Ethero

giovedì 27 ottobre 2016

Farming Simulator 17

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Simulazione

  • Sviluppatore:Giants Software

  • Data uscita:25 ottobre 2016

     

     

    Finalmente la bolla dei “Cosa a caso” Simulator sta andando sgonfiandosi; da questa relativamente breve parentesi del mercato videoludico i capostipiti che hanno dato il là ai vari cloni parodistici non ne escono sconfitti anzi, hanno saputo sfruttare il momento per allargare le proprie vedute e migliorare i proprio prodotti. Farming Simulator è di certo un esempio lampante, che con l’iterazione per l’anno 2017 punta forte sulle console con alcune novità, tra piccole e grandi, che rendono il prodotto sempre più appetibile e fruibile, un passettino avanti al precedente.
    Certo, stiamo comunque parlando di prodotti destinati ad una cerchia ben distinta di videogiocatori, che sanno quel che vogliono e ormai hanno imparato verso chi rivolgere lo sguardo in cerca di risposte. Farming Simulator 17 segue pedissequamente le orme del suo predecessore (no, non il 16 che è uscito solo per PsVita, ma il 15 uscito su PC e in seguito su console), proseguendo la strada verso nuovi traguardi. Come prima cosa Giants Software ha concentrato i suoi sforzi al fine di portare alla convergenza le varie versioni del gioco; numeri alla mano, la simulazione agricola non è più cosa strettamente legata al mondo dei personal computer, ma ha dimostrato d’interessare anche l’utenza da tv e divano. La prima novità in questo senso è l’uscita in contemporanea su Pc, PS4 e Xbox One, là dove nei titoli precedenti era necessario attendere mesi prima di potersi approcciare al gioco pad alla mano. La seconda, ma non meno importante, è l’introduzione delle mod anche su console; Farming Simulator, negli anni, si è rivelato un’esperienza che sa andare ben oltre ai pochi GB contenuti sul disco, concedendo agli utenti di spaziare nelle più disparate modifiche e aggiunte create da altri appassionati: nuovi trattori, vecchie glorie, attrezzature particolari o addirittura nuove mappe, su PC c’è solo l’imbarazzo della scelta su come personalizzare la propria partita. Da questo 17 anche su Xbox One e PS4 avremo la possibilità di andare ad espandere il nostro mondo attraverso le creazioni degli altri utenti caricate su ModHub. Purtroppo al momento sono presenti solo una manciata di opportunità, tutte create dal team di sviluppo, quindi non è possibile valutare come funziona il sistema di approvazione ne quanto possano effettivamente reggere nell’ambiente tanto chiuso e serrato delle console.
    Sebbene la struttura di gioco sia rimasta esattamente la stessa negli anni, in questa edizioni sono state apportate alcune modifiche atte a rendere meno ripida la difficoltà in entrata e consentire così a più giocatori di restare al volante. Innanzitutto ora il negozio, accessibile con un rapido tocco al touchpad del DualShock 4, dà la possibilità di noleggiare l’attrezzatura; questo significa che, pagando comunque una quota iniziale e man mano in base alle ore di utilizzo, avremo accesso molto prima ai nostri oggetti del desiderio, ma anche che potremmo testarli per benino prima di effettuare effettivamente l’acquisto. Con questo piccolo accorgimento il gioco diventa molto più dinamico e plasmabile a seconda delle nostre esigenze. A modificare drasticamente l’approccio al gioco è però la possibilità di lavorare per conto terzi: come noi possiamo prendere trattore, attrezzo e assumere un operaio che faccia il lavoro manuale al posto nostro, così faranno anche gli altri proprietari terrieri presenti sulla mappa. Basterà quindi avvicinarsi all’ormai iconico cerchio blu presente al bordo di un capo per vedere i dettagli dell’appezzamento e la richiesta di lavoro, con tanto di prezzo pagato e tempo massimo entro cui svolgere il lavoro. Con questa introduzione le prime ore di gioco cambiano drasticamente: si passa dal cercare di vendere pian piano il frumento del nostro piccolo podere, al scorrazzare con il pickup in cerca di lavoro per accumulare un bel gruzzolo ed entrare di prepotenza nell’imprenditoria. Questi, consentite la riduzione videoludica, challenge danno la possibilità di utilizzare parecchi macchinari diversi e in tutti i vari stadi delle coltivazioni, risultando quindi stimolanti non solo dal punto di vista monetario, dato che il nostro lavoro verrà pagato veramente a peso d’oro, ma anche da quello videoludico, dal momento che potremo esplorare sin da subito buona parte del parco macchine e dei lavori disponibili.
    Nonostante tutto quello accennato prima, Farming Simulator 17 resta sempre e comunque un titolo difficile da approcciare, fatto di spigoli e porte chiuse che potrebbero spazientire anche i più dediti videogiocatori. I menù, ad esempio, di anno in anno tendono a semplificarsi, ma rimangono sempre e comunque tanti, difficilmente navigabili e poco interconnessi tra loro stessi, costringendo quindi il giocatore a imparare qualcosa da una parte e applicarla in un’altra sezione di un altro menu. Per quanto riguarda i controlli, invece, è evidente lo sforzo dello sviluppatore nel cercare di raggruppare il tutto sotto l’utilizzo dei tasti dorsali, che poi vanno a combinarsi con i tasti frontali e le leve analogiche, ma in più di qualche situazione, specie con i sollevatori frontali, vi troverete a fare dei giochi di prestigio con le dita per riuscire a muovere il tutto in modo coerente e consono al lavoro da svolgere. La natura di titolo budget, prodotto da un piccolo team, si evince anche dalla mancanza totale di voice-over che contestualizzino le varie situazioni o di qualsivoglia altra figura con cui interagire che ci faccia sentire un po’ meno soli e spaesati in un mondo che necessita di parecchia immaginazione per non sembrare meramente virtuale. In sostanza tutti questi compromessi sono già ben conosciuti dallo zoccolo duro che segue Giants da anni ed è fuori dal dubbio che in questa versione per l’anno 2017 la situazione sia comunque migliorata rispetto alle iterazioni precedenti, ma resta sempre l’amaro in bocca nel pensare a come potrebbe presentarsi il gioco qualora venisse sviluppato con un finanziamento da tripla A: chissà se in futuro riusciremo a vedere la stessa cura e dedizione profuse nel realizzare i dettagli e nelle animazioni delle attrezzature, trasparire anche nella creazione di un vero open world vivo e al passo con gli standard dei giochi recenti.
    Uno dei più grandi problemi dell’agricoltura, da sempre, è la solitudine: la solitudine contro cui gli agricoltori devo combattere durante ore e ore di lavoro sullo stesso campo, o in attesa giorno dopo giorno che le colture arrivino a maturazione. Come accennato poco prima, anche in Farming Simulator 17 questo problema è presente. Nonostante possiate demandare alcuni lavori agli aiutanti, vi ritrovare prima o poi a volgere dei lavori ripetitivi anche per un’ora. Certo si sta parlando di un gioco che fa del relax e dei tempi dilatati il suo mantra, ma in certi frangenti è veramente difficile restare concentrati e coinvolti. Per tentare di lenire in parte la problematica è ora possibile ascoltare la radio, con quattro stazioni dedicate ad altrettanti generi musicali; non aspettativi qualcosa del calibro di Base Arena da Forza Horizon, stiamo comunque parlando di un manciata di canzoni per stazione che vengono messe una dopo l’altra, finché non riprende il loop.
    La svolta vera invece la si ha aprendo la propria partita ad altri giocatori online, andando così a creare dei veri e propri lavori di gruppo che, una volta portati a termine sanno appagare e fanno sentire parte di un team. Purtroppo anche qui è meglio farsi trovare preparati, preferibilmente con amici fidati al seguito, perché (allo stato attuale) provare ad entrare in una partita casuale tra quelle proposte è praticamente impossibile e nei rari casi in cui si riesce, bisogna fare i conti con una totale mancanza di comunicazione.

Civilization VI

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Firaxis

  • Data uscita: 21 ottobre 2016

     

     

     

