Ethero

sabato 31 maggio 2014

Metro Redux

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:4A Games

  • Data uscita:Estate 2014

     

     

    La serie Metro si è sempre distinta per le sue tinte scure e per un gameplay che, a conti fatti, andava ben oltre i semplici canoni dettati dagli sparatutto moderni, miscelando sapientemente fasi di shooting sfrenate con sezioni lente e ragionate, molto più simili a un horror game che a un FPS.
    Durante un evento londinese, Deep Silver ha presentato Metro 2033 Redux e Metro Last Light Redux, due revisioni complete delle precedenti versioni, capaci di dare nuova linfa vitale al progetto.

    Apocalypse now Redux
    Chiariamo subito il punto di partenza: non ci troviamo di fronte ad un mero e lieve miglioramento grafico ma a un vero e proprio rifacimento di molteplici elementi strutturali del comparto tecnico, a partire dalle texture, passando dalla completa revisione del sistema di illuminazione fino ad arrivare ad alcuni elementi del gameplay modificati e interi modelli poligonali ricostruiti.
    Quello che ci troveremo per le mani questa estate non è ovviamente un gioco nuovo, ma ha tutte le intenzioni di stupire quei giocatori che ancora non hanno avuto modo di provare la serie. Probabilmente è proprio a loro che tutto questo lavoro si rivolge perché, in fin dei conti, ai veterani di Metro rivedere il loro gioco preferito sotto un nuova luce potrebbe sì interessare, ma non a tal punto da giustificarne nuovamente il doppio acquisto.
    Metro 2033 Redux e Last Light Redux verranno infatti venduti scatolati in un unico bundle o, alternativamente, potranno essere acquistati singolarmente su Steam, Playstation 4 e Xbox One e molto probabilmente questa rivisitazione è indirizzata proprio ai nuovi giocatori in possesso di una console next gen. Il prezzo accattivante di soli 19.99 potrebbe attirare più di un curioso e le novità non finiscono certamente qui, visto che se possedete già uno dei due capitoli nella vostra libreria Steam gli euro da sborsare saranno solamente dieci.
    Avendo avuto occasione di provare attentamente sia l’uno che l’altro gioco, i cambiamenti riscontrati sono estremamente palpabili e importanti, un lavoro che spicca soprattutto quando si osservano i giochi di luce, l’intensa luminosità dei luoghi all’aperto, ma anche le fiammelle delle lampade ad olio che rischiarano i profondi e neri tunnel della metropolitana russa. Entrati nel livello di Black Station siamo rimasti davvero a bocca aperta nel constatare quante modifiche estetiche siano state apportate e come, con qualche ritocco, un gioco di solo qualche anno fa possa brillare nuovamente e competere testa a testa con le produzioni più recenti.
    I proiettili esplosi delle armi da fuoco rischiarano le sale ammantate dall’oscurità, mentre i nemici cercano disperatamente di coglierci alle spalle o di prenderci alla sprovvista. Ottimo il lavoro svolto anche sulla maschera, elemento imprescindibile in ogni Metro che si rispetti, realizzata in maniera estremamente accurata, con goccioline di umidità che bagnano il vetro e gli schizzi di sangue che imbrattano la visuale impedendoci di vedere per pochi istanti.
    Non è stata modificata in maniera significativa l’intelligenza artificiale, rendendola esclusivamente più aggressiva e più attenta ai rumori insoliti, ma siamo comunque piacevolmente colpiti dall’inserimento di due modalità di gioco ben distinte: una che favorisce uno stile più survival e l’altra invece che va a premiare gli assalti frontali e l’approccio a mitra spianato.
    In Survival dovremo stare attenti ai colpi sparati e all’ossigeno consumato visto che le munizioni e le risorse scarseggeranno in maniera preoccupante, obbligandoci a muoverci silenziosamente ed eliminare i nemici con una bella coltellata nel collo, esecuzione letale, veloce ma soprattutto poco dispendiosa. Se invece il vostro stile di gioco vi porta a fare fuoco come pazzi a qualsiasi cosa si muova, in Spartan troverete quello che fa per voi con tonnellate di munizioni e armi sparse per i livelli.
    Un gioco insomma che finalmente si adatta alle capacità e alla volontà del giocatore e non viceversa, con la possibilità inoltre di affrontare l'intera avventura a difficoltà Ranger e Ranger Hardcore, per una sfida davvero tosta dove una singola morte potrebbe significare il game over.
    Il lavoro di rimodernamento prende in considerazione anche alcuni momenti scriptati e alcune specifiche missioni di gioco, ora ridisegnate completamente. Il tutto gira ovviamente a una risoluzione di 1080p su Playstation 4 e 60 Frame per secondo, abbassandosi a 900p su Xbox One. Su PC invece non ci sono limitazioni e 4K, 3D o multischermo sono tutte opzioni tranquillamente fruibili.
    Gli sviluppatori ci hanno assicurato di essere al lavoro duramente per portare in pari le due versioni, la nostra idea è che queste saranno le risoluzioni finali per l’intero progetto.
    Meno influente invece il lavoro di rifinitura effettuato su Metro Last Light, decisamente più recente del suo capitolo gemello. Last Light ha subito modifiche nettamente più lievi e per questo risulta adatto solo a chi non avesse mai giocato al secondo capitolo. Pensate all’acquisto solo se siete interessati a tutti i DLC e siete veri patiti del gioco, visto che in questa edizione troverete tutti i contenuti aggiuntivi inclusi nel season pass.
    La distruttibilità migliorata e ben quattro livelli di difficoltà chiudono il cerchio per un pacchetto davvero niente male, ma che potrebbe comunque fare fatica a trovare spazio in un mercato già saturato da remaster in hd e versioni migliorate di giochi vecchi.

