Ethero

mercoledì 22 aprile 2015

Infinite Crisis

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Turbine Inc

  • Data uscita:26 marzo 2015

     

     

    Il fenomeno dei Multiplayer Online Battle Arena vive attualmente di alti e bassi, tra i colossi affermati LoL e Dota2, con HotS pronto a completare il tridente che domina questi mari e tutta la concorrenza che tenta di ritagliarsi il proprio spazio con una certa fatica.
    Approdato recentemente su Steam nella sua versione finale dopo una lunga fase di rodaggio in beta, ecco Infinite Crisis, affidato ai Turbine dalla Warner Bros., che sfrutta quella che probabilmente è da considerarsi la licenza più imponente e famosa di tutto il genere in questione. Stiamo ovviamente parlando della possibilità di utilizzare i personaggi della DC Comics, famosi in tutto il globo sia tra i più piccini che tra chi di inverni ne ha già visti a decine.
    Chiunque in vita sua avrà sentito parlare di Superman e Batman, e già questo crea un appeal che solo Infinite Crisis può vantare, oltre a un roster sviluppatosi e perfezionatosi in decenni di pubblicazioni di albi a fumetti. All'interno del gioco è già possibile trovare una quarantina di campioni, unici nelle meccaniche ma non nella natura. Ciò sta a significare che è possibile trovare diverse varianti di Lanterna Verde, Wonder Woman e company, i quali però non hanno solo una funzione prettamente estetica ma rappresentano quella versione di quel determinato personaggio nel suo contesto del mondo DC, con abilità uniche che lo contraddistinguono e che solo secondariamente, come è usanza dei free-to-play, dispone di ulteriori costumi (altrimenti detti skin), e solo questi ultimi – del tutto ininfluenti ai fini del gameplay – sono esclusivamente acquistabili con i Crisis Point, ottenuti spendendo valuta reale.
    Di qui però passiamo direttamente ad uno dei primi tasti dolenti, ovvero la struttura free-to-play adottata. Pur mantenendo un comune denominatore con gli altri concorrenti, Infinite Crisis si distingue per dei prezzi in Merito, ossia la valuta accumulabile giocando, piuttosto altini sia per sbloccare nuovi campioni che emblemi di potenziamenti vari equipaggiabili prima di una partita, oltre che per un Elite Pack, bundle comprendente tutti i campioni attualmente rilasciati, al folle prezzo di oltre 80 euro, e un Basic Pack più modesto al costo di circa 20 euro che dà immediato accesso ad 8 tra i più conosciuti personaggi.
    Fatta questa prima e breve panoramica, è il momento di addentrarci nel dettagli in questa “crisi infinita”. Già affascinati dalla licenza, avevamo tentato con successo di ottenere un codice per la closed beta nel dicembre 2013 e lì per lì ci aveva tutt'altro che entusiasmati. Ora, dopo quasi un anno e mezzo e con la release ufficiale a disposizione, ci ritroviamo davanti un gioco cambiato, sicuramente migliore e più curato in tantissimi aspetti. Si inizia da una lunga fase di tutorial, obbligatoria anche per coloro che già avessero giocato con un account in precedenza, in cui il buon Superman ci farà da mentore per addestrarci al campo di battaglia. Di fatto non farà altro che guidare il giocatore passo passo verso tutte le meccaniche tipiche del genere, partendo da semplici azioni come muovere il personaggio sulla mappa, ottenere, aumentare e utilizzare le sue abilità, fare uso dello shop in game per potenziarsi ulteriormente e concludere ovviamente con qualche partita intera, in compagnia di bot dalla dubbia intelligenza artificiale.
    Se la cosa può risultare noiosa ed inutile per chi già conosce le meccaniche dei MOBA, la pazienza nel completare tutta questa non breve prima parte viene comunque lautamente ricompensata con dei premi che vanno a sbloccare i primi campioni, quali Gaslight Batman, Lanterna Verde, Harley Quinn, Wonder Woman e Doomsday, vari sotto il profilo del gameplay e più o meno validi. Questo ci porta al secondo aspetto non proprio riuscitissimo del titolo, ossia il bilanciamento dei campioni e delle classi, sia in termini di divertimento offerto giocandoli che come reale potenza all'interno di un game. Se giocare con un campione ranged come Gaslight Batman o un blaster sempre ranged come Lanterna Verde risulta intuitivo, divertente e sopratutto “distruttivo”, con altre categorie come i cosiddetti tank è risultato abbastanza legnoso e ci ha lasciato una sensazione molto fastidiosa di non avere i mezzi per incidere. Questo perché un tank è tale non perché non dispone di attacchi dai rateo alti e tende per questo a comprare oggetti difensivi, quanto per il fatto di avere delle skill che permettano di forzare gli avversari a dover attaccare lui, molto più resistente della media, e sprecare tempo ed energie mentre il resto del team addetto a causare danni può attaccare senza problemi. Ecco, questa eccessiva specializzazione delle classi difensive trova solo marginalmente riscontro all'interno di una partita, dove ci è sempre sembrata una idea migliore giocare un damage-dealer che altro.
    Le modalità offerte al giocatore sono ovviamente sia partite con bot guidati dall'IA che il classico pvp, in mappe da 1v1 e le canoniche 5v5. Se la mappa che vede contrapposti due soli giocatori è una soltanto, semplice e composta da una singola lane principale, le mappe a dieci giocatori offrono un po' più di varietà. Coast City è una mappa a forma pentagonale, con sole due lane principali e quella che è definibile “jungla” nel mezzo, mentre Gotham Divided offre una mappa esagonale con una terza lane centrale che taglia in due l'ambiente di gioco orizzontalmente. Queste hanno al loro interno il solito sistema di torrette difensive, robottini che fungono da minion, zone di interferenza dove nascondersi (versione rivisitata dei classici cespugli), altari da conquistare per ottenere dei piccoli buff, mostri neutrali e, novità interessante, elementi con cui è possibile interagire utilizzando gli appositi spell, come meteoriti o intere automobili da sollevare e scagliare sui nemici causando danni ad area. Sempre con due squadre da cinque elementi c'è una terza diversa modalità con la mappa Gotham Heights, a pianta circolare e con i cinque capture points da conquistare e difendere per arrivare alla vittoria, come avviene in Dominion su League of Legends.
    Concentrandosi invece sulle meccaniche specifiche di gioco, balza subito all'occhio una impostazione molto user friendly già per quanto riguarda l'uccisione dei robottini e  la gestione dei lasthit. Per guadagnare soldi extra non c'è bisogno che si dia il colpo di grazia al momento opportuno, basta anche solo che un giocatore alleato nelle immediate vicinanze lo faccia per condividere il bottino. Se invece un robot dovesse morire a causa di attacchi di suoi simili, questo dropperà per terra una monetina che è possibile raccogliere entro un breve tempo, oppure calpestare nel caso fosse stata creata da un proprio minion per negare questa piccola quantità di oro extra ai giocatori nemici. Anche le battaglie tra campioni non sono particolarmente complesse e persino dopo aver accumulato un cospicuo vantaggio di kill, livelli e quant'altro, non si ha quasi mai quella sensazione di onnipotenza nel poter mandare un nemico da vita piena a zero con un solo giro di abilità, il che lascia quindi spesso un certo margine di recupero ad ogni scontro fino alla fine.
    Parlando dei mostri neutrali, anche se sia i più piccoli che quelli grandi che garantiscono un supporto al proprio team durante il corso della partita sono da considerarsi significativi, il ruolo di jungler ci è parso di discutibile utilità e difficile applicazione, preferendo piuttosto una maggiore pressione nelle prime fasi nelle corsie per poi dedicarsi al roaming sia organizzato con altri alleati che in solitaria. Quello che invece proprio non ci ha convinto è il sistema di oggetti nello shop in game per potenziarsi, troppo basilare e troppo poco interessante da approfondire, nel quale facilmente si preferirà acquistare automaticamente l'oggetto o il potenziamento consigliato senza nemmeno aprire la finestra dello shop, in prossimità di una propria torretta o dentro la propria base. Aspetto questo che va ancora incontro ad un pubblico novizio, ma che può rendere insoddisfatti gli utenti con un bagaglio di esperienza precedente, anche non eccelso.
    A tutto questo vanno ad aggiungersi anche alcune chicche simpatiche e talvolta utili nella gestione del proprio account, iniziando con una percentuale di punti Merito bonus calcolata in base a quanto tempo si è trascorso in coda per trovare una partita, o di ricompense giornaliere o a traguardi che premiano i giocatori fedeli con altri campioni ed extra più o meno interessanti, che siano per l'utilizzo costante di un solo campione o di una mappa specifica.
    Mentre scriviamo questo articolo non è ancora presente nel gioco un sistema di ranked, o partite classificate che dir si voglia, ma dagli avvisi live interni al client abbiamo appreso dell'imminente release con il prossimo aggiornamento, anche se già sin da ora nutriamo qualche dubbio riguardo l'effettivo livello di competitività agonistica che Infinite Crisis possa offrire.
    Quanto al comparto tecnico, il lavoro svolto da Turbine non è dei più brillanti, puntando tutto su una grafica cartoon molto semplice ma che ben si adatta allo stile fumettoso tipico degli albi del cavaliere oscuro e gli altri colleghi della Justice League, facendo traspirare tutto lo spirito originale sia dai personaggi (e le loro abilità) che dalle mappe e tutti gli elementi in esse contenuti. In sostanza, non aspettatevi textures in alta definizione, modelli poligonali complessi, animazioni ed effetti vari particolari, perché probabilmente sul piano prettamente grafico non raggiunge il livello dei tre MOBA più famosi, ma compensa abbondantemente con l'ispirazione artistica e se conoscete già abbastanza di questo mondo non potrete fare altro che apprezzarlo e chiudere un occhio sugli elementi meno riusciti. Da segnalare inoltre anche qualche problema tecnico marginale, più che altro relazionati ai server, visto che abbiamo trovato qualche volta determinate modalità sospese o addirittura ci è risultato impossibile fare il login per l'indisponibilità dei suddetti.
     

