Ethero

lunedì 24 novembre 2014

This War Of Mine

  • Piattaforme:PC

  • Sviluppatore:11 bit studios

  • Distributore:Koch Media

  • Data uscita:14 novembre 2014

     

     

    Nella guerra moderna… morirai come un cane e senza nessuna buona ragione”, scriveva Hemingway su un vecchio articolo pubblicato nel 1935 su Esquire; ed è anche la citazione che fa da apertura a This War of Mine, opera che sugli orrori della guerra costruisce un magistrale gestionale dai ritmi perfetti. Stavolta non vedrete la follia dell’uomo attraverso gli occhi di un manipolo di soldati d' élite, ma vivrete la condizione degradante, disperata e senza via di scampo dei civili, pronti a lottare per una sopravvivenza che è privazione, sacrificio, pena fisica e tortura dell’anima, ma anche violenza e abominio. Perché in guerra non esistono decisioni giuste o sbagliate, importa solo sopravvivere, al di là di ogni ragionevole giudizio o etica.
    La guerra ha trasfigurato la città e ridotto i rifugi di fortuna in delle catapecchie costantemente sotto assedio. Di giorno ci si ripara dai cecchini e si svolgono le mansioni primarie, di sera si va fuori a rovistare nei presidi e difendere i propri averi fino alla morte. In queste due fasi, dove un orologio scandisce il tempo dalla mattina al crepuscolo, e dalla notte all’alba, bisogna gestire la vita di tre o quattro rifugiati, dando loro le cure e il sostentamento necessari per trascinare ancora per un altro giorno una vita dove non esistono più valori, né diritti umani. Si comincia a saccheggiare dunque il proprio rifugio, che si trasformerà ben presto in un’alcova dentro la quale costruire coi materiali ricavati gli oggetti e la mobilia di prima necessità, dove è d’obbligo riuscire a proteggersi dal freddo pungente dell’inverno e dagli attacchi di sciacalli che, esattamente come noi, non guarderanno in faccia nessuno pur di sottrarre le risorse che con zelo e grande forza d’animo abbiamo fin lì accumulato.
    Vi ritroverete a costruire dei letti, perché dormire tutte le notti sui pavimenti gelidi vi farà ammalare e le medicine non saranno affatto facili da reperire; allo stesso modo, avrete bisogno di una stufa, ma vi conviene migliorare il prima possibile le sue funzionalità, altrimenti consumerà più carburante di quanto possiate realmente permettervi. Aprirete la porta a dei perfetti sconosciuti per accettare di barattare ciò che che riterrete inutile o in eccedenza con gli oggetti di uso immediato, ma attenzione: non tutti hanno buone intenzioni. Mangerete carne cruda che alla lunga vi farà stare male, ma se vi costruirete un forno rudimentale, imparerete a filtrare l’acqua piovana con un dispositivo apposito, e a non sprecare troppa legna per il riscaldamento e le costruzioni, riuscirete anche a consumare un pasto decente. Più avanti potrete pensare alla produzione di erbe mediche, di alcol e tabacco (ottime merci di scambio) e a una sorta di officina per metalli che diverrà ben presto l’unico modo per fabbricare armi bianche e da fuoco, anche se trovare i componenti essenziali per quest’ultime sarà piuttosto complicato. Dalla stessa officina fai da te sarà poi possibile creare grimaldelli, una pala per eliminare rapidamente cumuli di macerie che ostacolano il passaggio, un piede di porco per liberare le porte da assi di legno, e altri strumenti utili per arrivare in punti dove con ogni probabilità troverete materiali pregiati o rari, che faranno la differenza tra il benessere fisico dei vostri compagni di sventura e la loro rapida e ineluttabile morte. Il giorno è dunque la fase in cui This War of Mine mette in gioco la sua equilibrata componente gestionale, assolutamente ottima, credibile, e capace di trasmettere al giocatore le tribolazioni quotidiane di donne e uomini a cui non è rimasto più nulla, al di fuori della propria volontà di resistere e non abbandonarsi a un destino che sembra già segnato. C’è molto di più di quanto appena descritto, ma imparerete a vostre spese e partita dopo partita come reagire agli eventi (tutti assolutamente casuali), che insidieranno coi toni tragici della realtà ogni vostra buona speranza.
    Quando calerà l’oscurità, bisognerà selezionare chi farà la guardia, chi andrà in giro per la città a rovistare, e chi avrà l’assoluto bisogno di stare a riposo. Ogni personaggio ha delle abilità differenti, pertanto se tra le vostre fila avrete un velocista, un esperto della furtività o semplicemente chi è equipaggiato con uno zaino più capiente, mandatelo senza troppi ripensamenti a cercare approvvigionamenti e risorse: non saranno mai abbastanza. Un abile combattente sarà sempre l’ideale per fare la guardia e respingere gli invasori, ma picchierà forte anche quando i momenti diventeranno difficili e salirà la tensione tra i coinquilini. In questa seconda fase, bisognerà scegliere un luogo da saccheggiare (una scuola bombardata, un supermercato, un cantiere edile, un’agenzia di viaggi, un bordello e altri punti di interesse) facendo attenzione ai gruppi di banditi che si sono nel frattempo insediati e che potrebbero freddarvi a vista, o ai militari violenti e senza regole, o a chi è rimasto nella propria abitazione e non ha alcuna intenzione di cedere il bottino. Ci sono poi i più deboli, che chiederanno aiuto o imploreranno di risparmiare la loro vita; e la scelta tra la misericordia e un’altra esistenza da estinguere per avere qualche facile risorsa in più diverrà spesso difficile, perché il bello di This War of Mine è che gli sviluppatori di 11 Bit Studios sono riusciti a rendere drammatica ogni crudeltà subita e inflitta. Vi importerà dei personaggi, della loro salute e dei loro stati d’animo; tutto diventerà ben presto coinvolgente e difficile da affrontare, senza considerare che riuscire ad arrivare davvero alla fine della guerra è quasi un’impresa. I personaggi, oltre ad essere affamati, a stancarsi, a restare feriti e ad ammalarsi, si intristiranno, cadranno in depressione e diventeranno affranti al punto da rimanere seduti per terra – inutilizzabili – mentre si piangono addosso e si lasciano alle spalle ogni speranza di farcela. Toccherà a voi occuparvi di questi aspetti, mandando un altro personaggio a parlargli (senza che possa fare altro), o procurandogli delle sigarette o costruendogli una poltrona su cui potrà leggere un libro e distrarsi dalla terribile realtà. Le sortite notturne possono diventare delle ronde violente, ma lo scotto da pagare è soprattutto di carattere emotivo, quando non addirittura fisico. E la cosa meravigliosa, è che tutto questo va gestito solamente attraverso il click del vostro mouse, senza inutili orpelli al sistema di controllo. Questa essenzialità non preclude minimamente una profondità di gioco unica, né tantomeno minimizza la complessità delle dinamiche interattive tra i personaggi e l’ambientazione.
    I personaggi e gli ambienti sono generati in modo casuale, così da regalare ai giocatori partite sempre diverse. L’escamotage per ovviare alle poche ambientazioni da saccheggiare funziona bene e muta anche sensibilmente la fisionomia dei luoghi, così da lasciare all'utente sempre un ampio margine di senso di scoperta e allerta, perché se è vero che i posti sono molto spesso diversi, è vero anche che la disposizione e la quantità dei nemici è variabile. Così come la percentuale degli imprevisti e le possibilità che le reazioni possano cambiare l’esito delle missioni di recupero merci. E a proposito di variabili, non è nemmeno possibile prevedere quando e quante volte gli altri civili proveranno a fare irruzione, né tantomeno anticipare i comportamenti degli altri abitanti del rifugio, che possono abbandonare il tetto cercando fortuna altrove, fare danni, o addirittura rubare tutto e scappare via dopo trenta o quaranta giorni di pace assoluta. In questo clima dove serpeggia la disperazione, fino a diventare una quotidianità reale e pressante, stare appresso alle necessità di tutti diventa complicato, e capita sovente di dover sacrificare il più debole per mandare avanti la baracca nel migliore dei modi. Quando un fuggiasco busserà alla vostra porta in cerca di riparo, sarà difficile dire di no, perché si tratterà di un altro individuo in grado di difendere la casa o andare in giro per dare una mano alla piccola comunità; tuttavia, sarà anche un’altra bocca da sfamare e un individuo che nel caso di necessità avrà bisogno di tutto il vostro supporto. Cosa fare, dunque? L’importanza della scelte, in This War of Mine, non è di carattere narrativo, perché lo sfondo è sempre la cruda e terribile guerra che imperversa. Sviluppare un gestionale adattato a tematiche simili poteva essere una scelta azzardata, ma in fin dei conti è stata la migliore in assoluto. Così come la scelta di utilizzare una grafica stilizzata, a carboncino e in scala di grigi, che sembra voler sottolineare ulteriormente i toni drammatici delle vicende. E mentre nella città aumenta la violenza, arriva la neve, e si mangia carne di ratto, un'altra vittima della scelleratezza umana verrà mietuta proprio davanti ai vostri occhi.

venerdì 21 novembre 2014

Escape Dead Island

  • Piattaforme:PC, PS3, Xbox 360

  • Genere:Survival horror

  • Data uscita:21 novembre 2014

     

     