mercoledì 28 maggio 2014

Grid:Autosport 3

  • Piattaforme:PC, PS3, Xbox 360

  • Genere:Simulazione guida

  • Data uscita: 26 giugno 2014

     

     

    Infilato il casco ed allacciate le cinture di sicurezza ci siamo gettati a capofitto nell'offerta per verificare la bontà del lavoro degli sviluppatori a circa un mese di distanza dalla data d'uscita annunciata per il titolo e, come primo assaggio, siamo rimasti piacevolmente soddisfatti.
    Una volta avviato il gioco abbiamo potuto constatare fin da subito come l'interfaccia e i menu abbiano adottato uno stile molto più snello e fluido, il che agevola non di poco la navigazione, oltre a offrire un'esperienza più accessibile e confortevole anche ai giocatori meno propensi al districarsi tra infiniti sottomenu e tabelle di vario genere.
    A differenza dell'ultima versione da noi provata, inoltre, questa volta erano disponibili tutte le cinque principali modalità cui si compone il gioco, ovvero Touring, Endurance, Open Wheel, Tuner e Street.
    Come facilmente intuibile dai nomi, Touring altro non è che la classica carriera con auto da turismo, vetture tanto potenti quanto stabili e maneggevoli, in grado di resistere alle più intense sportellate con gli avversari più tenaci, caratteristica particolarmente evidente ai livelli di difficoltà più elevati. Endurance prevede invece corse la cui durata è delimitata, anziché da un numero prefissato di giri, da un determinato periodo di tempo, in questo caso 8 minuti, al termine del quale verrà valutato il vostro piazzamento. Una modalità tanto spettacolare quanto stressante, soprattutto quando dovrete vedervela con il calare della notte oltre che con la solita schiera di avversari determinati a tutto pur di soffiarvi il vostro sudato piazzamento sul podio. Al volante di una splendida Aston Martin V12 Zagato e di una McLaren 12C GT3 abbiamo chiaramente dimostrato all'agguerrita CPU di essere in grado di dare del filo da torcere in qualsiasi situazione e su qualsiasi tracciato.
    Open Wheel rappresenta invece la classe Formula. Con le nostre velocissime e fragilissime monoposto siamo andati ad imporre il dominio assoluto in quel di Sepang, mentre nella classe Street abbiamo sfrecciato tra le vie della soleggiata Barcellona con una Ford Focus ST. La categoria Tuner, infine, ci ha visti partecipi di due diverse tipologie di gara, ossia sfida a tempo e drifting. Al momento sembra essere l'unica disciplina a prevedere al suo interno più varianti, ma ci riserviamo il beneficio del dubbio per eventuali sorprese, in quanto non abbiamo avuto occasione di accedere a più di un evento per ciascun tipo di carriera.
    Terminate le introduzioni possiamo passare al fulcro del gioco, ovvero il modello di guida. Fatto tesoro delle critiche ricevute con il secondo capitolo della serie, i ragazzi di Codemasters sembrano aver fatto marcia indietro e hanno riadottato uno stile ibrido arcade/simulazione in grado di poter soddisfare tutti i palati. Grazie alla possibilità di attivare o disattivare a piacimento tutta una serie di aiuti e sistemi di supporto, ogni giocatore può ricreare al meglio l'esperienza di guida che più desidera. Il tutto è inoltre impreziosito da un sistema di danneggiamento delle componenti interne delle vetture che va spesso ad inficiare seriamente sullo svolgimento di una gara, favorendo quindi uno stile di guida accorto e premeditato invece del destruction derby più sfrenato.
    Di ottima fattura anche la differenziazione delle varie tipologie di auto su cui abbiamo potuto mettere mano. Ciascuna rispondeva ai comandi in maniera differente e, pertanto, è spesso richiesto di adattare al meglio delle proprie capacità il proprio stile di guida qualora si voglia puntare al top con consistenza. Pregevole anche il comparto audio e, in particolar modo, quello tecnico. Il gioco è apparso assolutamente fluido, senza rallentamenti o magagne tecniche di alcun tipo. Nonostante qualche dubbio di fondo, si spera che le versioni console siano capaci di offrire un'esperienza altrettanto pulita e appagante.
    Come già anticipato, la personalizzazione dei propri veicoli è chiaramente uno degli aspetti su cui punta maggiormente GRID Autosport e, proprio per questo, gli sviluppatori hanno ben pensato di offrire ai giocatori un'ottima varietà di settaggi su cui mettere le mani per personalizzare il proprio mezzo preferito. Mano a mano che si accumula esperienza vincendo gare e completando campionati, sarà possibile accedere ad un maggior numero di opzioni, il che si traduce, ovviamente, in un maggior livello di sfida al fine di rendere l'esperienza sempre fresca ed appagante, senza il rischio di cadere nel baratro della monotonia e della noia a causa di avversari incapaci di tenerci testa. Necessitano di maggiori approfondimenti le funzionalità legate al sistema degli sponsor e le modalità di ottenimento delle diverse vetture, cose che, chiaramente, avremo modo di analizzare nel dettaglio in fase di recensione.
    Qualche piccolo difetto rimane comunque abbastanza evidente, primo fra tutti la visuale dall'abitacolo che, per quanto abbia fatto il suo gradito ritorno per la gioia di tutti i fan, risulta essere piuttosto grossolana e improvvisata. Probabilmente per risparmiare sulla necessità di dover realizzare modelli differenti per ogni vettura è stato infatti deciso di rendere il tutto molto sfumato e abbozzato il che, per quanto non infici sulla effettiva utilità della funzione, la fa apparire forse fin troppo simile ad una soluzione amatoriale realizzata da qualche utente. In ogni caso, tanto di cappello per aver ascoltato i feedback dei giocatori delusi dalla sua assenza nel secondo capitolo della serie. 