Naruto Ultimate Ninja Storm 4

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:CyberConnect2

  • Data uscita:Autunno 2015

     

     

    Naruto è finito. Ci sono voluti anni perché le avventure dei ninja della foglia volgessero al termine, ma finalmente l’epopea di Kishimoto si è conclusa, in un tripudio di battaglie esageratissime. Sulla qualità effettiva del finale di questa importantissima saga si è discusso già molto a lungo e non è questo il posto giusto per riaprire tale discorso, visto che siamo pur sempre un sito che tratta di videogiochi. Quindi oggi tireremo in ballo un videogame dedicato alla serie, quel Naruto Shippuden: Ultimate Ninja Storm 4 che potrebbe chiudere la fortunata saga dei Cyberconnect e mettere finalmente in campo tutto ciò che Kishimoto ha creato negli anni. Al Namco Level Up di quest’anno, rimodellato per l’occasione e sparso un po’ in tutta Europa, abbiamo potuto provare il titolo e intervistare il buon Matsuyama (che al solito era in cosplay, completamente pitturato di arancione). C’è da aspettarsi il Ninja Storm definitivo, o vi sono altri seguiti all’orizzonte?
    Clone no jutsu?
    Partiamo dalla prova diretta, che si è basata su due demo, in verità, da cui capire per bene le modifiche al gameplay non è stato possibile. Per sottolineare la volontà dei Cyberconnect di rendere il gioco mostruosamente spettacolare grazie alla potenza delle nuove console, le scene giocabili erano solo due: una battaglia tra Madara e il primo Hokage, e una boss battle con la squadra 7 impegnata a distruggere il Jubi e una serie di mostruosità in una grossa piana. 
    Ora, tenete a mente che i Cyberconnect sono maestri delle cutscene anime style e dei combattimenti esagerati, quindi non stupitevi se vi confermiamo che entrambe le demo erano estremamente sceniche e belle da vedere. La demo della squadra 7 tuttavia era troppo limitata per permettere una analisi delle meccaniche poiché quasi totalmente scriptata, con un solo pezzo realmente giocabile ma molto lineare e semplice, e poi un susseguirsi infinito di qte. Ben più concreta la boss fight contro Madara, seppur anche in quel caso le tante modifiche al sistema operate per rendere il tutto più folle e stupefacente abbiano rappresentato un muro da scalare. 
    La nostra fortuna in tutto questo è stata l’intervista con Matsuyama, che ha avuto il buon cuore di descrivere alcuni dei cambiamenti fatti sul combat system della sua creatura, incalzato dalle nostre domande.
    Il primo dubbio chiarito? Proprio le nuove meccaniche, per le quali Matsuyama ha precisato che la community è stata preziosissima. La contromossa, introdotta nel capitolo precedente, è stata criticata pesantemente dagli affezionati (la finestra di risposta era molto elevata dopotutto e anche noi avevamo dubitato del suo inserimento in sede di review). Non ci è stato detto con precisione come sia stata modificata, ma di certo non sarà più la stessa e crediamo che risulterà nettamente più difficile da piazzare, se non eliminata totalmente. I fan comunque non si sono fermati qui: anche gli stili dell’ultimo capitolo non sono stati graditi, perché limitavano le opzioni e non erano perfettamente bilanciati. In Ultimate Ninja Storm 4 sono quindi spariti e tutte le opzioni saranno a disposizione. Altra grossa novità, se abbiamo capito bene, è la possibilità di sostituire uno dei personaggi giocanti con un support character durante la battaglia, una cosa che dovrebbe a tutti gli effetti eliminare i personaggi support only e rendere il roster completamente giocabile. 
    La caratteristica su cui il team ha evidentemente lavorato di più resta comunque la presenza di boss battle fuori di melone, e Matsuyama ha precisato quanto Cyberconnect tenga a renderle delle esperienze eccitanti e poderose.  Già dalla demo ci è parso indubbio come ci sia stato un passo avanti grafico titanico rispetto alle precedenti iterazioni, con modelli più dettagliati, un cel shading da manuale e un numero di elementi a schermo mostruoso. Abbiamo notato dei fastidiosi cali di frame rate, ma vista la crudezza della build è presto per preoccuparsi. 
    Meno chiaro lo stato dei contenuti. Matsuyama ha precisato che il team sta cercando di fare del suo meglio per inserire più storyline possibili nel gioco, che ci saranno scenari secondari e verrà mantenuto l’Adventure Mode. Ma al di fuori di precisare che la mappa sarà enorme ed esplorabile non ha chiarito quanto effettivamente lunga sarà la campagna principale. Vuole inserire il climax finale del manga però, questo lo ha detto. 
    Gli obiettivi del team, insomma, sono abbastanza chiari. Il roster più grande della serie, un passo avanti tecnico notevole, boss fight assurde, uno story mode più esteso del solito e un’apertura totale ai consigli della community, anche per quanto riguarda il sistema di combattimento del gioco. Tutte cose ottime che ci fanno ben sperare, ma basteranno a superare in toto ciò che è venuto prima? Lo scopriremo presto.