    Con oltre 5 milioni di copie vendute tra PC e console, Dead Island rimane a oggi il bestseller assoluto di Techland e, a conti fatti, uno dei migliori “frullati” di shooter in prima persona, GdR, co-op e open world a sfondo horror degli ultimi tempi. Mentre tutti i fan del gioco aspettano dicembre per Dead Island 2, che però porterà la firma di Yager Entertainment e si preannuncia parecchio diverso dal primo episodio, Deep Silver ha continuato a investire nella serie prima con il MOBA Dead Island: Epidemic (che non ha convinto granché) e ora con il nuovissimo Escape Dead Island. Disponibile per PC (versione qui recensita), Xbox 360 e PlayStation 3, questo spin-off della serie targato Fatshark dovrebbe fungere da ponte tra Dead Island e relativo sequel, pur cambiando profondamente stile e proponendo, invece della formula originale, un action-stealth in terza persona con grafica in cel-shading.
    Già, proprio una cosa completamente diversa da quanto ci si potrebbe aspettare in un gioco con Dead Island nel titolo, ma la sua natura di spin-off è fatta apposta anche per rimescolare completamente le carte in tavola e proporre qualcosa di diverso. Anzi, tutto, a ben vedere, è diverso in Escape Dead Island. Certo, la trama si ricollega all’epidemia di zombie che ha scatenato la turistica isola di Banoi in un inferno, ma per il resto aspettatevi un’esperienza completamente nuova. Nei panni del fotoreporter Cliff Calo ci ritroviamo innanzitutto in una location molto più piccola e ristretta di quella di Dead Island, tanto che per assicurare un minimo di longevità e la sensazione di muoversi e spostarsi gli sviluppatori ci obbligano a un continuo backtracking tra le poche ambientazioni disponibili, soprattutto caverne e spiagge. Lo stesso gameplay è molto più lineare e risaputo rispetto a quello di Dead Island. Gli elementi ruolistici non esistono quasi, gli upgrade sono limitati al minimo indispensabile e di fatto solo la raccolta dei collezionabili tra cartoline, inquadrature da fotografare, messaggi audio e documenti vari (c’è la solita corporazione malefica sullo sfondo) spinge a esplorare l’isola.
    Il gameplay, tolto l’elemento stealth che diventa ben presto secondario e non così letale e funzionale come ci si aspetterebbe, è quello classico di ogni hack’n’slash. Si combatte senza sosta con attacchi ravvicinati (non mancano spinta e schivata) o con le poche armi da fuoco che troveremo nel corso della Campagna, affrontando diversi tipi di zombie che non richiedono però chissà quale abilità per essere fatti fuori con i soliti effetti splatter (ci sono ettolitri ed ettolitri di sangue). Il tutto diventa presto molto ripetitivo e non mancano problemi un po’ in tutti i settori di gioco. La difficoltà è mal calibrata e passa troppo spesso da scontri facilissimi a vere e proprie orde di zombie, la gestione della telecamera rende spesso gli scontri ravvicinati confusi e i movimenti limitatissimi di Cliff impediscono di optare per la fuga là dove sarebbe invece necessario. 
    Peccato anche che la trovata delle allucinazioni, durante le quali il quadro grafico si trasforma in una specie di tavolozza rossa-nera-bianca, non sia stata implementata con grande cura, rimanendo alla fine solo un simpatico diversivo ma nulla di più. Lo stesso comparto grafico, affidato a un cel-shading di vecchio (ma proprio vecchio) stampo convince poco e non mancano bug e glitch grafici almeno nella versione PC da noi provata, che in più di un’occasione ci hanno costretto a ricaricare un salvataggio precedente perché il povero Cliff si era incastrato da qualche parte e non riusciva più a muoversi. Insomma, alla fine potreste trovare Escape Dead Island simpatico giusto per la sua esagerazione sanguinosa, per i collezionabili da scovare sull’isola (che potrebbero far aumentare di molto la longevità) e per qualche trovata narrativa inaspettata, ma oltre non si va. Speriamo almeno che Dead Island 2 possa darci molte più soddisfazioni.

giovedì 20 novembre 2014

Never Alone

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Platform

  • Sviluppatore:Upper One Games

  • Data uscita:18 novembre 2014 - 26 novembre 2014 ( PS4 )

     

    Le tradizioni radicate della comunità Iñupiaq, la sua incredibile storia e il suo particolare folklore sono oggetti di mistero per la maggioranza degli essere umani. A lungo il popolo dei ghiacci ha cercato di preservare la propria memoria, fino a lottare strenuamente per affermare un’indipendenza e un’identità culturale spesso non capite dall’uomo moderno, e là dove i nativi dell’Alaska conducono una vita completamente diversa da quella a cui siamo abituati, fiorisce un profondo senso di simbiosi con la natura che ormai tutti hanno perso. Kunuuksaayuka è solo una delle innumerevoli storie tramandate dalle tribù di indigeni alle generazioni future, ed è anche il racconto semplice che fa da sfondo a Never Alone, sviluppato con orgoglio da Upper One Games, primo studio fondato da alcuni membri di questa comunità.
    La portata culturale dell’opera è chiara fin dall’inizio, e viene continuamente affermata per tutto l’arco dell’avventura grazie a dei video-documentari che arricchiscono la conoscenza su usi e costumi degli Iñupiat. I ventiquattro filmati vengono sbloccati progressivamente mentre si gioca, con un invito costante a guardarli, come a voler sottolineare l’importanza degli eventi collegati alle tradizioni tipiche di questo popolo. I video hanno un taglio molto professionale ed è evidente sin da subito la grande cura con cui sono stati confezionati; tuttavia, la stessa cosa non può si può dire del gioco vero e proprio, di qualità certamente inferiore e ben lontano dall’immagine dorata di piccola perla che è riuscito a crearsi fino a oggi. 
    Nuna è una ragazzina che parte dal suo villaggio, determinata a scoprire l’origine e la causa di una tempesta di neve che sembra non voler terminare più. Ben presto incontra un’adorabile volpe artica, piccola compagna di avventura che l’aiuta a superare gli ostacoli che il clima impervio ha creato lungo il cammino. Nasce così una forma di cooperazione che è parte integrante del concept di gioco, che prevede e anzi invita a giocare assieme a un amico, così da collaborare e rendere meno amaro il continuo cambio di prospettiva a cui si deve far fronte conducendo il gioco in totale solitudine. Il passaggio da Nuna al piccolo animale diventa infatti d’obbligo quasi per ogni ostacolo da superare, ma sebbene questa meccanica abbia una sua logica e permetta di sfruttare a proprio vantaggio la diversa stazza dei due personaggi, lo sviluppo dell’idea rivela quasi immediatamente la critica macchinosità delle sue meccaniche. A questo, bisogna aggiungere un’intelligenza artificiale alleata che complica spesso le cose, col comprimario che si limita a seguire le nostre orme (e imitare gli stessi movimenti) anche quando non dovrebbe. La volpe può arrampicarsi in punti più alti e far calare una corda dall’alto, o passare attraverso delle strettoie per raggiungere una zona sicura e dare una mano alla ragazzina; Nuna, invece, può solo saltare e usare delle speciali bolas per sgretolare grossi blocchi di ghiaccio. Verso tre quarti del gioco, per via di un evento inaspettato, le abilità e l’area di movimento dell’animale cambiano completamente, peggiorando a dismisura la godibilità di gioco per via di un’esasperante lentezza durante lo spostamento attivo delle piattaforme, che rende inutilmente complicato e frustrante ciò che a ben vedere avrebbe potuto essere di una semplicità disarmante.
    A risentirne sono soprattutto i ritmi di gioco, che risultano essere oltremodo rallentati senza una reale ragione; inoltre, c’è da considerare un altro fattore che di certo non aiuta, ossia una certa imprecisione dei controlli, spesso impacciati, che rendono meno fluidi movimenti basilari come la giravolta o il salto improvviso all’indietro. Il codice di gioco avrebbe poi necessitato di una ripulitura finale capace di eliminare bug e glitch, perché allo stato attuale, Never Alone soffre di qualche compenetrazione e di comportamenti innaturali da parte dei personaggi, soprattutto quando atterrano in punti non previsti dal gioco. Niente di eccessivamente grave o umiliante, ma considerata la grandissima semplicità del design dei livelli (tutti molto prevedibili e con strutture prive di arzigogoli), riuscire a risolvere questi problemi prima dell’uscita era un obbligo che non avrebbe portato via troppo tempo agli sviluppatori, che hanno tra l’altro dovuto rimandare la versione PS4 di una settimana. 
    La mancanza di varietà è un altro problema non da poco, per Never Alone: per tutto l’arco dell’avventura, al giocatore verrà chiesto di superare sostanzialmente due tipi di sezioni, che vengono reiterate sin dall’inizio con timidi cambi di facciata. Si saltano piattaforme e si superano ostacoli ottenendo il massimo dalla collaborazione tra i due personaggi, e si scappa da un orso polare o da un altro nemico che evitiamo di rivelare per ovvi motivi. Il tutto, per circa tre ore di gioco circa, al termine delle quali non avrete la voglia di ricominciare una storia che ha già detto veramente tutto. Artisticamente i guizzi della cultura dei nativi d’Alaska si fanno sentire, e non mancano degli splendidi artwork in movimento a inframmezzare la storia, narrata nell’affascinante lingua locale che sembra venuta fuori da un tempo antico e dimenticato, dove la saggezza dei capi tribù sembrava essere l’unica fonte di verità dalla quale attingere. Le atmosfere magiche - quasi mistiche - e le stupefacenti note folkloristiche che approfondiscono la storia oralmente tramandata (Kunuuksaayuka), sono valori aggiunti non da poco. Giusto per fare un esempio, il verde corallo dell’aurora boreale, secondo le antiche credenze Iñupiaq, è in realtà l’alone irrequieto dei fantasmi di bambini morti, capaci di staccare le teste dei più piccoli per giocarci a pallone qualora costoro fossero sprovvisti del cappuccio che li ripara dal gelo. Never Alone rappresenta questi spiriti in una particolare sezione di gioco, per poi mostrarvi il filmato in cui un indigeno ne racconta la genesi. C’è tanto fascino, in Never Alone, ma anche tanta amarezza nel constatare che sotto la superficie c’è davvero poco in grado di lasciare il segno. Ciò che resta di questa coraggiosa opera è la grande nobiltà d’intenti, che mira a dare dignità, attraverso il medium videoludico, a una cultura troppo spesso poco considerata, ma che ha tanto da offrire e da insegnare a ciascuno di noi. Quello di Upper One Games è un videogioco culturale capace di avere una cura encomiabile per quanto riguarda la qualità dei contenuti extra-ludici, che apre una finestra in un mondo che merita di essere scoperto, apprezzato e capito. Peccato che pad alla mano, nonostante l’innegabile dolcezza del comprimario a quattro zampe, ci sia poco di veramente sostanzioso o quantomeno apprezzabile. Anche i giochi semplici, talvolta, possono avere problemi complessi.

lunedì 17 novembre 2014

Lego Batman 3 Beyond Gotham

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Data uscita:14 novembre 2014

     

     