Sniper Elite 3

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Rebellion Developments

  • Data uscita:27 giugno 2014

     

     

    Maggio deve essere appena stato eletto "mese della guerra ai nazisti", perché dopo la recensione di Wolfenstein: The New Order si torna nuovamente a bomba sull'argomento con una nuova prova di Sniper Elite 3, questa volta incentrata su due livelli inediti e sul multiplayer cooperativo. Siamo dunque corsi a Milano negli studi Halifax per mettere le mani su una nuova build, ancora lontana dal prodotto finito, ma in grado di far emergere nuovi dettagli interessanti e alcune feature inedite. Toglietevi la sabbia dalle scarpe e mettetevi comodi si torna in Africa!
    Nei nostri precedenti articoli abbiamo già sottolineato più volte come Sniper Elite 3 mantenga tutte le qualità del predecessore, migliorando quelle meccaniche che lo resero celebre giusto due anni fa. Sebbene quindi l'esperienza di gioco non sia poi così diversa dal titolo precedente, e questo è un bene, ci sono tanti elementi che entrano in gioco e mostrano la strada intrapresa per l'evoluzione della serie. Il primo e più macroscopico di questi è relativo alla dimensione delle mappe, ora circa tre volte più ampie di quelle viste in Sniper Elite V2. Non stiamo parlando di una dimensione lineare, dimenticate i vecchi corridoi guidati del precedente capitolo e preparatevi ad abbracciare nuove situazioni tattiche dettate da una libertà di movimento decisamente aumentata. Certo, non siamo ancora ai livelli di un free roaming puro, ma ora tutte le zone lasceranno al giocatore la possibilità di approcciare le diverse missioni in decine e decine di modi diversi, modificando pesantemente l'esperienza di gioco ad ogni partita. Questa è una cosa che abbiamo sentito decine di altre volte, solo per poi rimanere delusi all'atto pratico, ma pad alla mano possiamo confermarvi che quest'anno Rebellion e 505 Games sono riusciti a mettere in piedi un sistema grazie al quale offrire missioni aperte, spesso a obiettivi multipli, che lasciano davvero libertà totale al giocatore.
    Nel secondo livello della campagna ad esempio, in una missione completamente in notturna, il nostro obiettivo era quello di recuperare i documenti da tre differenti tende naziste, e la possibilità di scegliere quale obiettivo attaccare per primo così come la direzione per la nostra incursione aprivano un ventaglio di possibilità infinito. Ancora una volta l'ottima dimensione delle mappe rende il tutto possibile e il level design, ricercato, regalava una quantità di punti per lo sniping davvero eccellente. Tra rocce, alture, torrette di osservazione e ripari nella vegetazione la strategia assume un ruolo importante, rendendo indispensabile la pianificazione dato il netto miglioramento dell'intelligenza artificiale rispetto a Sniper Elite V2. Dai precedenti otto soldati attivi sul campo di battaglia si passa ora a trenta unità in allerta contemporaneamente, rendendo la nostra individuazione un problema ben più grande che in passato. Per questo motivo è stata introdotta la meccanica del riposizionamento che ci permetterà, dopo ogni uccisione, di spostarci rapidamente per far perdere le tracce e continuare a bersagliare i nemici da un altro punto di osservazione.
    Buona la varietà di cose da fare, non solo uccisioni dalla distanza ma anche missioni di sabotaggio e recupero di informazioni, spionaggio ed eliminazione delle linee di rifornimento, tutti elementi presenti nel gioco sia come missioni principali che come secondarie, per livelli che potranno portarvi via ore se giocati completamente in stealth, anche lunghi un'ora l'uno.

