Ethero

sabato 30 maggio 2015

Batman Arkham Knight

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Rocksteady

  • Data uscita:23 giugno 2015

     

     

    Gotham è marcia. Le strade sono invase da centinaia, forse migliaia di criminali. La popolazione è fuggita. Arkham è ormai distrutta, ma il suo contenuto si è riversato in quella che un tempo era la città dei contrasti e la casa di molta gente onesta. I poliziotti provano a resistere, blindati nella loro torre sotterranea. E Bruce è lì, sul ciglio di un gargoyle, ad osservare il mondo che brucia e a coltivare la propria rabbia. Lo Spaventapasseri è tornato, e il mondo ha bisogno di Batman per un’ultima volta.
    Siamo a Londra, in uno splendido edificio vittoriano le cui guglie ci ricordano le sagome gotiche di Gotham City. Nella suite reale capeggia un grande ritratto in cui un giovane Bruce Wayne si trova in compagnia dei suoi amati genitori. L’ambiente è buio, la musica è cupa e le sagome di migliaia di pipistrelli proiettati attraversano il soffitto. Rocksteady ha preparato per noi un evento esclusivo per mostrarci Batman: Arkham Knight, e quando veniamo inviati a sederci di fronte a una PS4 per giocare per la prima volta a questo attesissimo gioco, non ce lo facciamo ripetere due volte. Perché Gotham non può attendere.
    Batman: Arkham Knight chiude la trilogia firmata Rocksteady spostandosi dai luoghi circostritti dell’Asylum e dell’isola di Arkham verso una città aperta e mastodontica. L’ambiente di gioco è molto più grande dei suoi predecessori, e gli sviluppatori hanno lavorato sodo per consegnarci una città variegata ma fedele all’immaginario della serie DC Comics. Non ci troviamo, dunque, di fronte alle visioni burtoniane di Gotham City, ma la città mantiene inalterati molti aspetti sempre visibili in tutte le sue varie rappresentazioni. Troviamo alcuni quartieri caratteristici, e possiamo orientarci osservando alcuni luoghi facilmente riconoscibili. Ogni zona sembra avere un’anima, e in generale siamo rimasti davvero impressionati dalla caratterizzazione di alcuni luoghi. Chinatown, ad esempio, è stata rappresentata in una maniera che potrebbe ricordare il quartiere asiatico del film Blade Runner, con forti luci al neon che illuminano la notte e luoghi che un tempo devono avere ospitato un enorme melting pot culturale. Spostandosi per le strade notiamo vicoli, deviazioni, posti apparentemente tranquilli in cui si nascondono i più improbabili pericoli. Alcuni edifici ospitano gang di criminali, e non è raro trovarsi da un momento all’altro coinvolti in una rissa o intenti a sfondare il soffitto di vetro di una vecchia guardiola per mettere in salvo qualche civile ancora incautamente rimasto in città. Le missioni giungono di continuo, scandite dalla radio e dalle intercettazioni ambientali, e Batman è costantemente chiamato a intervenire o a indagare su ciò che sta avvenendo in città.
    La parte free roaming di Arkham Knight, dunque, sembra assumere un ruolo molto importante che dovrebbe consentire al giocatore di tenersi sempre impegnato tra una missione e l’altra. Non vi è modo migliore che pattugliare le strade per calarsi nello spirito di Batman, che – oltre a riportare un po’ di pace in città – svolge un ruolo di vero e proprio eroe della notte, compiendo qualche deviazione dalla propria missione principale.
    L’introduzione di una città di queste dimensioni ha reso necessario l’arrivo della più fedele amica di Batman. La Batmobile di Arkham Knight è diversa dalle auto basse e di forma allungata che hanno caratterizzato la serie già ai tempi di Adam West: qui abbiamo a che fare con una sorta di veicolo blindato, velocissimo e maneggevole ma con una corazza impenetrabile, capace di sfondare muri e spartitraffico e di trasformarsi da un momento all’altro in una potente arma. La Batmobile ha la possibilità di bloccare le proprie ruote e di entrare in una sorta di modalità di attacco, con la quale può muoversi lateralmente e ruotare su se stessa per colpire i propri nemici attraverso un cannone pesante o un mitragliatore di grosso calibro. L’auto può inoltre essere utilizzata come una sorta di gadget, capace di disinnescare bombe e di attivare particolari interruttori.
    Il sistema di controllo scelto è particolare, e ammettiamo di non esserci trovati a nostro agio nella nostra breve prova. L’accelerazione è affidata al consueto grilletto destro, ma il freno è stato mappato sul tasto quadrato, relegando al grilletto sinistro la funzionalità che trasforma la Batmobile in un veicolo d’assalto. La guida è risultata più difficoltosa del previsto, e crediamo che ci vorrà del tempo per abituarsi a questo sistema scelto dagli sviluppatori.
    L’auto ha un importante ruolo per consentire al giocatore di esplorare la città in tempi ragionevolmente rapidi. Non ci troviamo certo di fronte alla vastità consueta dei giochi free roaming, ma possiamo ammettere che la scala di Gotham sia risultata più che soddisfacente. In secondo luogo, tutte le sfide dell’Enigmista sono legate all’uso della Batmobile in particolari percorsi “mortali” da completare entro un tempo limite, mentre sul percorso attiviamo e disattiviamo delle trappole piazzate dal perverso criminale con l’intenzione di fermarci. Vi sono poi missioni d’inseguimento, e nel nostro test abbiamo avuto l’opportunità di mettere la parola fine a una fuga di Firefly e, naturalmente, missioni di combattimento veicolare in cui la nostra fedele compagna viene utilizzata per fare saltare in aria qualche veicolo corazzato degli scagnozzi di Spaventapasseri.
    Con il semplice tocco di un pulsante, Batman può catapultarsi fuori dall’abitacolo dell’auto e ritrovarsi in volo sulle strade di Gotham. Da qui, può controllare l’auto per via remota e utilizzarla come un secondo compagno per risolvere determinati puzzle, può quindi richiamarla a sé, rientrare in un istante e ricominciare a guidare. O, più semplicemente, lasciarla in standby mentre iniziano le nostre missioni a piedi, che restano una parte centrale dell’esperienza.
    Una volta catapultati dalla Batmobile il nostro mantello si apre e ci permette di planare tra gli edifici della città. Un rampino consente di riguadagnare quota, e un doppio utilizzo del medesimo consente un effetto catapulta che ci spinge ancora più in alto. Una volta a terra Batman si muove con la sua consueta flemma, impavido e incurante del disastro che avviene attorno a sé. In combattimento ritroviamo il consueto free flow system, che gli sviluppatori hanno modificato in maniera pressoché impercettibile, con le finisher ambientali e la possibilità di effettuare un attacco doppio che chiama in causa Nightwing, con una mossa scriptata che ricorda i celebri assist presenti in innumerevoli picchiaduro. Il flusso del combattimento è rapidissimo, e la danza di Batman con il counter delle combo che sale è resa possibile da animazioni ben calibrate. Batman: Arkham Knight sarà un gioco particolarmente spettacolare nelle fasi di combattimento, e lo spettatore – ancora di più del giocatore – potrà godersi alcuni scontri davvero sensazionali da un punto di vista visivo. Il sistema, al contempo, sembra mostrare i suoi limiti e un giocatore in possesso delle meccaniche base della serie non impiegherà che pochi istanti per sentirsi a proprio agio e concatenare combo a due cifre.
    Ritornano i consueti gadget, con lo spray esplosivo, il batarang e i vari dispositivi di hacking necessari al nostro eroe per risolvere i numerosi puzzle ambientali presenti nelle fasi a piedi. La modalità detective è ovviamente presente, ma in questo caso si arricchisce con la possibilità di indagare sui corpi di alcune vittime di un misterioso omicida. Vi sono intere missioni in cui non si fa altro che cercare indizi, e i materiali probatori raccolti potrebbero rivelarsi fondamentali per risolvere i misteri. Il gioco, finalmente, è stato pensato con un target adulto in mente, e troveremo scene di violenza mai viste finora nella saga. In una sequenza presentataci, ad esempio, abbiamo avuto a che fare con il cadavere crocefisso di un uomo, accompagnato da un’agghiacciante musica classica in un’evidente citazione della scena della fuga di Hannibal Lecter ne Il Silenzio degli Innocenti.
    Quando vedemmo Batman: Arkham Knight per la prima volta, alla GDC dello scorso anno, restammo impressionati da un codice già piuttosto completo dal punto di vista dei contenuti, ma attanagliato da visibili problemi tecnici. La demo presentata a Londra è sostanzialmente identica a quella vista a San Francisco, meno i problemi di frame rate. In breve: Arkham Knight sembra girare bene su PS4, con un frame rate che si mantiene costante sui 30fps anche nelle fasi di guida. La grafica viene “alleggerita” in alcuni frangenti per evitare vistosi drop, ma in generale l’esperienza visiva di questo gioco è di gran lunga la migliore della serie. Gotham è una sorta di secondo protagonista, e crediamo che esplorarla sarà una delle parti fondanti dell’esperienza di questo gioco.
    Musica e doppiaggio (che, con ogni probabilità, per la versione italiana godrà dello stesso eccellente trattamento visto nei precedenti capitoli) completano un quadro all’apparenza tecnicamente soddisfacente. La porzione di demo mostrataci non ci permette di giungere a conclusioni definitive, ma l’impressione è buona e non vediamo l’ora di avere fra le mani la versione completa per analizzarla a fondo.

lunedì 25 maggio 2015

The Witcher 3 Wild Hunt


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:CD Projekt

  • Data uscita:19 maggio 2015

     

     