    I Traveller's Tales sono ormai così connessi ai Lego che non ci stupirebbe scoprirli lavorare in uno studio composto interamente da mattoncini. Anni fa questa iperattiva software house ha beccato la formula perfetta per conquistare bambini e genitori: creare titoli accessibili proprio sui succitati mattoncini e applicarvi licenze ancor più note, il tutto puntando sull’umorismo e su un gameplay semplice ma in grado di divertire grandi e piccini senza intoppi. Un’impresa più facile a dirsi che a farsi, ve lo assicuriamo, ed è quindi giusto che la casa abbia deciso di sfruttare la sua brillante idea iniziale fino in fondo, migliorandola e ampliandola di anno in anno senza mai fermarsi. Dal primo titolo della serie è però passato moltissimo tempo e, nonostante le tante migliorie, il balzo verso l’open world, e una capacità di strappare qualche risata che va costantemente aumentando, inizia ad apparire concreta la possibilità di aver tirato troppo la corda.
    Abbiamo dunque recensito Lego Batman 3: Beyond Gotham con la paura di trovarci di fronte a un prodotto ormai privo di sorprese e incapace di catturarci come i suoi predecessori. Fortunatamente ci siamo preoccupati per nulla, e i Traveller sembrano avere ancora un po’ di frecce al loro arco. 
    Il sottotitolo del nuovo Lego Batman non è “Beyond Gotham” a casaccio, la storia del titolo porta davvero il buon cavaliere oscuro a lasciare le buie strade della sua città natia per esplorare altri lidi… solo che non immaginate nemmeno quanto questi lidi siano lontani. Tutto parte da Brainiac, un malvagissimo e poderoso androide alieno con il pallino del collezionismo, che all’inizio dell’avventura entra in possesso di quasi tutti gli anelli del potere e decide che rimpicciolire città e infilarle in delle luccicanti bottiglie non gli basta più. La Terra, in quanto sfigatissimo pianeta che da sempre viene bersagliato da ogni genere di minaccia nei fumetti, diventa il suo nuovo bersaglio, e ciò porta l’intera Justice League ad attivarsi, con Batman al centro delle vicende (perché resta pur sempre il personaggio più figo della DC). Lo scontro con Brainiac vi porterà quindi nello spazio, su pianeti alieni, e in giro per la Terra alla ricerca di un modo per porre definitivamente fine ai piani dell’androide, con tanto di super cattivi a darvi manforte per difendere il loro personale parco giochi. 
    La premessa è come al solito poco più di un punto di partenza per giustificare una serie di eventi gradualmente sempre più spettacolari e offre in questo caso innumerevoli spunti, ma al contempo limita paradossalmente le possibilità del team, contenendo Lego Batman 3 in una struttura fortemente correlata alla narrativa e lineare, più vicina a The Lego Movie Videogame piuttosto che al mondo aperto di Lego City. Non è un lato particolarmente negativo, ad ogni modo: i Traveller’s Tales sono riusciti ancora una volta a inventarsi mappe enormi e artisticamente notevoli, ricchissime di collezionabili e cose da fare, che a tratti sono abbastanza grandi da permettere di utilizzare veicoli di vario tipo e presentano spesso boss fight ispirate. Voi vedete di non farvi ingannare dalle prime ore della campagna, banalotte e ambientate in mappe un po’ troppo metalliche e spente. Ben presto la situazione migliora esponenzialmente.
    Così come la struttura non ha subito grossi cambiamenti, il gameplay è rimasto più o meno invariato, anche se gli sviluppatori hanno pensato bene di gonfiare a dismisura la formula con un numero mostruoso di eroi utilizzabili e di costumi alternativi per i protagonisti principali. Ogni costume offre un’abilità extra a un eroe, e queste, unite ai poteri base dei comprimari dotati di singola uniforme, danno vita a un gran numero di combinazioni da utilizzare per risolvere gli enigmi sparsi per le mappe.
    Precisiamo, i puzzle sono ben lontani dall’essere anche solo minimamente difficili. Il nucleo di Lego Batman 3 è ancora quello di un gioco per bambini e genitori, perfetto per essere giocato in coppia ed estremamente permissivo. Nessun rompicapo vi porterà a fondere preziosi neuroni, e quasi tutte le soluzioni verranno addirittura consigliate direttamente dal gioco tramite scenette evidenti o mattoncini distruttibili che dispensano consigli. L’aumento di costumi e personaggi ha portato però anche a una diminuzione dell’accessibilità, e potrebbe capitarvi di rimanere bloccati alcuni minuti, probabilmente perché vi siete persi un qualche oggetto da distruggere per ottenere dei blocchi attivi con cui costruire lo strumento necessario ad avanzare, o non vi è venuto in mente di usare uno dei costumi in quel momento. In parole povere, il titolo si è fatto un po’ troppo complesso per un bimbo non accompagnato e ha abbracciato completamente la sua natura “per famiglie”. 
    Gli enigmi sono inoltre intervallati da alcuni momenti action, durante i quali vi ritroverete a fare a pezzi scagnozzi nemici a forza di pugni e super poteri. Proprio gli scontri sono l’elemento meno mutato nella produzione, un peccato perché, con l’impossibilità di morire e manovre troppo limitate in combattimento, sono la parte più debole del castello di mattoncini. Non chiediamo chiaramente un combat system di quelli seri, ma uno svecchiamento generale delle meccaniche aggiunto a uno sfruttamento più interessante dei poteri in battaglia migliorerebbero di parecchio tali fasi. Perlomeno alcuni momenti a bordo di navicelle, che ricordano una versione molto semplificata di Resogun, e altre trovate discretamente intelligenti mantengono fresca l’avventura fino al suo finale. Non dimenticatevi poi che i Lego Games sono vere e proprie Collect-athon, titoli strapieni appunto di collezionabili, segreti ed extra da scoprire, che permettono di rigiocare interi livelli con combinazioni di eroi diverse che spesso sbloccano chicche inaspettate. Qui in particolare brilla l’inserimento del mitico Adam West nelle varie zone, praticamente sempre in situazioni di pericolo estremo. 
    Nulla da dire sul comparto tecnico. Il motore è solido e la direzione artistica lo è ancor di più. Con i loro mattoncini virtuali i Traveller sono ormai in grado di creare ambientazioni eccezionali, e di far apparire i loro giochi ben più belli di quanto ci si aspetterebbe. In questo Lego Batman, tuttavia, a brillare è soprattutto il sonoro, che vanta addirittura i doppiatori originali della serie animata in italiano (e in inglese è altrettanto eccelso). Molte delle battute si perdono nella traduzione, ma resta un lavoro sopraffino.
    Un appunto finale per i fan DC. I Traveller ad ogni nuovo prodotto dimostrano una conoscenza e un rispetto non indifferente per il materiale da cui traggono ispirazione, e Lego Batman 3 non fa che sottolineare ulteriormente questo loro talento. Certo, la sua natura di titolo per i più piccini costringe a qualche forzatura nella narrativa, ma tenete d’occhio dialoghi e citazioni, potreste trovare più di una gradita sorpresa. 

domenica 16 novembre 2014

Natural Selection 2 Combat

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Unknown Worlds Entertainment

  • Data uscita:31 ottobre 2014

     

     

    Alcuni dei videogiochi tra i più giocati e apprezzati di oggi, primo tra tutti l'inossidabile Counter-Strike, nacquero inizialmente sotto forma di mod. E sempre più spesso ormai molte mod di successo, create grazie a schiere di volenterosi appassionati sparsi per il globo, riescono a sfociare in progetti più complessi e strutturati. Questi portano spesso alla nascita di veri e propri studi sviluppo, i quali poi commercializzano come prodotto completo e rifinito la loro opera. 
    Si tratta esattamente del caso di Natural Selection, originale mod per il caro e vecchio Half-life, che riuscì a fondere  sapientemente due generi agli antipodi come gli sparatutto in prima persona e gli strategici. Il suo seguito Natural Selection II è stato trasformato in videogioco indipendente, per poi esser pubblicato sugli scaffali virtuali esattamente un paio di anni fa e impressionarci positivamente. Ebbene, partendo proprio da questa base, è nata un'altra mod, NS2: Combat, la quale elimina quasi completamente il sostrato strategico (assoluto pregio, ma per molti anche forte deterrente all'acquisto o a una fruizione godibile) riprendendo una modalità di gioco alternativa già disponibile nel primo Natural Selection
    Visti rispettivamente il discreto successo tra la community di videogiocatori, l'intraprendenza del publisher Unknown Worlds Entertainment e la cronica difficoltà nel dare una build giocabile nel tentativo di stare al passo ai continui e frequenti aggiornamenti di Natural Selection II, si è deciso di cogliere la palla al balzo creando un nuovo team di sviluppo e trasformando il tutto nel titolo a sé stante che nei paragrafi seguenti andremo a recensire.
    Come già anticipato NS2: Combat (questo il suo effettivo titolo completo senza diminutivi) è uno sparatutto in prima persona online multigiocatore che poggia le sue radici nel gioco da cui deriva, reinterpretando l'eterno scontro tra mostruose creature provenienti dallo spazio e soldati umani armati fino ai denti.
    Il gameplay si rivela abbastanza tradizionale e basato su due differenti modalità: la prima, guarda caso la più divertente e diffusa, consiste nel distruggere la base nemica, mentre l'altra prevede il controllo di tre differenti punti della mappa. Il risultato è un FPS asimmetrico, adrenalinico e veloce, a tratti sorprendente ed entusiasmante. Interessante notare come si riveli tutt'altro che banale. In generale per prendere una certa dimestichezza (dopo aver attentamente guardato i video tutorial forniti) bastano un paio di partite, eppure ci si rende immediatamente conto di aver a che fare con meccaniche discretamente profonde. I marines sono relativamente lenti e impacciati ma dispongono di armi da fuoco, mentre i mostri alieni sono subdoli, capaci di arrampicarsi sui muri per nascondersi negli anfratti più bui o intrufolarsi in angusti condotti di ventilazione così da tendere imboscate sfruttando gli attacchi corpo a corpo. 
    La chiave per la vittoria è insita, oltre che in un coordinato gioco di squadra a prescindere dalla squadra scelta, in un livello tattico intrinseco che consiste nell'evitare di morire inutilmente impedendo agli avversari di realizzare punti facili. Questo perché per entrambe le fazioni è previsto un sistema di upgrades decisamente degno di nota. Durante il corso di una singola partita i Marines hanno la possibilità di scegliere fucili sempre più pesanti, lanciafiamme, granate, torrette, potenti esoscheletri, armature e perk vari, mentre gli alieni possono spawnare nei panni di creature sempre più pericolose, veloci e coriacee, magari volanti oppure letali non solo a breve distanza. In entrambi i casi si deve essere in grado di effettuare scelte importanti con rapidità, perché non è affatto detto che l'ultima novità resasi appena disponibile, per quanto allettante, sia necessariamente indicata alla situazione che si è costretti ad affrontare. 
    In sostanza convince quasi appieno, non fosse per la mancanza di una qualche qualche limatina finale nel bilanciamento visto che spesso le partite prendono una piega ben precisa nei confronti di una delle due fazioni con rarissimi ribaltamenti.
    Tecnicamente parlando NS2: Combat sfrutta lo stesso engine, con un buon paio d'anni sulle spalle, del gioco da cui prende spunto, senza però aggiornarlo di prepotenza. Si difende ancora molto bene seppur alterni a diverse vette grafiche qualche scivolone abbastanza goffo. 
    Nel dettaglio convincono le atmosfere lugubri delle mappe, purtroppo presenti in un numero alquanto esiguo: sono solo cinque. Queste però oltre a vantare ottime texture sono ben congegnate, sia in funzione del gameplay che nel rendere una certa sensazione di claustrofobia e ansia, alle quali contribuisce pure un sapiente uso di luci, ombre e riflessi. Gli stilemi artistici di alieni e marines non brillano quanto a originalità, ma appagano l'occhio a sufficienza. Peccano gravemente le animazioni che sembrano uscite da un titolo di dieci anni fa, a essere buoni, e lasciano intravedere il ridotto budget a disposizione del team di sviluppo e l'origine amatoriale del progetto.
    Il comparto audio fa il suo dovere quando si tratta di effetti delle armi e versi degli alieni, entrambi azzeccati. Al contrario le musiche di accompagnamento dei menù non passano di certo alla storia, anzi risultano quasi fastidiose e fuori luogo.
    I bot sono di discreta qualità: la loro mira è buona ma il loro comportamento è sovente privo di creatività e intraprendenza, rendendo talvolta le partite troppo lunghe e stantie; si rivelano un ottimo strumento per prendere confidenza con le meccaniche e gli ambienti di gioco prima di tuffarci in epici ma duri scontri online.
    A differenza di quanto hanno lamentato diversi utenti sui forum di Steam non abbiamo incontrato bug di sorta o crash improvvisi, né prima né dopo la data ufficiale di lancio, mentre al contrario i caricamenti prepartita si sono confermati ingiustificatamente lunghi. Allo stesso modo la nostra esperienza sui server disponibili si è rivelata positiva. I requisiti minimi invece ancora una volta non hanno fatto gridare al miracolo, lasciando più di qualche dubbio sulla scalabilità e l'eventuale resa su portatili o macchine da gioco un po' troppo attempate.
    Concludiamo con una piccola nota relativa alla community, che rischia di rimanere ancorata su numeri decisamente esigui seppur stabili nel tempo. In ogni caso gli sviluppatori hanno promesso un supporto continuo e costante nei prossimi mesi, con qualche feature aggiuntiva e si spera qualche mappa in più in attesa delle prime creazioni amatoriali, considerato il supporto dello Steam Workshop. Se quanto accaduto con Natural Selection 2 si ripeterà possiamo dormire sonni tranquilli da questo punto di vista.