Saint Seiya

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4

  • Genere:Picchiaduro

  • Distributore:Namco Bandai

  • Data uscita: Autunno 2015

     

     

    Soldiers’ Soul è il nome del titolo annunciato... e no, non è un musou e non si basa sul terribile film da poco uscito dalle nostre parti, ma è strettamente collegato a Brave Soldiers, quindi i nostri timori sono rimasti. A Milano purtroppo il gioco non lo abbiamo potuto provare, ma siamo riusciti a intervistare i suoi sviluppatori, e oggi vi sveleremo le informazioni che siamo riusciti a raccogliere durante quella risicata conversazione. Non è molto, ma abbastanza per avere qualche aspettativa se non altro.
    Partiamo dalla storia, che paradossalmente non si basa su Lost Canvas o sui capitoli della serie originale, ma su uno spinoff anime della saga, chiamato Soul of Gold. Non è chiaro come verrà gestito tutto quanto, ma Soul of Gold è un cartone animato recentissimo, che vede i cavalieri d’oro risvegliarsi ad Asgard dopo la conclusione della saga di Hades. Ignoto il motivo del loro ritorno in quelle lande gelide, ma la scelta del setting è evidente dalla presenza nel trailer di Aiolia, cavaliere del leone, dotato di God Cloth nuovo fiammante (un tipo di armatura che viene ottenuto dal guerriero solo in quella serie). Stando agli sviluppatori, i capitoli di Ade e Sanctuary saranno presenti in Soldier’s Soul, ma temiamo per la qualità effettiva della campagna. Ci troveremo ancora davanti a testi e a uno Story mode abbozzato o vedremo finalmente delle cutscene fatte come si deve? Speriamo la seconda ma ci aspettiamo la prima, al solito. Il fatto che il gioco sia stato confermato anche per old gen non fa che aumentare i nostri dubbi a riguardo. 
    Peraltro Soul of Gold è appena arrivato, quindi la sua trama non verrà contenuta del tutto nel nuovo gioco, ma saranno presenti i suoi personaggi, giocabili in tutto il loro splendore. Più fanservice che altro, in poche parole. Un peccato, perché una trama che si ricollega direttamente ai capitoli di Asgard dell’anime aveva del potenziale e avremmo aspettato volentieri di più per vederla.
    Ma passiamo al battle system, su cui si sa davvero poco. Chiaramente il gioco sarà un picchiaduro 3D molto vicino a Brave Soldiers, ma dovrebbe in teoria vantare tanta più varietà di cavaliere in cavaliere e gli sviluppatori hanno precisato di aver inserito nel sistema numerose chicche di cui non possono ancora parlare. L’unica certezza è la presenza di combo aeree complesse, che dovrebbero enfatizzare molto l’importanza della mosse capaci di staccare l’avversario da terra e aumentare la complessità delle manovre offensive. 
    Passando alle modalità, è stata confermata la presenza di un Survival Mode e di un Tournament Mode, con un’ulteriore precisazione riguardante lo story mode, all’apparenza “molto diverso rispetto al passato” e accompagnato da uno Special Mode dedicato ai personaggi extra di Soul of Gold. Anche qui durante l’intervista nessuno si è sbottonato più di tanto, quindi siamo passati direttamente ad altro e abbiamo parlato di multiplayer. Per quanto riguarda l’online, appunto, questo vanterà un matchmaking a livello mondiale con tanto di classifiche, un’idea interessante per aumentare la competitività del tutto.
    Se si parla di comparto tecnico, Soldiers’ Soul sfigura non poco se paragonato ai Naruto di CyberConnect, ma il suo aspetto ha comunque giovato del passaggio di piattaforma e su PS4 il team di sviluppo ha promesso 60 fps stabili e 1080p. Curiosi, abbiamo chiesto se ci fossero differenze marcate nella versione old gen, che sono state confermate sotto forma di effetti speciali peggiorati, un frame rate più basso e un dettaglio grafico generalmente più scarso. Nessuna differenza nei contenuti, invece.
    E i nostri desideri? Sinceramente vorremmo un combat system nettamente migliorato, più tecnico, veloce e divertente, magari in grado di rendere davvero unici i cavalieri invece di normalizzarne le capacità. Vedere una campagna legata a Soul of Gold in grado di aggiornarsi di puntata in puntata non ci dispiacerebbe, poi, ma forse è chiedere troppo. 

lunedì 13 aprile 2015

Pillars of Eternity


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Obsidian Entertainment

  • Data uscita:26 marzo 2015

     

     

