentamento e gli unici fenomeni di leggerissimo stuttering li abbiamo avuti in alcuni inseguimenti in auto nel deserto con tanto di esplosioni e molta sabbia che si levava dal terreno, ma si è trattato di fenomeni davvero isolati e di poco conto, che non hanno minimamente intaccato l’esperienza di gioco. Su Reddit si legge anche di giocatori che con una GTX 970 hanno fatto girare il gioco maxato a 4K/60 fps, giusto per ribadire quanto questa versione per PC sia leggera, ampiamente scalabile e adatta davvero a qualsiasi PC. Nel nostro caso, visti i limiti del monitor, ci siamo limitati a 1920x1200 pixel, ma sinceramente non ci aspettavamo che un processore così datato e una GPU non certo nuovissima facessero filare tutto in modo così liscio.
     
    Merito di ciò va anche a una complessità grafica del gioco non certo da primato. Intendiamoci, con tutto al massimo Mad Max è un bel gioco da vedere e ha anche i suoi momenti di classe (il character-design, il ciclo giorno-notte, le tempeste di sabbia), ma non è all’altezza di un The Witcher 3 o di un Assassin’s Creed: Unity (quello ultra patchato naturalmente), avvicinandosi se mai a Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, che però riserva qualche soddisfazione in più. A non convincere sono soprattutto la qualità altalenante delle texture e alcuni limiti osservati anche su console, come il saltuario caricamento delle texture in ritardo e la scomparsa improvvisa dei cadaveri dei nemici. Inoltre (ma non è certo colpa del motore grafico) nelle prime ore di gioco l’ambientazione desertica è davvero molto ripetitiva e priva di trovate sceniche degne di nota, mentre con il trascorrere delle ore le cose migliorano sensibilmente su questo versante. Insomma, non un capolavoro grafico ma nemmeno un titolo poco curato o “buttato lì” in quattro e quattr’otto, che comunque vi consigliamo caldamente anche se non avete chissà quale PC. Considerando poi che su PlayStation 4 e su Xbox One ci si deve accontentare dei 1080p a 30 fps (e sulla console di Microsoft si scende a volte anche a 26 fps), la scelta della versione per PC è davvero attraente e fa risparmiare anche una ventina di euro. Più di così! 

sabato 5 settembre 2015

Zenzizenzic

  • Piattaforme:iPhone, PC, TECH

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:bitHuffel

  • Data uscita:23 luglio 2015

     

     

    Phelios era un titolo disponibile su Sega Mega Drive: si trattava di uno sparatutto a scorrimento verticale in cui il giocatore, che impersonava Apollo, doveva salvare la sua amata Artemide (che, non si sa perché, iniziava il gioco vestita e finiva gli ultimi livelli in bikini) dalle grinfie di Tifone; ora, sappiamo che secondo la mitologia greca la faccenda non è andata proprio in questo modo, ma non è questo il punto. Quello su cui vogliamo soffermarci è che Phelios è uno di quei titoli che, se giocati in passato, danno ora la possibilità di esprimere con tronfia soddisfazione l’opinione secondo la quale i titoli di oggi sono troppo facili e semplici. In effetti, il gioco era veramente molto ostico, e talmente infido che se si sceglieva il livello di difficoltà più basso la storia veniva troncata a metà, e per vedere il vero finale bisognava per forza accettare la sfida a livelli più elevati. Tutto questo, ovviamente, ci porta a parlare del vero gioco oggetto di questa recensione, ovvero l’ottimo Zenzizenzic: vediamo subito il perché.