    Di The Witcher 3: Wild Hunt si sta parlando ininterrottamente da oltre 10 giorni, prima con l’uscita delle prime recensioni della stampa e poi con commenti, video di gameplay, walkthrough e soluzioni. I pareri (basta farsi in giro sulla rete) sono quasi tutti entusiastici e anche il nostro 8,5, pur tenendo conto di alcuni difetti, lascia pochi dubbi sul valore del gioco di CD Projekt RED e delle nuove avventure di Geralt. Abbiamo però aspettato un po’ prima di proporre la recensione per PC. Il motivo principale è l’uscita pochi giorni fa di una patch che porta il gioco alla versione 1.03 e che, rispetto alla 1.02, ha migliorato decisamente le prestazioni, risolto qualche bug e reso il frame-rate più fluido. La nostra prova è stata effettuata con una GeForce GTX 970, una coppia di Hard Disk SATA da 7200 rpm configurati in Raid 0, 12 GB di RAM e un processore Intel Core i5-4690K con clock a 3,5 GHz. Il tutto sotto Windows 7 a 64 bit e driver Nvidia 350.12. Come forse avrete già capito, non abbiamo utilizzato l’ultima release di Nvidia (la 352.86), in quanto il gioco ci ha dato parecchi problemi di instabilità, crashando a più riprese e rimanendo spesso con schermo completamente nero e audio funzionante. Visto che non siamo stati gli unici a sperimentare simili problemi, è molto probabile che Nvidia stia lavorando a un fix, ma per ora siamo rimasti con i driver di metà aprile (quelli usciti per GTA V insomma) e per fortuna non abbiamo mai riscontrato alcun crash in oltre 30 ore di gioco. A dire il vero la GTX 970 tende a scaldare molto durante le sessioni in-game (o almeno più di altri titoli recenti), ma con un buon set-up delle ventole non dovreste avere problemi di sorta.
    The Witcher 3: Wild Hunt è un gioco attesissimo su PC e in gran parte lo è per le aspettative grafiche, con il nuovo e fiammante REDengine 3 che se su console è stato inevitabilmente sacrificato, su PC si presta invece a un’analisi molto più accurata e dettagliata. Diciamo subito che dopo la patch 1.03 il gioco appare estremamente fluido. Siamo infatti riusciti a mantenere una media di 55 fps in Full HD con le impostazioni grafiche impostate su Estrema (la qualità migliore), abbassando solo il valore dell’opzione Hairworks a 4 (contro l’8 originale) direttamente dal file rendering.ini del gioco. Hairworks è una feature esclusiva per schede Nvidia che rende molto più realistici e dettagliati elementi come i capelli e le pellicce degli animali e di certi abiti. Non è affatto un’impostazione “imperdibile” e attivandola si perdono parecchi fps, ma se appena il vostro PC ce la fa (e smanettando un po’ con il rendering.ini), dovreste riuscire ad attivarla e a godervi così il gioco quasi al suo massimo splendore. Con l’impostazione Estrema e gli effetti di postprocessing tutti attivi (ma anche qui si può togliere qualcosa tra Bloom, Aberrazione cromatica e Vignettatura), la fluidità è insomma risultata ottima, senza cali quando ci si posta dagli interni all’esterno, senza fenomeni di stuttering (se non infinitesimali) e con un andamento sempre costante. 
    Stupisce inoltre la velocità dei caricamenti, sia quando si inizia il gioco, sia quando si compie un viaggio rapido e in tutte le altre occasioni quando compare la schermata di loading. Immaginiamo che con un SSD il tempo di caricamento sarà ancora più breve, ma già così l’esperienza di gioco è estremamente fluida e passerete davvero pochi secondi ad aspettare tra una schermata e l’altra. Altro aspetto che ci ha convinti della bontà del REDengine 3 è l’utilizzo della VRAM. I 3 GB a disposizione della nostra GTX 970 sono stati occupati al massimo per la metà e questo nonostante l’ottima fattura delle texture. Se quindi avete una scheda anche con soli 2 GB di memoria, non dovreste avere problemi su questo versante. Ci sarebbe piaciuto provare il gioco anche su un monitor da 1440p o meglio ancora su un bel display 4K, ma già in Full HD The Witcher 3: Wild Hunt tocca a tratti vette visive davvero altissime, con l’unico rammarico di un filtro di anti-aliasing proprietario che non ci è parso dei più efficaci. Si parla di una via di mezzo tra FXAA e MSAA, ma sinceramente, a ben vedere, l’effetto della riduzione delle scalettature ci è parso più vicino al primo che non al secondo, a vantaggio forse del limitato peso sulle prestazioni ma a svantaggio della resa complessiva. A non convincere del tutto è anche la resa della vegetazione e il movimento degli alberi mossi dal vento non è proprio il massimo, così come certi glitch ancora presenti con personaggi che scompaiono a metà in un muro, nemici uccisi che rimangono distesi a mezzo metro da terra e persino qualche cut-scene in cui il volto di un personaggio scompare del tutto (rarissimo, ma può capitare). 
    Certo, se poi pensiamo alla vastità del gioco, all’incredibile quantità di verde delle location e alla bellezza che riescono comunque a restituire certi tramonti, certi paesaggi, l’illuminazione negli interni e il dettaglio dei volti durante i dialoghi, il lavoro fatto di CD Projekt RED rimane comunque immane e, lo ripetiamo, fruibile in modo esemplare anche da chi non possiede chissà quale PC. Altre scelte, come i colori troppo carichi, caldi e saturi, potranno non piacere e in effetti, con una simile cromia, si viene forse a perdere un po’ di quelle caratteristiche dark tipiche della serie, ma ricorrendo a SweetFX o ad altri tool esterni si può rendere il gioco un po’ meno saturo. Dove invece CD Projekt RED può ancora migliorare è nelle animazioni e in generale nel sistema di controllo. Troppo spesso infatti comandare Geralt in ambienti piccoli e in situazioni particolarmente “calde” può essere complicato e i suoi movimenti non sono dei più fluidi e immediati. Non stiamo dicendo che il buon Strigo si muova come un “tank”, ma a volte la sensazione è un po’ quella e lo stesso dicasi per quando si cavalca, o quando il nostro amato cavallo si incastra chissà dove e non viene da noi quando lo chiamiamo con il doppio fischio. Per tutte le altre informazioni sul gioco vi rimandiamo alla recensione completa per PlayStation 4 già citata sopra. Qui ci interessava solo analizzare la versione PC del gioco, la bontà del REDengine 3 (e che bontà) e la maturità di un codice che già al day one non dava particolari problemi e che, con la patch di pochi giorni fa, è ulteriormente migliorato. 
    Attenzione però, per quanto impeccabile, il comparto tecnico su PC non è l'elemento che permette a questa versione dell'opera di CD Projekt di raggiungere la tanto agognata eccellenza, il passo oltre la linea viene dalla moddabilità. CD Projekt ha già affermato di voler supportare il modding offrendo i tool necessari alla community, e strabuzziamo gli occhi dinnanzi alle infinite possibilità che un gioco di queste dimensioni offre a modder con i cosiddetti. Sono già spuntate marginali mod grafiche, ma tra un anno potremmo trovarci davanti modifiche sostanziali al combat system personalizzabili in base alle vostre preferenze, miglioramenti al sistema di sviluppo, di crafting, di magia e di alchimia, boss fight aggiuntive brutali e spassose, personalizzazioni estetiche gustosissime, e chissà cos'altro. Difficile dire fino a che punto i fan potranno trasformare la tela, ma già dei sensibili ritocchi a certi elementi porterebbero a un balzo di qualità epico.

venerdì 22 maggio 2015

Blade And Soul


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:NCsoft

  • Data uscita:2015 Autunno

     

     

    Il 2012 ha segnato l’arrivo sul mercato asiatico di Blade & Soul, action MMO che in breve tempo ha conquistato il cuore dei giocatori cinesi grazie a una storia ben strutturata e tematiche che abbracciavano quella specifica cultura. Dopo quattro anni di successo, e con una community in continua crescita, NC Soft decide che è giunto il momento di portare anche da noi il titolo, rivedendone alcune meccaniche e modellandolo in modo tale da avere un maggior appeal anche sugli occidentali. Siamo quindi volati a Londra per provarlo in anteprima, in attesa della release finale.

    Blade & Soul sbarcherà questo autunno in closed beta e prima della fine dell’anno i server apriranno le porte ai giocatori. Il titolo sarà completamente gratuito, offrendo tutte le aree attualmente disponibili a chiunque si voglia cimentare in questa nuova avventura. Non possiamo dirvi molto di più, sfortunatamente, sul sistema di monetizzazione che NC Soft deciderà di attuare dato che la cosa non è stata ancora pianificata nel dettaglio internamente.
    Quello che è certo però è che dei sei capitoli al momento giocabili in oriente, qui da noi solo tre saranno disponibili inizialmente, con i restanti che seguiranno a breve. La velocità nell’implementazione di questi contenuti dipenderà solo ed esclusivamente dalla community e da quanto questa consumerà velocemente i vari contenuti disponibili al lancio.
    Ad ogni modo noi non avevamo mai messo mano al gioco prima d’ora e il press tour di Londra è stato perfetto per provare le ore di gioco iniziali, ore rivelatesi assai piacevoli e godibili.
    Partiamo quindi dalla narrativa, con il cattivone di turno che uccide il maestro di arti marziali del nostro alter ego virtuale rubandogli come se non bastasse l’artefatto che custodiva gelosamente. La morte del maestro è ovviamente l’elemento scatenante dell’intera vicenda ma le cose sono destinate a evolversi velocemente e ad ampliare la scala degli eventi.
    La trama viene raccontata con uno stile profondamente orientale, con forze magiche, demoni e arti marziali fusi insieme saldamente. Il paragone con Kill Bill o la Tigre e il dragone viene quasi naturale ma è tutta la cinematografia cinese moderna basata sulle arti marziali a essere continua fonte di ispirazione per gli sviluppatori, e tutto questo si riflette abbondantemente anche sul gameplay.

    Quattro sono le razze attualmente disponibili, esclusivamente umanoidi, ampiamente modificabili attraverso uno dei migliori editor visti in un MMO. Ci sono slide per ogni minimo dettaglio estetico, con la possibilità di modificare davvero decine e decine di parametri. L’unicità del proprio personaggio e la personalizzazione dell’aspetto sono uno degli elementi chiave in Blade & Soul, tanto da divenire parte integrante delle meccaniche di gioco stesse. Una volta entrati sui server di gioco e iniziato a fare le prime quest infatti, ci si accorgerà che le armature e i vestiti che ci verranno forniti hanno solo un valore puramente estetico, non influendo minimamente sulle statistiche.
    Una scelta ben precisa degli sviluppatori che puntano a regalare ai giocatori un personaggio bello da vedere e che simuli grossomodo quanto visto nei film prima citati. Non sempre infatti il guerriero più forte è quello meglio vestito, anzi spesso quello più silenzioso o seduto ai bordi di una strada ubriaco si rivela essere un combattente temibile. E’ una filosofia difficile da trovare in altri MMO e che ci piace, visto che comunque lascia al giocatore la possibilità di scelta. Seguendo la stessa linea di pensiero arriviamo anche al pvp con una casacca da indossare per attivare la possibilità di attaccare ed essere attaccati nelle diverse mappe. Non aspettatevi raid contro cittadine o stragi di NPC quindi, le due fazioni qui presenti si picchieranno selvaggiamente solo tra di loro, lasciando eventuali innocenti fuori dalla questione. Il PVP è un altro elemento su cui NC Soft punta brutalmente visto che in Cina gli eventi e le arene sono seguitissime e non mancano ovviamente tornei e competizioni di alto livello. Qui da noi sarà sicuramente più difficile vedere un traguardo del genere anche se la speranza è, ovviamente, l’ultima a morire.
    Il motivo di questo successo è da ricercarsi nel sistema di combattimento innovativo, basato su combinazioni di attacchi, schivate, combo e contrattacchi.
    Come dicevamo in apertura ci troviamo davanti a un action MMO che fa della velocità il suo punto di forza. Le classi presenti, che spaziano dal classico guerriero nerboruto, passando dai diversi incantatori fino ad arrivae a evocatori di vario tipo, sono varie e divertenti da utilizzare e ci ha colpito la decisione di escludere completamente la famosa trinità per il pve, dotando ogni singola classe di cure e abilità per togliersi dai guai. In Blade & Soul ogni singolo giocatore deve pensare alla propria sopravvivenza, dovendo comunque fare affidamento alla collaborazione per abbattere i boss e i mostri più pericolosi. Le abilità possono infatti combinarsi anche tra classi differenti, ottenendo effetti impensabili giocando in solo.
    Il mondo di gioco è gigante e si sviluppa in verticale in moltissime delle mappe presenti, offrendo tra ai giocatori la possibilità di planare ed effettuare sprint per velocizzare gli spostamenti. Purtroppo il motore non è indubbiamente il migliore visto in un gioco online massivo e anche texture e modelli ci hanno lasciato con l’amaro in bocca, soprattutto se li paragoniamo ai titoli più recenti della stessa NC Soft. Visto il gameplay action e il continuo saltellare da una parte all'altra del nostro eroe durante i match anche le animazioni potevano essere maggiormente curate, elementi che andranno sicuramente rivisti in sede di recensione.