    Yin e yang, luce e ombra, questo è Kickstarter. La piattaforma di crowdfunding più famosa al mondo ha dato vita a un nutrito quantitativo di progetti controversi, fallimenti colossali e a delle vere e proprie truffe, ma laddove si spengono i lumini, ogni tanto, qualcuno passa e accende un falò. Queste fiamme sono particolarmente alte quando si tratta di generi ormai quasi perduti a causa della sempre più decisa tendenza delle case a puntar tutto sull'accessibilità. Non si tratta sempre di una mossa sbagliata, sia chiaro, e non impedisce agli sviluppatori di sfornare titoli eccezionali, tuttavia la conseguenza diretta è stata una parziale estinzione del gaming più complesso, quello che non si preoccupava di sommergere l'utenza di statistiche e meccaniche avanzate. I fan dei gdr di vecchia data ne hanno comprensibilmente sofferto ed è proprio l'appena citato Kickstarter ad avergli gettato un appiglio nel momento del bisogno: sviluppatori delusi dall'industria, game designer ormai privi di speranze, vecchie glorie costrette ad adeguarsi alle correnti attuali... si sono attaccati a questa nuova tetta con forza, nella speranza di poter sviluppare ciò che desideravano loro e i loro utenti più fedeli. Quanto sia stata valida tale migrazione è un argomento complicato da discutere a parte, ma è innegabile che sia proprio questo esodo ad aver dato vita ad alcuni dei migliori videogame dell'ultimo quinquennio. Oggi parliamo di uno dei più attesi ad opera degli Obsidian, quel Pillars of Eternity acclamato a gran voce dai fan come l'unico vero erede di Baldur's Gate 2. Lo abbiamo giocato a lungo e ci sentiamo finalmente pronti a dire la nostra, e la nostra è “grazie Kickstarter”.
    Il collegamento diretto tra Pillars e classici come i Baldur's è molto meno artificiale di quanto si possa credere. Qui si parla di un titolo creato da molti degli sviluppatori di quella che è considerata l'età dell'oro dei gdr occidentali, che al secondo Baldur's Gate e a Planescape Torment si rifà direttamente in molti aspetti. La gestione della narrativa è uno di questi: con Avellone e compagnia bella coinvolti c'erano da aspettarsi molti dialoghi, ma Pillars supera davvero qualunque nostra aspettativa. Siamo di fronte a una galassia di testo scritto, un ammasso di storie, personaggi e ramificazioni mostruoso, che deve aver richiesto mesi e mesi per prendere forma. La trama di Pillars, di per sé, non è nulla di particolarmente originale, voi sarete un semplice viandante che dopo aver incontrato uno strambo fenomeno naturale ottiene il potere di comunicare con le anime e cerca di scoprire l’origine del suo mutamento prima di perdere il senno. Tale premessa tuttavia ha dato modo agli Obsidian di dare vita a un mondo mostruosamente colorito e contorto, che poggia su una mitologia che davvero poco ha da invidiare ai setting fantasy più blasonati. 
    Pillars ha una forza invidiabile quando si tratta di storia e personaggi, a tratti è volutamente simile a un librogame, con numerose scelte che cambiano in toto gli avvenimenti e decidono vita e morte dei loro protagonisti. La cura la si vede in ogni quest, in ogni scambio di battute e in ogni singola frase. Se si parla di narrativa insomma, l'opera di Obsidian ha davvero poco da temere, salvo non siate allergici ai muri di parole. 
    È nel gameplay che questo titolo barcolla leggermente. Ci spieghiamo meglio, prima di veder spuntare i forconi: strutturalmente il lavoro di Obsidian è solidissimo e molto vicino alle meccaniche viste proprio nei Baldur's Gate. Le battaglie sono in tempo reale con una pausa tattica, attacchi e magie hanno tempi variabili di esecuzione, si controllano più personaggi in una squadra e tutto viene gestito tramite tiri di dadi virtuali, la cui riuscita è direttamente correlata ai valori delle resistenze nemiche e alle proprie statistiche. Le novità sono poche, e vanno a toccare la sostenibilità del team sul lungo periodo e la gestione delle classi, perché il sistema è sì simile a quello di Dungeons and Dragons, ma non essendoci un attaccamento diretto del titolo alle regole imposte da Wizards of the Coast gli Obsidian hanno potuto fare un po' quel cavolaccio che volevano con le varie specializzazioni. Parliamo prima dei punti vita, che sono divisi in una barra totale e in una barra parziale per ogni combattente. Quando la parziale si svuota il guerriero non muore, finisce semplicemente ko, ma il quantitativo perso va a scendere nella barra totale, che può raggiungere lo zero se si tira troppo la corda. Una volta a zero i vostri personaggi potrebbero rimanere menomati, con malus sensibili alle statistiche, o addirittura morire definitivamente. Chiaramente ci sono regole ben più complesse di una semplice variazione sulla tipica barra della vita, tra cui attacchi gratuiti se si fugge da un combattimento corpo a corpo, interruzioni, variazioni del danno e via così, eppure questa semplice modifica permette di avventurarsi a lungo nei dungeon e nelle zone selvagge di Eora (il mondo di gioco), specialmente se si gira con un discreto numero di scorte per accamparsi. 