    Sviluppato da bitHuffel, e disponibile su PC, Mac e Linux, Zenzizenzic è uno sparatutto bidimensionale che appartiene al sottogenere dei twin-stick shooter; il perché di questa categorizzazione è semplice: pad in mano, infatti, tutto quello che si dovrà fare sarà muovere la propria navicella con i due stick analogici, e sparare a qualsiasi cosa si muova sullo schermo.
    Dal punto di vista delle opzioni di gioco, il titolo offre due scelte principali: si può scegliere, allora, di lanciarsi nella modalità Classica, oppure di provare la sfida Macro. Con la prima opzione, il giocatore potrà avventurarsi in cinque differenti livelli (anche in compagnia di un amico, grazie alla cooperativa locale), che si concluderanno nel più classico dei modi, ovvero con un boss. C’è da dire che il gioco dimostra subito di essere molto preciso, e in qualche modo attento alle esigenze del giocatore: prima di iniziare a giocare, infatti, un tutorial illustrerà le dinamiche salienti delle due modalità del titolo, e in ogni momento è possibile allenarsi contro i singoli boss dei vari stage. Tutto questo avrà una sua utilità soprattutto scegliendo i due dei tre livelli di difficoltà più elevati.
    Qual è, allora, lo scopo del gioco? La risposta ha un che di classico e, per così dire, moderno. Va da sé che l’obiettivo primario è quello di sconfiggere tutti i nemici che si affronteranno, e facendo ciò otterremo dei punti che rappresenteranno il nostro score (il quale, ovviamente, è incluso in una classifica online). I punti raccolti, però, serviranno anche ad acquistare potenziamenti vari per la nostra navicella, che si potrà così arricchire di nuove armi, sistemi difensivi e quant’altro. Tutto questo torna assai utile durante la modalità Gauntlet, che consente di affrontare i cinque livelli di cui abbiamo parlato in precedenza tutti in una volta, ma anche e soprattutto nella modalità Macro.
    In questa particolare sfida, infatti, il giocatore affronterà livelli più grandi e complessi, popolati da nemici generati casualmente. Esiste una specie di componente roguelike, in questa modalità, nonché una vena RPG, considerato che nelle arene che si visiteranno non mancheranno negozi dove potenziare le proprie abilità, bonus vari da scovare e i soliti, agguerriti boss che occuperanno molte volte la totalità dello schermo.
    Abbiamo detto dunque che Zenzizenzic è uno sparatutto bidimensionale frenetico e per certi versi tradizionale, che però non manca di inserire variazioni sul tema decisamente più moderne; il giocatore, ad esempio, ha a disposizione le classiche tre vite che vengono perse una volta che si viene colpiti dai nemici. Durante il gioco, però si potrà investire parte dei nostri punti (l’ammontare dipende dal livello di difficoltà) per acquistare una nuova vita, di modo da continuare a darle di santa ragione a qualsiasi cosa ci si pari davanti.
    Un altro aspetto interessante, poi, riguarda il sistema di controllo, e di conseguenza la gestione dei propri power up; dobbiamo dire che il pad ci è sembrata l’opzione più sensata, e che offre una immediatezza maggiore rispetto all’alternativa composta da mouse e tastiera. Con in mano il nostro controller, allora, si dovrà impiegare lo stico analogico sinistro per muoversi, e quello destro per sparare con il fuoco primario. Molta importanza è data al movimento della nostra navicella: agendo sui grilletti, infatti, si potrà rallentarne o accelerarne il moto, e questa dinamica si dimostra veramente molto efficace durante gli affollatissimi scontri che avverranno su schermo. Agire sulla velocità, poi, ha effetti anche sull’impatto delle armi da noi utilizzate, che scivoleranno sulla loro traiettoria in maniera più o meno spedita.