Uncanny Valley

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Cowardly Creations

  • Data uscita:23 aprile 2015

     

     

    Se si va sulla pagina Steam di Uncanny Valley, survival horror sviluppato da Cowardly Creations, ci si imbatte in una descrizione che ha dei toni importanti, per non dire ambiziosi; il passo più interessante della breve introduzione spiega come il team di sviluppo, durante la creazione del gioco, ha cercato di ”preservare la tradizionale tipologia di gameplay dei vecchi survival horror, piuttosto che seguire il trend moderno che prevede la creazione di third person shooter con elementi horror.” Vediamo allora se questa premessa così interessante viene seguita da un titolo di un certo spessore.

    Il protagonista di Uncanny Valley, Tom, è un individuo che passa intere nottate insonni, preda delle sue paure e di immagini spaventose che lo rincorrono ovunque vada. Durante le ore illuminate dal sole, però, al nostro le cose non sembrano andare così male; all’inizio del gioco, infatti, il protagonista sta per cominciare un nuovo lavoro come custode di un laboratorio di ricerca ormai inutilizzato. Trattandosi di un survival horror, si direbbe che dal punto di vista della location non si sia scelta proprio la strada più originale, ma i motivi di interesse in questo breve incipit non mancano; per prima cosa, l’ambientazione è estremamente peculiare. Immersa in una foresta cupa, a sua volta circondata da campi innevati, la struttura che dovremo sorvegliare è silenziosa e senza vita e in secondo luogo, l’assoluto immobilismo dell’ambiente viene spezzato solo da due presenze umane, ovvero Buck, un collega indolente e scontroso, e Eve, la donna delle pulizie dello stabilimento in cui alloggia Tom; insomma, considerato il genere di titolo il giocatore si aspetta già che qualcosa andrà terribilmente storto, ma il fatto di non sapere esattamente da dove venga il pericolo da alla vicenda un certo fascino.
    Tutto questo accade perché, in effetti, il titolo è fortemente legato alle scelte del giocatore, sebbene l’intero processo di adattamento delle situazioni di gioco alle nostre decisioni sia pressoché invisibile. Questo significa che ogni piccola azione da noi compiuta avrà una sua ripercussione, e la somma di tutte le nostre scelte (volute o meno) sfocerà in uno dei diversi finali previsti. Da questo punto di vista, Uncanny Valley è sì un titolo molto breve (della durata di circa due ore), ma che può vantare anche una certa rigiocabilità grazie ai suoi differenti finali e alle diverse situazioni di gioco scaturite dalle nostre decisioni.


    Una delle conseguenze più importanti della narrazione basata sulle scelte del giocatore risiede proprio nella natura variegata del gameplay, visto che il collegamento tra le dinamiche di gioco e le vicende rappresentate su schermo avviene in modo positivo. Il pretesto per sviluppare un gameplay di questo tipo, infatti, risiede nelle mansioni di Tom, che nel suo lavoro come custode ha il compito di girovagare per i laboratori con l’intento di scacciare eventuali malintenzionati. Ogni turno dura sette minuti, alla fine dei quali il giocatore potrà decidere di andare a dormire o continuare a girovagare (una dinamica, quest’ultima, che in un certo senso ricorda quella di un altro titolo del genere, ovvero Lone Survivor). Per larga parte della storia, poi, il tempo verrà scandito dalla fine dei vari giorni di lavoro, i quali verranno intervallati dai criptici incubi di cui parlavamo in precedenza.
    Il punto importante di tutta la faccenda però risiede nel girovagare di Tom, e dunque del giocatore: a seconda delle sue scorribande notturne, infatti, il titolo trasformerà l’esperienza di gioco. Cercando di spoilerare il meno possibile, dobbiamo pur dire che durante i vari turni si potrà scegliere di leggere le mail degli ex dipendenti dello stabilimento, di modo da capire bene quale fosse l’attività svolta nei laboratori, oppure si potrà cercare di esplorare locali sotterranei all’apparenza inaccessibili. In una run, così, si potrebbe così finire per impugnare una pistola (in modo simile a quanto avveniva, ancora una volta, in Lone Survivor), mentre nell’altra si potrebbe essere alla ricerca di una determinata password. E’ anche in questo modo, dunque, che l’esperienza di gioco cambia a seconda delle nostre decisioni, proponendo di volta in volta esperienze brevi ma potenzialmente differenti tra di loro.
    Il lato negativo di questa impostazione è, difatti, un possibile disordine a livello narrativo, dovuto anche all’alternanza tra sogno e realtà. Alcune volte, infatti, specie durante la nostra prima run, non abbiamo capito bene il rapporto che legava una scena a quella successiva, quasi come se tra le due mancasse un qualche spezzone rivelatore. C’è da dire, poi, che la narrazione risulta tutto sommato criptica, e specialmente all’inizio il giocatore dovrà darsi da fare per capire cosa il gioco vuole veramente raccontare. Le brevi sessioni ambientate nel mondo dei sogni di Tom, ad esempio, avranno spesso un significato simbolico che si farà fatica a comprendere sul momento, anche perché ci si ritroverà a chiedersi come e in che modo il frutto dell’immaginazione del protagonista abbia un qualche collegamento con la realtà. Ci troviamo davanti, insomma, a un titolo con una narrazione che richiede una certa attenzione, per non dire pazienza. Comprendiamo come parte della tensione horror del titolo dipenda proprio dal non sapere cosa succederà nei prossimi secondi di gioco, ma è anche vero che una impostazione del genere può anche disorientare e rendere il giocatore paradossalmente meno immerso nelle vicende narrate.
    Questa possibile conseguenza negativa, però, è frutto anche di uno degli elementi più interessanti del gioco, ovvero la sua imprevedibilità. In Uncanny Valley, in effetti, non esistono scelte sbagliate o meno, specialmente nel momento in cui il gioco ci darà (più o meno velatamente) degli obiettivi da raggiungere. Durante i propri sogni, ad esempio, Tom verrà spesso sopraffatto da un'orda di esseri oscuri e senza volto; sulle prime si potrebbe pensare che farsi raggiungere da questi esseri possa essere un nostro sbaglio, o comunque un qualcosa che possa far terminare l’esperienza di gioco, e invece così non è, visto che il titolo continuerà come se nulla fosse, semplicemente facendo risvegliare il nostro personaggio dal suo sonno agitato. Questa stessa sensazione la si riproverà anche durante il periodo in cui Tom sarà sveglio, e difatti regala al gioco una sensazione di imprevedibilità che, come visto, porta con sé aspetti positivi e negativi.

    Ci siamo dilungati veramente molto sul modo in cui Uncanny Valley vuole raccontare la propria storia (o meglio, le proprie storie) al giocatore, perché difatti la narrativa è l’elemento centrale del survival horror che stiamo analizzando. A livello pratico, però, è giusto dire che il titolo si basa su una rappresentazione bidimensionale della realtà che ricorda altri titoli simili, come il già citato Lone Survivor o Home; questo significa che si avrà a che fare con quella che oramai è una familiare realizzazione stilizzata della realtà, vicina ai titoli dell’era 16 bit. In un titolo che proporrà anche scene horror tendenti allo splatter, questa scelta si è dimostrata comunque positiva, e capace di raccogliere la drammaticità di quanto rappresentato su schermo.
    Il titolo consente di utilizzare sia tastiera che pad, e in generale la disposizione dei comandi non ha destato particolari sorprese negative. Vero è che si passerà parecchio tempo ad andare ripetutamente dal proprio alloggio allo stabilimento da sorvegliare; se da un lato questo espediente si è reso necessario anche per rappresentare la ripetitività della mansione di Tom, è anche vero che fare avanti e indietro attraverso schermate conosciute premendo il pulsante per camminare più velocemente può anche infastidire.
    Dal punto di vista tecnico, poi, Uncanny Valley presenta qualche imprecisione: la prima volta che abbiamo avviato il titolo, ad esempio, abbiamo assistito a un crash improvviso e privo di una qualsivoglia spiegazione, che ci ha costretto a riavviare il gioco (il quale, però, può contare su un discreto sistema di salvataggio). Non abbiamo gradito, poi, il modo in cui sono state riprodotte le linee testuali di dialogo (esclusivamente in inglese), essenziali alla comprensione della storia. La scelta di utilizzare un font e una disposizione del testo peraltro molto simile a quella vista, tra gli altri, in Gods will the Watching, non ci ha convinto, visto che spesse volte il testo ha cambiato dimensione da una schermata all’altra, rendendo difficile la lettura di dialoghi e mail. La situazione peggiora nel momento in cui ci si allontana dallo schermo, magari perché si sta giocando con un pad.
    Per ultimo, sottolineiamo il buon lavoro fatto sul sonoro, privo di un qualsivoglia doppiaggio ma composto da chiptune ed effetti di qualità: è soprattutto l’audio, specie durante i sogni di Tom, l’elemento che permette di alzare la tensione in maniera decisiva.

martedì 19 maggio 2015

Block N Load

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Jagex

  • Data uscita:Disponibile 

     

     