    Affascinante il percorso che ha portato l'uomo dalle caverne fino allo spazio, che ha permesso a Pietro il Grande di costruire il Colosseo, che ha condotto Filippo II alla scoperta della elettricità e che ha causato la terribile guerra nucleare fra Traiano e Saladino. No, non stiamo parlando di quello che avete imparato sui banchi di scuola, ma della Storia secondo Firaxis e come da oramai più di venti anni ce la insegna Civilization, forse la più iconica saga strategica 4X, un titolo da sempre sinonimo di PC gaming e conosciuto per la sua sindrome: "Dai, ancora un ultimo turno". Riuscire a rinnovare un genere storico come quello dei 4x, togliere quel retrogusto di amaro che avevano lasciato il quinto capitolo e lo spin-off Beyond Earth e creare dei nuovi standard, sia in senso estetico che in termini di meccaniche, erano le principali sfide di Sid Meier's Civilization VI e, se già nella corposa anteprima eravamo colpiti dai passi in avanti evidenziati dal nuovo corso intrapreso da Firaxis, con il titolo completo a nostra disposizione possiamo affermare che quello che abbiamo avuto per le mani nelle molte ore necessarie per stendere questa recensione è forse la migliore iterazione della serie.
    Civilization non è certo un gioco che ha bisogno di molte presentazioni, ma per chi non lo conoscesse, lo strategico a turni ridisegna la storia del genere umano, dall'età della pietra fino alla conquista dello spazio, e lo fa mettendo in scena i grandi personaggi del passato, da Pericle a Cleopatra, da Caterina de' Medici a Federico Barbarossa. Già nel primo approccio con Civilization VI eravamo rimasti colpiti dalle molte novità proposte dal nuovo capitolo e avevamo espresso molta fiducia in merito ad un ritmo di gioco più sostenuto grazie allo snellimento di molte meccaniche, senza che il titolo ne risentisse in semplificazione. La principale novità che salta subito all'occhio è l'introduzione dei distretti, che vanno a modificare pesantemente la gestione delle città e degli esagoni che la circondano: nel passato, soprattutto nelle fasi intermedie e finali delle partite, diveniva piuttosto ripetitivo e poco stimolante il continuo processo di acquisizione di nuovi terreni e la successiva costruzione di una caserma, di un teatro o di un laboratorio. I distretti prevengono questa espansione a scacchiera, una volta installati essi vanno a specializzare l'esagono in questione verso lo sviluppo scientifico, culturale, militare, religioso o commerciale e, in base alla strada prescelta, solo alcune tipologie di miglioramenti e di nuovi edifici possono essere insediati nella casella. In tal modo, ad esempio una zona specializzata culturalmente andrà ad ospitare anfiteatri, musei o centri di radiodiffusione, mentre su un singolo esagono dedicato ai luoghi di culto andranno a sovrapporsi templi, mausolei e cattedrali. Sempre con la mente ricolta verso una maggiore contrazione dei tempi morti, anche l'utilizzo delle unità come costruttori, apostoli, missionari o, ancora, archeologi è stato profondamente rivisto: i precedenti Civilization erano tutti caratterizzati da un certo quantitativo di turni da attendere prima che un lavoro venisse portato a termine, mentre ora queste fasi passive sono state praticamente eliminate e così le miniere, le fattorie o il recupero dei reperti archeologici vengono terminati in un batter di click. Il rovescio della medaglia è un numero limitato di azioni che tali unità possono eseguire, ad esempio tre per i costruttori, due per gli apostoli o, ancora, quattro per gli archeologi. Sempre rimanendo in termini di unità, ora alcune di esse sono in grado di agganciarsi l'una con l'altra - come quelle militari ed i costruttori - oppure di fondersi per aumentare il potenziale offensivo. Questa trovata permette un risparmio non indifferente di click, rende i ritmi di Civilization VI ancora una volta più sostenuti ma soprattutto evita che dei costruttori diventino facili prede per i vostri nemici se scorati da dei cavalieri. Una delle meccaniche più noiose del passato, la costruzione delle strade e dei collegamenti fra le città, è stata del tutto cancellata e ora le vie di comunicazione sorgono spontaneamente nel momento in cui nascono delle rotte e si instaurano degli scambi commerciali fra le varie fazioni. Le criticità pregresse risolte non si fermano qui: con Civilization V, i ragazzi di Firaxis erano stati principalmente criticati per aver snellito in modo eccessivo il titolo, lasciando da parte almeno inizialmente meccaniche come il turismo, la religione o lo spionaggio, elementi inseriti solo in un secondo momento grazie ai due dlc Gods & Kings e Brave New World. Col sesto capitolo si assiste viceversa al gradito ritorno sia della religione che del turismo, a cui sono stati associate anche due modalità di vittoria: abbiamo così assistito a scene piuttosto bizzarre, come il proliferare di profeti e apostoli tedeschi che cercano di convertire qualsiasi insediamento o di territori controllati dalla Russia dove spuntano come funghi teatri, musei e meraviglie, tutte attrattive in grado di portare masse di turisti nelle città. Anche lo spionaggio funziona alla grande ed avere a disposizione una fitta rete di loschi individui da infiltrare nei possedimenti altrui si rivela un modo intelligente per rubare degli introiti, ottenere informazioni sui movimenti o, ancora, per sottrarre delle grandi opere dai teatri o musei. Tutti questi pregi erano già stati sottolineati in sede di anteprima, ma con il codice al completo e con molte ore di gioco in più sulle spalle, Civilization VI si è dimostrato un gioco con una profondità ed una complessità che in un primo momento possono passare inosservate, un titolo dove ogni singolo elemento è collegato con gli altri, dove ogni scelta ha i suoi pro e i suoi contro, dove ogni decisione va presa studiando tutto ciò che circonda le città e che sicuramente avrà delle ricadute su di esse. Nel nuovo lavoro di Firaxis la mappa assume ancora maggiore rilevanza nello sviluppo degli insediamenti, soprattutto nell'end game, dove una richiesta sempre maggiore di spazio per i cittadini costringe a scelte drastiche: sacrificare un'armeria per sopperire al bisogno di nuovi spazi abitativi o dar luogo ad una sanguinosa guerra solo per qualche casella in più, magari proprio quella dove risiede la risorsa necessaria per colonizzare un pianeta alieno ed arrivare così alla vittoria? Civilization VI è un titolo che non mette la soluzione immediatamente sotto il naso del giocatore e spesso non c'è una strada da percorre in modo indolore, senza che sia necessario fare dei sacrifici e scendere a dei compromessi: le zone grigie sono molte e questo è quello che ci ha più convinto di Civilization VI. L'introduzione dei distretti non ha solo modificano radicalmente la pianificazione delle città ma ha avuto anche pesanti ricadute anche sul modo di condurre una guerra; la triste attualità ce lo mostra ogni giorno e Civilization VI ci ricorda che colpire direttamente la capitale di una nazione non sempre è la mossa più saggia, ma che fiaccare i nemici depredando le risorse, radendo al suolo biblioteche, teatri e luoghi di culto è alle volte molto più utile, non tanto per espandere i propri confini, quanto piuttosto per firmare una sanguinosa pace dopo aver guadagnato introiti derivanti dal saccheggio ed essersi assicurati preziosi vantaggi per una futura vittoria culturale o scientifica.
    L'evoluzione dell'uomo è costellata da invenzioni, ricerche, nuove ideologie e progressi e sociali: in Civilization VI, accanto al classico albero delle tecnologie dove scoprire la ruota, la fusione del rame, la fissione nucleare o il lancio di razzi lunari, fa ora la sua apparizione l'inedito albero dei progressi civici nel quale sono racchiuse le scoperte in campo economico e civili e grazie al quale la politica ha trovato nuova linfa vitale. Partendo dalle forme più semplici, gli stati vivono le diverse esperienze storiche, diventando di volta in volta delle repubbliche classiche, delle monarchie ed infine delle democrazie, usufruendo di specifici bonus legati a tali momenti politici. La vera novità è che in Civilization VI ciascuna forma di governo è caratterizzata inoltre da vari slot, nei quali trascinare le politiche che mano a mano diventano disponibili mentre si avanza nell'albero dei progressi civici. Questi bonus, non solo si rivelano dei preziosi alleati nella corsa verso la vittoria, ma plasmano fino alla radice la fazione e sprecarli spargendoli un po' fra la cultura, un po' fra la scienza o la religione è una scelta controproducente, così come lo è sbloccare nuove tecnologie a macchia di leopardo senza un fine preciso. Anche la scoperta di nuove idee e tecniche ha subito, come molte altre parti del gioco, delle accelerazioni: grazie al sistema chiamato Eureka, compiendo particolari azioni, come costruire tre armerie o scavare tre miniere, si accorciano di molto i turni necessari per arrivare alla tecnologia desiderata. Questa meccanica non solo velocizza i ritmi di Civilization VI, ma lega ancora di più lo sviluppo urbano alla evoluzione della civiltà, due aspetti che devono per forza avanzare in sintonia per non rimanere indietro nella gara contro le altre fazioni. L'albero dei progressi civici ha inoltre reinventato i rapporti diplomatici, resi molto più dinamici e variabili in Civilization VI, dove si ha la vera sensazione di vivere a braccetto con gli altri leader ogni singola fase dell'evoluzione umana. Così, se nelle prime fasi i rapporti sono limitati alla semplice dichiarazione di amicizia o di una guerra immotivata, proprio come nella realtà, i pretesti per gli scontri bellici aumentano a dismisura con il passare degli anni, la scusa può essere la divergenza religiosa o il colonialismo, gli incontri informali lasciano spazio alle ambascerie permanenti ed il gioco dei compromessi si fa mano a mano più intricato con collaborazioni per programmi spaziali messe in dubbio a causa di una spia infiltrata e scoperta da un alleato dentro le proprie mura. Al netto dei numerosi miglioramenti, l'articolazione e la profondità del lato diplomatico di Civilization VI risulta però ancora un gradino inferiore rispetto a quanto abbiamo potuto apprezzare nelle produzioni targate Paradox Interactive, in grado di dare alle relazioni estere un ruolo primario all'interno dei suoi titoli. Il primo incontro con Civilization VI ci aveva lasciato con alcuni punti interrogativi in merito al comportamento dell'IA, che alle volte pareva comportarsi in modo illogico, che la portava a schierarsi contro di noi senza una precisa ragione e che soprattutto non pareva in grado di portare fino in fondo un'offensiva militare. Il primo dubbio è stato completamente fugato ed anzi, i leader guidati dal computer seguono una linea ben precisa, determinata dalla loro agenda, un insieme di tratti che porta questi ultimi ad apprezzare o al contrario odiare un certo tipo di comportamento. Nella nostra partita principale non sono stati ad esempio pochi i contrasti con Cleopatra: la Regina del Nilo disprezzava infatti le nazioni con un esercito debole, proprio come il nostro, dato che stavamo cercando di arrivare alla vittoria attraverso la cultura. Grazie alle agende non c'è più spazio quindi per tradimenti immotivati o per cambi repentini di schieramenti, ma non tutto è così chiaro sin da principio: bisogna infatti tessere contatti, spiare e dialogare frequentemente con i vari leader per venire a conoscenza dei loro progetti e così decidere se assecondarli o farseli nemici fino alla morte. In termini prettamente numerici, Civilization VI mette a disposizione venti leader per diciannove fazioni - i greci ne hanno due - ognuna delle quali ha a disposizione peculiari unità ed edifici, così come bonus e vantaggi legati al loro background storico: ad esempio gli inglesi sono di molto avvantaggiati nei ritrovamenti archeologici grazie al tratto British Museum, mentre i romani, grazie al fatto che tutte le strade portano a Roma hanno dei bonus legati al commercio. Le lacune in merito alla pianificazione bellica non paiono invece del tutto sanate: come già detto, nella nostra campagna non abbiamo volutamente creato un esercito degno di questo nome ma, nonostante l'evidente inferiorità numerica siamo sempre stati in grado di respingere ogni attacco, non tanto per via di brillanti trovate, ma perché dopo aver abbattuto un paio di fanti e respinto una bombarda, il computer semplicemente preferiva firmare una pace in realtà per lui svantaggiosa. Inoltre, nelle fasi finali della campagna, i territori di Pietro il Grande brulicavano di arretrati spadaccini o di arieti mai potenziati, mentre tutte le altre civiltà avevano dalla loro parte jet, bombardieri o elicotteri. Qualche perplessità sull'intelligenza artificiale permane inoltre in merito alle città stato: i rapporti con queste ultime sono stati resi ora più chiari e le alleanze vengono determinate semplicemente tramite l'invio degli ambasciatori, ma i loro comportamenti sono però spesso auto-penalizzanti, non badano minimamente a garantirsi delle difese contro le inevitabili aggressioni delle potenze ed anzi, anche solo dei piccoli contingenti di barbari sono in grado di procurare parecchi danni ai loro territori. Proprio i barbari si rivelano, specie nelle primissime fasi, la principale spina nel fianco e dimostrano un'aggressività degna del loro nome e se non vengono tenuti a bada possono rivelarsi anche con l'avanzare dei turni molto più di un semplice fastidio, capaci di piazzar una roccaforte proprio nel bel mezzo di una rotta commerciale per saccheggiarla di continuo.
    Quando venne annunciato, Civilization VI attirò su di sé non poche critiche per il suo nuovo aspetto visivo, molto più vicino a quello di un cartoon che non alla realtà come nei precedenti capitoli. Le accuse di una eccessiva similitudine fra la creatura di Firaxis ed un titolo mobile erano piovute immediate, ma ammirando il lavoro fatto con Civilization VI ci chiediamo sotto quali tipi di sostanze allucinogene siano state rilasciate tali affermazioni. Il titolo è l'esempio più lampante di come anche uno strategico 4x possa essere vivo e dinamico, ogni singola casella è uno spettacolo per gli occhi ed un manifesto della cura riposta da Firaxis verso anche il minimo dettaglio. Se si guarda all'interno di un distretto volto al divertimento si notano gli stadi con i led luminosi in continuo cambiamento o il girare su sé stessa di una giostra con i cavalli, mentre nella casella di fianco un mulino giro sospinto dalla leggera corrente di un fiume. È davvero difficile trovare un particolare fuori posizione: le gru in legno e le pesanti pietre che vengono spostate per costruire un'antica biblioteca diventano scintille e assi d'acciaio trasportate per dar vita ad una base spaziale, ogni singolo insediamento è in continua mutazione e mai uguale a quello che gli sta accanto. Anche il character design e le animazioni dei singoli leader riescono a trasmettere in modo genuino la loro natura, dura e rigida nel caso di Federico Barbarossa con il suo accento teutonico, solenne nel latino antico di Traiano. Fidatevi quando vi diciamo di aver provato un'antipatia reale nei confronti della subdola Caterina de' Medici e dei suoi continui intrighi. Solo qualche leader appare meno ispirato, come ad esempio Tomiri - leader degli Scizi o Qin Shi Huang. La componente audio non è poi certamente da meno, anzi. Anche a distanza di oltre dieci anni, Baba Yetu, la traccia composta da Christopher Tin per Civilization IV, rimane ancora indelebilmente impressa nella mente di chi ha speso ore e ore sul titolo, ma il compositore americano è riuscito a superare sé stesso, creando per il sesto capitolo la main theme "Sogno di Volare", un vero e proprio capolavoro da ascoltare in loop mentre di gioca a Civilization VI. L'opera suonata dalla Royal Philharmonic Orchestra e cantata dall'Angel City Chorale nella Cadogan Hall di London emoziona e scalda le corde del cuore, riesce a ricreare in ogni nota l'incredibile viaggio dell'uomo, ogni gradino fatto dalla nostra civiltà, tutti gli incredibili sforzi che ci hanno condotto dove ora siamo. Oltre a Sogno di Volare, tutte le altre tracce contribuiscono ad elevare Civilization VI come uno dei migliori giochi da ascoltare, ogni fazione possiede un motivo principale che si evolve e si articola strumentalmente nelle epoche, ma le note si fanno più sfumate, si confondono e si mischiano quando si incontrano altre civiltà, dando vita ad un'articolata soundtrack, mai uguale in nessuna partita. Solo per citare alcuni nomi, la colonna sonora di Roma è stata ad esempio composta da Phill Boucher - composer per Uncharted 4 - e da Roland Rizzo, che nel passato ha contribuito a creare le musiche per XCOM - Enemy Unknown. Concludiamo infine dicendo che Sid Meier's Civilization VI è totalmente tradotto in italiano, sia audio che testi, ma siamo felici che ciascun leader sia doppiato nella sua lingua originale e non con un accento sforzato e spesso tragicomico.