    A dare ancor più varietà al tutto ci pensano proprio le classi, che vantano sistemi molto differenziati tra loro. Cantori (no, non bardi), maghi, chierici, druidi e Cypher hanno tutti la capacità di utilizzare magie di potenza variabile, ma il modo in cui ne fanno uso o il numero delle stesse cambia in base alla classe e le tecniche mutano anche quando si prende il controllo di guerrieri, barbari, ranger, paladini e ladri. Le scelte possibili sono tantissime, anche a livello di sviluppo, ogni classe può usare quasi qualunque oggetto, con bonus e malus evidenti in base alle soluzioni adottate,  e in generale viene lasciata una discreta libertà al giocatore quando si tratta di personalizzazione. 
    Detto questo, se ci si butta sul minmaxing folle Pillars mostra un po’ il fianco, a causa di un level cap bassino, fermo a 12, e di un bilanciamento delle professioni non proprio impeccabile. Certe classi sono semplicemente poco adatte a far danno, mentre alcune non risultano affidabili quanto altre, che vivono di flessibilità. Tutte restano utilizzabilissime e piacevoli da sfruttare, ma forse si poteva lavorare di più sulle possibilità di crescita di ogni personaggio. L'altro motivo per cui abbiamo storto il naso a livello di gameplay ha un nome, e quel nome è Divinity Original Sin. Tirare in ballo un altro gdr durante la recensione di Pillars non è un'azione di gran classe, ma ci sentiamo in dovere di farlo, perché il titolo di Larian ha cambiato le carte in tavola non poco nell'intero genere. 
    Ecco, dove Divinity ha avuto il coraggio di cambiare l'interattività delle mappe, di inserire nell'equazione un sistema elementale tanto interessante quanto gustoso da usare e classi melee sfiziosissime, Pillars non ha l’audacia di staccarsi dall'abbraccio di sua “madre” ed è troppo vicino ai classici per rappresentarne una reale evoluzione. Un peccato, perché le numerose battaglie, seppur piacevoli, alla lunga possono risultare tediose, e il vero fascino del gioco lo si vede solo quando lo si affronta alle difficoltà maggiori, mentre si evitano combattimenti con l'arguzia, o durante boss fight che richiedono di aguzzare l'ingegno. Un pathing dei compagni indecente, unito a un'IA praticamente nulla, non aiuta, al punto che certi scontri quasi impossibili in certe posizioni diventano una passeggiata se ci si piazza all'entrata della mappa (coi nemici che spesso vi raggiungono comodamente uno ad uno, non si sa bene perché) e che altre volte ci si sposta volutamente in zone molto aperte perché negli stanzini il proprio gruppo di avventurieri non è in grado di calcolare una traiettoria sensata per circondare un avversario. Non basta a rovinare un titolo così curato, eppure da un team con il passato di Obsidian ci aspettavamo un lavoro studiato meglio. 
    Ingiusto comunque soffermarsi troppo a lungo sulle problematiche del gioco, poiché come abbiamo già detto Pillars disintegra Divinity quando si tratta di background e personaggi, ed è sensibilmente superiore anche nella gestione della difficoltà, che rendeva il lavoro di Larian un gioco solo per pochi esperti. Anche Pillars è impegnativo, ma già molto più gestibile, e gli stacchi tra facile, normal, e le difficoltà maggiori risultano più assennati. Gli Obsidian hanno inoltre inserito nel loro bimbo delle chicche non da ridere, che non mancheranno di fare felici i fan.
    Una di queste è il megadungeon di Od Nua, un brutale sotterraneo zeppo di mostri di potenza crescente, completamente distaccato dalla storia principale ma correlato alle vicende di alcuni personaggi e davvero gustosissimo. Un altro extra di gran classe è la fortezza di Caed Nua invece, un quartier generale che il giocatore può lentamente ristrutturare, e che offre missioni da far affrontare ai personaggi lasciati fuori dal gruppo, quest aggiuntive, vendor, e tante altre sorprese. Caed Nua è un’aggiunta che influenza poco la campagna, ma la sua presenza è quantomai gradita. Da non sottovalutare infine il semplice ma funzionale sistema di crafting degli oggetti e di potenziamento della armi, utilizzabile in ogni momento, la chance di creare personaggi extra a piacere, e la presenza di formazioni personalizzabili, che facilitano il posizionamento dei combattenti prima delle battaglie. 
    Resta solo da descrivere il comparto tecnico, superiore in verità alle previsioni. L’inizio di Pillars è stato burrascoso, con qualche bug pesante in grado di rovinare l’esperienza, ma a seguito di alcune patch gli Obsidian hanno risolto il 90% dei problemi già nelle prime settimane di vita del prodotto, senza troppi sbalzi o proteste. Graficamente, poi, il gioco sorprende per la bellezza di certe location e dà l’impressione di essere per davvero una versione aggiornata dei titoli che sfruttavano l’indimenticato Infinity Engine. 
    Di qualità anche il sonoro, con temi musicali piacevolissimi e ottimi doppiaggi. Il fatto che il groviglio di dialoghi del gioco sia completamente tradotto in italiano è un altro punto a favore.
    Impossibile non elogiare in chiusura la longevità, elevatissima vista la presenza di numerose questline secondarie, del dungeon di Od Nua, e di una nutrita campagna principale. Vi aspettano decine di ore di avventura.