    L’utilizzo del pad torna utile anche nell’utilizzo delle armi secondarie, azionabili attraverso i tasti dorsali: queste opzioni offensive, che vanno da classici raggi laser a letali missili a ricerca, consumano però una barra di energia (utilizzata peraltro anche dalla accelerazione o decelerazione descritta in precedenza); tutto questo costringe il giocatore a dosare l’utilizzo delle varie armi: se questo è un compito tutto sommato agevole nei livelli della modalità classica, la faccenda si complica nella sfida Macro, dove i boss sono molto più frequenti, e in generale il carattere della sfida si alza.
    I tre livelli di difficoltà proposti consentono di modellare l’esperienza di gioco sulla base della propria esperienza, ma da questo punto di vista il titolo non va tanto per il sottile: il livello di sfida sarà sempre alto, e i fallimenti saranno veramente tanti. La frustrazione potrebbe prendere il sopravvento, ma è anche vero che la dinamica ruolistica che prevede l’avanzamento della propria navicella grazie ai power up acquistabili mitiga questa sensazione; questo accade perché i punti a nostra disposizione deriveranno anche dai risultati delle partite andate a finire male, e quindi in un certo senso i fallimenti sono necessari per ottenere upgrade e potenziamenti vari.
    Il problema maggiore del titolo, allora, più che un livello di difficoltà elevato (cosa peraltro sacrosanta, considerato il genere a cui appartiene), è una certa scarsità di contenuti; certo, i cinque livelli possono essere ripetuti a varie difficoltà e sono pieni di obiettivi e achievement da raggiungere, e la modalità Macro offre un’ottima variazione sul tema, ma di sicuro la presenza di più stage avrebbe giovato.
    Zenzizenzic ci ha convinto pienamente dal punto di vista del gameplay, e non abbiamo particolari problemi nell’affermare che gli appassionati di twin stick shooter dovrebbero farci più di un pensierino. Questa opinione positiva peraltro viene rinforzata dall’analisi dell’aspetto tecnico, che propone scelte stilistiche decisamente peculiari. A farla da padrone sono figure geometriche squadrate, definite, che si stagliano su uno sfondo sempre molto chiaro e dominato talvolta da strutture tridimensionali. La combinazione di questi elementi è ottima, e in particolare fa sì che anche nelle situazioni più concitate non ci sia troppa confusione su schermo; in un titolo dove verremo a contatto con ondate di nemici quadrati e boss composti da enormi figure geometriche, e dove noi stessi non saremo altro che un piccolo quadratino blu che schizza da una parte all’altra dello schermo, tutto questo è un aspetto da non sottovalutare.Positivo anche il comparto audio, con le musiche elettroniche composte da Bignic: il carattere elettronico delle composizioni ben si addice alla grafica analizzata poc’anzi, e difatti tutto ciò innalza il livello dell’esperienza. L’accompagnamento audio riesce a non stancare, e soprattutto non cade nel tranello della ripetitività.