mercoledì 26 ottobre 2016

Space Hulk:Deathwing

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Strategico

  • Data uscita:Novembre 2016



    Space Hulk è un gioco in scatola ambientato nel gigantesco universo del più famoso Warhammer 40.000. Se siamo nuovi ai videogiochi tratti da Warhammer, certamente un videogioco su Space Hulk costituisce un’incognita, ancora di piùper i molti che non conoscono il gioco originale. Riuscirannoi i ragazzi di Streum On Studio ad appassionare il pubblico al brand?
    Il gioco è ambientato in un’astronave dall’aspetto lugubre e solitario, in cui dovremo portare a termine varie missioni. La resa visiva è molto buona, grazie ad un’ambientazione che, nonostante il tema visto e rivisto, riesce comunque ad avere una sua personalità, ricordando da vicino le tenebrose atmosfere della serie Alien. Nonostante lo sviluppatore non possa certo permettersi un titolo dalla grafica pari ai titoli tripla A moderni, il gioco fa comunque il suo dovere e, anzi, riesce quasi a stupire vista la sua natura di progetto relativamente piccolo.
    Deathwing: Space Hulk è un FPS puro e crudo che ci metterà ad affrontare orde di alieni nemici che sbarreranno la strada a noi e al nostro equipaggio di robot. Nel gioco potremo interpretare diversi personaggi, ciascuno dotato di un suo ruolo all’nterno del gruppo, come i classici medici e fucilieri. Avere un gruppo bilanciato sarà fondamentale ai fini della riuscita delle missioni, che di solito prevedranno di raggiungere un determinato punto dell’astronave all’interno della quale è ambientato il gioco. Le mappe sono molto generose in termini di espansione ed offrono molteplici vie per raggiungere un obiettivo, così da aggiungere una buona dose di strategia al gioco. Ad esempio, aprire una certa scorciatoia verso l’obiettivo significherà anche aprire una strada in più per i nemici, che potranno utilizzarla per coglierci di sorpresa. La presenza di molte aree opzionali si traduce, ovviamente, nella presenza di numerosi collezionabili, la cui raccolta andrà ad aumentare il punteggio finale della missione.
    Servirà un’attenta preparazione anche per affrontare i vari nemici che ci si pareranno di fronte nel corso dell’avventura: ad esempio, i nemici più deboli saranno sì eliminabili in pochi colpi, ma cercheranno di ucciderci puntando sul numero, eseguendo manovre di accerchiamento in modo piuttosto efficiente. A queste creature fragili si andranno a contrapporre alieni nettamente più resistenti e nerboruti, che daranno filo da torcere alla compagnia. Questi richiederanno una maggiore attenzione per essere abbattuti, costringendo quindi i giocatori a spremere le meningi prima di gettarsi nella mischia, pena un tragico destino.
    Interpretando dei robot, saremo in grado di resistere a molti danni, ma questo non si traduce in una difficoltà settata verso il basso. I danni ricevuti, infatti, andranno a rendere meno efficienti i nostri personaggi a seconda del punto colpito: ad esempio, se avremo le gambe menomate non potremo correre bene, se le nostre braccia verranno colpite la nostra mira non sarà stabile, e così via. Fortunatamente, quando anche le cose si dovessero mettere davvero male, il nostro robot si limiterà a spegnersi, e potremo essere soccorsi dai nostri compagni di squadra. A questo proposito, il titolo è interamente giocabile in multiplayer, solamente online, presumibilmente fino ad un massimo di 4 giocatori, anche se il numero non è stato specificato esplicitamente dallo sviluppatore durante la presentazione.
    Il gioco è comunque giocabile anche in single player, ed in questo caso potremo equipaggiare anche i personaggi della CPU e dare loro ordini. Avremo a nostra disposizione un vasto arsenale di armi futuristiche, che ci aiuteranno nella nostra impresa. Saremo anche in grado di portare un arma per mano, o uno scudo ed un’arma, e potremo anche utilizzare armi bianche per condurre un assalto brutale sui nostri avversari.

domenica 23 ottobre 2016

Killer Instict


  • Piattaforme:PC, Xbox One

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:Double Helix Games

  • Data uscita:22 Novembre 2013 - 20 settembre 2016 (Definitive Edition)

     

     