    Dimenticate l'Africa polverosa tra leoni e giraffe, e accogliete location legate da un unico filo conduttore ma estremamente diverse le une dalle altre. Rebellion in questo caso ha promesso una grande varietà, sfruttando l'alternanza di giorno e notte e ambientando le missioni sia in campo aperto sia nelle zone abitate per dare un maggior risalto alle azioni di guerra. Ovviamente però nessun civile nel gioco, come da tradizione. Non mancheranno invece veicoli di vario genere sui quali mettere in mostra la nuova killcam, ora disponibile anche quando andremo a colpire i motori o i serbatoi dei mezzi, mettendo in mostra esplosioni davvero spettacolari. Tutti questi contenuti vengono affiancati da numerose modalità online, disponibili sin dal day one, sia competitive ma anche e soprattutto cooperative. Abbiamo potuto giocare una modalità co-op nella quale un giocatore era dotato esclusivamente di fucile da cecchino mentre il suo compagno aveva il binocolo, grazie al quale taggare i nemici ed evidenziarli a schermo e il mitragliatore. Una modalità questa già presente in Sniper Elite V2 e riproposta in maniera praticamente identica in questo nuovo capitolo. I livelli sono stati studiati da zero e, sebbene riprendano alcuni stage della campagna, ci saranno specifiche limitazioni per quanto riguarda il movimento e le cose da fare, così da aumentare la necessità di collaborazione. Ad esempio nel livello da noi provato il cecchino era costretto a rimanere su un tetto, mentre il commilitone doveva correre per le strade e disattivare alcuni congegni. Una modalità divertente, che si somma ai diversi Death Match e Team Death Match , Sopravvivenza, Senza Contatto (particolare modalità dove non sarà possibile avvicinarsi agli avversari), re della distanza e re della distanza a squadre.
    Chiudiamo infine rassicurandovi dal punto di vista tecnico, per un lavoro forse non ai massimi livelli in quanto a quantità di oggetti a schermo e modellazione poligonale delle ambientazioni ma capace comunque, già da questa build preliminare, di regalare un buon colpo d'occhio grazie ai 1080p sia su Xbox One che su Ps4 e a un frame rate stabile. 

martedì 27 maggio 2014

Ascendant


  • Piattaforme:iPhone, PC, TECH

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Hapa Games

     

     