venerdì 14 novembre 2014

Battlefield:Hardline


  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Visceral Games

  • Data uscita:19 marzo 2015




La serialità sta diventando un problema per molti giochi. I grossi publisher stanno spingendo al massimo il piede sull’acceleratore e ormai praticamente tutti i brand più importanti ricevono il loro capitolo annuale: se sugli sportivi la cosa è parzialmente giustificata dal rinnovamento delle rose, da piccoli ritocchi alle meccaniche di gioco e da altre chicche legate al multiplayer online, per quanto riguarda action e shooter riuscire a trovare un motivazione valida e cambiamenti significativi tra le varie produzioni diventa via via sempre più complesso. Certo, ci sono i miglioramenti grafici e ovviamente anche qui le novità in multiplayer non si fanno attendere, ma il vero colpo di coda che faccia parlare di rivoluzione latita ormai sin troppo spesso. Per porre parzialmente rimedio al problema ci si affida allora a sviluppatori diversi, tentando di rinnovare formule ormai rodate, talvolta riuscendoci in maniera egregia e altre volte invece forzando un po’ troppo la mano.
La serie Battlefield purtroppo non è tra le più fortunate in questo senso e, dopo il fallimento del brand di Medal of Honor con gli ultimi capitoli davvero sottotono, DICE si è trovata a dover reggere una mole di lavoro enorme per far uscire il titolo in tempi ragionevoli, con ripercussioni ovviamente sulla stabilità del codice come accaduto in Battlefield 4.
Da quest’anno però, per nostra fortuna, i ragazzi di Visceral Games arrivano in soccorso, tentando di portare tutta la loro esperienza nei giochi singleplayer di successo (parliamo ovviamente della serie Dead Space) nella campagna giocatore singolo di Battlefield Hardline.
Diverse settimane fa siamo volati a Londra per toccare con mano due missioni e saggiare la qualità delle stesse per toglierci eventuali dubbi.. Il risultato? Non ne siamo usciti convinti e ora vi spieghiamo il perché.

Negli ultimi anni le campagne di Battlefield non sono mai state memorabili e nemmeno le scene più spettacolari sono riuscite a lasciare il segno nella mente dei giocatori. Ecco allora che Visceral prende in mano le redini della situazione cambiando completamente il tiro e proponendo una campagna basata sulla furtività. Stealth e FPS non sono un connubio eccezionale di norma, ma eravamo comunque curiosi di capire come gli sviluppatori avessero implementato il tutto. Partiamo quindi dalle basi, sottolineando che per spostare il mirino su questa tipologia di gioco Visceral ha completamente rimosso l’atmosfera da guerriglia urbana vista nei precedenti episodi, inserendo una narrativa molto più teatrale e mettendoci nei panni di un poliziotto in una Los Angeles pervasa dal crimine. Se l’atmosfera in generale è di quelle giuste, la semplicità eccessiva delle strategie da mettere in atto si palesa già dopo pochi passi.
La nostra collega Kai ci spiega come muoverci silenziosamente e catturare i malviventi, distraendoli lanciando i bossoli (a quanto pare infiniti) per poi saltargli alla schiena e neutralizzarli grazie alle manette. Per facilitare le cose, due le meccaniche fondamentali: una barra speciale di rilevamento posta al centro dello schermo e una mappa tattica dove controllare sempre le ronde e il loro campo di visuale.
Se la prima lunghissima sezione che ha fatto da tutorial non ci ha lasciato particolarmente impressionati qualche buona idea la si è vista con l’evolversi della storia, arrivati ad un magazzino infarcito di nemici nel quale dovevamo infiltrarci. L’IA non è parsa particolarmente brillante, poiché continuare a lanciare bossoli nello stesso punto ci permetteva senza grosse difficoltà di tenere perennemente girati di spalle i nemici e, una volta voluto testare l'approccio diretto, ci siamo resi conto di poter sempre uscire a pistola spianata con il nostro bel distintivo luccicante in mano per fare arrendere i malviventi. Qui si innescherà una meccanica nuova, che vi obbligherà a tenere sotto tiro i bersagli per evitare che questi raggiungano le armi e vi sparino. Divertente le prime volte, per poi entrare di diritto nella routine più banale. Stando a quanto rivelato durante l’evento, la campagna sarà divisa al 50% tra questo tipo di missioni di investigazione e quelle militari più comuni.
Parliamo di investigazione perché tramite una sorta di scan in dotazione avremo altresì la possibilità di “taggare” i bersagli sulla mappa per seguirne i movimenti, ma anche trovare prove e indizi sparsi qua e la per risolvere i casi che ci verranno assegnati. Questa feature (che viene implementata sempre più spesso in svariati titoli) verrà utilizzata anche nelle missioni più caotiche, laddove trovare ad esempio una combinazione per accedere ad una cassaforte o recuperare importanti documenti prima di effettuare una rocambolesca fuga.
 

La seconda parte del test era invece più classica, con un enorme palazzo in pieno centro che dev'esser sembrata la location perfetta per sperimentare tutto il potere distruttivo delle armi di Battlefield: Hardline, armi che, come da tradizione, possono essere modificate in maniera pressoché totale attraverso pochi e semplici menu.
L’unica differenziazione rispetto al solito è che questa volta le modifiche vanno acquistate con i soldi ottenuti al completamento delle missioni e con i dollari bonus guadagnati ammanettando i malviventi senza che questi vengano coinvolti nelle sparatorie. Sinceramente è una meccanica controversa, perché spinge i giocatori più abili e più portati allo stealth a ottenere più soldi per un equipaggiamento migliore che però, proprio per le loro abilità nel passare inosservati, utilizzeranno più difficilmente. Vedremo quindi come si evolverà la cosa nella versione finale, questo primo assaggio era davvero troppo poco per darne un giudizio definitivo. Quello su cui però vogliamo andare cauti è ancora una volta l’IA, questa volta con un serio problema di routine. Premettiamo che il codice era ancora arretrato ma i nemici non possiedono tattiche di accerchiamento e non aggirano la nostra posizione. Questo vuol dire che da una posizione sicura potrete tranquillamente falcidiare ogni singolo bersaglio vi si pari davanti senza troppi problemi e senza praticamene dovervi mai spostare. A dire il vero un modo per farvi muovere i soldati avversari ce l’hanno ed è l’uso massiccio di granate fumogene letali, ignorabili tuttavia se indossate una maschera antigas, acquistabile per pochi spiccioli tra i gadget.
Appoggiatevela sul volto e Battlefield: Hardline diverrà un semplice tiro al bersaglio, soluzione che ci ha permesso di portare a casa il livello con sin troppa facilità

The Crew

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Guida arcade

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:2 Dicembre 2014

     

     