    Difficilmente sarà possibile dimenticare il reveal di Killer Instinct, avvenuto durante la conferenza Microsoft all’E3 del 2013, semplicemente perché totalmente inaspettato, considerando la chiara strategia del colosso di Redmond di puntare su ben altre tipologie di proprietà intellettuali; aggiungiamoci inoltre, la difficoltà nel cercare di imporsi in uno specifico mercato, come quello dei picchiaduro, che vede protagonisti gli stessi nomi da parecchio tempo. Il fatto che ci fosse stata per alcuni anni una disputa legale tra la stessa Microsoft e FOX per l’utilizzo del nome, era sembrato un avvenimento più fine a sé stesso che qualcosa legato ad un possibile e reale utilizzo del marchio, quasi un ventennio dopo l’uscita dell’ultimo capitolo su Nintendo 64: fortunatamente non è stato così. Un annuncio che è riuscito a catturare l’attenzione di tutti i giocatori di vecchia data, almeno inizialmente, perché negli attimi successivi alla fine di quel trailer d’annuncio qualcosa in realtà non ha pienamente convinto l’utenza. In primis, il nome di chi avrebbe messo le mani sul gioco – nonostante la supervisione iniziale di Rare e quella generale di Microsoft Studios e di un grand’uomo come Ken Lobb – e cioè Double Helix; affidare un marchio così “pesante” ad un team che fino a quel momento aveva dimostrato poco o nulla sembrava una scelta davvero insensata. A peggiorare la situazione ci pensò Microsoft stessa, confermando dopo alcune ore, che il gioco sarebbe uscito esclusivamente in digitale e con una formula di rilascio particolare che avrebbe previsto una modalità F2P ed un trattamento “a pezzi”, quasi a voler far venire il dubbio che nel progetto fosse proprio Microsoft a non crederci in modo poi così deciso. Era però il caso di togliersi un po’ il prosciutto dagli occhi, perché dietro quella scelta si celava la precisa volontà da parte di Ken Lobb di voler dare alla produzione una natura perennemente in divenire: un gioco in grado di trasformarsi in base ai feedback dell’utenza generale e dei veri appassionati. Questa si è rivelata la vera carta vincente di questa produzione, essendo un fighting game creato ovviamente da sviluppatori, ma che in realtà hanno sempre voluto definirsi come appassionati del brand, cercando di rendere sempre più chiaro il concetto per cui Killer Instinct vada a delinearsi come un gioco "fatto da fan, per i fan". Stiamo per addentrarci nell’analisi di quella che è nata inizialmente come una scommessa interessante, ma che è arrivata ad essere una reale certezza, già con la conclusione della 2nd Season, fino a diventare una delle produzioni più interessanti di questa generazione: un viaggio, ben iniziato da Double Helix, ma portato perfettamente a compimento da Iron Galaxy: dopo tre anni di speranze, updates, bilanciamenti, personaggi e sorprese, finalmente è stata rilasciata quella versione retail tanto desiderata dall’utenza fin dal D1.
    La produzione Microsoft Studios è dotata di un Combo System stratificato e funzionale, che fa della varietà offensiva e difensiva il proprio punto di forza. Pertanto, nonostante il gioco tenda la mano anche a tutti coloro alla ricerca di un picchiaduro, almeno inizialmente, dalla base giocata semplice, Killer Instinct va poi a delinearsi come un prodotto complesso che mostra diverse chiavi di lettura possibili all’interno di un singolo match. La saga era nota, già parecchio tempo fa, per il particolare sistema di combo, ed anche in questa sua edizione odierna, seppur in modo molto differente, fa di tale sistema una delle proprie caratteristiche principali. All’interno di una potenziale concatenazione di colpi, possiamo procedere con una suddivisione ben precisa: inizialmente abbiamo le opener, cioè le mosse che permettono di iniziare una combo, e le linker, che servono a collegare l’inizio di una data combo con una possibile conclusione, queste mosse possono avere tre variazioni ulteriori – quindi una linker forte, media o debole – in base alle scelte strategiche del giocatore. Una “scelta forte” triplica i colpi e causa un danno maggiore ma è facilmente leggibile dall’avversario, che la spezzerà con una combo-breaker mentre una linker debole consiste in un solo colpo, che pur causando un quantitativo basso di danno risulta difficilmente spezzabile. Infine la combo va chiusa con una ender che serve a massimizzare i danni arrecati: questa, risulta fondamentale perché elimina una parte di vita che altrimenti l’avversario potrebbe recuperare con il passare dei secondi. Tra l’inizio e la fine di una combo si inseriscono le auto e le aggiunte manuali. Le prime possono connettere le diverse fasi di una opener con quelle di una linker, ed è possibile suddividerle in auto-doubles forti, medie o deboli. Le aggiunte manuali, sono invece i colpi più difficili da eseguire e vanno inseriti con la semplice pressione di un pugno o di un calcio ma con un tempismo particolare o ad esempio, alla conclusione di una combo in juggle. A differenza dei colpi di cui abbiamo parlato precedentemente, quelli in manual sono colpi che vengono eseguiti dal giocatore senza alcun tipo di automatismo e richiedono una certa tecnica, data la rigidità nei frame di attivazione. Il beneficio nell'utilizzare le manual, è duplice, perché estende le combo e le rende maggiormente complessa da leggere. All’interno di un quadro, all’apparenza semplice, ma che ad alti livelli diventa sempre più complesso vi sono delle mosse speciali come le Shadow Moves e le relative Shadow Counter, che sarà possibile utilizzare esclusivamente se la barra apposita (che verrà riempita con la conclusione di combo) risulti piena. Anche in fase difensiva Killer Instinct propone un sistema molto interessante, che va a toccare principalmente quelle che si definiscono Combo Breaker, che rappresentano l’unico vero modo possibile per rispondere all’inizio di una combo da parte del vostro avversario. Nota a parte per la modalità istinto e le Ultra Combo. La prima riguarda una speciale barra poco sotto quella della vita, che salirà gradualmente subendo danni o eseguendo Combo Breaker, e nel momento in cui piena vedrà l’attivazione di questa speciale modalità, in grado di azzerare il quantitativo rimanente di combo (ovvero il valore Knockdown): inoltre, ogni personaggio possiede una propria peculiarità in relazione all’attivazione di tale stato, ad esempio Jago sarà in grado di recuperare gradualmente salute attaccando, Glacius potrà utilizzare speciali armature di ghiaccio, Orchid sarà in grado di evocare un giaguaro e così via. Quando la barra di vita del proprio avversario scenderà sotto il 15% sarà invece possibile effettuare una cosiddetta Ultra Combo attivabile tramite l’esecuzione di una serie di mosse, specifica per ogni personaggio; deve essere eseguita all’interno di un’ulteriore combo e avvia una combo di circa trenta colpi. Se siete fan dei vecchi capitoli, avrete capito che si tratta dunque di un elemento che strizza l’occhio al passato. Per comprendere i principi che fanno da base alla struttura giocata di Killer Instinct, gli sviluppatori hanno inserito una modalità Dojo per un totale di sedici lezioni di base e altre sedici complesse, che non solo aiutano il giocatore a padroneggiare e comprendere tutti gli elementi di gameplay citati precedentemente ma anche degli altri, quali i Lock Out, Knockout e le Anti Combo Breaker. Il sistema di combattimento di Killer Instinct è complesso e stratificato, permette di essere capito da tutti ma realmente padroneggiato da pochi; il tutto stupisce non solo per la fluidità con cui si concatenano le combo ma soprattutto per le molteplici chiavi di lettura di ogni match. Ricordiamo inoltre che, con un pizzico di curiosità, calandovi in una mentalità molto diversa rispetto a quella attuale, potrete anche tuffarvi sulle prime due incarnazioni del brand, disponibili come extra in questa edizione del gioco. Avrete così la possibilità di giocare finalmente Killer Instinct 2 nella sua versione migliore (diversa quindi dall’edizione Gold, l’unica arrivata su Nintendo 64) e vedere con i vostri occhi quante combo siano state riprese, aggiornate e trasportate nell’ultimo capitolo.
    Il lavoro svolto nell’arco delle tre stagioni, per quanto riguarda l’estensione del roster dei personaggi disponibili, è assolutamente di altissimo livello: i ventisei lottatori tra cui poter scegliere hanno dietro non solo un lavoro artistico degno di nota, ma fanno sì che ci sia una varietà reale negli stili di combattimento (che tra generali e specifici sono tantissimi), rendendo il gioco appetibile per qualsiasi tipo di giocatore. Conseguente a tale discorso è quello del bilanciamento generale: il far crescere il titolo come un progetto in perenne trasformazione ha reso possibile un processo di balance, changes e fixes, ogni fine stagione, quasi perfetto (andrebbe fatto solo qualche accorgimento su un paio di combattenti), che va a delineare scontri sempre interessanti e il più delle volte, ad armi pari. Sia che si vada a scegliere uno stile balanced come quello di Jago, uno zoning come quello di Glacius, un grappler come quello di Thunder o l'aerial di Sadira ci sarà sempre un punto di forza su cui far leva per poter arrivare alla vittoria e punti deboli da non mettere mai in secondo piano. Questa Definitive Edition di Killer Instinct contiene anche Shadow Jago, personaggio bonus della prima stagione (l'unico in grado tra l'altro di utilizzare la classica No Mercy/Ultimate) inizialmente destinato solo ad alcuni acquirenti, che alla fine della seconda stagione è passato dall’essere una semplice skin al possedere invece un proprio moveset. Ogni personaggio è dotato di alcuni set di accessori per la personalizzazione (da sbloccare con l'accumulo di punti),  di nove colori complessivi e di una duplice skin, l'originale ed un vero e proprio "retrocostume" che strizza invece l'occhio allo stile dei titoli passati: ottimo il lavoro svolto sulla seconda e terza stagione, mentre non tutti i personaggi della 1st Season hanno subito un trattamento di alto livello. La trama che fa da sfondo al gioco propone una timeline alternativa di prosecuzione del primo capitolo ed in generale risulta godibile, pur proponendo una narrazione non esattamente encomiabile. Il plot comincia con la modalità Arcade della prima stagione, che si focalizza sul torneo organizzato dalla Ultratech, prosegue in quella Rivali della seconda, in cui si cominciano a gettare le basi sui “poteri provenienti da altri mondi” e trova la propria conclusione con l’invasione di Gargos nella modalità Shadow Lords della terza stagione. In tal senso, è un peccato notare come le modalità sopracitate delle prime due stagioni non riescano a catturare l’attenzione del giocatore e risultino non all’altezza della produzione: sarebbe bastato qualche accorgimento in più e qualche scena d’intermezzo per aumentarne esponenzialmente la qualità. Come vedremo, il discorso è invece totalmente diverso per Shadow Lords, che non si configura come una semplice modalità storia e che è dotata di un’indiscutibile qualità.
    Spiegare brevemente cosa sia davvero Shadow Lords non è per nulla semplice, a causa della sua natura ibrida è infatti difficilmente collocabile all’interno dei soliti schemi, che possono essere utilizzati per giochi appartenenti a questo genere. Si tratta di una modalità che mescola arcade, storia, multiplayer e single player con un pizzico di base roguelike al fine di creare un mix esplosivo. Si sceglie un personaggio iniziale, e con il proseguo della storia si forma una squadra di tre elementi (non tutti i personaggi, a causa della lore, potranno far parte del medesimo team) che andrà a combattere in giro per il globo cercando di fermare l’ascesa di Gargos al potere. Il tutto si svolge all’interno di numerosi turni e piccole missioni, dalla difficoltà variabile e con potenziali modificatori pronti a rendere il gioco ancor più complesso; a fine turno, in base ai risultati ottenuti, il potere di Gargos potrà risultare diminuito o aumentato e la vostra squadra dovrà sempre garantire un minimo di energia vitale per evitare di andare incontro al game over che vi costringerà a ricominciare da zero. Inutile specificare che più andrete avanti, più il gioco si farà ostico, ma a cercare di darvi una mano e a rendere la modalità ancor più interessante ci penserà il sistema di crafting, inserito per la creazione di oggetti e abilità, in grado di facilitarvi il percorso. Altro elemento fondamentale è quello rappresentato dai "Guardiani", che hanno una funzione simil-equipaggiamento: essi serviranno a migliorare determinate skill in attacco/difesa donando al vostro giocatore specifici punti di forza; ne esistono di diversi ed ognuno va acquisito tramite i punti che sbloccherete andando avanti nel gioco. Avrete la possibilità di scegliere fra tre differenti difficoltà, con speciali elementi di disturbo (ma anche con ricompense molto più interessanti) che verranno inseriti nella difficoltà God-Like. Shadow Lords colpisce in particolar modo per la sua natura roguelike, ogni partita infatti non è mai uguale a quella precedente e il modo con cui Gargos decide di potenziare i propri alleati in alcune situazioni, oltre alla varietà con cui gli scontri continuano a cambiare, è francamente sorprendente. Inserire tale modalità semplicemente all’interno delle “solite” story mode sarebbe ingiusto; parliamo di qualcosa che aggiunge parecchia profondità all'intera produzione, proponendosi come punto saldo della rigiocabilità del titolo e donando ulteriori e numerose ore di gameplay. Shadow Lords prevede anche dei bonus (destinati al salvataggio della terra nella vostra partita) per il completamento di match multiplayer, in cui saranno messi in palio dei punti e che prevedono ulteriori sfide giornaliere. Da segnalare, che così come per l’intero arco vitale del titolo, anche qui il netcode risulta ottimo. 
    Merita una menzione d’onore il comparto audio: avevamo avuto un po’ di paura con l’abbandono di Mick Gordon ed invece il suo lavoro – semplicemente d’applausi – è stato ottimamente portato a termine da Atlas Plug e Celldweller che hanno donato diverse tracce inedite ed una nuova convincente calibrazione complessiva. Nel gioco sarà possibile anche sbloccare alcune tracce extra, provenienti dal passato e composte dall’immenso Robin Beanland, da poter utilizzare ed ascoltare quando vorrete. Il risultato finale è semplicemente maestoso, con un sonoro che non solo convince in-game ma riesce a proporsi in termini generali come una OST a sé stante assolutamente di qualità: ogni personaggio ha ricevuto un trattamento più che degno ed è impossibile non apprezzare quella che a conti fatti è una delle migliori soundtrack degli ultimi anni in ambito picchiaduro. Insieme al gioco troverete anche un CD totalmente dedicato alla colonna sonora, contenente alcune delle tracce più amate dai fan. Ottimo anche il lavoro svolto sugli stages, che sono ventuno e risultano artisticamente ben diversificati e ottimamente resi (a parte forse un paio) con sei di questi che prevedono anche una speciale Stage Ultra, ovvero delle Ultra Combo eseguibili con diverse combinazioni di colpi rispetto alla versione base, che porteranno ad una modifica dell’ambiente, contemporaneamente alla fine del match. Ogni personaggio delle prime due stagioni possiede una propria ambientazione; mentre per la terza ne sono state aggiunte soltanto quattro, per l’Arbiter, Gargos, Kim-Wu e Tusk. L’interfaccia di selezione del personaggio risulta più fluida e maggiormente funzionale, per una migliore navigazione, rispetto al passato; anche la schermata di selezione dello stage risulta più chiara e dà la possibilità di scegliere la specifica soundtrack di un personaggio per lo svolgimento di un match, non essendo più prettamente collegata ai diversi elementi del roster. La scelta di sviluppare esclusivamente quattro stage, rendendo “orfani” alcuni personaggi, è da ricercare nel cambiamento radicale del sistema di luci all’interno del gioco, che è stato completamente rivisto, con una realizzazione più lunga di quanto inizialmente preventivato, così gli sviluppatori hanno deciso di realizzarne pochi ma con una cura di ottimo livello piuttosto che farne tanti ma con minore attenzione. Il gioco è tecnicamente molto solido, e fa della fluidità il proprio punto di forza; di ottima fattura gli effetti particellari, che beneficiano in modo particolare del nuovo sistema di luci sopracitato; il gioco non risente – se non per il mero impatto grafico – affatto della propria base, legata al 2013, ed anche in relazione alle produzioni attuali risulta uno dei picchiaduro maggiormente rifiniti dal punto di vista tecnico.

WWE 2k17

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:2K Sports

  • Data uscita:11 Ottobre 2016

     

     

     