    Guardi distrattamente qualche screenshot di Block N Load e ti sembra di vedere un astruso mix tra Minecraft, Team Fortress e un tower defense con visuale in prima persona. Poi inizi a giocarci e ti accordi che quella prima sensazione era vera e che hai di fronte uno dei titoli più curiosi e originali approdati recentemente su Steam. Responsabile di questo strambo mix è il piccolo team britannico di Jagex (Runescape), che ha reso disponibile da inizio maggio questo suo nuovo titolo rilasciandolo su Steam a 13,99 euro con però una quantità di elementi in-game tra mappe, classi e armi che speriamo venga rimpolpata con prossimi aggiornamenti, visto che al momento non c’è molto per cui 
    gioire sul versante contenutistico.
    Block N Load è uno shooter multiplayer a squadre che offre in pratica una sola modalità di gioco 5 contro 5 in cui, con la propria squadra, bisogna al tempo stesso difendere la propria base e distruggere quella della squadra nemica. Non pensiate però di avere di fronte uno sparatutto come mille altri e con in più solo una grafica blocchettosa e coloratissima. I primi 5 minuti di ogni match online sono infatti dedicati alla costruzione della propria base con un sistema a blocchi che ricorda appunto quello di Minecraft. Il termine costruzione implica muri protettivi più o meni alti e resistenti, trappole di vario genere, posizionamento di torrette e altri preparativi tipici di quando si deve difendere una base. In questi 5 minuti non è naturalmente possibile vedere cosa stiano facendo i nemici e come stiano costruendo la loro base; solo allo scadere di questo pre-match, quando scompare il muro divisorio, ha inizio il tipico massacro da sparatutto a la Team Fortress e i primi match che abbiamo giocato, tra l’altro in squadra con perfetti sconosciuti, sono durati dai 20 ai 30 minuti, giusto per rimarcare la particolarità di uno shooter certamente atipico di questi tempi. Bisogna però dire che le fasi da shooter vero e proprio non sono granché, o almeno non dicono nulla di particolarmente nuovo od originale nelle meccaniche balistiche. Anche le armi (due per ogni classe) sono generalmente poche e non trasmettono quasi mai una grande sensazione di potenza e di impatto. 
    Quello che convince di più di Block N Load è se mai l’andamento dei match online, che proprio grazie all’elemento del “building” cambia sempre ed è praticamente impossibile giocare a un match nello stesso modo. Durante la conquista della base nemica non dobbiamo infatti solo cercare di uccidere gli avversari, ma anche cercare di arrivare tutti interi all’obiettivo, distruggere le difese nemiche a suon di esplosivi e picconate o cercare percorsi alternativi. Anzi, dobbiamo ammettere che l’assalto frontale è la scelta peggiore che si possa fare e per questo sta alla nostra fantasia scovare il modo più adatto per avvicinarsi alla base dell’altra squadra. Il ponte che arrivava fin lì è stato distrutto? Poco male. Possiamo sempre scavare un tunnel sotterraneo e sorprendere i nemici dal basso, controllando con un apposito radar la loro posizione sopra di noi. Oppure possiamo martellare la base avversaria con un tappeto di mortai, aspettare che le mura siano state distrutte e poi tentare l’assalto. Tra l’altro il bello di Block N Load, una volta entrati nella base nemica, è anche scoprire quali difese abbia messo in campo l’altra squadra e, perché no, rubare anche qualche idea per il prossimo match. Le partite online sono davvero frenetiche anche grazie al duplice impegno che ci tocca affrontare (attacco e difesa), sebbene dopo un po’ le sole cinque mappe a disposizione, i pochi materiali di costruzione disponibili e la scarsità di armi possano inficiare il divertimento sulla lunga distanza.
    In fondo è proprio questo limite di contenuti il vero difetto di un gioco altrimenti riuscito nel suo mischiare azione furiosa, strategia e costruzione-distruzione in stile Minecraft. Le stesse classi tra cui scegliere sono ben amalgamate e non abbiamo riscontrato problemi di bilanciamento, se non una più elevata resistenza per la classe più stealth e veloce (il ninja O.P. ‘Juan’ Shinobi). Troviamo poi il classico soldato tutto piombo ed esplosivi addetto alla distruzione delle fortificazioni (Sarge), il cecchino (Nigel), il robot con lama incorporata e cannone (Cogwheel), il medico che cura i membri della squadra ma si dà da fare anche con le trappole (Eliza) e infine l’ingegnere esperto nella riparazione dei blocchi e in generale delle difese (Tony). Il gioco non pone alcun paletto alla composizione della squadra e, volendo, si può giocare con cinque Tony o quattro Eliza e un Nigel), ma vista la complessità degli scontri sarebbe la scelta peggiore da fare. Ogni classe ha una sua utilità fondamentale e anche per questo trovare la gente giusta per formare un team non è affatto semplice. Per di più, vista la durata media dei match, è capitato almeno una decina di volte di rimanere in 4 o in 3 per l’abbandono di uno o più membri del team e in questi casi la sconfitta è assicurata. Non che sia colpa di Jagex, ma qualche tipo di punizione per questi giocatori che scompaiono nel nulla durante un match sarebbe l’ideale, almeno dopo un tot di volte che lo fanno. In ogni caso, se cercavate uno shooter team-based un po’ di verso dal solito, l’avete trovato e speriamo che il team britannico aggiunga al più presto nuove mappe, nuove armi e qualche classe in più. Se il gioco avrà il successo che si merita, non dovremmo aspettare molto perché ciò accada.

lunedì 18 maggio 2015

Invisible Inc

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Klei Entertainment

  • Data uscita:12 maggio 2015 (Steam) - TBA (PS4)

     

     

    Non sono tanti al giorno d’oggi gli stealth a turni con visuale isometrica e con anche qualche elemento rogue-like (il permadeath, giusto per dirne uno). Anche per questo giocare a Invisibile, Inc. mette addosso una grande gioia e non solo perché si tratta di un gioco in lavorazione da oltre due anni che porta la firma di Klei Entertainment, a cui si devono titoli di tutto rispetto come Dont’t Starve, Shank e Mark of the Ninja. Mette gioia anche perché un ingresso così dolce e immediato in un gioco tutt’altro che semplice e banale è un piccolo miracolo, grazie a un turorial breve ma perfetto nella sua essenzialità e a una progressione dei livelli con un equilibrio invidiabile. Entrare nel mondo cyber-stealth di Invisibile Inc. è infatti piacevolissimo e già dopo le due missioni iniziali è difficile staccarsi dal gioco, sempre se si sceglie il livello di difficoltà tra le moltissime varianti presenti.
    Essenzialmente, nei panni di alcuni agenti segreti (si inizia con due e se ne sbloccano altri otto), bisogna infiltrarsi in basi nemiche, sottrarre codici o altri elementi, risolvere possibilmente anche gli obiettivi secondari e arrivare fino all’ascensore che ci porta su un aereo, pronti per iniziare una nuova missione. Il tutto con uno svolgimento a turni in stile XCOM, livelli generati proceduralmente, un’intelligenza artificiale alleata e una trama di fondo non particolarmente profonda fatta di agenti segreti (la Invisibile del titolo è l’agenzia per cui lavorano i nostro eroi), segreti tecnologici, spionaggio ad alti livelli e viaggi per il mondo in aereo. Una volta letto il briefing prima di ogni missione e deciso l’equipaggiamento da portarsi dietro, ci ritroviamo nella prima stanza di un livello tutto da esplorare. Le cose da evitare sono le guardie nemiche, le telecamere di sorveglianza, le torrette e altri mezzi di sicurezza. Dopotutto di stealth si tratta e quindi bisogna fare la massima attenzione alla posizione delle guardie (alcune delle quali dotate di resistenza maggiore) e al cono di visione delle telecamere e di altri sensori. Il modello a turni è quello classico, con tanto di punti azione da utilizzare per muoversi in caselle, aprire porte, sbirciare, utilizzare terminali, attaccare i nemici e altre azioni. Quando si rimane senza AP, si finisce il turno e la palla passa ai nemici. Questo è uno snodo centrale del gioco, visto che a ogni turno aumenta il livello di sicurezza della base nemica e più passiamo del tempo a risolvere la missione, più mettiamo in allerta le guardie e più i sistemi di sicurezza tornano a funzionare anche se li abbiamo disabilitati in precedenza. 
    Gli stessi nemici storditi non rimangono a terra per sempre e dopo un po’ si risvegliano e iniziano a cercarci. Altro elemento fondamentale è l’intelligenza artificiale Incognita, con la quale possiamo hackerare e disabilitare camere e sensori o aprire casseforti (ma non solo). Incognita è attivabile aprendo una sorta di visuale tattica della mappa che identifica appunto tutti gli elementi elettronici con cui interagire, ma i suoi interventi non sono infiniti e possiamo utilizzarli solo qualche volta nel corso della missione. Questa in soldoni la struttura del gameplay, ma ci sarebbe ancora molto altro da dire, come ad esempio la raccolta di crediti utilizzabili tra una missione e l’altra per aumentare le abilità dei personaggi e acquistare gadget e armi, le tattiche per attirare un nemico allo scoperto e stordirlo (meglio non ucciderlo). A volte dobbiamo decidere se andare dritti all’obiettivo e terminare la missione o perdere tempo a cercare crediti e a risolvere l’obiettivo secondario, anche se ciò significa rischiare molto di più e far aumentare in modo esponenziale i sistemi di sicurezza. Inoltre, se un personaggio viene ucciso e non riusciamo a curarlo o a trascinarlo fino all’ascensore alla fine del livello, lo perdiamo per sempre (ecco il permadeath) e, una volta che non abbiamo più agenti a disposizione, è Game Over. Il bello di Invisibile, Inc. è proprio questo incredibile equilibrio tra azioni e conseguenze, tra difficoltà (sicuramente elevata) e gratificazione nell’azzeccare la giusta sequenza di mosse, azioni e tempismo, tra esplorazione dei livelli e un approccio dritto all’obiettivo che bada più al sodo.
    In mezzo c’è poi posto per lo sviluppo dei personaggi, per le imboscate alle guardie e per la bella interfaccia (le icone case-sensitive sono estremamente comode), per non parlare del fatto che in certi punti non ci si accorge nemmeno di star giocando uno stealth-game a turni tanto liscia, fluida e scorrevole è la struttura di gioco. Se proprio dobbiamo trovare dei difetti, punteremmo il dito contro due o tre elementi da migliorare. Il design dei livelli, oltre a essere un po’ ripetitivo, impedisce a volte di capire in che stanza si trovi un oggetto o dove possiamo nasconderci, nonostante la possibilità di ruotare e zoomare la visuale. Avremmo poi preferito una maggior caratterizzazione dei personaggi e qualche abilità in più propria per ogni agente segreto; i picchi di difficoltà sono ben integrati nella struttura del gioco, ma in almeno due o tre punti ci siamo trovati di fronte il nemico non capendo bene il perché e dobbiamo ancora capire se sia stata colpa di un bug o se abbiamo sbagliato in qualcosa. Graficamente Invisibile Inc. non è affatto male e lo stile cartoonesco e un po’ spigoloso, ben visibile anche nelle cut-scene di intermezzo, funziona a dovere e dona al gioco un che di originale, sebbene la ripetitività degli ambienti si faccia sentire dopo un po’. Da segnalare infine l’assenza dei sottotitoli e dei testi in italiano (solo inglese), la mancanza del multiplayer e la buona longevità. A livello Experienced (che equivale circa a un livello medio) difficilmente impiegherete meno di otto ore per portare a termine tutte le missioni. Se poi volete giocare senza i Rewind (che danno la possibilità di rifare una mossa sbagliata) e aumentate la difficoltà, il gioco può durare davvero tanto. Ah, ci stavamo dimenticando di segnalare il prezzo al momento scontato su Steam (17,99 euro); anche a 20 euro comunque l’acquisto è caldamente consigliato.          

mercoledì 13 maggio 2015

The Incredible Adventures of Van Helsing III

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Neocore Games

  • Data uscita:Maggio 2015

     

     