    A meno di un mese dall’uscita di The Crew, siamo ritornati sulla beta per una nuova prova dell’ambizioso titolo di corse targato Ubisoft, che mira a creare il corrispettivo di un MMO su quattro ruote, offrendoci una mappa in scala degli interi Stati Uniti d’America. Dopo un lungo coast to coast su PC, vediamo dunque in quali condizioni versa la controparte per console, e se lo stress test effettuato sui server è stato superato senza grossi problemi.
    Per riuscire nell’intento di intrattenere i giocatori senza lasciarli vagare a lungo da un punto all’altro di una mappa così estesa, era fondamentale riuscire a dare un’ottima varietà alle missioni e non lasciare spazio alla ripetitività. In questo senso, ci sentiamo di confermare le ottime impressioni già avute qualche tempo fa, soprattutto per via di una conduzione di gioco ben strutturata e intelligente, che accompagna gradualmente il giocatore in una giungla urbana densissima di eventi e sfide secondarie. Dalle grandi missioni principali legate a doppio filo alla storia - che parte con qualche spunto buono, ma che non sembra esattamente tra le più originali - fino ad arrivare agli obiettivi minori sparsi un po’ ovunque, c’è sempre un grande equilibrio nella gestione dei contenuti. Gli eventi contribuiscono a far aumentare l’esperienza e il denaro, e anche a rifornire la vostra vettura di ricambi più performanti, da poter innestare al volo o spedire al quartier generale. Da qui, oltre ad osservare i progressi di gioco, è possibile gestire la distribuzione dei punti abilità, per avere così diversi vantaggi che vanno dalla guida più agevolata agli sconti sulle vetture da acquistare nei concessionari delle grandi città. Grandissima cura anche nella personalizzazione delle parti estetiche delle auto, elemento che per qualcuno può risultare fine a se stesso, mentre per altri rappresenta un importante valore aggiunto, soprattutto perché in fondo, The Crew, è un titolo dall’anima fortemente arcade. Ecco dunque che è possibile metter mano ad alettoni, minigonne, cofani; scegliere fantasiosi adesivi e decalcomanie, per modificare così il proprio bolide e renderlo immediatamente riconoscibile tra i membri delle crew più tamarre che scorrazzano per l’America. Le modifiche meccaniche, invece, risultano sempre necessarie se non si vuole puntualmente essere il fanalino di coda durante le corse, pertanto, tutte le volte che si incappa in uno dei numerosi minieventi a disposizione, bisogna tentare di fare il miglior tempo o mettere in mostra tutta la propria abilità, a dimostrazione del fatto che tutto il lavoro degli sviluppatori non è affatto un riempitivo, ma un modo sapiente di far migliorare gradualmente lo status del giocatore e farlo accedere così alle competizioni che richiedono un livello maggiore.
    L’ultimo contatto con The Crew prima di questa beta per console, aveva messo in evidenza anche qualche dubbio sul sistema di guida, che pareva ancora piuttosto arretrato e decisamente arduo da padroneggiare – e non di certo per i demeriti degli utenti. La vettura, soprattutto a grandi velocità e in derapata, risultava avere una tendenza al pattinamento molto accentuata, era spesso incontrollabile e scomposta, e la precisione delle sterzate era difettosa. A questo, bisognava aggiungere un sistema di collisioni imperfetto e a tratti approssimativo, che poteva far perdere qualche posizione (e un po’ di pazienza) anche avendo il massimo dell’attenzione. Questa prova, nonostante dimostri come ancora ci sia bisogno di lavoro e attenzione per sistemare delle magagne non da poco, ci ha fatto capire quanti progressi siano stati fatti, rendendo quasi accettabili le scorribande sia su asfalto che su sterrato. La guida è infatti più morbida e meno sguaiata, le auto sono più controllabili e le collisioni involontarie sono diminuite drasticamente, fino quasi a sparire. Tuttavia, nonostante stiamo parlando di un titolo arcade che fa dell’aggressività al volante la sua maggior prerogativa, restano dei dubbi che scioglieremo solo in sede di recensione, fiduciosi del fatto che un altro mese circa possa dare buoni frutti e rendere più docili i comportamenti delle vetture. Sulla bontà del gioco e sulle buone intuizioni che mette puntualmente in atto, non si discute, ed è proprio per questo che ci dispiacerebbe qualora non dovessero essere sistemati i problemi presenti al modello di guida. 
    E sempre rimanendo in tema di confronti con la vecchia build, bisogna sottolineare delle migliorie a tutto campo per quanto riguarda il comparto tecnico, adesso più solido e con pochi elementi meno curati degli altri. Non si grida di certo al miracolo, ma trattandosi di un open world piuttosto vasto, dove ci si impiega più di mezz’ora per andare da una costa all’altra degli States, l’impatto generale resta comunque di buon livello.
    Anche The Crew fa della socialità una delle sue colonne portanti più possenti, ma nonostante sia fortemente consigliato intraprendere gare ed eventi con altri utenti per avere il meglio dall’esperienza di gioco, affrontare le competizioni in singolo riesce a divertire senza lasciare eccessivamente l’amaro in bocca. Preferiamo non sbilanciarci sul multiplayer e su tutto ciò che ruota attorno al cuore pulsante dell’opera, perché come ben sappiamo, da qualche tempo i server non riescono più a dare il margine di sicurezza di cui avremmo bisogno. The Crew va provato a lungo, soprattutto dopo che sarà arrivato nei negozi, e solo successivamente sarà possibile esprimersi sulla risposta delle infrastrutture di rete e sul netcode. Ciò che possiamo dire al momento dopo aver provato diverse gare PvP, è che la presenza di lag si fa talvolta più corposa del previsto, con comportamenti bizzarri delle auto rivali che inficiano, anche gravemente, la conduzione delle gare. Nelle lobby PvP è possibile affrontare diversi eventi in successione, ne troverete in ogni zona e possono essere giocati con la crew o tutti contro tutti. Vincendoli, si otterrà esperienza, denaro e punti reputazione. Se si abbandona la gara, si verrà penalizzati.
    Mentre eravamo nel bel mezzo delle competizioni, è capitato però di vedere auto apparire dal nulla, speronarci e mandarci fuori pista, arrivare a sbattere sulle protezioni e avere comportamenti per nulla aderenti alle leggi fisiche, e subire compenetrazioni inaspettate tra vetture. Non accade sempre, ma durante la nostra lunga prova, le gare PvP dove non accadeva nulla di anomalo sono state veramente poche. E l’impulso di uscire, sperando di incontrare utenti corretti che non stressassero eccessivamente i server, l’abbiamo avuto un paio di volte. È ancora una beta, è chiaro, ma The Crew ha la necessità di sistemare tutti questi problemi se vuole essere ricordato per ciò che è: un’opera che ha dalla sua una carica innovativa non indifferente, e che proverà a portare le dinamiche di un MMO in un mondo vasto, dove non ci sono personaggi fantastici in luoghi incantati, ma bolidi da truccare, compagni da reclutare e una storia dove tutto è andato terribilmente fuori controllo.

mercoledì 12 novembre 2014

Assassin's Creed Unity

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:13 novembre 2014

     

     