    Chi segue il mercato indipendente avrà certamente sentito chiamare di due piccole perle piuttosto recenti, che rispondono al nome di The Binding of Isaac e Rogue Legacy. Si tratta di due rogue game, titoli che solo di recente hanno potuto godere di un forte apprezzamento da parte del pubblico, merito soprattutto di un digital delivery che ha permesso una facile pubblicazione per prodotti tutto sommato coraggiosi.
    In un presente in cui la norma è prendere la manina del giocatore e insegnargli a giocare attraverso tutorial di decine di minuti, l’approccio indie più brutale porta a un menu, un gioco, qualche informazione sui controlli e un perma death impietoso. E’ un approccio al gaming molto radicale, ma in qualche caso funziona alla grande. E’ stato il caso di The Binding of Isaac, è stato il caso di Rogue Legacy. E’ il caso di Ascendant.
    Il gioco è un rogue bidimensionale a scorrimento orizzontale / verticale, in cui vestiremo i panni di un semidio durante appunto la sua “ascesa”, attraverso una serie di livelli rappresentati dalle quattro stagioni. Ora che abbiamo inquadrato il gioco, definiamolo in modo che non ci siano dubbi: Ascendant è difficile. Ascendant è governato dal perma death.
    La curva della difficoltà è estremamente ripida, e le prime partite non arriveranno a durare più di cinque o dieci minuti. Diversamente da come avveniva in Rogue Legacy, in Ascendant non esiste una progressione generale che permetta di migliorare il proprio personaggio a lungo termine: partiremo ogni volta da zero, male equipaggiati, e l’esito delle nostre partite dipenderà principalmente dalla nostra bravura, lasciandoci aiutare se possibile da un pizzico di fortuna.
    I livelli sono generati in maniera casuale ad ogni partita, e risultano strutturati su mappe piuttosto semplici, dalle dimensioni ridotte. Ogni quadro conterrà un certo numero di nemici, sconfitti i quali vedremo apparire un forziere. All’interno troveremo un bonus di qualche tipo, anche questo scelto in maniera casuale. Va da sé che determinati stili di gioco si sposino meglio con determinati boost piuttosto che altri, motivo per cui sarà utile avere una certa dose di fortuna. Ma non fraintendete, perché il sistema di combattimento è così approfondito e stratificato che la reale abilità del giocatore potrà sopperire anche al più avverso dei destini.
    Si parla di un battle system dai ritmi parecchio veloci, tecnico, gratificante, tutto ovviamente in tempo reale. Il nostro personaggio disporrà di un attacco base, e di uno che permetterà di scagliare l’avversario lontano. Nel momento in cui cominceremo a colpire un nemico, questo verrà in qualche modo stordito e resterà immobile, permettendoci di massacrarlo con una raffica di colpi. A rendere le cose più divertenti c’è il lock della nostra posizione: colpire un avversario mentre ci troviamo a mezz’aria ci permetterà di iniziare delle combo rimanendo sospesi del vuoto. Scagliamo l’avversario verso l’alto e, con un po’ di abilità, potremo seguirlo in puro stile Dragon Ball, per continuare il nostro pestaggio una volta che questi sarà andato ad impattare contro una parete. L’effetto è stilisticamente piacevole, e fa venire in mente numerosi anime degli anni passati, in cui la velocità dei personaggi permetteva di eseguire delle acrobazie disumane. Non dimentichiamo che siamo un semidio in fondo!