    Come ogni anno, dopo l'estate, arriva un nuovo gioco dedicato al wrestling. Una disciplina sportiva molto controversa, nata per dare spettacolo, e dove la competitività è molto più sottile del mero "chi vince su chi". Il wrestling, però, non va mai in vacanza, tantomeno la WWE on the road ogni giorno dell'anno, e, per questo WWE 2K17, 2K ci propone un viaggio a Supplex City, reame del The Beast Incarnate Brock Lesnar: ne usciremo sul serio tutti interi?
    Chiunque abbia seguito almeno per un breve periodo la WWE sa bene che il lunedì è il giorno di RAW; per l'occasione, Monday Night RAW. E ciò si perpetua da decenni e così crediamo non cambierà mai. Da circa  vent'anni oramai sono i giapponesi Yuke's Future Media Creators a gestire i videogiochi con licenza della compagnia di Stamford, sopravvissuti al timone anche dopo la chiusura di THQ ed accasati sotto lo stendardo di 2K, durante il periodo che coincise con il passaggio alle attuali console casalinghe: ai tempi la cosiddetta "Next Gen". La grande novità fu il notevole miglioramento del comparto grafico, accompagnata da altre ancora in forma embrionale ma ora, che siamo arrivati alle porte del 2017, possiamo finalmente trovare un erede degno di quel Here Comes The Pain che ogni videogiocatore ricorda con nostalgia?
    Purtroppo non proprio.
    WWE 2K17 non è arrivato a maturazione come noi ci saremmo aspettati e i motivi sono essenzialmente tre: ci sono stati alcuni passi in avanti ma nessuno determinante, ci sono stati dei passi falsi sul cammino e c'è ancora quel caparbio immobilismo su assets che ormai ci sembrano più solidi del marmo. Il problema comune a tutti i titoli Yuke's – praticamente da sempre – è che permangono quei canoni distintivi del team che non riescono mai a subire una vera svecchiata e che al giorno d'oggi non sono più tollerabili.
    Cerchiamo, però, di andare con ordine. Il gameplay è stato leggermente affinato e troviamo quindi delle novità, anche interessanti, che grattano un po' di ruggine via da alcune meccaniche poco oliate. Parliamo ad esempio della gestione dei match multipli, con la possibilità di stordire uno dei contendenti per un certo periodo,  durante il quale rotoleranno giù dal ring e apriranno un'importante finestra per dare modo a qualcuno di aggiudicarsi la vittoria senza le continue interferenze di tutti gli altri partecipanti. Un altro passo in avanti è l'aver finalmente valorizzato gli aspetti commerciali del gioco, cruciali nella controparte reale di questa disciplina. La paga ora avviene proporzionalmente al merchandising venduto e, soprattutto, alla possibilità di comporre i propri promo sul ring davanti al pubblico. Si tratta di semplici scelte multiple, che determineranno il livello di gradimento tramite le reazioni degli spettatori. Proprio su quest'ultimo è stata fatta anche una distinzione in ben quattro categorie, che si alterneranno durante i vari show e che soprattutto avranno un modo leggermente diverso di reagire ai nostri discorsi. Ciò amplia notevolmente sia la parte psicologica del wrestling, il poter raccontare la propria storia sia con il parlato che con il lottato, sia la possibilità data al giocatore di puntare ad uno stile da idolo buono, o babyface nel gergo, o da vero e proprio heel. L'importante sarà mantenere una certa coerenza e ottenere una reazione forte dalla platea, non importa se questa sia positiva o negativa.
    Un altro punto dove è riscontrabile un miglioramento, è l'imponenza del roster: forse il più grande di sempre, comprende (quasi) tutti i protagonisti dei tre show principali, SmackDown, NXT e il già citato RAW. Quei pochi tasselli mancanti, comunque, non rimarranno dei buchi fino all'anno prossimo. Buona parte sarà disponibile come dlc a pagamento, ma, se non volete aspettare o investire, potete ricorrere all'editor che permette oltre alla creazione anche di condividere i propri modelli con il mondo intero online.
    Tecnicamente i miglioramenti sono buoni, riscontrabili principalmente nei caricamenti e nel comparto online. In entrambi i casi, però, non si può ancora parlare di perfezione.
    Veniamo però agli aspetti più deludenti del titolo, partendo proprio dal discorso dei contenuti. Ogni anno ci veniva messa a disposizione una modalità Showcase con il compito di narrare storie veramente interessanti, sia per chi le avesse vissute negli anni seguendo gli show sia per chi fosse troppo giovane per averne avuta l'occasione. Ricordiamo l'ascesa della WWE contro la rivale WCW qualche anno fa, o la gloriosa carriera di un'icona come Stone Cold Steve Austin nella scorsa edizione. Quest'anno ci sembrava ovvia una modalità ispirata a Lesnar, e invece scopriamo che non solo non c'è quella dell'ex pluricampione del mondo ma non ce ne sono affatto. Solo come contenuto a pagamento extra sarà possibile, comunque non al lancio, scaricare e giocarne relativa ad alcuni Hall of Famer.
    Un'altra pecca piuttosto grave è l'assenza della modalità GM, già nota nel periodo degli SmackDown vs RAW, in virtù del fatto che, da qualche mese, la WWE ha abbandonato la sua struttura a roster unico che si esibisse all'occorrenza in qualunque evento con una nuova brand extension. Questa ha avuto luogo nella prima metà di luglio e ha visto i nuovi Commissioner e General Manager di RAW e SmackDown Live, rispettivamente Stephanie McMahon con Mick Foley a guida del brand rosso e Shane McMahon e Daniel Bryan a guida di quello blu, dividersi tutte le superstar e i titoli, introducendone poi di nuovi, uguali alle controparti ma colorati di blu o di rosso a seconda dello show di appartenenza. In WWE 2K17 non troviamo nulla di tutto questo: né i loghi aggiornati, né le nuove cinture, né altro. Certo, è possibile sopperire tramite l'editor o la modalità WWE Universe e tanta fantasia, ma resta il dispiacere di aver trovato un gioco nuovo ma contenutisticamente già datato, e senza grosse novità.
    Tornando al discorso gameplay, oltre a qualche rifinitura come quelle prima citate, permangono i soliti problemi che tutti conosciamo. Le animazioni di ogni colpo o presa sono statiche e non tengono sempre conto delle variabili di posizionamento. Il risultato sono bug di vario tipo, principalmente visivi (come le immancabili compenetrazioni poligonali), o strutturali, come accelerate innaturali per posizionarsi correttamente, oltre che una legnosità che va ben oltre il voler replicare la fisicità e la stanchezza dei performer.
    Già con 2K16 muovemmo alcune critiche verso le meccaniche di gioco o alcuni dei contenuti e, dopo un anno, il grosso passo avanti latita. Certi modelli risultano ancora abbastanza sottotono, la platea è anonima e composta sempre dagli stessi e pochi individui che si ripetono ad oltrnza, le interazioni con gli oggetti sono molto discutibili, in particolar modo con le corde del ring. Anche gli arbitri rimangono dei fantocci senza personalità e a poco serve che si possa scegliere la divisa se i modelli non rispecchiano quelli che accompagnano i protagonisti sui palchi della WWE.
    L'audio invece suona una melodia più che apprezzabile, e i cori che accompagnano le azioni sono ben più che adeguati. Potrete sentire sia quelli dedicati ai singoli atleti, sia evergreen come "this is awesome" oppure il "you still got it" nei confronti dei più anzianotti del roster. Sul discorso telecronaca, invece, potremmo un po' storcere il naso non tanto per la composizione ancora legata ai tre commentatori storici e ignara delle nuove voci, quanto per una ripetitività delle frasi e una certa flemma nella loro pronuncia con poco ritmo, anche quando l'azione richiederebbe un piglio più incalzante.

lunedì 17 ottobre 2016

Shadow Warrior 2


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Data uscita:13 Ottobre 2016 PC

     

     

    Prendete un po' della sana e brutale ultraviolenza di DOOM, aggiungete la lingua sciolta e le turbe mentali di Deadpool, unite un sistema di loot traboccante di armi e potenziamenti e mescolate il tutto; con una katana affilata, mi raccomando, non col cucchiaio! Il risultato è Shadow Warrior, o meglio, Shadow Warrior 2, che in questa sua nuova incarnazione rivede la sua formula di gioco, abbandonando la linearità del primo capitolo in favore di un sistema più aperto. Lo Wang è tornato, ragazzi, e le sue lame sono assetate di sangue. Chi siamo noi per negargli una bella bevuta?
    Lo Wang non è mai stato uno molto a posto; i suoi intrallazzi con Yakuza ed entità demoniache lo hanno cacciato nei pasticci più di una volta. Dopo aver fatto a fettine Enra (il cattivo del primo capitolo), invece di darsi una calmata, il ninja mercenario ha ben pensato di continuare imperterrito sulla cattiva strada. E così, tra il recupero di un artefatto maledetto e un omicidio su commissione, i guai non si sono fatti attendere troppo. A causa di un esperimento andato per il verso sbagliato, Kamiko, la bella figlia di un boss della Yakuza, viene posseduta da un demone. L'entità maligna non ci mette molto a consumare corpo e anima della giovane, e l'unico modo per salvare la ragazza è quello di separare lo spirito dal corpo per il tempo necessario a risanare le sue spoglie mortali. Ma si sa, le anime mica si possono mettere nella scatola dei biscotti, e l'idea migliore che salta fuori è quella di parcheggiarla "temporaneamente" in un corpo ospite... indovinate a chi tocca questa patata bollente? Esatto, proprio a Lo Wang, il quale si ritrova ora con lo spirito della ragazza intrappolato dentro di lui e la sua vocina impertinente a rimbombargli nella testa (strano che Deadpool non abbia chiesto il copyright ai ragazzi di Flyng Wild Hog!). Insomma il ninja più tamarro del pianeta ha una nuova missione ed è quella di purificare le spoglie di Kamiko e rimettere l'anima della ragazza al suo posto al più presto, per non incorrere nel rischio che le sue chiacchiere lo facciano diventare più pazzo di quanto già non sia. Detto francamente, la trama non è esattamente il punto forte della produzione ma la storia è gradevole e le trovate escogitate dagli sviluppatori per farci procedere sono strane ma interessanti. Le regole che governano il mondo demoniaco non sono molto chiare, così, quando una procace diavolessa ci dice di andare a recuperare un pezzo di tizio (ancora vivo ovviamente) dato che serve per svolgere un determinato rituale, la risposta è: OK! Strano, ma tutto sommato funziona, meglio non stare troppo a pensarci. Ulteriore punto che rende scorrevole e divertente la narrazione è la lingua lunga del protagonista, che ha veramente poco da invidiare a quella del mercenario chiacchierone. Battutacce trash, parolacce a non finire, doppi sensi e quasi nessun momento di serietà rendono Shadow Warrior 2 divertente e leggero, perfetto per gli amanti della cultura pop che accettano di buon grado razzismo demoniaco senza scandalizzarsi troppo.
    Se con le parole il gioco scherza e la butta sul ridere ogni due secondi, il gameplay è invece raffinato, veloce e adrenalinico. Partiamo dai movimenti: Lo Wang ha a disposizione da subito il doppio salto e lo sprint, inoltre, premendo il tasto shift può effettuare uno strafe laterale o frontale. Potete immaginare da voi la frenesia dei combattimenti in cui spesso si entra nella mischia alla carica o balzando giù da un tetto (non esiste danno da caduta) e si falcia a destra e a manca schizzando veloci come schegge impazzite. Il protagonista dispone di varie tecniche: alcune richiedono armi bianche mentre altre il Chi, un sostituto del mana, serve per lanciare sortilegi ninja. Partendo dalle prime, è sufficiente abbinare la pressione del tasto destro del mouse ad una direzione, tenendo premuto per aumentare il danno. Con avanti il nostro (anti)eroe si proietta in un affondo che infligge gravi danni a singolo bersaglio, con destra o sinistra rotea su se stesso falciando come fili d'erba ogni sfortunata creatura a portata, con indietro invece scaglia una bordata di energia sulla lunga distanza, affettando chiunque si trovi in traiettoria. Per quanto concerne gli incantesimi invece sono quattro: uno per curarsi, uno che rende invisibili per breve tempo, il classico force push preso in prestito dai jedi e per finire dei tentacoli di tenebra che emergono dal terreno impalando i nemici, permettendoci di divertirci con lame e bocche da fuoco con tutta calma. Ora, se questa vi sembra tanta roba sappiate che non abbiamo ancora parlato delle armi, e ce ne sono tante... ma veramente tante! Giusto per nominarne qualcuna, abbiamo avuto modo di dispensare morte attraverso pistola, arco, falcetto, lanciarazzi, fucile da cecchino, shuriken giganti, doppia sega circolare, katana, doppia katana, doppia katana laser, fucile d'assalto, artigli da demone, lanciagranate, fucile steampunk, uzi, fucile a pompa, gatling gun, motosega, mitragliatrice pesante, sparachiodi e una mazza ferrata. Se l'elenco vi sembra troppo breve è perché ne mancano molte altre, il gioco ne contiene più di settanta. Una volta entrati in possesso di una di esse questa rimane sempre disponibile ma è possibile inserirne solo otto nella ruota delle armi attive, impostabili comunque in qualsiasi momento. Va da sé che con un così elevato numero di strumenti di morte, abbinato ai poteri e ai potenziamenti (di cui vi parleremo a breve) il combat system diviene estremamente personalizzabile, in grado di soddisfare i gusti di qualsiasi utente. Siete tipi a cui piace lavorarsi le folle da lontano e poi finire silenziosamente i pochi superstiti? Arco e fucili da cecchino con doppie katane a finire il lavoro e sarete soddisfatti. Vi piace fare un gran baccano e amate stare al centro dell'attenzione? Lanciarazzi, qualche buon colpo di fucile a pompa e una bella motosega per chiudere in bellezza. In questo gioco ci sono innumerevoli modi diversi per approcciarsi al combattimento, ma sempre e solo uno per finirlo: ricoperto del sangue dei nemici.
    Shadow Warrior 2 non si limita a proporre una struttura FPS con miriadi di armi, ma permette anche di potenziare ogni singolo strumento di morte a piacimento. Ognuno di essi infatti dispone di tre slot che si possono occupare con potenziamenti recuperabili all'interno dei bauli sparsi per i livelli oppure dentro al cadavere di qualche mostro. Ce ne sono veramente un'infinità e sono suddivisi per tipologie: alcuni sono relativi a specifici tipi di armi, altri modificano il danno in versione elementale, altri ancora arrivano perfino a incidere sul funzionamento dell'arma, trasformandola in qualcosa di diverso da quello che era in precedenza. In maniera similare esistono anche potenziamenti per il protagonista, utili per innalzare armatura o per specializzarlo in campi specifici come la magia o il combattimento all'arma bianca. Come se tutto questo non bastasse Lo Wang acquisisce esperienza man mano che macella i poveri stolti sulla sua strada, acquisendo punti che può spendere per potenziare le sue abilità; poche all'inizio, ma che aumentano man mano che si macinano missioni e si ritrovano le carte relative in giro per il mondo. Siete sfortunati e sul vostro cammino trovate solo robaccia che non vi serve a nulla? Poco male, nell'hub centrale di gioco ci sono i vendor che acquisteranno i potenziamenti che non gradite e vi venderanno quelli più succulenti o qualche nuova arma. Siete tipi a cui piace giocare d'azzardo? Alla forgia è possibile fondere tre potenziamenti per ottenerne uno nuovo, di solito migliore, ma non si sa mai, se non vi piace il risultato non venite da me a lamentarvi. Poco sopra si parlava dell'hub centrale: Shadow Warrior 2 infatti ha ceduto la linearità del primo capitolo in favore di un sistema a missioni simile a Borderlands ma molto più diretto. Niente lande infinite da attraversare o scarpinate chilometriche, basta aprire la mappa, selezionare la quest e si viene teletrasportati nel livello in questione. Una volta finito il massacro basta premere T per tornare alla base, facile, veloce e senza lunghe e tediose fasi di spostamento. Chiaramente è possibile far visita ai livelli già affrontati in precedenza per spazzolare le briciole lasciate in giro alla prima run o per essere certi di aver ammazzato tutti, ma proprio tutti!
    Sembra strano ma anche se in questo gioco si possono brutalizzare demoni in centinaia di migliaia di modi diversi, con buona pace di chi non sopporta la vista del sangue, qualche difettuccio da segnalare c'è. Il primo è il rovescio della medaglia di un gameplay così frenetico, della moltitudine di nemici e dei mirabolanti effetti elementali di armi e demoni, ovvero: c'è sempre un gran casino. Davvero, spesso capita di rimanere incastrati a causa di qualche strafe mal calcolato e subito ci si ritrova addosso una montagna di aberrazioni che attaccano nei modi più disparati, con noi impegnati a fare altrettanto, magari con un calibro di quelli aggressivi. Il risultato è un impasto di effetti poco discernibile e l'unica soluzione rimane quella di saltare via e tenersi a distanza, recuperando la calma e l'uso della retina. Altro piccolo neo è la conta poligonale, in realtà perfettamente coerente con il livello della produzione: si tratta pur sempre di un indie e nessuno si aspetta un dettaglio grafico da tripla A. Il titolo, seppur non al livello di altre produzioni più blasonate per quanto concerne i modelli, si rifà con un'art direction ispirata che concede sempre un colpo d'occhio gradevole. Durante la nostra prova il frame rate è rimasto solidamente ancorato oltre i 100 fps, senza mostrare il fianco nemmeno nelle situazioni più concitate. Il sistema di tagli inoltre è ben fatto e i nemici vengono smembrati dalle nostre lame in modo convincente e soprattutto molto soddisfacente. La generazione randomica dei livelli, che in fase di anteprima ci aveva fatto un po' preoccupare (No Man's Sky ha fatto venire le paranoie un po' a tutti) si è rivelata una mossa vincente. Le mappe non sono assolutamente una uguale all'altra, anzi, le ambientazioni garantiscono una grande varietà e il peggio che può capitare è la sensazione di "hey, da qui mi pare di esserci già passato" magari in relazione ad una missione affrontata cinque livelli prima. Ultima nota da segnalare è l'instabilità per quanto concerne le partite cooperative online. Le poche a cui siamo fortunatamente riusciti ad accedere sono terminate bruscamente dopo picchi di lag poco gradevoli. Siamo comunque fiduciosi che a seguito della release ufficiale del gioco l'online si renderà più praticabile, se ci siamo divertiti come dei pazzi in singolo giocatore il multiplayer potrebbe aumentare esponenzialmente il divertimento.