sabato 4 aprile 2015

Dark Souls 2:Scholar of The First Sin

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Distributore:Namco Bandai

  • Data uscita:PS3-Xbox 360: 11 Marzo 2014 (US) - 14 Marzo 2014 (EU) - PC: 25 Aprile 2014 - PS4/XONE: 2 aprile 2015

     

     

    Le remaster hanno stufato, lo ripetiamo costantemente e, sotto sotto, pure sviluppatori e distributori sanno che un mercato dove sono più i titoli rimasterizzati di quelli dedicati è malato nel profondo. Punirle del tutto ci riesce tuttavia impossibile, poiché è pur sempre la qualità di un gioco che dobbiamo valutare e se questo viene riproposto degnamente non può venir penalizzato eccessivamente. Quando al suo ritorno, poi, un titolo si ritrova pure ad avere nuovi e apprezzabilissimi elementi c’è poco da fare, può guadagnarsi di diritto un posto anche nella generazione attuale, specialmente considerando la siccità che la pervade. 
    Dark Souls 2: Scholar of the First Sin, è uno di quei casi dove la software house si è sforzata persino un po’ più del dovuto, perché il lavoro sul comparto tecnico c’è stato, sì, ma gli sviluppatori hanno messo le mani anche su altri elementi, alcuni dei quali importantissimi. Il risultato? Prevedibilmente ottimo.
    Non avete realmente bisogno di una rispolverata di Dark Souls 2 vero? Ok, facciamo comunque un ripassino, che magari molti si sono avvicinati alla serie solo di recente. Allora, i Souls sono, come tanti tra voi sapranno, titoli estremamente complessi e impegnativi, gdr action che enfatizzano enormemente l’esplorazione, con trame convolute e tutte da scoprire, boss brutali e impegnativi, e un gameplay che ruota attorno alla morte del giocatore e alla graduale crescita delle sue abilità e del suo personaggio. Sono titoli di nicchia, con un forte carattere e uno spirito ben definito, che rapiscono senza pari quando si impara ad affrontarli a viso aperto e si scopre quante meraviglie hanno da offrire. Dark Souls 2 non fa differenza, ma è considerato spesso il più accessibile del gruppo, per via di una struttura delle mappe meno labirintica, della libertà che offre quasi da subito a livello di sviluppo del proprio alter ego, e della difficoltà percepita generalmente come inferiore a quella dei capitoli che l’hanno preceduto.
    Ora che Bloodborne ha aperto la strada a molti nuovi appassionati, il suo arrivo su PS4 è parecchio furbo da un punto di vista spiccatamente commerciale. Ah, Resta un titolo eccezionale, non pensate nemmeno per un momento che non lo sia. 
    Fareste tuttavia male a credere che l’edizione Scholar of the First Sin per le attuali console sia un semplice port secco con grafica upscalata. Come già detto, From si è messa seriamente al lavoro su questa versione, ha imparato dai modder PC (sia lodato Durante) e ha messo in pratica alcune idee interessanti, capaci di trasformare almeno in parte l’esperienza. Partiamo dalla prima novità, quella più evidente per chi il gioco base lo ha già completato: il piazzamento dei nemici. Riesplorando Drangleic incontrerete facce nuove, mostri pietrificati che bloccano strade un tempo libere, bestioni di alto livello in zone ove non dovrebbero sostare, e un generale aumento del livello di sfida in quasi tutte le mappe, legate a un intelligente e appositamente calcolato rimescolamento delle carte in tavola. 
    L’idea è già di per sé carina, ma a questa si aggiunge anche un'altra chicca, ovvero una significativa modifica all’intelligenza artificiale. No, i pattern non sono cambiati, o almeno non abbastanza da avercelo fatto notare… a mutare è stata la capacità di “inseguire” dei nemici, un tempo strettamente legata a una certa area, che sulle console recenti si è pesantemente allargata. Ora gli avversari che in precedenza si fermavano dopo pochi metri o una scalinata vi seguiranno senza paura per molti metri in più, e alcuni nemici “addormentati” si sveglieranno prima del tempo, tentando di cogliervi di sorpresa. Questi cambiamenti, uniti a una nuova disposizione di certi oggetti un tempo recuperabili molto in fretta, rinfrescano non poco la campagna, e potrebbero portare anche appassionati che hanno bruciato dozzine e dozzine di ore su Dark Souls 2 a buttarsi su Scholar of the First Sin per coglierne i segreti extra. 
    Non scherzavamo nemmeno quando abbiam detto che la software house ha “preso esempio dai modder”. Dark Souls 2 su PC è un bel vedere grazie alla community, ma va detto che su PS4 il titolo From non sfigura affatto, mostrando netti miglioramenti in vari aspetti. I particellari, in particolare il fuoco, sono migliorati sensibilmente e anche se il livello non è comunque altissimo siamo spanne sopra alla versione old gen. La profondità di campo è aumentata di brutto, con il blur evidente di certe zone in lontananza quasi sparito. Le texture sono più definite e molto vicine ai massimi setting su computer, accompagnate da un’illuminazione perfezionata che abbellisce alla grande certe location (riguardatevi la zona della torre di Heide, per rendervene immediatamente conto). La fluidità, infine, si aggira sui 60 fps con cali rarissimi, una caratteristica che rende il gioco enormemente più responsivo. Insomma un bel lavoro, marginale ma fatto con criterio, che lascia presagire una nuova versione pc ancor più eccellente. Unico appunto, abbastanza ignorabile, è che dopo aver giocato a Bloodborne la grafica di Dark Souls 2 appare un po’ “vecchiotta” anche con tali accorgimenti.
    Ci sono spiedini gustosi sul fuoco anche per i malati di lore e informazioni, in questa nuova edizione. L’aggiunta più importante in questo campo è senza dubbio alcuno lo Scholar of the First Sin, un npc davvero importante per la trama, a cui si ricollega un finale aggiuntivo. Per il resto, un po’ del testo in-game è stato riscritto, con nuovi dialoghi degli npc, descrizioni degli oggetti a volte cambiate, e altre sorprese.
    Vari e curiosi ritocchi sono stati fatti addirittura al multiplayer del gioco: ora si può collaborare anche con giocatori che stanno affrontando i loro primi new game + alla prima run, certi oggetti non sono più utilizzabili online, più giocatori possono partecipare contemporaneamente a una partita, e un nuovo anello permette di bloccare il soul level totale, una statistica che in precedenza, se aumentata eccessivamente, rendeva davvero difficile trovare altri utenti in rete. 
    Chiudiamo con i dlc, chiaramente inclusi nel pacchetto. Una aggiunta da non sottovalutare assolutamente, visto che le tre corone si sono dimostrate contenuti notevolissimi e in grado di innalzare non poco l’avventura sanguinosa creata da From Software.