    Non è facile descrivere il rapporto di un giocatore con gli Assassin’s Creed. È una relazione strana, fatta di alti e bassi, quasi come stare con una bella donna (o un bell’uomo, nel caso siate una delle nostre lettrici) brillante e capace di mantenere invariato il suo fascino nel tempo con il savoir faire e una cultura incredibile. Poi però si arriva all’atto pratico, e c’è sempre un concreto rischio di trovarsi di fronte a spasmi e situazioni abbastanza imbarazzanti che ci mettono davvero poco a far sparire la magia. Ora, perdonateci l’intro seriamente di cattivo gusto ma siamo convinti che il paragone sia abbastanza azzeccato, dopotutto abbiamo vestito i panni degli assassini svariate volte e ci siamo fatti un’idea ben precisa sulle loro avventure. Il marchio numero uno di Ubisoft porta con sé difetti tutt’altro che marginali trascinatisi per anni, e mancanze a cui quasi tutti sono sempre passati sopra in virtù delle ambientazioni magnifiche in cui i giochi della serie trasportano l’utente, della narrativa piuttosto appassionante e della qualità dei contenuti. 
    Di tempo tuttavia né è passato un po’ troppo, e adesso quelle problematiche appaiono evidenti quanto i difetti del partner in una coppia sposata da un’eternità. Forse è proprio per questo che Unity ci ha inizialmente catturato come non mai: era una ventata di freschezza, un titolo con le carte in regola per svecchiare il gameplay, rivoluzionare (pun intended) la struttura, e innalzare i capitoli della serie finalmente a livelli mai visti prima.
    Immaginate la nostra delusione quando, volati in Francia per una lunga sessione review con queste aspettative, ci siamo trovati di fronte a un gioco capace di gettare al vento buona parte delle sue immense potenzialità. Unity non è un brutto lavoro, che la cosa sia cristallina, ma son troppe le teste cadute durante il suo sviluppo per poterlo premiare. Ed è meglio cominciare con l’analisi, perché le battutine e i rimandi al periodo storico han preso già una piega pessima se non l’aveste notato.
    Unity parte da una base narrativa che dovrebbe essere una manna dal cielo per una casa come Ubisoft, la rivoluzione francese. Poche software house al mondo avrebbero potuto trattare meglio quel periodo storico e ancor meno coglierne l’essenza, tratteggiarne i protagonisti e sfruttarne gli eventi. Completata una prima fase non poco interessante, di cui evitiamo di spoilerarvi i dettagli, ci si rende invece conto che l’approccio alla trama stavolta è piuttosto... spento, e manca di ispirazione. Nei panni di Arno, e non dimenticatevi l’accento sulla o, affronterete una storia che rivede al centro le politiche interne di templari e assassini, e che rappresenta solo un piccolo passo avanti nelle tematiche che smuovono l’intera saga. La rivoluzione, a sua volta, non viene sfruttata a dovere, con pochi momenti in cui ci si sente partecipi degli smottamenti nell’ordine pubblico dovuti alle insurrezioni popolari, e personaggi storici inseriti nel gioco in tal numero da sembrare quasi messi lì a forza in molti casi. Lo stesso protagonista non aiuta più di tanto, rivelandosi un tiepido tentativo di rivaleggiare il buon Ezio, ma con una patologica mancanza di verve e intelligenza nella caratterizzazione.  Non c’è molto da salvare quando il tuo personaggio principale fa sembrare uno come il marchese De Sade la voce della ragione in più occasioni, in fondo.
    Nonostante la loro introduzione quasi forzata, comunque, sono proprio le tante figure storiche accompagnate da innumerevoli rimandi azzeccati a salvare il copione. Personaggi come Napoleone e l’appena citato De Sade aggiungono colore a un cast che fatica a brillare di luce propria, senza contare il fatto che Unity è uno dei pochi giochi realmente educativi in circolazione per chi è seriamente interessato alla storia. Certo, più che della reinterpretazione degli eventi è il caso di curarsi dei documenti sparsi per il gioco, delle descrizioni dei luoghi più belli e importanti di Parigi e delle brevi biografie di certe grandi personalità, ma vi assicuriamo che la massa di informazioni non manca per chi apprezza questo genere di cose.
    Il gameplay ad ogni modo, più che la storia, era l’elemento su cui erano tutti convinti che Ubisoft non avrebbe fallito. La casa ha raramente sbagliato nel campo del controllo qualità, e da tempo riesce a tirar fuori esperienze con meccaniche funzionali e gradualmente sempre più rifinite. Unity, dal canto suo, aveva cambiato con forza gli ingredienti, appoggiandosi a un rinnovato sistema stealth capace di dare tutto un’altro senso all’esperienza e implementato in modo da rendere buona parte della campagna un sandbox di sorta. 
    Ecco, che lo stealth sia un’aggiunta graditissima lo abbiamo già precisato in passato, solo che ci sono alcuni problemi di fondo non indifferenti che vengono fuori quando si cerca di sfruttarlo con costanza durante le missioni. Il primo, e più evidente, è l’intelligenza artificiale: Arno ora può muoversi silenziosamente, nascondersi in copertura dietro agli oggetti, e mantiene persino l’utile capacità di mimetizzarsi tra le folle, ma i suoi nemici non sembrano aver notato più di tanto la differenza. Gli avversari sono e rimangono piuttosto ebeti, come se i loro pattern e comportamenti fossero ancora quelli, quasi invariati, dei vecchi Assassin’s Creed. Non reagiscono praticamente al suono (anche se gli sparate una lama fantasma a un millimetro dal collo), hanno campi visivi abbastanza ridicoli, tempi di reazione lunghi e sono mostruosamente exploitabili se si capisce come muoversi e cosa sfruttare nelle varie mappe. Affrontarli resta discretamente divertente, anche in virtù di un rinnovamento generale nelle tipologie di quest e della spettacolarità dell’azione, ma è come se ad Ubisoft non avessero voluto agire con forza su certi fattori per evitare di aumentare in modo eccessivo il livello di sfida del gioco. La riteniamo una scelta comprensibile, per carità, ma non concepiamo come possa ritenersi sensato un tale sbilanciamento dei gadget a disposizione di Arno. Che si parli di lame a distanza, bombe stordenti o dei fumogeni, tutti gli oggetti del protagonista possono fare sfaceli. Avete problemi ad eliminare guardie corazzate o dalla parata facile? Un fumogeno e ve la filerete senza problemi, o potreste anche riuscire a ucciderle tutte prima che si riprendano dallo stordimento. Beccati tra la folla? Fumogeno. Ritenete il paesaggio troppo spento? Fumogeno. Affamati? Fumogeno. È la panacea di tutti i mali, un “I win button” devastante, che andava eliminato in toto o limitato con forza. Non utilizzatelo, diciamo sul serio, e la vostra esperienza migliorerà sensibilmente. 
    Per il resto dei cambiamenti ci sono stati, e con lo stealth è arrivata una visuale limitata delle guardie, che non dominano più i tetti e possono venir perse con un po’ di sana corsa acrobatica. Nei gruppi di avversari a metà gioco inoltre compaiono sempre nemici alquanto ostici e trovarsi circondati porta rapidamente alla morte se non si hanno ottimi riflessi. Con tali premesse avremmo seriamente adorato una sorta di difficoltà massima selezionabile, con gadget assenti e un’ia più responsiva, ma forse era chiedere troppo a una serie che ha sempre fatto dell’accessibilità la sua bandiera.
    Con un’introduzione massiccia come uno stealth system era difficile aspettarsi altri grossi cambiamenti, eppure Ubisoft in Unity ha pensato bene di trasformare anche un altro pezzo di cuore del marchio, il tanto acclamato free running. La velocità di movimento degli assassini è l’anima di Assassin’s Creed, una sorta di super parkour che permette ai giocatori di girare per le stupende mappe di questi giochi senza troppi sbalzi, scalando ogni monumento, evitando gli ostacoli con la grazia di una pantera e lasciando di sasso gli antagonisti. Parigi ha però costretto gli sviluppatori a un rifacimento del sistema: la capitale francese è stata qui riproposta con un livello di dettaglio strabiliante, un numero smodato di edifici, zone nascoste e quartieri complessi che rappresenta un aumento non meglio definito di variabili durante la fluida navigazione delle strade. Se prima le possibilità di movimento durante una corsa sui tetti o una scalata erano quindi una manciata, ora sono triplicate, e la conseguenza diretta è stata un complicarsi del free running stesso, applicata con l’inserimento di due bottoni che, se premuti, portano gli spostamenti di Arno ad essere indirizzati verso il basso o verso l’alto. L’idea, sulla carta, è geniale. Certo, si diminuisce l’intuitività del sistema, ma almeno si assicura ai giocatori un controllo pressoché totale sui movimenti del loro alter ego, assicurando fughe rocambolesche anche in ambienti ricchissimi di ostacoli. Fatto sta che l’applicazione del nuovo sistema non è priva di intoppi, e l’eventualità che il proprio assassino si “incastri” da qualche parte è divenuta tristemente tutt’altro che rara. Il motivo è semplice in verità: Ubisoft ha chiaramente calcolato vari percorsi semi-automatici nella sua mappa, ma non può aver avuto il tempo materiale di gestire alla perfezione i movimenti di Arno su ogni singolo tetto e struttura, dunque ha forzato un po’ la mano sulla discesa veloce e fatto in modo che l’ascesa portasse il nostro a balzare sulle superfici rialzate più vicine. Se però ci si affida ai due tasti capita di bloccarsi di netto in certe zone, di scendere a velocità luce da una casa quando si voleva semplicemente saltare su un balcone poco sotto, o di finire in una zona non contemplata nella propria traiettoria mentale. La dimostrazione più lampante che il sistema non funziona al 100% sono le scalate, che alle volte appaiono rallentate come se il gioco non riuscisse a calcolare subito gli intenti del giocatore, e le maledettissime finestre, dove entrare può davvero essere un’impresa disperata nel mezzo di certe fughe. 
    Non è facile abituarsi a questo cambio di gestione insomma, e, anche se una volta presa la mano coi comandi si scatta tra le vie di Parigi con molta più naturalezza, c’è stato chiaramente un mezzo passo falso nell’implementazione del tutto. Rappresenta a nostro parere comunque un’evoluzione significativa del sistema, che se curata maggiormente potrebbe portare a grossi sviluppi in futuro e, quando funziona, sa risultare davvero gustosa anche con le sue imperfezioni in Unity.
    Non si chiude peraltro qui il redesign strutturale degli Assassin’s Creed. Unity è infatti uno dei pochi titoli della serie ad avere degli elementi di personalizzazione estremamente diversificati e legati direttamente allo sviluppo del protagonista. In pratica, avanzando nel gioco, Arno guadagnerà punti abilità da spendere per imparare tecniche utili divise in sottoinsiemi, e ben tre tipi di valute diverse dedicate all’equipaggiamento. Il vil denaro sarà quella principale, ovviamente, dedicato all’acquisto di molteplici pezzi di vestiario e delle armi, ma vi saranno anche punti credo utilizzabili per acquistare colori extra e potenziare gli oggetti, e l’ormai immancabile (per quanto desolante sia la cosa) valuta per le microtransazioni, ottenibile di rado in game e pensata per velocizzare mostruosamente l’ottenimento di certi oggetti per chi ha poco tempo da perdere. La presenza di tale valuta è totalmente trascurabile, ci teniamo a precisarlo prima di vedere sommosse popolari in atto.
    Torna in Unity anche una gestione un po’ più approfondita di una propria squadra di assassini e di una proprietà, con quest’ultima chiamata Café Theatre e la prima gestibile in verità tramite la app mobile dedicata al gioco. Il Café Theatre fa più scena che altro, visto che è restaurabile in tempo record e buona parte delle sue funzionalità sono attivabili direttamente dal menu della progressione, ma resta un utile fonte di guadagno e offre qualche quest interessante. Poco da criticare invece per la app mobile, che al di là di qualche singhiozzo nella sincronizzazione permette di aprire scrigni dedicati, gestire un team di alleati con uno sviluppo dedicato, ed è molto ben fatta.
    Parlando di missioni, è il caso di passare proprio ai contenuti, che di Unity sono forse il fiore all’occhiello. Lasciateci dire che a tratti pare quasi che Ubisoft abbia voluto infilare tutto l’infilabile in questo capitolo della serie, con un numero di missioni secondarie, collezionabili e quant’altro così fitto da andare a coprire a volte l’enorme mappa di Parigi a forza di icone. Ci sono, oltre alle quest primarie, un gran numero di secondarie chiamate “Storie di Parigi”, di qualità altalenante ma in ogni caso quasi tutte piacevoli, curiose missioni investigative iniziate dal buon Vidocq che richiedono di raccogliere prove per incastrare uno tra più possibili killer, e gli enigmi di Nostradamus, che richiedono una conoscenza quasi enciclopedica della capitale francese per essere beccati in giro per la mappa. Con la nuova infrastruttura stealth, non bastasse, le uccisioni con obiettivo hanno cambiato faccia, trasformandosi come detto poco fa in missioni sandbox all’interno di grosse mappe esplorabili approcciabili in molti modi differenti. 
    Dobbiamo dire che, tra tutte le novità, ad attirarci meno sono state proprio le investigazioni, che perdono charme con una velocità sorprendente e divertono davvero in pochi casi. Di missione in missione verrete anche messi alla prova da alcune sfide interne, che renderanno il tutto più difficile chiedendovi di eliminare i nemici in un certo modo o di non farvi scoprire. Avremmo in verità apprezzato molti più compiti con quest’ultimo obbligo, ma è ad ogni modo una trovata discreta per aggiungere rigiocabilità alla campagna.
    Tra la massa delle missioni si infilano anche i soliti collezionabili, con coccarde e cimeli sparsi per tutta Parigi. In parole povere, Unity dà l’impressione di voler riutilizzare i punti di forza dei primi capitoli, abbandonando i mari degli ultimi episodi e riconcentrando l’attenzione degli sviluppatori sulle ambientazioni cittadine e sulle quest classiche. Un bel cambio di registro.
    Un altro aspetto di Unity ha incuriosito critici e fan al momento della presentazione, il multiplayer cooperativo. Scomparse le curiose ma poco allettanti modalità viste in precedenza, i giocatori possono finalmente invitare i loro amici nelle strade di Parigi e dedicarsi a missioni co-op o a “furti” fino a 4 giocatori. Il concetto di base è preso paro paro dall’ultimo Splinter Cell: con lo stealth dalla sua Ubisoft ha inserito nella campagna delle quest con guardie in sovrannumero, pensate per favorire la collaborazione tra gli assassini e la strategia. Funziona, per carità, e se si comunica con i propri compagni a dovere per completare il tutto nel modo più intelligente possibile la co-op sa essere estremamente godibile. Il problema sono le partite random, che possono tramutarsi in un mezzo inferno a causa degli sbilanciamenti dei gadget descritti poco fa. Se la sfortuna vi farà capitare in gruppo qualcuno desideroso solo di accumulare rapidamente crediti o di dimostrare la sua capacità di rompere il gioco, vi vedrete sfrecciare davanti un diavolo della Tasmania coperto di fumo, che ucciderà senza aiuti tutto ciò che è contenuto nella mappa. Quindi sì, gli errori compiuti sul bilanciamento dei gadget possono influenzare negativamente anche questo aspetto del titolo. 
    La personalizzazione del personaggio brilla in particolare in questi compiti, dove le modifiche fatte ad Arno permettono di rendere unico il proprio assassino. Non crediate però che le vostre caratteristiche possano assegnarvi un ruolo specifico nel team, è più una questione di stile visti i mutamenti marginali al gameplay.
    Forse è il comparto tecnico l’elemento di Unity a impressionare di più. È il caso di precisarlo subito: non aspettatevi texture impeccabili, un frame rate stabile o modelli poligonali dettagliati a livelli inverosimili, non li troverete nelle versioni console di Assassin’s Creed Unity. Noi abbiamo testato il gioco su Xbox One, e ci ha impressionato principalmente per la mole poligonale che riesce a muovere e l’impressionante rappresentazione di Parigi. L’engine stavolta riesce a dar vita a centinaia di persone sullo sfondo, e la conseguenza diretta è una città molto più viva e zeppa di abitanti rispetto al passato. Ogni vostro passo sarà accompagnato dal popolo, con rivolte per le strade, gente che si fa semplicemente gli affari suoi, furtarelli e omicidi di cui occuparsi al volo, e conflitti tra guardie reali, rivoluzionari e briganti. Il trucco c’è, e si vede, poiché in certe zone con un gran numero di modelli si notano scatti marcati nella scalabilità del motore. Per reggere tutto questo ben di dio infatti il motore abbassa la qualità del motore grafico, e questi switch improvvisi tra un modello e un altro a volte si notano anche da vicino. Non è poi l’unico glitch visivo del gioco, purtroppo. Unity non è una colonna d’acciaio quando si parla di stabilità, e i bug non sono mancati durante la nostra esperienza. Nulla che fosse capace di bloccare la campagna, ma qualche quest secondaria ci ha dato problemi, il frame rate alle volte ha avuto cali sorprendenti e abbastanza ingiustificati, ed è evidente una certa mancanza di pulitura generale nelle piccole cose, come i suggerimenti che vanno spesso a coprire informazioni importanti legate alle quest. 
    Con il nuovo motore sottobraccio gli sviluppatori hanno voluto sbizzarrirsi, inventandosi delle anomalie temporali che trasportano Arno in altri periodi storici. Un modo come un altro per inserire nel proprio gioco chicche come la Tour Eiffel, e per stupire ulteriormente il giocatore con la bellezza di Parigi. Perché l’elemento intoccabile di Unity è proprio questo, Parigi, una città virtuale enorme, splendida, e che resta un piacere visitare per ore ed ore. Dal gioco traspare un enorme amore per la capitale francese, ed è impossibile non apprezzarla un po’ di più dopo averlo completato. La sua resa e la fedeltà di certi monumenti fanno impallidire qualunque cosa l’abbia preceduta.