Football Manager 2017

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gestionale

  • Sviluppatore:Sports Interactive

  • Data uscita:4 novembre 2016

     

     

    L’edizione 2016 di Football Manager, se non è stata una vera e propria rivoluzione con l’introduzione del fantasy draft, con la creazione del proprio alter-ego e con la sostituzione delle molte righe di testo con grafiche più immediate, è stata una ventata d’aria nuova. Durante la serata di ieri è stata trasmessa tramite il sito ufficiale di Football Manager la presentazione della versione 2017 e, ascoltando le parole di Miles Jacobson – studio director di Sports Interactive – in merito alle introduzioni e alle migliorie, è parso chiaro come Football Manager 2017 si ponga in diretta continuità con l’edizione precedente, andando a metter mano in alcune delle lacune croniche ed approfondendo altre meccaniche, ma senza stravolgere l’impalcatura complessiva. Ma andiamo con ordine e vediamo quali saranno le principali novità.
    L’apertura della presentazione non poteva non essere dedicata ad una delle croniche debolezze della serie, ossia la presentazione 3D delle partite, da sempre penalizzate da animazioni legnose, continue papere dei portieri e da un livello di dettaglio non certo esaltante. Football Manager 2017 non avrà a disposizione un motore di gioco inedito, ma lavorando su quanto aveva già a sua disposizione e inserendo nuove animazioni elaborate tramite motion capture, ha migliorato la reattività dei portieri, ha implementato due nuove tipologie di telecamera adatte per rimanere al centro dell’azione, ha reso più fluidi i colpi di testa ed ha aggiunto molti altri elementi di contorno, utili a creare la giusta atmosfera: i cartelloni pubblicitari luminosi, lo spary per determinare la distanza tra palla e barriera, l’entrata dei giocatori in campo e le fasi di riscaldamento sono tutti elementi che vanno ad aumentare l’immersività di Football Manager 2017. Naturalmente trovano spazio in questa nuova edizioni tutti gli aggiornamenti avvenuti in merito al regolamento, e così un fallo da ultimo uomo non sarà sanzionato automaticamente con un cartellino rosso, così come il calcio d’inizio può anche essere eseguito da un solo giocatore. Sports Interactive non ha però solo voluto rendere più belle da vedersi le partite in 3D ma ha operato anche in direzione di un maggiore realismo, grazie ad una IA dei giocatori decisamente più reattiva e capace di interpretare le situazioni di gioco con maggiore reattività ed agire di conseguenza. Le decisioni vengono così prese in un lasso di tempo molto più ristretto, la partita non pare più correre su dei binari, e così si assisterà a maggiori interventi decisivi in area, come anche ad errore dettati dalla foga.
    Con l’avvento dei social media anche il mondo del calcio è profondamente cambiato e forse l’innovazione principale di questo Football Manager 2017 è proprio l’introduzione nella board principale anche di una directory dedicata ai nuovi mezzi di comunicazione. Come allenatori virtuali non si dovranno più solo fronteggiare gli addetti stampa, i dirigenti o i procuratori, ma i tifosi stessi daranno un feedback immediato sulle azioni protratte durante la stagione: fate un acquisto azzardato e i fan vi faranno subito conoscere il loro disappunto, inanellate una serie di sconfitte e i tifosi faranno sentire la loro voce tramite i social. Per integrare al meglio questa nuova meccanica, Sports Interactive ha disegnato un’interfaccia ad essa dedicata, molto più scorrevole e facile da leggere, dove trovano spazio anche voci di mercato, nonché link a video e commenti. Accanto a questa introduzione trova poi spazio una casella personale aggiornata, dove viene ora dedicato più spazio ai suggerimenti e ai consigli dello staff tecnico. Parlando di assistenti, in Football Manager 2017 sono ora presenti i data analyst e gli sport scientist, due figure sempre più presenti nel mondo del calcio, soprattutto al di là della Manica. Il primo fa parte del team degli osservatori e garantisce una visione molto più accurata e dettagliata delle caratteristiche dei futuri acquisti, delle squadre da affrontare o delle performance nella partita appena terminata. Gli sport scientist fanno invece parte del team medico e garantiscono un’accurata lettura di infortuni e condizioni fisiche. Naturalmente le novità sullo staff non si riducono solo a queste due nuove figure, ma sono tante e più dettagliate le informazioni date dagli assistenti in merito a formazioni, felicità dei giocatori e ruoli. Football Manager 2017 si avvale ancora della collaborazione di ProZone per garantire una valanga di statistiche, numeri ed ora anche mappe di calore su praticamente ogni elemento, dalla propria squadra al team avversario, dalla giovane promessa della primavera al campione affermato. L’analisi del match è ora più profonda che mai, vengono evidenziate le zone di forza e di debolezza, dove sono stati effettuati i passaggi vincenti e dove si è concentrato il possesso palla: ogni allenatore virtuale ha a sua disposizione un’enorme mole di dati. Forse troppi?
    Come nella passata stagione, prosegue lo snellimento di alcuni processi decisionali, così ad esempio scegliere il capitano è un’operazione ora molto più immediata e molte altre informazioni fondamentali vengono date direttamente all’interno del pannello principale, senza la necessità di navigare in altri menù. Football Manager 2017 presenta inoltre varie migliorie anche al sistema dei trasferimenti, resi ora più dinamici e molto più simili alla loro controparte reale. In questo modo, prima che venga firmato un nuovo contratto, è ora possibile interagire direttamente con il giocatore o con il suo agente e dare una serie di garanzia in merito al ruolo in squadra o agli obiettivi stagionali. Come detto in precedenza, grande attenzione è stata posta sull’IA e questo vale anche per il comportamento delle squadre gestite da essa, che ora seguiranno obiettivi di mercato a loro più consoni, concentrando le attenzioni su quei ruoli dove sono scoperte o andando ad ingaggiare giocatori con uno status adeguato. Ad esempio, i tycoon del Paris Saint-Germain o del Mancester City faranno di tutto per mettere sotto contratto i top player e non baderanno di certo a spese, esattamente come fanno nella realtà. È stata inoltre posta maggiore attenzione sul ruolo degli agenti, ora più presenti all’interno delle trattative e sempre pronti a richiedere un contratto più remunerativo per i loro assistiti, dialogando anche contemporaneamente con più club.
    Una delle principali novità della scorsa stagione era stata la creazione del proprio avatar, visibile anche a bordo campo durante i match. Questa meccanica era però piuttosto limitata e a conti fatti dava modo di modificare pochi elementi estetici e fisici; in Football Manager 2017, tramite pochi passaggi è invece possibile importare una propria foto reale per creare il volto del manager, così come sono nettamente aumentate le opzioni per l’abbigliamento, tra occhiali, tute, cravatte o giacche. Un ulteriore focus è stato poi riposto nella reputazione dei nuovi manager in modo tale che, partendo come un perfetto sconosciuto, si debba fare molta gavetta prima di essere notati dai principali club, rendendo così più realistica e longeva la cavalcata verso i piani alti. Accanto alla gestione del motore di gioco, la seconda cronica debolezza di tutti i Football Manager è il rapporto con la stampa, rivisto anche in questa nuova iterazione, con nuove linee di dialogo e confronti tra stampa, allenatori e giocatori che si sviluppano e si intrecciano più profondamente. Soprattutto questi ultimi hanno ora differenti tratti nella loro personalità, che determineranno i loro atteggiamenti nei confronti degli allenatori e del resto della squadra e saranno così portati ad interagire di loro spontanea volontà con i media e tramite i social. Nonostante le solite promesse, questa sezione è quella che puntualmente si ripresenta sempre quasi uguale a sé stessa: vedremo cosa ci aspetta in Football Manager 2017. Non mancano poi i rinnovamenti in merito al fantasy draft, ciò che più avvicina Football Manager all’altra nostra malattia: il fantacalcio. Se nell’edizione 2016 questa esperienza era limitata solo al multiplayer con giocatori reali, in Football Manager 2017 la lega creata può essere composta sia da amici reali che da team gestiti dall’intelligenza artificiale; è stata inoltre inserita una finestra di mercato a metà stagione, in modo tale da liberarsi di zavorre e bidoni erroneamente selezionati ad inizio anno. A lato di tutte queste introduzioni, Football Manager 2017, come ogni anno, presenta vari ritocchi alle interfacce ed ai menù di gioco, sempre più intuitivi ed immediati. Non mancano poi le innovazioni in merito alle partite rapide e alla versione mobile, che si concentra ancora una volta sugli elementi chiave del gioco, come le tattiche e le partite in sé, delegando la parte di micro-gestione agli assistenti. Infine, Football Manager 2017 sarà disponibile sia nella versione a 64-bit – adatta per i sistemi più performanti e veloci – sia nella classica versione a 32-bit.