The Witcher 3 Wild Hunt

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:CD Projekt

  • Data uscita:19 maggio 2015






Poco più di due mesi sono passati dal nostro ultimo incontro con The Witcher 3: Wild Hunt e, a quanto pare, gli sviluppatori in tutto questo tempo hanno preferito prendersi un po’ di respiro. Perché, nonostante i due mesi di sviluppo in più, il gioco mostrato alla stampa in un evento tenutosi ieri a Milano è sostanzialmente identico a quello che vedemmo lo scorso gennaio.
Avevamo ascoltato con interesse i dubbi e le certezze del nostro collega FireZdragon all’evento di Varsavia, e abbiamo potuto verificarli con mano anche in questa sede, concentrandoci però principalmente sulla versione Xbox One del gioco, per capire quali siano i compromessi adottati da CD Project RED per offrire un prodotto di qualità anche su console.
“Siate cattivi” ci dice un sorridente sviluppatore di CD Projekt RED porgendoci un questionario da compilare nel quale esprimere i nostri giudizi sulla demo appena provata. Lo ascoltiamo alla lettera e scriviamo un lapidario “La versione Xbox One non regge il confronto con la versione PC”. Non vogliamo lanciare l’ennesimo dibattito tra consolari e fanatici del gaming su personal computer, ma dobbiamo riconoscere che il gioco creato dagli sviluppatori polacchi non riesce davvero ad emozionare allo stesso modo se giocato su di una console o su di un PC di fascia alta. I compromessi adottati dagli sviluppatori hanno portato a una sensibile riduzione degli effetti su console, nonché ad una risoluzione di 900p e all’assenza di numerosi filtri. La build, come segnalato nella precedente anteprima, mostra ancora delle gravi mancanze in termini di ottimizzazione, e il frame rate tende a calare in maniera sensibile nelle fasi più concitate e persino durante alcuni filmati. A questo si aggiungono svariati bug grafici, con compenetrazioni poligonali davvero grossolane (abbiamo visto lo Strigo infilare la testa nel didietro di un cavallo) e qualche animazione davvero legnosa, specie quando ci si trova sul dorso di un destriero.
Screzi di cui prendiamo atto ma che, tuttavia, non ci preoccupano in maniera particolarmente grave. Trattandosi di una build di fine gennaio, infatti, molti dei problemi di ottimizzazione saranno certamente già stati risolti, e altri saranno limati nel corso delle prossime quattro o cinque settimane.
Così, guardando avanti e pensando a The Witcher 3: Wild Hunt senza i grattacapi di cui sopra, possiamo confermare che CD Projekt RED ha davvero realizzato un gioco con una grafica mozzafiato. Anche su Xbox One. Il sincronismo labiale nei filmati renderizzati in tempo reale è già perfetto, e molte sequenze animate sono pressoché ultimate. Gli ambienti sono straordinariamente dettagliati, e il passaggio da una sequenza all’interno di un castello a una lunga parte a cavallo tra praterie e villaggi ci ha permesso di cogliere l’attenzione per gli sviluppatori nei confronti di elementi spesso trascurati, come la vegetazione e gli oggetti presenti all’interno delle stanze. Il mondo di gioco sembra vivo, molti luoghi sembrano avere una propria anima ed orientarsi nel mondo di The Witcher 3 diventa quasi naturale. Attraversiamo campi coltivati a frumento, saltiamo steccionate verso dei mulini, guadiamo piccoli rigagnoli e, d’un tratto, troviamo una locanda lungo la strada. Persino l’ubicazione degli edifici e il modo in cui la natura selvaggia si alterna ai segni della presenza umana sono verosimili: il mondo creato da Sapkowski non è mai stato così vivo in un videogioco.
Su Xbox One (e, verosimilmente, su PS4) non troverete forse un gran numero di effetti particellari, la nebbiolina che si solleva dalla brughiera o le curve realmente curve del corpo nudo di Yennefer, ma avrete comunque a che fare con la vitalità di questo mondo di gioco e dei personaggi che lo popolano.
Un altro aspetto controverso emerso nella precedente prova si riscontra nel sistema di combattimento, rinnovato e modernizzato per questo terzo capitolo della serie. In generale, il feeling è quello di un combattimento più rapido in fase offensiva, con la spada che danza tra i vari colpi inferti concatenando combo che consentono di reagire agli attacchi avversari con più solerzia, ma che al contempo alleggeriscono il “peso” delle armi. L’offerta si completa con l’ingresso dei Segni, le magie di Geralt attivabili da una ruota e mappate sul tasto spalla destro, che possono dare luogo a duelli davvero spettacolari se utilizzate in combinazione con qualche fendente. In fase difensiva, però, le cose cambiano radicalmente: la schivata, effettuata premendo il tasto B in contemporanea allo stick direzionale, non ci dà pieno controllo delle nostre azioni: non abbiamo avuto difficoltà a schivare gli attacchi, ma i movimenti sono davvero troppo lenti e crediamo che la cosa potrebbe rappresentare un problema con nemici più avanzati degli sgherri che abbiamo affrontato nella sequenza iniziale del gioco.
Le hitbox dei nemici necessitano di essere sistemate, in quanto già nei primi scontri abbiamo avuto a che fare con colpi andati a vuoto o, peggio, con colpi inferti al nemico sbagliato nella mischia. In taluni casi siamo stati colpiti dal nemico dopo avere completato una schivata e, viceversa, abbiamo inferto danni a un nemico che si era già allontanato da noi. Problemi che, ci auguriamo, verranno risolti al momento dell’uscita.
Comprendiamo la decisione degli sviluppatori di inseguire la via di un combattimento più rapido e spettacolare per The Witcher 3: Wild Hunt, e in generale la maggiore velocità potrebbe permettere scontri con gruppi di nemici in grande numero. L’inizio dell’avventura, che ci ha portato nostro malgrado ed essere circondati da un gruppo di cani mostruosi, ci ha dato un assaggio dei benefici dati dalla rapidità di azione in una situazione di netta inferiorità numerica che, speriamo, verrà sfruttata a dovere nelle fasi più avanzate del gioco.
Anche se la nostra breve prova non ci ha permesso di approfondire gli aspetti narrativi del gioco e la struttura delle quest, siamo rimasti colpiti dalla presenza dei sensi del witcher. Si tratta di una sorta di modalità “Occhio dell’Aquila” che consente a Geralt di individuare indizi, seguire le tracce o trovare oggetti nascosti. Questa meccanica, sfruttata già in fase di tutorial per permetterci di individuare una chiave per uscire dalla prima stanza, viene utilizzata in alcune quest - anche principali - per consentire al nostro eroe di proseguire senza fare ricorso alle armi. Anche se Geralt è un guerriero, non dobbiamo dimenticare che la figura del witcher è spesso orientata alla taumaturgia e alla connessione con la natura, e la sua forza distruttiva viene più spesso utilizzata per scopi non bellici. Troviamo questa scelta più “riflessiva” in alcuni momenti del gioco particolarmente azzeccata con il personaggio di Geralt di Rivia, che in questo terzo capitolo sembra vivere dei conflitti interiori mentre si trova a scongiurare una delle catastrofi più grandi che il mondo abbia mai conosciuto.