     

martedì 1 settembre 2015

Fran Bow

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Killmonday

     

     

    Fran Bow è una bambina molto fragile, di soli dieci anni. I suoi genitori sono stati uccisi brutalmente, massacrati e fatti a pezzi nella loro casa. 
    Il delirio causato dal trauma improvviso la spinge fuori, fino a condurla in mezzo a un bosco, dove viene ritrovata in condizioni precarie assieme al suo unico amico, un gatto nero di nome Mr Midnight da cui non si separa mai. Emaciata, infreddolita e non più lucida, Fran Bow viene immediatamente sbattuta in un oppressivo istituto mentale per bambini, un luogo inumano dove la dignità è azzerata e la vita non vale più nulla. Alla bambina viene somministrato un farmaco sperimentale che ha terribili effetti collaterali, e Fran sembra ormai perduta in un limbo di dolore dove la realtà si mescola a un'angosciosa illusione che dà tormento.
    L'elaborazione del lutto è un processo mentale complesso, intimo, variabile e non sempre possibile. Per un bambino è ancora più arduo riuscire ad usare gli strumenti per accettare il dramma, capirlo e andare avanti: deve fabbricarseli, spesso modellandoli attorno alla propria fantasia, che è probabilmente l'unico mezzo per fuggire dall'impietosa realtà. Fran Bow sta però lottando strenuamente contro un disordine mentale molto grave, che le provoca vivide allucinazioni fatte di immagini macabre, mostruosità avide di corpi martoriati e lugubri proiezioni mentali di un malessere ormai profondamente radicato. La bambina, sapendo che il suo gatto è lì fuori da solo e in pericolo, e che sua zia (l'unica parente ancora in vita) la sta cercando, decide di architettare un modo per fuggire dall'istituto. Quando ci riesce, la sua visione del mondo è differente, nuova e misteriosa, inattesa e foriera di inaspettate novità. Quell'universo magico e fantasioso, spesso pericoloso, è il tortuoso tragitto che intraprenderà per ritornare a casa. Ma Fran è sola, persa, debole e mentalmente instabile: comincia così un viaggio dove la bambina combatte contro un male interiore terribile, in un mondo multiforme ricco di sfumature surreali, eccessi visivi e immagini fiabesche. 
    Fran Bow è un'avventura grafica, un punta e clicca che richiede un approccio tutto sommato classico, ma che sorprende e ipnotizza con la sua audacia e la forza con la quale tratta tematiche delicate come il dramma della morte, gli abusi psicologici e i disordini mentali. Lo fa mescolando la visione edulcorata di un bambino assieme a istantanee cruente ed esplicite, sempre filtrate dalla mente della protagonista. Fran può e deve assumere le sue medicine, e tutte le volte che lo fa l'ambiente cambia e si trasforma in un incubo raccapricciante. Eppure quelle manifestazioni sono come una seconda vista, come un faro sulle verità occultate; ecco quindi che la traslazione da una realtà all'altra diventa un atto obbligatorio, che serve per vedere dentro e oltre le cose. Fran raccoglie gli oggetti, li combina e li usa nelle due realtà che la sua percezione le presenta; si muove lungo ambienti che hanno due facce totalmente differenti, a loro modo complementari. I puzzle da risolvere, raramente avulsi dal contesto di gioco, hanno soluzioni che vanno trovate usando il pensiero laterale, la logica e assecondando talvolta alcune bizzarrie. A eccezione di alcuni passaggi forse un po' troppo fantasiosi e a patto che il giocatore sia completamente a proprio agio con le bizzarrie proposte, gli enigmi di Fran Bow non sono mai scorretti. D'altra parte si tratta pur sempre di un titolo che appare come una fiaba dark-horror con evidenti venature fantasy, ben diversa da certe avventure grafiche con puzzle cervellotici e incredibilmente complessi; bisogna pertanto adattarsi a un modo di pensare differente, che non può escludere soluzioni all'apparenza meno ovvie. 
    Ce ne sono tante di avventure grafiche particolari, direte voi. Ed è vero. Ma Fran Bow non è solo una coraggiosa rivisitazione di un genere con una struttura di gioco per certi versi antica; è al contrario un titolo che si serve di quel modello per comunicare messaggi profondi e potenti, riuscendo a farlo con una chiarezza d'intenti cristallina. Era molto difficile, considerando il particolare stile grafico e la direzione artistica intrapresa, che possono apparire di primo acchito come le meno indicate per dipingere situazioni così struggenti e complicate. E invece i due ragazzi di Killmonday hanno capito che la resa visiva messa in scena era semplicemente perfetta, poiché lascia intendere, scenario dopo scenario, che è l'unica a poter rappresentare al meglio il mondo interiore di una bambina di dieci anni. Non solo: le ambientazioni, i personaggi e il modo in cui sono caratterizzati corroborano la volontà degli sviluppatori di dare un tono fiabesco al tutto, creando al contempo il terreno fertile da cui sboccia quella fantasia simbolica che è la salvezza da un mondo arido; quella fantasia, appunto, che è matrice di tutte le storie possibili. Un Concetto, questo, ben chiaro a Michael Ende, espresso proprio nel suo La Storia Infinita, a cui non mancano ovviamente dei chiari riferimenti. E non mancano nemmeno tributi - più o meno sottili - alle opere di Baum e Carroll, ad alcune icone del cinema e dei videogiochi. Badate bene, però, che Fran Bow non cade mai nella trappola dell'emulazione; al contrario, dimostra di avere un carattere talmente forte e determinato da potersi reggere sulle proprie gambe, proponendosi come qualcosa di unico e caratteristico. Lo si capisce sin dall'inizio, ma per fare una stima esatta del suo valore bisogna affrontare i cinque capitoli che compongono l'avventura e passare un numero sufficiente di ore assieme a Fran, a Mr Midnight (anch'egli giocabile) e al mondo fantastico e pauroso tratteggiato da Killmonday. La parte finale un po' troppo surreale può mettervi in seria difficoltà, l'epilogo può confondervi e spiazzarvi, ma il percorso di Fran e la sua scelta finale vi lasceranno dentro qualcosa di concreto. Abbiate pertanto la pazienza di sopportare i ritmi lentissimi e le enormi limitazioni a cui il genere deve necessariamente sottostare: Fran Bow è un'opera che merita un'attenzione ben maggiore di quella che effettivamente avrà.

Zombi

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:30 novembre 2012 - 18 agosto 2015 (PC-PS4-Xbox One)

     

     