mercoledì 12 ottobre 2016

Mafia III

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Hangar 13

  • Data uscita:7 ottobre 2016

     

     

     

    l messaggio degli sviluppatori di Mafia III è chiaro sin dall'inizio: la volontà di voler ricreare e dipingere un periodo turbolento in modo credibile e autentico non può in alcun modo essere ammorbidita. Nella New Orleans (che qui prende il nome di New Bordeaux) del '68 la negazione dei diritti civili su base razziale era una realtà terribile ma reale, pertanto censurare un aspetto così doloroso del passato sarebbe stato un oltraggio nei confronti di milioni di persone che hanno dovuto affrontare (e anche oggi affrontano) discriminazioni, preconcetti e razzismo in ogni sua forma.
    Quella di Lincoln Clay è senz'altro una storia di vendetta, giustizia e orgoglio, ma è soprattutto lo spaccato di vita di un uomo di colore costretto ad agire e sopravvivere secondo i limiti imposti dalla società del tempo, così terribilmente simile a quella odierna.
    Il protagonista di Mafia III è un reduce della guerra del Vietnam, entrato a far parte dell'esercito in cerca di una casa e una famiglia che da piccolo non ha mai davvero avuto. Abbandonato dalla madre in tenera età e cresciuto in orfanotrofio, Lincoln Clay passa parte della sua adolescenza senza una figura guida, fino a quando la sua strada non s'incrocia con Sammy, che lo accoglie nella sua casa come un figlio. Sammy è però a capo della mafia nera del Sud, e quando Lincoln torna dalla guerra, l'uomo è in un mare di guai e deve parecchi soldi alla mafia italiana. 
    Dopo il violento e spiazzante prologo, e un agguato che vede Lincoln sopravvivere miracolosamente, il protagonista si ritrova di nuovo da solo, contro una società che lo ripudia per il colore della sua pelle e contro la criminalità che controlla la sua città. Intenzionato a distruggere per sempre il boss Sal Marcano e la sua cricca di tirapiedi, Lincoln viene affiancato da un ex agente dell'FBI e da altre tre figure fondamentali, una delle quali è per i giocatori una vecchia conoscenza: Vito Scaletta. 
    Gran parte del gioco è basato proprio sul rapporto con questi personaggi, a cui sono legate la maggioranza delle missioni principali e secondarie. Conquistando la loro fiducia si ha accesso a dei favori e delle facilitazioni in-game che possono tirarvi fuori da spiacevoli situazioni. Ecco dunque che col passare del tempo potrete fare in modo che la polizia chiuda un occhio, che un furgone itinerante di armi si presenti al vostro cospetto con una chiamata, che vi venga recapitata un auto o che una piccola squadriglia di uomini intervenga durante le operazioni. Inoltre, dopo aver sgominato i gruppi criminali è possibile assegnare ai vostri compari diversi racket e distretti, così da aumentare il livello di fiducia e farli diventare a tutti gli effetti gli alleati ideali per colpire Sal Marcano. 
    La storia viene narrata con lo stile del docu-film, con testimoni e superstiti che raccontano l'escalation rabbiosa del protagonista, attraverso filmati d'intermezzo che s'intrufolano con ritmi perfetti tra le pieghe di una sceneggiatura ben scritta e dettagliata, capace di catturare sin da subito. Sebbene sia interessante il modo in cui viene presentata la costruzione della trama, ossia tramite una credibile rete di rapporti che che s'incrocia con la criminalità e con le aberrazioni messe in evidenza dal sostrato sociale di quel periodo, la ripetitività delle missioni tende a diluirla colpevolmente, soprattutto perché si estende anche a quelle principali. Al di là di un paio di situazioni ben orchestrate, dopo qualche ora vi renderete conto di come la struttura delle missioni sia sempre la medesima, abbassando notevolmente la varietà generale. Per quasi tutta la durata dell'avventura Lincoln deve penetrare in delle zone circoscritte, far fuori dei nemici in modalità stealth o con armi da fuoco e distruggere un paio di elementi dello scenario. La formula viene reiterata con variazioni davvero poco rilevanti, in ambienti poco variegati e sin troppo simili tra loro, riducendo le mansioni del giocatore a un esercizio di routine che alla lunga viene a noia. Oltretutto, l'intelligenza artificiale assai deficitaria non aiuta di certo a dare nuovi stimoli. In tal senso, vanno segnalate delle reazioni nemiche che non aderiscono alla realtà, diventando talvolta buffe e imbarazzanti: spesso gli avversari non vedono Lincoln quando si trova a pochi centimetri di distanza, si comportano da sprovveduti e non c'è mai una reazione di concerto, ignorano i cadaveri degli altri scagnozzi non facendo sempre scattare l'allerta. Lincoln ha poi la Visione di Intelligence che gli consente di vedere i nemici attraverso gli elementi dello scenario, e se si piazzano anche le cimici presso le cabine indicate sulle mappa si ha l'ulteriore facilitazione di avere la situazione completamente sotto controllo. Oltretutto, fischiando e attirando i nemici uno a uno è possibile risolvere la quasi totalità delle missioni a difficoltà normale. E questo, chiaramente, non va affatto bene. L'unica reale difficoltà è legata dunque al nutrito numero di nemici e al danno molto elevato delle armi, capaci di abbattervi con due o tre colpi ben assestati.
    L'errore più grande che possiate fare è paragonare l'open world di Mafia III a quelli visti in GTA. Il motivo è semplice: sebbene l'area sia discretamente estesa, divisa in distretti e abbia al suo interno diverse zone d'interesse che fanno da sfondo alle battaglie contro i boss della mala, non troverete mai un reale motivo per andare a zonzo e trovare qualcosa di interessante da fare al di là dei compiti scanditi dalle missioni. L'open world di Mafia III dà quasi la sensazione di essere un'enorme mappa e non un mondo vivo, pulsante, dove si è davvero liberi di scorrazzare e trovare attività alternative o comunque diverse da quelle proposte delle mansioni principali. È un mondo di gioco ampio ma dalla densità modesta, determinata dagli obiettivi mostrati di volta in volta e dalla necessità primaria di spostarsi dal punto A al punto B senza combinare danni e farvi beccare dalla polizia. Polizia che tra l'altro condivide la stessa IA dei nemici a piedi, con una sola sostanziale differenza: le pattuglie arriveranno più lentamente nei quartieri poveri, poco popolati o con residenti neri, e più velocemente in quelli più ricchi e frequentati da bianchi. Sono piuttosto aggressive quando vi tallonano, ma basta uscire dalla zona in blu con un paio di gimcane o tuffarsi in acqua per liberarsi rapidamente di loro. 
    Gli unici motivi per cui potreste girovagare per New Bordeaux sono insomma legati al completamento di alcune missioni facoltative o alla voglia di raccogliere alcuni collezionabili come i numeri di Playboy o altre riviste dell'epoca. Nel primo caso specifico, aumenterete i fondi che rappresentano una parte degli introiti dei vostri tre affiliati, stanando racket di vario tipo o boss della mala in cambio di migliorie per armi e veicoli o favori; nel secondo caso si tratta di puro interesse personale e voglia di completare tutto.
    Si nota in modo piuttosto evidente come le missioni meno importanti siano sbrigative e raffazzonate, anche da come vengono presentate: senza filmati e con dialoghi con NPC piuttosto statici, che non sono poi troppo diversi da quelli che troverete per strada, la cui unica reazione di un certo peso è rappresentata da una corsa verso la prima cabina telefonica per avvertire la polizia di un vostro furto d'auto. Sul fronte animazioni Mafia III non sta messo meglio, poiché mancano quelle di raccordo e talvolta la resa su schermo è poco credibile, soprattutto quando aggredirete i nemici da angoli più stretti; buona invece la sollecitazione dei corpi a seconda del punto in cui vengono colpiti dai proiettili.
    Dal menù delle opzioni potrete decidere se attivare le esecuzioni letali o se stordire i nemici durante le sessioni stealth; allo stesso modo, è possibile impostare la guida arcade o quella più realistica, fermo restando che alcuni comportamenti delle vetture sono delle volte piuttosto strani, in special modo quando si verificano delle goffe compenetrazioni poligonali.
    Pur essendo consapevoli dei problemi che affliggono la versione PC del gioco (a cui abbiamo dato un'occhiata per completezza) siamo costretti a basare le nostre considerazioni su quella PS4, dopo una prova di circa 25-30 ore. Sebbene la controparte per console sia al momento quella migliore, la situazione - anche qui - non è di certo rosea, perché Mafia III è afflitto da una caterva di problemi tecnici semplicemente imperdonabili. Per via dell'instabilità del codice e della qualità molto altalenante, Mafia III appare più come un gioco in accesso anticipato, da rifinire e non ancora pronto per uscire sul mercato. E questo, lasciatevelo dire, è davvero un gran peccato.
    New Bordeaux è per lunghi tratti una città spoglia, con una resa poligonale modesta e approssimativa, fatta di palazzi anonimi e locali che si somigliano l'un l'altro, e ambienti che si stagliano d'improvviso quando li si attraversa, mentre il motore grafico arranca e carica in ritardo gli elementi dello scenario. Sebbene il frame rate ancorato ai 30 fps sia stabile, i fenomeni di pop-up sono frequenti e tutti piuttosto evidenti. Vanno segnalati anche altri problemi importanti, come blocchi improvvisi del gioco e gravi bug e glitch che possono costringere a riavviare una missione dall'ultimo checkpoint. Durante la nostra prova siamo incappati in fenomeni di questo tipo ben più di un paio di volte, e siamo certi che chiunque giocherà a Mafia III sarà in grado di raccontare degli episodi che di certo non si aspettava. 
    Le compenetrazioni poligonali sono molto frequenti e si estendono oltre i cadaveri che rimangono "impigliati" nello scenario, producendo esiti spesso infelici. Il ciclo giorno-notte e il meteo dinamico fanno le bizze, presentando dei curiosi glitch legati al sistema di illuminazione che può trasformare una giornata cupa in soleggiata – e viceversa – in pochi istanti. Ci sono insomma tanti problemi tecnici su cui probabilmente Hangar 13 non ha avuto il tempo di lavorare, ricorrendo ai ripari con una patch che nemmeno su PC risolve le magagne più evidenti (a proposito, anche su console dovrebbe arrivare a breve un patch correttiva).
    Mafia III ha dunque dei grandi pregi che risiedono tutti nella trama coinvolgente, nello stile narrativo unico, nella ricostruzione storica del periodo e nella capacità di proporre dei personaggi convincenti e di spessore. È però affossato da una realizzazione tecnica sin troppo lacunosa, che mette in luce tanti problemi grafici, bug e glitch; ma anche da una struttura delle missioni che non muta mai e da una ripetitività di fondo che in un open world del genere, in fin dei conti, è uno spreco di potenzialità enorme.

lunedì 10 ottobre 2016

Syndrome


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Camel 101

  • Data uscita:2016

     

     

    Lo studio Camel 101 propone il suo ultimo progetto, chiamato Syndrome, che promette di trasportare il giocatore “in un vero e proprio inferno all'interno di un'astronave maledetta”. Se la premessa stuzzica il vostro lato più masochista, fareste bene a continuare la lettura di questa recensione, che svelerà tutti segreti di questo survival horror.