    Agli attacchi melee si sommano anche quelli magici, dipendenti da una barra di MP che si ricaricherà in automatico piuttosto velocemente.
    Oltre all’attacco c’è chiaramente tutto un sistema di difesa. Questo consisterà nel rispedire i colpi al mittente tramite un tasto da schiacciare con un tempismo perfetto, cosa possibile nel caso di avversari singoli, molto più complessa quando saremo immersi nel delirio dell’azione. Alternativamente, potremo effettuare degli scatti verso destra o verso sinistra, premendo rispettivamente R1 o L1. Utili per fuggire da una parte o dall’altra, certo, ma ancora più utili in quanto uno scatto verso un proiettile o una sfera di magia ci permetterà di passargli attraverso, come se stessimo anticipando il colpo, avvicinandoci nel contempo verso il nemico per poterlo devastare.
    Occorre anche in questo caso un tempismo difficile da raggiungere, in particolare quando ci saranno molti nemici a schermo (cosa piuttosto frequente). Altre opzioni per difendersi potranno essere il classico salto, il doppio salto - se gli Dei saranno misericordiosi concedendoci tale abilità - e vari tipi di stun ad area.
    Se tutta la componente action lascia spazio ad un apprendimento prolungato delle meccaniche e delle strategie più efficaci, gli sviluppatori hanno ben pensato di condire il tutto con un sistema molto più ruolistico, che ci permetterà di potenziare il nostro personaggio in maniera approfondita e variegata.
    All’interno di ciascun livello troveremo almeno una cassa speciale e un negozio. Dentro la cassa potremo trovare - randomicamente - un nuovo Blessing, un Breath, uno Spirit, una Scroll o una nuova arma. Tanti nomi nuovi, per tante meccaniche interessanti.
    I Blessing sono dei bonus fissi che il nostro personaggio potrà accumulare per potenziarsi in molti ambiti differenti. Questi modificheranno in maniera radicale la nostra maniera di muoverci, incrementando drasticamente le probabilità di sopravvivere durante gli scontri più caotici.
    Ciascun Blessing potrà essere associato al nostro personaggio utilizzando gli slot disponibili nel nostro equip. Ad ogni abbinamento corrisponderà un effetto diverso, da scoprire durante i nostri innumerevoli tentativi di successo. Una volta scoperto un possibile abbinamento, questo verrà memorizzato dal gioco anche nelle partite successive, in maniera tale da creare un qualche tipo di progressione basata in primis sulle informazioni ottenute.
    Più semplici i Breath, abilità speciali da utilizzare una sola volta, anch'esse da scoprire nel corso delle partite e da memorizzare nel gioco. I Breath potranno avere numerosi effetti, distruttivi, difensivi, di recupero o di buff. Potremo portare con noi un solo Breath per volta.
    Gli Spirit sono invece dei bonus permanenti che potremo equipaggiare in una sorta di skill tree, migliorando numerose caratteristiche del personaggio. Le Scroll sono naturalmente le magie utilizzabili, differenziate in maniera profonda. Le armi possiedono invece molti parametri a cui stare attenti, partendo dall'attacco, andando alla velocità di swing, e finendo con bonus di vario tipo stile "attacco +10 per ogni chiave posseduta". Anche in questo caso la scelta è molto ampia, con tier di armi diversissime tra loro.
    A questo punto basta mettere insieme i vari elementi per comprendere come questo piccolo progetto indie metta in mano al giocatore una spaventosa mole di contenuti.