martedì 11 novembre 2014

Dragon Age Inquisition

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:BioWare

  • Data uscita:20 novembre 2014

     

     

    Da videogiocatore di vecchia data il decadimento delle software house è un fenomeno con cui ho imparato a convivere. Ogni cosa ha un inizio e una fine, e anche giganti che sono stati capaci di regalare dei piccoli sogni ai loro fan possono dissolversi nel nulla, come è accaduto per LucasArts. Vi è però anche un’eventualità meno traumatica, più subdola e velenosa, che sul lungo periodo può uccidere una casa nei cuori dei giocatori tanto quanto il suo fallimento: la perdita di fiducia. Basta una grossa delusione a rovinare una vita di successi, poiché rappresenta di solito l’inizio inarrestabile di una parabola negativa che termina nel disastro. 
    Bioware non ha commesso errori irreparabili negli ultimi anni, ma con il secondo Dragon Age e una forte spinta sull’azione ha in parte alienato i fan della vecchia guardia, di mese in mese sempre più crudelmente convinti che questa fucina di meraviglie canadese ormai non volesse e potesse più creare un gdr duro e puro, di quelli in grado di accontentare anche i fanatici dei numeri, delle avventure enormi e dei mari di testo scritto. 
    Io stesso, cresciuto a pane e Baldur’s Gate, ho iniziato pericolosamente a dubitare, pur avendo passato innumerevoli ore sui loro titoli ed essendomi spesso vantato (possibilmente non con le ragazze) di averli finiti quasi in toto alla massima difficoltà. Dragon Age: Inquisition era dunque per me, come per molti altri, una prova importantissima, che doveva rappresentare la rinascita di questo talentuoso e possente team nel genere più complesso, difficile da gestire e meravigliosamente brillante in circolazione. Beh, gioite, perché dopo varie notti insonni e coi crampi alle mani e alle natiche per le ore passate davanti allo schermo posso affermare con certezza che Bioware è tornata.
    Il cambio di registro rispetto al capitolo precedente lo si nota fin dai primi secondi, e viene messo subito in chiaro da una creazione del personaggio di quelle che possono portare via facilmente mezza giornata. Non più limitati alla scelta di un singolo eroe, avrete finalmente modo di dare al vostro alter ego le sembianze e la razza che preferite, con la possibilità di scegliere persino un imponente Qunari. Non c’è la diversificazione dei prologhi vista in Origins, dove ad ogni scelta corrispondevano intere fasi dedicate, ma ci si rende velocemente conto di quanto insignificante sia il problema nel momento in cui si osserva la nuova struttura del titolo Bioware. Inquisition è infatti un open world, ben diverso dai limitati, per quanto estesi, giochi che l’hanno preceduto. La sua premessa serve solo a introdurre le meccaniche, e una volta completata vi lascia liberi di esplorare gradualmente immense distese sparse nel Ferelden e ad Orlais, ben più grandi rispetto alla stragrande maggioranza dei gdr occidentali in circolazione. 
    Non pensiate comunque di poter sottovalutare la narrativa solo perché è costruita attorno a un gioco dalle ampie vedute: troverete un numero folle di dialoghi in questo Dragon Age, e una qualità della scrittura che dimostra ancora una padronanza dell’epico propria di pochi nel campo. La trama di Inquisition non è solo interessante e ricca di colpi di scena, ha ripercussioni mastodontiche sull’intero lore della saga e si ricollega con forza agli eventi dei primi due capitoli, al punto che per chi ha perso i suoi salvataggi consigliamo senza remore l’uso del sito Dragon Age Keep per recuperare forzatamente le scelte fatte. 
    Vedrete svariati rimandi a personaggi e avvenimenti visti in Origins o nel bistrattato secondo capitolo, e sentirete costantemente il peso delle vostre azioni passate mentre plasmate il mondo con nuove importantissime scelte. Il gioco ovviamente resta godibile anche senza aver giocato l’intera epopea, ma è molto bello constatare come la fedeltà al marchio sia stata ripagata senza scorciatoie nel terzo capitolo.
    Solo un avvertimento, per chi si aspetta un’esperienza all’acqua di rose. In Inquisition ci sono tanti, ma tanti, ma tantissimi testi, sparsi tra un bel po’ di personaggi e una pioggia di scritti, testimonianze e quest. Qua siamo di fronte a un livello di approfondimento della lore e dei fatti da Planescape: Torment, non all’action adventure medio, e potreste passare più di mezz’ora solo a farvi raccontare la storia del Tevinter da uno dei vostri compagni. Siete avvertiti.
    Ma torniamo al fattore che balza subito all’occhio, ovvero la trasformazione in open world. Inizialmente in possesso della fortezza di Haven, in Inquisition vi verrà dato modo di gestire un trittico di agenti da spedire in varie missioni, e di aprire nuove mappe esplorabili spendendo punti potere guadagnati completando quest e chiudendo varchi nell’oblio con l’ausilio di un misterioso potere infuso nella vostra mano destra. Sottovalutare la massa del gioco può essere devastante, perché Bioware non si è limitata a piazzare qualche grossa mappa qua e là, ma ha finemente costruito ogni ambientazione, riempiendole tutte di quest e facendole continuare per chilometri. Se non vi stupisce il fatto che la prima zona, da sola, offre qualcosa come una ventina di ore di contenuti tra missioni, oggetti da recuperare e varchi da ricucire, la mascella non potrà che cadervi quando, passata una quindicina di ore, abbandonerete Haven e vi ritroverete a iniziare realmente l’avventura. Già, dopo quindici ore Dragon Age Inquisition “inizia”, una situazione che ha dell’incredibile e dimostra una reale volontà di creare qualcosa di impressionante.
    Certo, tanti contenuti servirebbero a ben poco senza un gameplay affinato e una sacrosanta diversificazione dei compiti, ma anche qui Bioware è stata ad ascoltare il feedback dei fan e ha lavorato d’ingegno. Le quest vi richiederanno per lo più di eliminare mostri e nemici, ma si parla ad ogni modo di avversari estremamente unici e dotati di abilità spesso pericolose, che alle difficoltà maggiori (specialmente se si disattiva l’immunità dei compagni al fuoco amico) richiedono tattica e furbizia per essere eliminati senza disastri. A favorire il tutto ci pensa il nuovo sistema di combattimento: una mescolanza tra la velocità estrema del secondo capitolo e la strategia del primo, che non sacrifica la spettacolarità e reintroduce la tanto agognata tactical view, una visuale dall’altro che permette di dare singoli ordini ai compagni e di riposizionarli a piacere sul campo di battaglia. Non è perfetta, a causa di una visuale un po’ limitata, ma risulterà praticamente insostituibile in hard o incubo, dove i nemici menano manco fossero la versione fantasy di Mike Tyson e un errore può costare carissimo. 
    L’enfasi sugli scontri ben calcolati viene sottolineata ulteriormente dalla quasi totale assenza di cure magiche in battaglia. Al di fuori di alcune abilità avanzate, la rigenerazione dei protagonisti è affidata alle sole pozioni e né i punti vita né le vostre magiche boccette si ricaricano se non si trova una zona della mappa dove è possibile accamparsi o una rara cassa di rifornimenti. Dovrete pertanto valutare attentamente la posizione dei possibili campi base, e alternare qualche sosta al vostro avanzamento, riposandovi di tanto in tanto. 
    Poco da dire poi sul bilanciamento di nemici e classi, che in Dragon Age 2 era un disastro per via di nemici infami come la morte e in Origins pendeva eccessivamente dalla parte dei maghi. Qui, in assenza di cure, la lancetta tira verso i guerrieri, a causa di alcune abilità che garantiscono utilissima armatura difensiva durante un combattimento e a delle indispensabili provocazioni, ma le classi sono ben studiate e il loro utilizzo è praticamente un obbligo. Nessuno ha il controllo sui nemici e l’utilità di un mago, come d’altro canto non c’è modo di avvicinarsi ai danni di un ladro armato di coltelli, dunque si parla di pezzi dello stesso puzzle. Non mancano inoltre le specializzazioni, con varianti di classi già viste e apprezzate, e alcune abilità avanzate gustosissime equiparabili a delle super e caricate a forza di combattere.
    L’altra parola d’ordine del gioco è “gestione”. Morti e sepolti i menu semplificati son tornati gli inventari complessi e il crafting fatto come si deve. Ogni personaggio può equipaggiare varie armi, accessori, e armature, e spesso e volentieri l’equipaggiamento dispone di slot dove è possibile inserire potenziamenti vari, riproducibili dopo aver messo le mani su progetti sparsi tra le missioni o venduti dai mercanti. La raccolta dei materiali è semplice e ricorda quella degli mmo, con vene di minerali e piante che si rigenerano rapidamente nelle mappe. 
    Non ci si limita però a scegliere l’armatura più luccicante e il coltellaccio più puntuto, visto che la figura dell’Inquisitore in questo Dragon Age è molto simile a quella di un lord e obbliga a scegliere costantemente alleanze, giudicare crimini, e addirittura dedicarsi alla personalizzazione del proprio enorme forte, ove si possono modificare trono, vetrate, drappi, e migliorare certe location. Molto importanti sono anche gli agenti citati sopra, che possono venir spediti a terminare varie operazioni, a volte pensate solo per far ottenere un po’ di risorse in più, o altre in grado di migliorare i vostri rapporti con i compagni e di garantirvi nuovi alleati. 
    Le scelte, peraltro, non sono di contorno. Decidere di aiutare l’una o l’altra fazione può mutare intere parti di campagna e vi troverete più volte dinnanzi a decisioni che potrebbero costare la vita a qualcuno. A voler essere pignoli, la crescita dell’Inquisizione è un po’ fine a se stessa e influenza marginalmente gli eventi finali, che sono dettati più da alcune strade intraprese nelle main quest che dall’effettiva dedizione all’ampliamento del proprio impero. Tuttavia il mondo cambia a causa delle vostre azioni, intere aree vengono bonificate, regioni si riempiono di nemici o si desertificano, giochi di potere muoiono sul nascere o si trasformano in guerre civili, ed è tutto nelle vostre mani. Ci si sente davvero un eroe con in mano il destino del mondo.
    Le novità non sono ancora finite, con l’arrivo del multiplayer anche nella serie Dragon Age. L’online di Mass Effect aveva funzionato discretamente bene e vista la forte componente action nel combat system di Inquisition un’opzione simile ha certamente senso, tanto che non è stato difficile applicarla per gli sviluppatori. In pratica si sceglie una tra varie classi (alcune sbloccabili con certe condizioni), e si gironzola tra dungeon in compagnia di altri tre giocatori, con una formula che ricorda da vicino quella degli mmo. Si può scegliere qualunque ruolo, ma è più che ovvio come le classi vadano diversificate per avere maggiori probabilità di successo, anche a causa della presenza di portoni apribili solo da alcune professioni che nascondono oggetti e ricchezze. Avanzando tra i dungeon i propri personaggi salgono di livello, si potenziano riempiendo rami delle abilità dedicate, e guadagnano equipaggiamento sempre più potente, fino a divenire delle forze della natura. Dubitiamo che la modalità catturerà i giocatori quanto la campagna principale, ma è una gradita aggiunta, che sa divertire e si mantiene fresca grazie a una randomizzazione dei nemici all’interno delle varie ambientazioni. Certo, non aspettatevi istanze curate come quelle di WoW, questo è più che altro un interessante diversivo, capace di dare il meglio di sé in compagnia di amici.
    Siamo di fronte perciò alla perfezione? All’opera magna della software house canadese? Solo per certi versi, perché Dragon Age comunque non è un titolo impeccabile e cade in un punto: il comparto tecnico. Il Frostbite non è un motore facile da gestire, è un cavallo pazzo che persino i suoi creatori non riescono a domare completamente. I Bioware, purtroppo, non ci sono riusciti appieno, e in Inquisition la cosa si nota sotto forma di bug grafici abbastanza frequenti, che si tratti di qualche strano glitch durante i filmati, di compagni che decidono di piantarsi da qualche parte mentre esplorate, di destrieri volanti o di altre amenità. Va detto che, trattandosi di un motore non loro, hanno fatto miracoli, e al di là di una navigazione abbastanza singhiozzante in zone piene di ostacoli e di qualche animazione legnosetta (il salto, oddio il salto) non è un problema gironzolare per le titaniche mappe una volta abituatisi ai comandi.
    Nulla da recriminare invece per il sonoro, con musiche magnifiche, e doppiaggi di grande qualità, e sulla direzione artistica, con paesaggi davvero mozzafiato a volte, nonostante la resa grafica del gioco non faccia gridare al miracolo per livello di dettaglio. Tenete a mente che l’ottimizzazione del motore non è perfetta e che su certe configurazioni, anche molto potenti, settare tutto ad ultra potrebbe mettere in seria difficoltà il vostro pc. Su console chiaramente il problema non si pone, ma si va a perdere molta bellezza. Precisiamo inoltre di non aver avuto modo di testare le versioni old gen del titolo e di non avere la più pallida idea di come possano funzionare. Sul serio, Dragon Age Inquisition è un gioco colossale, un’epica di proporzioni cosmiche, che anche se rushata brutalmente è improbabile finire in meno di una cinquantina di ore. Nel caso decidiate di dedicarvi a ogni suo segreto e quest, il counter del vostro tempo supererà facilmente le 100 ore, e chissà quante altre potreste aggiungerne buttandovi nel multiplayer. Non c’è che dire, Bioware stavolta ha fatto le cose in grande.