Ride

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Simulazione

  • Sviluppatore:Milestone

  • Data uscita:27 marzo 2015

     

     

    Lo scorso autunno Milestone annunciò Ride con una dichiarazione d’intenti che ci fece sussultare: con questo gioco l’azienda milanese avrebbe fatto per il mondo del motociclismo quello che la serie Gran Turismo ha fatto per le auto. In effetti, c’è una lacuna nel mercato dei giochi racing che non è mai stata colmata: non esiste un “Gran Turismo delle moto” e le intenzioni di Milestone non sembravano soltanto sensate, ma anche piene di ambizioni. Seguire le orme di una fra le serie più di successo nella storia dei videogiochi sembra un’impresa titanica, e le risorse economiche e umane del team di via Fara non possono certo tenere testa all’esercito di capitan Yamauchi. Ma, si sa, in Italia abbiamo una sorta di potere magico che ci permette di fare in modo che il risultato delle nostre opere sia ben di più della somma delle singole parti. E così, dopo alcuni mesi d’attesa, ci siamo ritrovati fra le mani questo gioco, ansiosi di scoprire se le promesse fossero state mantenute. 
    Ci vogliono appena pochi istanti per capire che Milestone ha davvero tentato di creare il Gran Turismo delle moto. Non si tratta di un’esagerazione quando affermiamo che Ride ricorda in molti aspetti i titoli della serie esclusiva per Playstation e, in misura forse ancora maggiore, i giochi della serie Forza Motorsport. Si tratta di un gioco nel quale ogni moto può essere acquistata da una lista di concessionari, e portata in pista per guadagnare crediti da investire in modifiche o in altri destrieri a due ruote. Ogni moto può essere modificata in aspetti che spaziano dal motore agli scarichi, dai freni alle gomme, dall’elettronica alle componenti estetiche. Ogni modifica è basata su reali licenze di produttori aftermarket, e le moto possono essere migliorate solo con le componenti compatibili. Di conseguenza, non tutte le moto possono essere personalizzate allo stesso modo, e la lista delle componenti disponibili per ciascun modello varia in maniera sensibile. In generale, si ha la sensazione che Milestone abbia tenuto le dita sul freno in fatto di modificabilità delle componenti, limitandosi ad alcuni elementi cruciali ma limitati. Non è possibile, ad esempio, sostituire il motore, cambiare le candele, alleggerire il volano, modificare il telaio o il forcellone, e le modifiche estetiche non permettono una reale personalizzazione della carrozzeria, limitandosi ai colori approvati e alla rimozione o modifica di targhe, frecce e specchietti. Di certo non ci aspettavamo una quantità di modifiche paragonabili a quelle di un’automobile - le moto sono pur sempre macchine più semplici delle auto - ma crediamo che qualcosa in più si sarebbe potuto fare.
    Nulla da eccepire, invece, sulla varietà delle moto disponibili. Non ci troviamo di fronte alle migliaia di modelli della serie di Yamauchi, ma a un parco con più di cento moto che mai si ripetono in modelli troppo simili tra loro. Non troverete, in breve, lo stesso modello con le variazioni delle diverse annate, ma esemplari unici o comunque con differenze sostanziali dai modelli più simili. Le moto si limitano alle naked leggere e pesanti, alle supersportive, alle sportive storiche e alle superbike; escluse le categorie enduro e gli scooter, che non trovano spazio in questa edizione.
    Per quanto concerne i tracciati, abbiamo a disposizione 15 location ciascuna delle quali può avere fino a un massimo di tre variazioni. In totale parliamo di circa una trentina di piste: un numero non certo enorme che ci auguriamo verrà aumentato nelle prossime iterazioni di questo franchise.
    Una carriera non completamente riuscita
    La modalità carriera, denominata World Tour, è il centro nevralgico del gioco. Da qui accediamo alle varie categorie nelle quali si diramano svariate coppe, ognuna delle quali ammette un numero limitato di veicoli. Così, in sella alla nostra prima naked leggera, iniziamo ad accumulare crediti con le vittorie in varie tipologie di gara, che spaziano dalla corsa in stile gran premio passando per gare testa a testa, gare contro il tempo o di accelerazione. Già con le prime vittorie la cifra accumulata si fa presto importante e, visto il costo limitato delle moto, nel giro di una o due ore di gioco potremo permetterci una collezione di tutto rispetto, che include persino alcuni dei modelli più ambiti. La filosofia rispetto a un gioco di auto è molto diversa, e non occorrono ore e ore di grinding per riuscire a guidare la moto dei nostri sogni. Per contro, si ha la sensazione che la progressione nel gioco sia troppo rapida e facile per rappresentare davvero una sfida, e non si riesce a provare la sensazione di avere realmente fatto carriera nel mondo del motociclismo. Le gare sono numerose e ben differenziate, ma non vi è dubbio che la campagna avrebbe potuto essere più articolata e offrire al giocatore qualche sfida in più per raggiungere la categoria più ambita.
    Le vittorie nelle varie categorie danno accesso a una modalità speciale che sblocca delle moto non acquistabili, e che permette di saltare in sella a moto di tutto rispetto. Anche in questo caso, occorrono appena cinque vittorie nella prima categoria per tentare di acquisire la vostra prima MV Agusta, peraltro sbloccata ottenendo anche solo un bronzo in una gara tutto sommato non troppo difficile. In breve: il livello di sfida offerto da Ride nella modalità World Tour andrebbe rivisto.
    Completano l’offerta la modalità Guida Rapida (con le sue gare istantanee, gare a cronometro e modalità multiplayer in split screen) e l’Online, che fino ad ora sembra non presentare problemi di connessione o matchmaking. La modalità online è piuttosto semplice, e si limita alle gare personalizzate con amici o sconosciuti: non vi è la possibilità di organizzare campionati, né vi è modo di portare online l’esperienza del World Tour. Mancano delle vere e proprie leaderboard, e in generale qualche funzionalità sociale in più sarebbe stata gradita. Ma, nella sua semplicità, dobbiamo ammettere che la componente multiplayer di Ride si è rivelata piuttosto divertente.
    Per la realizzazione del modello di guida, Milestone sembra avere tratto enorme ispirazione da quanto visto in MotoGP 14. Il titolo su licenza dello scorso anno ci lasciò delle ottime sensazioni e fu persino applaudito dai piloti professionisti. Anche in questo caso dobbiamo ammettere che il modello di guida di Ride ci ha sorpresi positivamente, una sensazione che si è fatta ancora più marcata nel momento in cui siamo saliti in sella alle diverse moto disponibili: non ci sono moto che si guidano allo stesso modo, e ogni bolide presente in gioco necessita di essere compreso prima di essere spinto ai propri limiti. Ride non ha la pretesa di offrire una simulazione completa, ma le differenze tra le moto sono marcate e danno un’enorme soddisfazione.
    Come avviene realmente in questo sport, i sorpassi riescono davvero a emozionare e alcune staccate ci hanno fatto stringere i denti. Disattivando tutti gli aiuti è possibile andare ad agire separatamente sul freno anteriore e posteriore, ottenendo così le entrate in curva in derapata e sfruttando l’aerodinamica del pilota che può essere sollevato dalla posizione carenata in qualsiasi momento. I piloti più esperti avranno pane per i loro denti e sapranno certamente trarre vantaggio dall’ottimo lavoro svolto da Milestone in questo frangente, mentre i piloti meno esperti riconosceranno in Ride un’esperienza di gioco davvero appagante.
    Purtroppo tutti questi elementi positivi non vengono aiutati da un’intelligenza artificiale particolarmente complessa. In modalità “Facile” è piuttosto semplice riuscire a guadagnare la testa della corsa con una moto all’altezza della situazione, ma francamente non abbiamo trovato differenze enormi rispetto ai settaggi più realistici. In generale, l’intelligenza artificiale si limita a seguire le traiettorie in maniera più precisa, ma non presenta segni di aggressività nemmeno al massimo della difficoltà. Così, scegliendo ed elaborando la propria moto con cura, non è difficile riuscire a guadagnare il podio mantenendo uno stile di guida aggressivo. In ogni caso, complicandosi la vita con una moto ai limiti della competitività si possono intavolare delle gare sudate fino all’ultima curva, che ci hanno fatto realmente emozionare anche quando non si sono concluse nel migliore dei modi.
    Da segnalare un sistema di collisioni e danni non proprio realistico, che fa da contraltare a una ciclistica ben studiata. In breve, i contatti più violenti fra piloti terminano quasi sempre con la caduta di una sola fra le due moto coinvolte, e chi ne esce indenne non subisce grosse penalità in termini di velocità. Al contrario, la moto spinta ai propri limiti si comporta in maniera davvero realistica, con scodate e perdite di aderenza che possono terminare in una scivolata o in un pilota disarcionato in uscita da una curva.
    Da un punto di vista prettamente tecnico, Ride è un gioco cross-gen. E si vede. Anche se i modelli delle moto sono realizzati straordinariamente bene (e abbiamo perso tempo nella modalità foto per ottenere delle immagini davvero mozzafiato), lo stesso non si può dire degli ambienti e dei dettagli a bordo pista. Comprendiamo la decisione di Milestone di realizzare un titolo compatibile con la vecchia generazione: questo è un nuovo franchise e merita di raggiungere il maggior numero di acquirenti potenziali. Al contempo, crediamo che questa scelta abbia penalizzato alcuni elementi grafici che, ci auguriamo, verranno colmati quando la serie diventerà next gen only.
    Non siamo pienamente soddisfatti dell’audio di gioco, con qualità del sound dei motori altalenante e un mixing non proprio soddisfacente. Il surround è limitato alla tecnologia Dolby Digital, che in ultima analisi non riesce a ricreare il feeling acustico provato stando in sella a un bolide da 180 cavalli. Anche da questo punto di vista, ci sono degli ampi margini di miglioramento.
    Da segnalare, infine, la presenza di qualche bug minore e di qualche grave bug presente nella versione PS4, che ci ha fatto crashare il gioco almeno due volte e ha cancellato i nostri salvataggi. Problemi che, con ogni probabilità, verranno sistemati con una patch al momento dell’uscita e che, forse, hanno comportato lo strano ritardo dell’ultim’ora del gioco.