    Abbiamo approcciato Syndrome con un certo interesse, considerati anche i parziali riconoscimenti già attribuiti al titolo, protagonista di alcuni award dedicati anche alla scena indipendente. Appena avviato l’eseguibile, allora, ci siamo ritrovati all’interno di un’atmosfera da survival horror estremamente familiare. Nel gioco, infatti, impersoneremo tale Galen, risvegliatosi dopo un lungo sonno criogenico a bordo della Valkenburg, una nave spaziale dotata delle migliori tecnologie, e facente parte della flotta Novacore. Ovviamente, una volta riaperti gli occhi scopriremo che la situazione della nave è completamente andata a rotoli; i rumori sinistri e gli inquietanti ambienti vuoti suggeriranno fin da subito che i nostri compagni di viaggio sono dispersi (o peggio), e che qualcosa si è impossessato della struttura stessa. Il ritmo narrativo di Syndrome è volutamente compassato, specie all’inizio del gioco, ma un elemento ha provveduto a ravvivare lo sciogliersi nell’intreccio; fin dai primi minuti, infatti, siamo stati raggiunti dalle trasmissioni radio provenienti dai membri superstiti dell’equipaggio, che però ci hanno fornito informazioni contraddittorie. Un po’ impensieriti, abbiamo così preso a girovagare per la Valkenburg, in preda all’oscurità ed a rumori veramente sinistri. Come se non bastasse, dopo poco abbiamo iniziato ad assistere a degli strani momenti di trance, in cui il nostro povero protagonista ha cominciato a sentire delle voci non definite suggerenti parole sfuggenti. Sapevamo fin dal principio che avremmo dovuto affrontare dei mostri sulla nave, ma l’incipit volutamente lento del gioco dà modo di chiedersi cosa mai possa essere successo ai membri dell’equipaggio; non vogliamo spoilerare alcunché, ma è pur giusto dire che i nostri ex colleghi saranno ancora presenti sulla Valkenburg, sebbene in forme leggermente più aggressive del normale. I nostri obiettivi, dunque, saranno tre: riuscire a rimettere in funzione la nave, salvare i nostri compagni ancora in vita, e cercare di non venire maciullati dai mostri.

    Passeggiando per i tetri corridoi della Valkenburg ci siamo scoperti a fischiettare con insistenza le note degli accordi di Brain Damage dei Pink Floyd, soprattutto nella parte che recita: “There’s something in my head, but it’s not me”. Questo perché Syndrome in qualche modo parla proprio di un nemico strisciante che, volente o nolente, ha probabilmente occupato la mente degli ex colleghi di Galen, e forse anche la sua. La narrativa, dunque, si mantiene su livelli sufficienti, nonostante le premesse narrative veramente comuni, per non dire banali, su cui poggia la produzione Camel 101. Che dire, però, del gampelay? In questo ambito l’analisi si fa più complicata. Di base, il gioco è un survival horror in prima persona dalla struttura tradizionale, e con un livello di difficoltà che non deve essere preso alla leggera. Dovremo esser bravi, perciò, a sgattaiolare furtivi dalle grinfie dei nemici, ad orientarci negli ambienti claustrofobici della nave, ma anche a capire come agire per arrivare agli obiettivi posti di volta in volta. Fin da subito, è possibile notare una certa tendenza all’uso di quello che non è definibile un vero e proprio backtracking, quanto uno sfruttamento piuttosto beffardo degli spazi. Molto spesso, infatti, verrà indicato al giocatore di recarsi in un determinato luogo all’interno di uno degli otto ponti della nave, per poi tornare indietro, prendere l’ascensore, e spostarsi su un altro livello. Dopo aver fatto ciò, in sostanza, ci è stato spesso richiesto poi di effettuare il viaggio all’inverso, ma per raggiungere stanze differenti. Va detto che per orientarci avremo a disposizione solo la mappa di gioco, e nessun’altra indicazione di sorta: il tutto, quindi, presenta una certa difficoltà, specie durante le prime fasi di adattamento. La sensazione, in questo ambito, è che si sia allungato il brodo in maniera un po’ fastidiosa, e la cosa diventa ancora più evidente nel momento in cui arriveremo a contatto con i mostri. Il primo incontro avviene dopo circa un’ora, e gioca molto su alcuni degli espedienti che verranno riproposti anche nel prosieguo del titolo. Tra questi troviamo la mancanza improvvisa (così come l’arrivo) dell’illuminazione, l’utilizzo di rumori sinistri anche nelle aree tutto sommato vuote e sicure, l’utilizzo accorto della velocità, così come della lentezza delle minacce. Le tipologie di nemici che si incontreranno saranno abbastanza varie, e tutte con determinati punti deboli. Ovviamente non è nostro obiettivo fare luce completamente sulla sfida posta, ma è pur vero che la diversità di avversari è uno dei punti cardine del gameplay di Syndrome. Accanto a mostri lenti e capaci di sentire i nostri passi solo da breve distanza, trovano posto obbrobri con gli occhi di un rosso luccicante, molto veloci e tenaci. Esistono poi varianti ibride, per una metà organiche e per l’altra robotiche, che pur essendo prive di vista posseggono un udito superiore, ed anche un grado di pericolosità decisamente maggiore. Ma non basta: abbiamo anche androidi e robot, per un quadro complessivo che restituisce una varietà apprezzabile, ed una longevità che si attesta tranquillamente tra le dieci e le quindici ore.

    In generale, l’unica strategia vincente contro i mostri è quella di scappare, o di nascondersi nei vari armadietti presenti. Lo sfruttamento delle ombre, infatti, non ci ha sempre convinto; molte volte, ad esempio, siamo stati scoperti anche se rintanati negli anfratti bui, in special modo dopo che eravamo riusciti ad eludere già una prima volta i mostri. Le stesse deformità, da parte loro, sembrano comunque poco propense ad allontanarsi molto dai punti strategici in cui sono posti di volta in volta, risultando almeno all’inizio abbastanza facili da superare. Il discorso cambia quando ci si imbatte in ambienti popolati da minacce di diverso tipo, e dunque con diversi metodi di attacco. Dobbiamo dire che il titolo, dopo circa due ore, dà al giocatore la possibilità di ottenere una prima arma da fuoco. Le munizioni, però, saranno sempre molto scarse, ed avranno un effetto limitato. La tipologia base di nemico – se così possiamo chiamarla – richiede circa cinque colpi di pistola prima di andare al tappeto, pari ad una quantità abbastanza spropositata se si pensa al numero di munizioni che è possibile racimolare. Vero è che il gioco dà anche la possibilità di distrarre i nemici lanciando oggetti in direzione opposta alla nostra, ma questa scelta si rivela veramente scomoda in molte occasioni. Questo perché nel momento in cui si tiene in mano un oggetto, scompare misteriosamente la possibilità di richiamare la mappa di gioco, elemento indispensabile e che andrà consultato continuamente per evitare di perdersi. Non appare molto ispirata, inoltre, la scelta di dover tenere premuto il tasto apposito per far accucciare il personaggio, di modo da far meno rumore e da sfruttare i passaggi costituiti dalle prese d’aria. Sono questi e altri piccoli particolari, legati anche al modo in cui i nemici prendono coscienza della nostra presenza, o all’impossibilità di mappare i comandi via tastiera e pad, che ci spingono a dire che il gameplay di Syndrome è tutto sommato “grezzo”, dotato di idee piacevoli, ma forse eseguite in maniera a volte poco precisa. Anche il sistema di salvataggi, basato sull’utilizzo di terminali sparsi per la nave, presta il fianco a qualche critica, relativa soprattutto alla sistemazione degli stessi elementi per gli ambienti della Valkenburg. A volte, infatti, il consiglio è quello di deviare dal percorso principale identificato per arrivare al proprio obiettivo, proprio per scovare il checkpoint più vicino. Vale la pena spendere qualche parola, poi, sull’interfaccia di gioco, che si presenta funzionale ed assai minimalista; trovano posto una barra per la salute, una per lo scatto, nonché l’indicatore dei proiettili a nostra disposizione, e altri segnalatori relativi agli oggetti da noi impugnati (come torce, strumenti per l’hacking, e via dicendo).
    La presenza di chiari trigger all’intero dell’azione di gioco è evidente: dopo aver compiuto una determinata azione, spesso coincidente con il raggiungimento dell’obiettivo richiesto, il titolo proporrà l’arrivo di nemici e mostruosità varie, da cui è bene difendersi. In questo senso Syndrome è un gioco semplice da interpretare, e che però ha saputo ben impressionare sul piano estetico. La grafica tridimensionale del gioco, infatti, riesce a proporre ambienti definiti e texture soddisfacenti, tranne nel caso forse di certe tipologie di nemici. Buono l’uso degli effetti di illuminazione, con cui gli sviluppatori hanno giocato per ottenere scene piene di suspense. Dobbiamo segnalare però che in alcuni casi la realizzazione delle ombre non è proprio ai massimi livelli (specie dove vi sono fiamme), ma in generale il titolo si difende discretamente sotto questo aspetto. Lo stesso si può dire dell’audio: i versi dei mostri fanno il loro sporco lavoro, così come il sottofondo audio. C’è da dire, a questo proposito, che forse sarebbe stato meglio fare un po’ più attenzione ai rumori inseriti nei loop che è possibile ascoltare, e che includono passi di mostri che, spesso e volentieri, non sono presenti nelle vicinanze. Non sempre ispirate, invece, le animazioni. Nel momento in cui i nostri nemici erano ignari della nostra presenza, in alcune occasioni, abbiamo potuto scorgere la loro figura completamente ferma ed immobile; l’unico segnale di vita – se così si può chiamare – era solo il loro spietato grugnito. Esistono dei chiari problemi tecnici poi che, purtroppo, dobbiamo riscontrare. Il gioco sconta alcune inesattezze di programmazione che hanno portato, in casi comunque isolati, a crash abbastanza brutali, ma anche a cali drastici di frame rate, che da 60 fps scendeva in maniera brusca sotto la soglia dei 30 per poi tornare ai livelli abituali. Non è mancato lo stuttering, e qualche incertezza nei casi di riduzione a icona (che in un episodio ci ha costretto – non senza qualche improperio – a ricaricare un salvataggio effettuato molti minuti prima).