mercoledì 5 novembre 2014

Grand Theft Auto V

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Rockstar Games

  • Data uscita:17 Settembre 2013 (PS3, Xbox 360) - 18 novembre 2014 (PS4-Xbox One) - 27 gennaio 2015 (PC)

     

    Come si può migliorare la perfezione? Beh difficile dirlo, e difficile anche spiegare come un gioco che ha preso un bel 10 tondo su queste pagine possa essere reso ancora più bello. Un discorso forse troppo complesso per chi si ferma a leggere un piccolo numeretto in cima all’articolo, complesso per chi non capisce che un titolo come GTA V è andato ben oltre al semplice gameplay e alla semplice tecnica, essendo stato capace invece di regalare emozioni a un pubblico in grado di vedere al di la di quattro poligoni ricoperti dalle texture.
    Abbiamo amato alla follia Trevor, con quella recitazione sublime e le righe di dialogo volgari e spinte, ci siamo lasciati trascinare dalla storia del giovane Franklin e abbiamo anche adorato il senso di “famiglia” di Michael ma quello che più ci ha colpito della produzione Rockstar era quel mondo vivo, così credibile, vasto e pulsante di cose da fare, un modo nel quale perdersi anche solo per ammirare il tramonto sul mare mentre veleggiavamo lontani dalle coste di Los Santos sulla nostra barca appena rubata…
    I ben informati sapranno già che tutto questo sta per tornare, in una edizione completamente rivisitata per le console di nuova generazione e noi ci abbiamo messo sopra le mani e ora siamo pronti a rivelarvi quanto il titolo è stato in grado di superare la sua ultima barriera.
    Piccola premessa, le anteprime sulle riedizioni o i remaster solitamente si esauriscono in fretta, con il redattore di turno che ben presto si trova a parlare di come i nuovissimi capelli di un’eroina dai seni enormi si muovano ancor più realisticamente di prima o di come un Jehuty tirato a lucido non riesca a volare in maniera fluida come faceva in passato per non si sa quale motivo, ma qui stiamo parlando di Rockstar signori, non di una casa qualsiasi che tenta la trovata commerciale per vendere qualche copia in più. Rockstar ha pochi prodotti, è un team da sempre attento al dettaglio e in tutti questi anni ha dimostrato quanto tenga alle sue creature. Anche questa volta, ovviamente, le cose non sono andate diversamente.
    Tagliamo quindi corto dicendovi che la versione next gen di GTA V includerà una nuovissima visuale in prima persona. Non stiamo parlando però di una semplice modifica alla telecamera, quanto a un vero e proprio nuovo sistema di gioco con tutte le modifiche del caso.
    Queste riguardano un nuovo sistema di mira, una completa rivisitazione delle coperture, nuove animazioni e un nuovo sistema di controlli.
    In senso pratico il giocatore potrà ora imbracciare le armi da fuoco come in un qualsiasi FPS sia con la classica visuale in diagonale dell’arma sia fissando l’iron sight ma nulla ci vieterà di miscelare le due esperienze mantenendo la terza persona in copertura o forzando la telecamera ad allontanarsi quando si effettueranno le rotolate laterali.
    Le fasi di shooting non sono le uniche ad essere state prese in considerazione tanto che ora ogni singolo veicolo (auto, barche, moto e velivoli) avrà un cruscotto personalizzato con tanto di strumentazione funzionante e l’intero gioco potrà essere vissuto e goduto completamente in prima persona, per la gioia di tutti gli amanti di Skyrim. Se volete un open world diverso dal solito, insomma, GTA e Rockstar potrebbero proporre qualcosa del genere, fermo restando che l’anima del gioco rimarrà sempre la medesima.
    Ecco allora spuntare tutti i contenuti finora rilasciati tramite DLC, inclusi tutte le aggiunte fatte in GTA Online, lavori e missioni incluse per un pacchetto davvero completo.

    Ovvio che non poteva trattarsi solo della modalità in prima persona l’unico cambiamento importante di questo GTA “next gen” ed ecco allora arrivare il completo supporto al 4k su PC, con le risoluzioni per console ancorate saldamente a 30 FP e 1080p. Si, anche su Xbox One nel caso ve lo steste chiedendo.
    La visuale in prima persona porta nel gioco oltre tremila nuove animazioni per le ricariche delle armi e introduce anche la possibilità di utilizzare il telefono come fosse un dispositivo mobile reale piuttosto che doversi limitare a fruirne dall’HUD del gioco. L’intero comparto tecnico, nonostante l’aumento di risoluzione, ha visto arrivare migliorie in ogni dove, con un aumento della linea visiva, texture ovviamente ritoccate e un completo nuovo sistema per la vegetazione, ora di maggior impatto.
    Contenutisticamente il gioco si arricchisce e arrivano nuove missioni, nuovi veicoli e nuovi animali, accompagnati da una colonna sonora sempre più mastodontica con oltre ben 150 nuovi brani da ascoltare.
    Se invece siete già possessori di GTA V e volete un ulteriore incentivo Rockstar ha pensato anche a voi, mettendo nel pacchetto tantissimi nuovi contenuti extra nel caso di un nuovo acquisto, incluse missioni e veicoli.