    I primi due titoli della trilogia dedicata alla carismatica figura di Van Helsing, sviluppati da Neocore Games, formano una ottima coppia di giochi di ruolo, specie se giocata in cooperativa. La classica struttura di gioco, costituita da ambienti pieni di nemici da eliminare, loot abbondante e abilità da sviluppare, rappresenta una ricetta vincente che lo studio sviluppatore sembra voler ripetere anche nell’ultimo capitolo della serie, ovvero The Incredible Adventure of Van Helsing III. Scopriamo allora qualcosa in più di questo prossimo titolo, soffermandoci in particolare sulle due classi disponibili nella build da noi analizzata.
    La prima sensazione provata una volta avviata la build è stata quella di trovarci in un ambiente ben familiare: fin dai menu iniziali, infatti, questo prossimo The Incredible Adventure of Van Helsing III sembra voler continuare sulla falsariga di quanto visto nei due capitoli precedenti. La breve cutscene iniziale, così come il dialogo tra Van Helsing e la sempre ottima Katarina, infatti, ci ricorderanno di come la nuova minaccia che incombe su Borgova sia rappresentata dal misterioso Prigioniero Sette, avversario a cui sembrano essere collegati i seguaci di un culto oscuro che profetizza una imminente “Fine dei tempi”. Considerato che la nostra prova è consistita sostanzialmente nell’affrontare tre quest principali e alcune sidequest, però, scegliamo di non indagare più di tanto sulla narrativa, anche perché la storia andrà presumibilmente a costituire uno degli elementi forti della produzione, così come successo negli altri capitoli. Non possiamo tacere del fatto, però, che più volte è stato sottolineato che in questo terzo capitolo verrà approfondito il ruolo di Katarina, e in particolar modo alcune vicende che la riguardano strettamente.
    Dopo pochi istanti di gioco, in ogni caso, stati chiamati a combattere contro un gruppo nutrito di nemici di varia stazza e forza. La tattica da utilizzare, intuitivamente, è sempre quella di attaccare muovendosi continuamente, di modo da schivare gli attacchi e allo stesso tempo far ricaricare le proprie abilità basate sul consumo di mana. Se la strategia appena citata vale a livello generale, è anche vero che il gameplay del titolo cambia in modo abbastanza importante a seconda delle varie tipologie di combattenti che saranno disponibili nella versione finale. In The Incredible Adventure of Van Helsing III, infatti, saranno presenti sei classi; oltre al classico e bilanciato Bounty Hunter, a suo agio con armi a corto e lungo raggio, la scelta potrà ricadere sul Constructor (su cui finora sono emersi pochi dettagli) e sul Phlogistoneer (che punta soprattutto sulla forza di esplosivi e di campi di forza difensivi); oltre a questi trova posto l’Umbrialist, tipica classe stealth che permette di creare dei cloni che attaccheranno i nemici nel momento in cui si diventerà invisibili. Le due classi su cui scegliamo di soffermarci maggiormente, però, visto che abbiamo avuto modo di provarle in maniera diretta durante le nostre prove, sono quelle del Protector e dell’Elementalist.
    Abbiamo scelto di effettuare una prima run con il Protector: si tratta di una classe basata esclusivamente sugli attacchi corpo a corpo, e che può contare sull’uso dello scudo. Quest’ultimo si rivela essere un elemento di importanza strategica fondamentale nell’economia di questa classe, considerato che ci consentirà di parare numerosi attacchi sacrificando, però, la mobilità del nostro personaggio. Riuscire a evitare con successo gli attacchi, poi, garantirà un bonus sulla potenza degli attacchi successivi, il che induce a combinare costantemente azioni difensive a offensive. Questa particolare classe, inoltre, include alcune abilità passive che possono tornare particolarmente utili anche agli altri giocatori presenti nelle vicinanze, e che consentono ad esempio di ottenere un bonus difensivo e di resistenza.
    A quanto è stato possibile constatare, quella del Protector è una classe abbastanza ostica da utilizzare, soprattutto durante i primi scontri; lanciarsi nei combattimenti corpo a corpo contro ondate di nemici è questione abbastanza complicata, e per questo sottolineiamo ancora una volta l’importanza dell’utilizzo dello scudo, senza il quale il Protector diviene fin troppo spesso vittima degli attacchi nemici. Una scelta strategica sensata, considerato l’avanzamento dell’esperienza di questo personaggio, è quella di sbloccare l’abilità Hurricane Assault, sostanzialmente identica a quella disponibile anche per il Bounty Hunter nel secondo capitolo della saga. Mulinando la propria arma a 360 gradi, infatti, il Protector riuscirà meglio a districarsi nelle situazioni più spinose. Ci ha impressionato in positivo, poi, la possibilità di utilizzare una sorta di carica che consente al nostro personaggio di attraversare da parte a parte i nemici; questa abilità si è dimostrata potente e utile contro tutte le tipologie di avversario, e possiede anche il pregio di riuscire a tirar fuori dalla mischia il nostro eroe, di modo da poter riprendere fiato e soprattutto HP. 
    I primi minuti di gioco con questo combattente, in ogni caso, ci hanno riservato numerose difficoltà e parecchie morti: la prima impressione, dunque, è che quella del Protector sia una classe adatta tutto sommato a giocatori esperti e che sanno già come muoversi all’interno del mondo di gioco.
    Ci aspettavamo tutto sommato la stessa sorte anche con l’Elementalist, e invece siamo rimasti sorpresi; questa particolare classe, al contrario del Protector, basa la sua strategia offensiva su attacchi a lungo raggio devastanti e particolarmente efficaci fin dall’inizio. A tutto ciò fa da contraltare una spiccata vulnerabilità agli attacchi ravvicinati, per cui anche in questo caso la tattica migliore sembra essere quella di muoversi il più possibile di modo da non venire avvicinati dai nemici. Quello che ci ha sorpreso maggiormente, però, sono le abilità offensive di questa classe. Considerato che gli attacchi corpo a corpo possono essere delegati a Katarina, il giocatore potrà sbizzarrirsi nel lanciare offensive da lontano, che sono sembrate subito molto efficaci e soprattutto poco avide di mana. Strisciando il mouse su qualunque superficie, ad esempio, è possibile creare un muro di fuoco (ma anche di ghiaccio) anche a distanze importanti, rendendo possibili attacchi a nemici che si trovano talvolta al di fuori del rateo di fuoco anche delle armi da fuoco più performanti. Per fare un esempio di come la strategia di gioco cambi totalmente tra le due classi, ma anche come al momento la classe del Protector ci sembri un po’ sbilanciata rispetto a quella dell’Elementalist, possiamo citare uno scontro avvenuto qualche minuto dopo l’inizio delle nostre prove. Si trattava di sconfiggere un avversario potente (non approfondiamo i particolari della trama) circondato da orde di nemici. L’unica scelta possibile con il Protector è stata quella di farci strada tra i vari abomini, e questo ci è costato alcune morti. Con l’Elementalist, invece, siamo stati subito in grado di indebolire il nostro avversario principale dalla distanza, lasciando a Katarina il compito di combattere corpo a corpo con i nemici a noi più vicini.
    L’Elementalist, dunque, al momento sembra essere una classe particolarmente potente e tutto sommato semplice da utilizzare, a patto di non avvicinarsi troppo ai nemici e di saper sfruttare bene gli attacchi più importanti, come la pioggia di meteoriti, che consumano mana e hanno un tempo di ricarica abbastanza elevato.
    Le considerazioni effettuate finora sono per forza di cose parziali, e non necessariamente indicative di quello che andremo a incontrare nella versione finale di The Incredible Adventure of Van Helsing III; scegliamo quindi di lasciare in sospeso il discorso relativo alle varie classi e di concentrarci brevemente sugli eventuali cambiamenti stilistici del nuovo titolo Neocore Games; i giocatori dei capitoli precedenti, in special modo del secondo atto, non avranno difficoltà a riconoscere alcuni luoghi già incontrati nel corso delle loro avventure, così come alcune attività secondarie, tra le quali si segnalano le sessioni tower defense e la gestione delle missioni della resistenza di Borgova.
    Il cambiamento maggiore ci è sembrato quello relativo alla schermata delle abilità e delle aure, ora disposte in circolo e non più in verticale. In questo modo è stato possibile ridurre la grandezza dei menu, con un raggruppamento delle varie opzioni in uno spazio minore; per il resto, la quasi totalità degli elementi su schermo, come l’inventario e la schermata degli attributi (sia di Van Helsing che di Katarina) sono identici al passato. Stesso discorso va fatto anche per il comparto tecnico, sia video che audio, con tutti i pro e i contro evidenziati nelle passate edizioni.

martedì 12 maggio 2015

Guns Gore And Cannoli

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Crazy Monkey Studios

  • Data Uscita:15 Maggio 2015



    Tra “pistole, spargimenti di sangue e cannoli”, sembra piuttosto facile trovare quale sia l’intruso del trio. Eppure non è affatto così, perché considerata la storia, l’ambientazione, il periodo storico e un paio di luoghi comuni sulla criminalità, tutto sommato si tratta di tre parole che si amalgamano bene e hanno un loro senso logico all’interno delle strampalate vicende tratteggiate da Crazy Monkey Studios. Se considerate poi che Cannoli è il cognome del protagonista - il mafioso Vinnie - ecco che il titolo assume un significato più chiaro, in bilico tra violenza spicciola e un briciolo di irriverenza.
    Se non fosse ancora chiara la grande leggerezza narrativa di Guns, Gore & Cannoli, vi basti pensare che la città fittizia in cui è ambientato il gioco si chiama Thugtown, e che uno dei boss ha le inconfondibili fattezze di Don Vito Corleone. 
    Siamo a metà degli anni ’20, al culmine del periodo segnato dal Proibizionismo. La malavita è al centro dei traffici clandestini e ricava gran parte della propria ricchezza dalla vendita sottobanco di tabacco e alcolici. Vinnie è alla ricerca di un amico, ma si troverà inaspettatamente coinvolto in una storia fatta di cospirazioni governative, tradimenti, vendette e verità taciute dalla mafia. Il tutto, mentre la città viene letteralmente invasa dagli zombie, perché nonostante l’imminente Depressione (e sta qui la critica sociale di fondo), le persone sono pronte a bere fino a diventare dei morti viventi. Guns, Gore & Cannoli, nonostante si basi su fatti realmente accaduti, non fa mai nulla per prendersi veramente sul serio. Il suo stile scanzonato, la progressione di gioco leggera e il forte focus sul divertimento prima di ogni altra cosa, fanno capire fin da subito quale sia la natura dell’opera, vicina ai capolavori degli anni ’90 sulla falsariga di Metal Slug. Sappiate però che non ci sono momenti realmente fuori di testa come nella serie SNK, né tantomeno quelle boss fight stupefacenti che osavano essere degli invalicabili ostacoli per chi si concedeva un paio di tentativi al massimo. Guns, Gore & Cannoli ha al contrario un ritmo più morigerato e calcolato, anche quando le situazioni di gioco si fanno incredibilmente affollate. Va detto però che la musica cambia completamente quando si selezionano i livelli di difficoltà più elevati, capaci di mettere in crisi anche i giocatori esperti di sparatutto a scorrimento laterale; ma va detto anche che c’è tutto sommato una minore fluidità e reattività dei comandi, e che talvolta – soprattutto con armi lente come il fucile a pompa – vengono registrati in ritardo alcuni input. Tutto ciò, ovviamente, si traduce spesso in qualche sparo fortuito che apre una finestra di vulnerabilità durante l’animazione per la ricarica dell’arma, e se non vi abituerete presto a questa piccola sbavatura – parzialmente correggibile giocando con meno foga – potreste trovarvi a sprecare preziose munizioni e punti vita.
    La varietà dei nemici è assicurata dalla presenza di zombi e gangster di vario tipo, che dispongono tra l’altro di diversi pattern di attacco e armi ben diversificate. È inoltre interessante constatare come la presenza contemporanea di non morti e mafiosi su schermo porti sempre a uno scontro intestino tra i due gruppi, coi primi che attaccano alla cieca chiunque si trovi nei paraggi. Sebbene questa caratteristica di gioco apra effettivamente a un paio di intelligenti varianti durante gli scontri, la sua efficacia è fortemente limitata da un’intelligenza artificiale non sempre adeguata, che abbassa sensibilmente le possibilità di portare a buon fine alcuni approcci di gioco alternativi. Nonostante questi piccoli difetti, Guns, Gore & Cannoli funziona a meraviglia ed è indubbiamente un gioco che sa come intrattenere e divertire dall’inizio alla fine. Il bilanciamento e la curva di difficoltà sono sempre ben calcolati, i checkpoint sono sparsi nei punti giusti e i rifornimenti di munizioni non sono mai troppo generosi, al punto da costringervi – talvolta – a fare un po’ di economia e utilizzare la pistola con munizioni infinite. Le bocche da fuoco a disposizione di Vinnie sono parecchie e spaziano da fucili a pompa e mitragliatrici, fino ad arrivare a un RPG e a un fucile Tesla che incenerisce contemporaneamente tutti i nemici nelle immediate vicinanze. Gli zombi, notoriamente stupidi, attaccheranno sempre a testa bassa e in gruppo, con alcune tipologie che si lanceranno all’inseguimento fin quando non vi avranno afferrati; i gangster, invece, sebbene siano solitamente stanziali e sfruttino le coperture a loro vantaggio, possono vantare una maggiore intelligenza tattica, arrivando persino a scansarsi da granate e molotov. Niente di troppo sbalorditivo, sia chiaro, ma sono queste le piccole accortezze che danno un valore aggiunto all’opera, a cui manca forse quella capacità di osare fino in fondo per raggiungere una qualità superiore. 
    Anche artisticamente Guns, Gore & Cannoli si difende bene, grazie soprattutto a scenari in 2D ottimamente realizzati a mano, buone animazioni, e uno stile grafico davvero fantastico. Non ci metterete di certo giornate intere per portare a termine l’avventura di criminalità e inaspettata gloria di Vinnie Cannoli, ma il divertimento – ve lo assicuriamo –non mancherà nemmeno per un attimo.