    C’era una volta un tempo in cui Nintendo aveva ancora qualche rapporto con le terze parti. Un tempo in cui, al di fuori dei confini della prefettura di Kyoto, qualcuno credeva nel progetto Wii U e nel suo strano ma innovativo sistema di controllo. Ubisoft, che con Nintendo Wii aveva fatto soldi a palate, era uno di questi: l’azienda francese si presentò al lancio della nuova console con una serie di giochi annunciati e, soprattutto, con un titolo che inaugurò questa nuova era: ZombiU.
    Ok, graficamente era ben lontano dal concetto di nuova generazione, ma il suo uso del pad di Nintendo Wii U ci aveva fatto emozionare, lasciandoci speranzosi per il futuro di questa console e per le potenzialità del suo hardware. Col senno di poi, ci sbagliavamo di grosso: oggi Nintendo Wii U è un sogno infranto, una console con titoli straordinari ma con un sistema di controllo che non è mai stato sfruttato a dovere. Così, ci restano i ricordi di quello ZombiU come gioco che ha saputo per primo - e forse anche per ultimo - sfruttare in maniera intelligente il gamepad dotato di schermo.
    Ora che ZombiU è arrivato sulle console di nuova generazione e ha cambiato il proprio nome in Zombi, possiamo cercare di capire se questo gioco sia ancora interessante se spogliato del suo sistema di controllo, e se vi siano dei buoni motivi per giocarci ancora dopo quasi tre anni e su di una nuova console.
    Dobbiamo ammettere che Zombi, con tutti i suoi limiti tecnici, è un gioco divertente e coraggioso. Un horror game con permadeath e qualche bel colpo di scena, con una campagna piuttosto divertente e alcuni momenti memorabili. Il punto è che buona parte del divertimento derivava dal particolare uso del gamepad, che obbligava il giocatore a utilizzarlo per gestire il proprio inventario e come radar, costringendolo di fatto a distogliere lo sguardo dal televisore in numerosi momenti di gioco. Proprio in questi frangenti poteva accadere di essere assaliti da uno zombie, infondendo nel giocatore un costante senso di inquietudine che lo costringeva a guardare due schermi contemporaneamente in una maniera del tutto innaturale e, per questa ragione, davvero entusiasmante per chi si approcciava per la prima volta al mondo della double screen experience.
    Ecco, tutto questo è sparito in questa versione per le console di nuova generazione. La mappa - visibile solo sul gamepad - è stata sostituita da una mappa in sovrimpressione, il menù si attiva in finestra, il radar funziona a tutto schermo. Non vi è più alcun elemento originale in questo gioco, e tutto si è semplificato in maniera importante. Quel senso di terrore che si infondeva nel giocatore ogni volta che abbassava lo sguardo per controllare la mappa o riorganizzare il proprio inventario è sparito del tutto, e in generale Zombi è un gioco infinitamente meno terrificante del suo predecessore.
    Non è tutto da buttare, però. Nonostante questi limiti, l’esperienza sa ancora divertire e i diversi colpi di scena che si alternano durante l’esplorazione di una Londra in preda a un’epidemia zombie sono ancora lì. Il gioco riesce così a sorprendere il giocatore in alcune fasi, e l’esperienza si rivela tutto sommato piacevole, senza tuttavia raggiungere mai delle vere e proprie vette. Bisogna anche ammettere, in seconda analisi, che la rimozione di alcuni utilizzi forzati del pad abbia apportato un certo beneficio al gioco, che si presenta per certi versi più accessibile del suo predecessore per Wii U. Ovviamente ciò si traduce anche in una maggiore facilità e rapidità del gioco: vi basti pensare che se in ZombiU siamo morti almeno due volte nella prima ora di gioco, in Zombi abbiamo raggiunto la terza area (e siamo resistiti a un’ondata di non morti) prima di sollevare bandiera bianca, il tutto in tempi sensibilmente ridotti rispetto a quanto fatto sulla console Nintendo. Per i più temerari, in ogni caso, il massimo livello di difficoltà offre davvero un ottimo livello di sfida, anche in questa versione.
    Come abbiamo affermato in apertura, la grafica di ZombiU non faceva certo gridare al miracolo, e la cosa si è ovviamente ripetuta in questa versione next gen. Si tratta di un port nudo e crudo, con alcune piccole differenze a livello grafico che vi sorprenderanno, ma per il motivo sbagliato. Anche se la versione per le console Xbox One e PS4 sembra presentare texture più definite e molto meno aliasing, sono stati tolti alcuni filtri che avevamo molto apprezzato su Wii U. Ad esempio, è sparito il lens flare presente in numerose sequenze al chiuso, dove gli asettici neon delle sale scarsamente illuminate della metropolitana di Londra ci sparavano in faccia artefatti ottagonali che creavano un effetto da pellicola Super 8 degli anni Settanta. Questo elemento è sparito in Zombi, e non abbiamo potuto fare a meno di notarlo storcendo un po’ il naso.