domenica 10 maggio 2015

Metal Slug Defense

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:SNK Playmore

  • Data uscita:1 Maggio 2014

     

     

    C’era una volta Metal Slug con i suoi bei pixelloni, la colonna sonora esagerata, i personaggi che parevano usciti da un film con Chuck Norris, i picchi inusitati di difficoltà. Sinceramente abbiamo poi perso il conto di quanti episodi SNK Playmore abbia ricamato sul capostipite di questa serie dal 1996 a oggi, senza poi contare i recenti remake che hanno furoreggiato soprattutto in ambito mobile. Qui però l’assenza di un bel joystick o di un controller fisico si è fatta sentire e destreggiarsi tra bombe e proiettili con i comandi touch non si è rivelato il massimo della vita. Forse anche per questo lo scorso anno SNK se n’è uscita con Metal Slug Defense, titolo coraggioso e sicuramente inaspettato che trasformava l’originale esperienza da rail’n’gun in qualcosa di molto simile a un classico tower defense. Anche in questo caso però l’accoglienza (almeno della critica) non è stata delle più positive; non tanto per il gioco in sé, che anzi faceva un ottimo lavoro nel trasportare le atmosfere della serie in un nuovo ambito, quanto più per la formula Free to Play che si trasformava ben presto in una Pay to Win, con microtransazioni e acquisti in app quasi fondamentali per proseguire nel gioco.
    Un anno dopo ci ritroviamo Metal Slug Defense su Steam e anche se non siete fan del genere o della serie, scaricatelo pure visto che il gioco è rimasto Free to Play e che quindi, almeno per qualche partita, non vi costerà nulla. Purtroppo SNK Playmore non ha cambiato una virgola rispetto all’uscita mobile del 2014, ma propria nulla di nulla. Addirittura sulla schermata iniziale del gioco compare la scritta “Tap Screen to Play” (no comment) e la massima risoluzione limitata a 1280x832 pixel costringe a giocare in una piccola finestra o a tutto schermo con un degrado evidente della grafica, soprattutto se avete un monitor Full HD. Insomma, un port su PC  a costo zero che tra l’altro ha requisiti minimi davvero assurdi per un gioco di questo genere, anche se quello che più spiace è il peggioramento della formula Free to Play. Se infatti nelle versioni mobile le nuove unità (fondamentali per proseguire nel gioco) potevano essere sbloccate con medaglie ottenuto vincendo partite in singolo e online, ora questo non è più possibile e bisogna ricorrere per forza agli acquisti in app, per di più riferiti non a singole unità ma ai cosiddetti pack, che comprendono più unita e possono costare fino a 7,99 euro ciascuno (prezzo al momento scontato del 50%). Un vero e proprio invito al Pay to Win, anche perché, con i soli nostri sforzi, siamo andati davvero poco lontani vista la soverchiante e maggiore forza dei nemici già dopo una decina di livelli (ce ne sono oltre 100 nel gioco).
    Il discorso potrebbe chiudersi anche qui vista la nostra avversione verso questo modello di guadagno, ma il dovere ci obbliga a parlare più diffusamente del gioco ed è qui che le cose si fanno ancora più tristi, perché in fondo Metal Slug Defense sarebbe anche un discreto tower defense se non fosse per questa sua natura mangiasoldi. Tanto per cominciare, pur rinunciando alla formula originale da forsennato sparatutto a scorrimento orizzontale, il gioco riprende per filo e per segno le atmosfere, le musiche, lo stile grafico, le animazioni, i personaggi e le armi della serie, calando però il tutto in un contesto vagamente strategico. Qui infatti lo scopo è distruggere la base nemica che si trova alla nostra destra mandandovi contro unità umane e corazzate, mentre i nemici cercano di fare lo stesso per distruggere la nostra base. Per mandare allo scoperto le nostre unità, bisogna aspettare che i punti azione (AP nel gioco) raggiungano un certo livello con il passare dei secondi. Naturalmente più l’unità è debole, meno secondi ci vorranno per mandarla all’attacco, mentre i personaggi più forti richiedono più tempo. Ogni unità può inoltre scatenare un attacco speciale se ci clicchiamo sopra quando la relativa barra si riempie e, per cercare di vincere avanzando nel gioco, bisogna tenere conto delle armi e delle abilità di ogni unità e di quanto possono rivelarsi efficaci contro le diverse unità nemiche.
    Anche se in sé il funzionamento del gioco è molto semplice, riuscire a vincere dopo le prime 5-6 missioni di simil-tutorial è tutta un’altra storia, anche perché intervengono il potenziamento delle unità tra un livello e l’altro e l’acquisto di diversi gadget. Ci sono poi anche gli scontri online classificati e non e alcune missioni speciali in cui ad esempio dovremo distruggere la base nemica entro un certo tot di tempo. Se amate i tower defense, Metal Slug Defense potrebbe insomma rivelarsi una piacevole sorpresa, sebbene l’interfaccia diventi a tratti confusa e certe operazioni, come la scelta di unità non visibili immediatamente nella barra sottostante, risultassero molto più comode con il touch che non con il mouse. Peccato appunto per tutto il resto che c’è attorno e che, dopo un’oretta di gioco, rende le microtransazioni ancor più “obbligatorie” di quanto non fossero su mobile.  

Wolfenstein The old Blood


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:MachineGames

  • Data uscita:5 maggio 2015

     

     

    Wolfenstein è un esempio di come la vecchia scuola videoludica fosse migliore di quella attuale. Con The New Order, Machine Games ha infatti riportato sulle nostre console e sui nostri PC uno sparatutto in prima persona dallo stampo classico, senza fronzoli o modalità multiplayer attaccate forzatamente e con un gunplay decisamente soddisfacente che esaltava il buon livello di difficoltà generale del gioco. A questo faceva eco una narrazione di tutto rispetto e un protagonista mega carismatico, rendendo il titolo uno degli shooter migliori degli ultimi anni. C'è un altro elemento tuttavia che ha distinto Wolfenstein dalla massa: l'assenza totale di complicati piani per i DLC.
    Machine Games ha optato per un approccio classico, tornando su next gen, con un'espansione stand alone corposissima ad un prezzo contenuto, una manna dal cielo per chi attendeva con ansia una nuova possibilità di mettere le mani in faccia ai nazisti.

    The Old Blood, questo il nome dell'espansione, è un prequel di The New Order ma ne mantiene tutte le caratteristiche peculiari. B.J. Blazkovicz è ancora il protagonista e l'universo distopico in cui vive vuole che la Germania stia schiacciando gli alleati in maniera devastante, grazie a una tecnologia superiore e a poteri occulti misteriosi. Il buon B.J. Dovrà quindi tornare nel castello di Wolfenstein e scoprire cosa sta accadendo, tutto per dare una possibilità di salvezza al genere umano. La struttura di gioco ricalca alla perfezione quella del capitolo principale, con la necessità di recuperare medikit e pezzi di armatura sparsi tra i livelli per riuscire a primeggiare durante gli scontri a fuoco. Nessuna rigenerazione totale della vita e nessun compromesso per facilitarvi le cose: per completare Wolfenstein dovrete davvero sudare sette camicie.
    Anche questo pacchetto stand alone infatti è discretamente impegnativo e per portare a termine la campagna principale non ci metterete meno di 6-8 ore giocando in modalità normale, un conteggio destinato a salire vertiginosamente se volete cimentarvi con la difficoltà Uber, trovare tutti i collezionabili sparsi per i livelli, utili ad approfondire il background del gioco, e completare anche i livelli speciali del Wolfenstein originale inclusi negli otto capitoli a disposizione.
    Machine Games si è infatti persa nel citazionismo, inserendo easter Egg a profusione che non potranno che strappare un sorriso ai giocatori più anziani. Doom, Skyrim e Unreal sono solo alcuni degli esempi ma altri molteplici titoli Bethesda presenziano tra gli omaggiati.
    A completare il cuore dei contenuti ci pensano sfide a punteggio con tanto di leaderboard online e una modalità hardcore dove avrete una sola vita a disposizione per portare a termine il gioco, opzioni che si sbloccheranno solo una volta conclusa la campagna.
    La storia si divide in due tronconi principali, uno di infiltrazione nel castello dove dovremo fare i conti con la macchina nazista e il temibile Rudy Jager e una seconda parte dove inseguire Helga Von Schabbs nella cittadina di Wulfburg invasa da nazisti zombie, nemici indubbiamente meno divertenti da affrontare rispetto alla loro controparte senziente.
    Tutta la prima parte è abbastanza canonica invece e come sempre vi permetterà di utilizzare un duplice approccio per avere la meglio sui nemici. Potrete andare ad armi spianate con uno spavaldo dual wield di qualsiasi bocca da fuoco o superare gli stage in modalità stealth, facendo saggio uso dei coltelli da lancio, di pistole silenziate e della vostra astuzia.
    È un gameplay eccellente, che si adatta allo stile di gioco dell'utente, premiandolo inoltre con talenti specifici che ne migliorano le abilità, da sbloccare semplicemente utilizzando le vostre armi preferite. Nulla di trascendentale, sia chiaro, ma comunque un elemento in più che aggiunge profondità alle già buone meccaniche messe sul tavolo da Machine Games.

    Non potevano ovviamente mancare nuovi nemici e nuove armi, compreso un tubo di metallo da utilizzare come strumento per mille cose differenti. Dallo spaccare violentemente il cranio dei tedeschi fino ad utilizzarlo per arrampicate sulle pareti verticali così da esplorare i vasti livelli di gioco. Il design degli stage è ricercato e seppur non riesca a brillare come quello visto in The New Order, offre comunque aree ad ampio respiro alternate a sezioni più guidate offrendo comunque al giocatore diverse strategie di ingaggio. L'intelligenza artificiale, purtroppo è altalenante e va dalle buone routine dei soldati base dell'esercito nazista, con tattiche di accerchiamento e lancio di granate per stanarvi, a una deludente gestione dei movimenti per le ronde corazzate e i soldati meccanici, davvero troppo semplici da aggirare e praticamente sprovvisti di "memoria". Nascondetevi dietro una colonna abbastanza a lungo e questi si dimenticheranno completamente della vostra presenza ricominciando a seguire i loro percorsi di routine. Impressionante, se consideriamo che si tratta di una semplice espansione, la qualità e la varietà delle ambientazioni, con panorami capaci davvero di togliere il fiato ed effetti di luce di ottima fattura, soprattutto nella versione pc. Su Xbox One e Ps4 si nota un aliasing decisamente più marcato e texture meno definite, così come effetti speciali non esaltanti, ma nulla di cui ci si possa davvero lamentare. Se dovessimo cercare un neo di questa produzione potremmo dunque puntare il dito sulla narrazione, decisamente più leggera e scontata rispetto al capitolo precedente, con personaggi assai meno carismatici a farne da cornice. Piuttosto deludente infine anche il suono di alcune armi semi automatiche, che mancano di bassi sufficientemente potenti e che non riescono esprimere alla perfezione la cattiveria con cui fanno a pezzi i vostri bersagli.

Dungeons 2

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Realmforge

  • Data uscita:24 aprile 2015

     

     

    Già quattro anni fa Realmforge Studios aveva provato a rinverdire i fasti dell’indimenticabile Dungeon Keeper con Dungeons, tentativo non proprio encomiabile di riportare in auge un modello gestionale-strategico a sfondo fantasy che, anche a causa di una realizzazione un po' approssimativa, non ha raccolto granché. Oggi il team tedesco, sempre supportato da Kalypso in fase produttiva, ci riprova con Dungeons 2, sequel che potete scaricare da Steam a 44,99 euro e che fortunatamente cambia un po’ le carte in gioco rispetto al predecessore. Possiamo infatti considerare Dungeons 2 come due giochi in uno, visto che tutta la parte gestionale ambientata nel sottosuolo è completamente separata da quella RTS, in cui dobbiamo guidare le nostre truppe come faremmo in un Warcraft III, giusto per citare uno dei titoli che Realmforge Studios ha scelto evidentemente come ispirazione per queste sezioni strategiche.
    In Dungeons 2 impersoniamo la mano di un Signore del Male (già proprio la mano come in Dungeon Keeper), che dopo essere caduto vittima di un potete incantesimo ha perso la sua corporeità e si è rifugiato in un immenso dungeon. Assetato di vendetta, il nostro Evil Master si organizza per costruire un esercito di creature malvagie da scagliare contro le forze del Bene e, già che c’è, le studia davvero tutte per rendere la vita difficile agli avventurieri che si addentrano nel suo dungeon in cerca di tesori e ricchezza. Il riferimento a Dungeon Keeper è già ora evidente e il team tedesco non ha fatto davvero nulla per evitare il paragone con il classico di Bullfrog, ma Dungeons 2 ha comunque una sua personalità, almeno nella parte gestionale. All’interno del dungeon dobbiamo infatti raccogliere oro per costruire l’esercito, ma anche spaccare muri per scoprire nuove aree di questo sotterraneo e intrattenere (più che altro a suon di birra) i servitori-minion, che dopo un po’ tendono ad annoiarsi e a diventare anche pericolosi rubando l’oro e smettendo di eseguire i nostri ordini. In queste fasi non controlliamo direttamente i minion come faremmo in un classico RTS, ma il tutto risulta piuttosto automatizzato. Non manca poi la possibilità di scoprire e creare nuovi incantesimi e sperimentare tecnologie che ci serviranno in battaglia, senza contare che la scoperta del dungeon può portare con sé incontri poco piacevoli con creature non proprio amichevoli che non ci metteranno molto a papparsi i nostri adorabili minion.
    Ecco perché in Dungeons 2 possiamo reclutare e controllare anche altri tipi di unità oltre a quelle per la semplice manovalanza. I Goblin ad esempio sono abili nel costruire trappole per gli avventurieri che si addentrano nel sottosuolo e, in generale, hanno una spiccata capacità di creare oggetti. Ci sono poi gli Orchi, una specie di braccio armato del nostro Signore del Male che si occupa di tenere a bada le creature nemiche, va pazzo per la birra e mette in riga i minion più scansafatiche. Troviamo poi anche altre razze con i Troll e i Nagas e ognuna di queste unità può essere potenziata con il passare del tempo, tenendo sempre a mente però l’importanza di controllare i nostri servitori per evitare spiacevoli sorprese. A parte un tutorial che spiega poco e male il funzionamento di queste sezioni gestionali, costringendoci spesso a perdere tempo inutile perché magari non capiamo come svolgere una certa attività, tutta la parte di Dungeons 2 ambientata nel sottosuolo è ben fatta. Piacerà a chi rimpiange ancora oggi la geniale intuizione di Dungeon Keeper, la trovata delle trappole funziona sempre e stare dietro alle esigenze delle varie unità non è così semplice come può sembrare, anche se nel complesso rimpiangiamo il controllo diretto dei nostri servitori.
    Controllo che invece abbiamo nelle fasi di gioco RTS, dove Dungeons 2 si trasforma in un classico strategico in tempo reale in stile Warcraft. In queste fasi, caratterizzate da mappe non particolarmente vaste, il gioco perde parecchio in personalità, limitandosi a offrire scontri in cui l’elemento tattico-strategico è davvero limitato. Difficilmente infatti perderete uno scontro se avete più unità rispetto alle forze del Bene e, a parte qualche incantesimo o alcune unità più forti delle altre, la componente strategica latita non poco. Il tutto poi, anche a causa di un’IA nemica non proprio irreprensibile, risulta fin troppo semplice, sebbene il sistema di controllo non molto preciso renda a volte difficile scegliere una specifica unità nel cuore di una battaglia. I neofiti del genere apprezzeranno forse questo approccio poco complesso alla materia strategica e in effetti la Campagna in singolo comprende anche missioni in cui le battaglie si mescolano alla gestione del dungeon, permettendo così di evitare una ripetitività delle fasi RTS che dopo un po’ affiora inevitabilmente. Inutile dire che è proprio la componente strategica a convincere di meno in Dungeons 2, anche se la possibilità di scontrarsi con altri giocatori online o via LAN tra Deathmatch, Dominio e Re della collina rende gli scontri campali più interessanti. Da segnalare infine altri due elementi di gioco degni di attenzione. L’ottima localizzazione italiana permette di godersi al meglio la voce fuori campo in stile Bastion e tutta l’impalcatura narrativa, sorretta da uno humor perfettamente in tema con le atmosfere del gioco che non diventa mai troppo stucchevole o invadente. Meno convincente invece l’ottimizzazione del motore grafico, che anche con una GeForce GTX 770 con 4 GB di VRAM non è esente da fenomeni di stuttering nelle fasi RTS e mette in campo una fluidità inferiore alle aspettative considerando anche che Dungeons 2, pur cavandosela discretamente su questo versante, non è proprio un gioiello di grafica.

mercoledì 6 maggio 2015

Dirt Rally


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Codemasters

  • Data uscita:27 aprile 2015 (Early Access)

     

     

    Spuntato fuori un po’ all’improvviso, DiRT Rally ha da subito rappresentato un progetto estremamente interessante per numerose ragioni. La volontà di proporre un prodotto simulativo, con un modello di guida che renda credibili i cambiamenti di superfici e faccia sentire di avere veramente il controllo dell’auto, segna una sorta di cambio di passo da parte di Codemasters; vediamo allora se questo nuovo progetto, attualmente in early access e disponibile solo su PC, è nato sotto una buona stella.

    Presupposto fondamentale nell’analisi di DiRT Rally è dimenticare le ambientazioni festaiole dei precedenti titoli della serie DiRT. Non troveremo, dunque, Ken Block pronto a sfidarci in gimkane buone a far cadere a pezzi il nostro nuovo volante, ma un’impostazione per ora più seriosa e, detto francamente, più adatta a un titolo che ha come obiettivo quello di essere una simulazione di gare di rally.
    Nel momento in cui scriviamo, il titolo offre già alcune opzioni di gioco interessanti: si parte con la possibilità di impostare un evento personalizzato, e si continua con la modalità carriera e gli eventi online. Quest’ultima modalità di gioco, al momento, consente di sfidare altri giocatori in eventi giornalieri, settimanali e mensili: l’obiettivo, evidentemente, è quello far segnare il tempo migliore rispetto a tutti gli altri utenti del titolo.
    Fermo restando che il comparto online dovrà per forza essere oggetto di analisi anche e soprattutto nel corso dello sviluppo del titolo, sembra corretto concentrarsi sulla modalità carriera, che già da ora propone alcuni spunti di analisi. Come da tradizione, infatti, il giocatore avrà a disposizione un capitale iniziale da investire nell’acquisto di un’auto: l’obiettivo è quello di vincere più eventi possibile, di modo da scalare le sei categorie di auto proposte. I fondi disponibili ad inizio carriera, dunque, consentiranno di partire dalla categoria Anni ’60, composta al momento dalla mitica Lancia Fulvia HF e dalla Mini Cooper S. Il particolare che si è segnalato come il più originale, relativamente a questa specifica modalità, è quello relativo alla costruzione del proprio team. Il giocatore, infatti, potrà arrivare ad avere fino a cinque collaboratori, compresi ingegneri e soprattutto capo equipaggio. Il ruolo di queste figure, assumibili grazie ai fondi raccolti dalle nostre vittorie, è quello di incidere sulla qualità e prestazioni delle varie componenti delle auto. Si tratta di un sistema che aggiunge una certa profondità strategica alla carriera, considerato che per avere un buon team si potrà scegliere di spendere (compatibilmente con i propri mezzi finanziari) per ingaggiare i migliori sulla piazza, e che il livello di competenze del capo equipaggio aumenterà a seconda del numero di gare a cui si parteciperà.
    Abbiamo accennato alla presenza di due vetture, ma è anche giusto parlare delle auto disponibili nelle altre categorie, acquistabili in carriera e liberamente selezionabili, invece, durante gli eventi personalizzati. Tra le altre, dunque, trovano posto la 131 Abarth, la Sierra Cosworth, per non parlare delle Lancia Delta S4 e HF, della Subaru Impreza del ’95 e della più recente Ford Fiesta RS. Il numero di auto disponibili attualmente dunque si attesa a 18: si tratta, però, di un dato che andrà aggiornato nel corso dello sviluppo del gioco, visto che è stato già annunciato l’arrivo di nuove vetture.
    Un altro elemento che verrà presumibilmente rivisto, almeno dal punto di vista della quantità, è relativo all’insieme delle locazioni disponibili. Al momento, infatti, i giocatori possono lanciarsi in competizioni ambientate in Grecia, ad Argolis, in Galles, a Powys, oltre che a Montecarlo. Il numero di tappe disponibili al momento è 36, e si segnala per una certa varietà di condizioni ambientali. Se a Montecarlo, infatti, i giocatori dovranno fare i conti con strade ghiacciate e innevate, le tappe gallesi proporranno location fangose, con sporadiche pozze d’acqua, e immerse nel verde delle foreste. Tutt’altro spettacolo proporranno le assolate ambientazioni greche, dove la ghiaia la farà da padrone e il pericolo di “inciampare” in qualche masso sarà sempre dietro l’angolo.
    A seconda della location, poi, si potranno selezionare varie condizioni ambientali (ad esempio la pioggia per le tappe gallesi e la neve per quelle nel principato), oltre che differenti orari. Un particolare, quest’ultimo, che influenza non poco la visibilità, e di conseguenza le prestazioni.
    Descritti diligentemente i contenuti più importanti di questa versione ad accesso anticipato di DiRT Rally, è finalmente giunta l’ora di capire quali sensazioni scaturiscano dalla nostra prova che, è bene sempre ricordarlo, non può che giungere a giudizi per ora parziali e non definitivi.
    Dopo aver collegato il sempre ottimo G25, impostato il cambio sequenziale e disattivato con una certa spavalderia tutti gli aiuti proposti dal gioco, ci siamo lanciati speranzosi in un primo evento che, con le dovute cautele del caso, ci ha lasciati soddisfatti. La prima sensazione è quella che la differenza di potenza tra le varie auto sia ben realizzata: affrontare lo stesso tornante con una Mini Cooper S piuttosto che con una Lancia Delta S4 è un’esperienza ben differente, soprattutto per quanto riguarda la sensibilità con la quale si andrà a dosare l’acceleratore e con la quale si agirà sul volante, onde evitare sovrasterzi non molto piacevoli.
    Buona anche la sensazione di velocità, specie nelle tappe gallesi, anch’essa conseguenza della tipologia di auto che si sta guidando ma comunque ben percepibile con ogni categoria. Non ci è del tutto piaciuto, invece, il sistema di force feedback: intendiamoci, se si regola il ritorno di forza a livelli discretamente alti finiremo le varie tappe con le braccia doloranti, ma dal punto di vista delle sensazioni che il terreno ci dovrebbe dare tramite il volante sembra che ci sia ancora del lavoro da fare.
    DiRT Rally non è un gioco tremendamente difficile da padroneggiare, ma richiede di sicuro tanta attenzione e prontezza: i giocatori meno abituati ai titoli di guida, in effetti, potrebbero avere qualche difficoltà anche con il controllo di stabilità, il launch control e l’ABS abilitati. Va da sé che con “difficoltà”, in un gioco di rally, si intende l’urto con qualsiasi elemento presente a bordo percorso, o peggio ancora il volo in qualche fossato. In queste particolari situazioni il titolo non propone flashpoint e altre soluzioni decisamente poco simulative, ma solo un possibile riposizionamento rapido della vettura che, però, costerà preziosi secondi sul tempo finale.
    Il titolo Codemasters, dunque, riesce a divertire proprio perché le vittorie potrebbero non arrivare appena messe le mani su pad e volante; tutto ciò spinge a migliorare la propria guida, e a perfezionare l’assetto dell’auto, che consente di agire velocemente su tutta una serie di parametri quali i rapporti delle marce, la durezza delle sospensioni e il bilanciamento dei freni. C’è da dire che l’impatto delle regolazioni non ci è sembrato così incisivo, e in ogni caso si tratta di un aspetto che andrà analizzato anche in futuro.
    Capita a tutti: magari non si è dato ascolto molto attentamente al navigatore, o si è interpretato male il suo avviso, oppure si stava guardando da un’altra parte. Ma è quando si finisce per boschi, magari lunghi dopo un tornante, e con l’auto sottosopra, che DiRT Rally ci ha convinto un po’ meno. Durante un paio di eventi, ad esempio, non siamo stati in grado di continuare a guidare perché avevamo distrutto l’auto dopo un frontale con un muro di massi. Ci saremmo aspettati di subire la stessa sorte anche dopo esserci cappottati per un paio di volte, finendo giù da un versante del percorso, ma non è stato sempre così. Soprassedendo sui singoli esempi, in ogni caso, complessivamente la sensazione è che gli sviluppatori debbano ancora lavorare sulle collisioni non tanto dal punto di vista estetico (visto che all’arrivo la macchina sarà sempre conciata in maniera oscena se si è guidato con i piedi), ma anche per quanto riguarda l’effetto che queste hanno sulla guida. E’ un qualcosa che non inficia l’esperienza di guida, ma deve essere rivista per migliorare ulteriormente un’esperienza che, come si è intuito, si è rivelata essere divertente.
    Concludiamo questa prima analisi di DiRT Rally parlando del versante tecnico: spinto dall’EGO Engine, il titolo offre un comparto grafico sicuramente piacevole, capace di offrire scorci anche suggestivi, seppur con qualche tentennamento negli elementi di contorno. La peculiarità della più che sufficiente qualità visiva, in ogni caso, sembra essere la “digeribilità” del titolo, che permette di usufruirne anche su configurazioni lontane dal top di gamma. Buono anche il comparto sonoro, che propone delle rappresentazioni credibili delle varie auto presenti attualmente, e un navigatore comprensibile e chiaro nella quasi totalità delle occasioni

Just Cause 3

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Avalanche Studios

  • Data uscita:Inverno 2015

     

     

    Non è di certo un mistero né una novità che i seguiti rispondano solitamente al diktat che recita: “bigger, better and more badass”, e anche Just Cause 3 sembra prendere molto sul serio questo tacito dettame. Avalanche Studios non è una di quelle software house che ama lavorare in fretta e furia, stando sempre dietro a quei ritmi di mercato che tendono a creare più dissensi che approvazioni; è al contrario una compagnia che sa come prendersi i propri tempi, come ascoltare le critiche e come imparare a non ripetere i propri errori. Quel numero tre non vuole essere in sostanza solo il numero che promette una riproposizione degli elementi chiave di successo, ma ha tutta l’intenzione di dare un senso di progressione completa a tutto ciò che Just Cause è stato fino a oggi.
    Questo terzo capitolo partirà con gli ottimi incoraggiamenti ricevuti dopo l’uscita di Just Cause 2, un seguito capace di migliorare in toto l’ancora acerbo capostipite. Non è ancora chiaro se ci sarà a tutti gli effetti il medesimo salto qualitativo o se questo sarà addirittura maggiore, ma vista l’ambizione di Avalanche e i cinque anni impiegati per sviluppare la loro nuova creatura, è assai probabile che le aspettative non vengano affatto disattese. In ogni caso, prima di lanciarci in fantasiose ed entusiastiche supposizioni, sarebbe bene analizzare gli elementi che sono stati messi sul piatto, già da ora capaci di far intendere chiaramente come in Just Cause 3 non si vuole puntare tutto su una maggiore estensione del mondo di gioco, quanto piuttosto a una densità sfruttata finalmente in modo intelligente. A dimostrazione di quanto appena detto, basti pensare che le dimensioni della mappa non si discosteranno molto dai circa mille chilometri quadrati di Just Cause 2, ma a differenza dell’episodio del 2010, l’area verrà sfruttata con maggiore oculatezza, soprattutto verticalmente. Ecco dunque arrivare la possibilità di esplorare alcune caverne sotterranee, o di scalare edifici più efficacemente e con più credibilità. Ciò ovviamente non significa che verrà abbandonata la fisica di gioco a cui abbiamo imparato ad abituarci nel corso degli anni, ma che in virtù di una maggiore potenza di calcolo si cercherà di plasmare un mondo sandbox con più accuratezza e meno zone spoglie in cui vagare. 
    L’esagerazione, il caos, le spettacolari esplosioni e i momenti di assoluto delirio non mancheranno, ma non mancherà nemmeno un maggiore equilibrio durante gli scontri, perché gli sviluppatori hanno sì intenzione di far sentire i giocatori dei provetti superuomini, ma senza mai renderli davvero invincibili. A tal proposito, è interessante constatare come l’intelligenza artificiale si vada a modellare a seconda della potenza di fuoco di Rico. Volete salire su un carro armato e seminare la distruzione? Fatelo pure in tutta scioltezza, ma sappiate che i nemici tireranno fuori un armamentario pesante per contrastarvi a dovere e abbattere il veicolo che vi dava così tanta sicurezza.
    Come avrete già letto nella nostra precedente anteprima, la fittizia isola mediterranea di Medici è il luogo in cui sarà ambientato Just Cause 3. Oltre a essere la terra in cui è cresciuto il protagonista, è anche una sorta di paradiso terrestre brutalmente soggiogato dalle prepotenze dittatoriali del generale Di Ravello, nuovo antagonista di Rico. Non ci sono in effetti ulteriori informazioni di peso per quanto riguarda la storia, che sarà con tutta probabilità (ancora una volta) poco più di un mero pretesto per scatenare la fantasia degli utenti, che stavolta avrà ancora meno limiti rispetto al passato. Avalanche vuole fare in modo che i giocatori siano il più possibile liberi di godersi il gioco come meglio credono, mettendo a loro disposizione gli strumenti adeguati per rendere vario e duraturo il soggiorno nell’isola di Medici. Rico, come visto anche nell’ultimo trailer, disporrà di una tuta alare che gli permetterà di planare attraverso i cieli tersi dell’isola, magari dopo essersi catapultato dal velivolo che deciderà di far schiantare contro una struttura, per poi godersi le incredibili esplosioni in tutta tranquillità. Ma non solo: il rampino è stato migliorato sensibilmente e sarà adesso possibile collegare fino a cinque oggetti. La distruzione non sarà mai pre-calcolata e anche la vegetazione subirà gli effetti dei disastri che dissemineremo qua e là, e questo perché tutto è stato riscritto completamente da zero in occasione del passaggio alla nuova generazione. Anche i ponti potranno essere abbattuti, Rico potrà camminare su tutti i veicoli (compresa la nuova monorotaia) e disporrà anche di alcune sfiziose e devastanti minigun. Come se non bastasse, è possibile anche generare caos sparando a testa in giù, facendo magari esplodere intere stazioni petrolifere e camion gravidi di carburante. Insomma, Just Cause 3 stavolta non vuole proprio farsi mancare nulla, e anche a livello tecnico, da quel poco che si è potuto vedere dal primo gameplay trailer a base di azione allo stato puro, pare proprio che Avalanche riuscirà anche stavolta ad allinearsi agli standard moderni. Speriamo solo che tutte quelle esplosioni e la generazione di danni in tempo reale vengano gestiti egregiamente, senza ricorrere ad artifizi che minino la qualità finale dell’opera.