    Parlando dell’aspetto tecnico del prodotto dobbiamo dire di aver gradito particolarmente lo stile estetico adottato, piuttosto semplice negli scenari, caratterizzato da poche linee, con uno stile vagamente giapponese. I colori sono pochi ma vibranti, e il character design si rivela piuttosto ispirato, in particolare per i personaggi che potremo utilizzare. Meno riusciti gli avversari, rappresentati da pochi modelli base. La varietà non è sensazionale, ma si è piuttosto cercato di diversificare i nemici per skin e dimensioni. Ben realizzati la maggior parte dei boss di fine livello, enormi e convincenti. Uno degli elementi più riusciti è forse il reparto animazioni, sempre fluidissime e presenti in un gran numero di frame, sia per quanto riguarda il nostro personaggio che gli avversari. Ascendant è inoltre un prodotto parecchio leggero, capace di garantire frame rate elevati anche su configurazioni piuttosto vecchie.
    Senza infamia e senza lode il comparto sonoro, piuttosto anonimo sia nella OST che negli effetti.

martedì 20 maggio 2014

Wolfenstein:The New Order

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:MachineGames

  • Data uscita:20 maggio 2014 (digitale), 23 maggio 2014 (retail)

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    Venti, lunghissimi, anni sono passati da quando il primo Wolfenstein ci fece emozionare su PC. I tempi allora erano diversi, la grafica contava in maniera estremamente relativa e vedere cubetti rossi che zampillavano dai corpi esplosi dei nazisti era la massima aspirazione per un amante degli shooter in prima persona. Di acqua però ne è passata sotto i ponti e il genere si è evoluto rapidamente sia nelle meccaniche sia nello sviluppo di trame ricercate regalando al pubblico recentemente capolavori del calibro di Bioshock e Borderlands, senza dimenticare il clamoroso Far Cry 3. Questa volta però si parla di un brand storico, che è già arrivato in una versione rimodernizzata qualche anno fa e che oggi ha il compito di ammaliare una nuova generazione di videogiocatori, abituata a standard elevati e sempre più esigente. Abbiamo approcciato questo titolo con affetto, ma tentando di rimanere distaccati dall'affetto che nutriamo per il brand osservando il gioco per quello quello che può offrire anche a chi, il brand, non l'ha mai vissuto in prima persona e le cose sono andate comunque meglio del previsto.

    Ci troviamo nel 1947, in una realtà alternativa dove la macchina nazista ha sfruttato tutte le conoscenze tecnologiche per mettere in campo un temibile arsenale bellico capace di schiacciare gli Alleati. Nei panni di B.J. Blazkowicz ci getteremo in un estremo assalto frontale contro i tedeschi nel tentativo di sovvertire le sorti di una guerra che sembra ormai essere segnata. Per nostra sfortuna la missione non ha esito positivo e quella che doveva rappresentare la svolta per la pace si trasforma invece nella mossa finale che permette alla Germania di mettere sotto scacco l'intero pianeta. Una serie di attacchi nucleari radono al suolo ogni opposizione e l'America si trova obbligata alla resa, deponendo le armi e lasciando a Hitler campo aperto.
    La sorte di Blazkowicz segue di pari passo quella del paese per cui lotta e, dopo essere stato fatto prigioniero e aver sacrificato uno dei suoi due compagni di squadra, con risvolti che vedremo in seguito, in una rocambolesca fuga viene coinvolto in un'esplosione che lo ferisce in maniera gravissima alla testa mandandolo in uno stato vegetativo per tredici lunghissimi anni. Mentre il suo corpo inerme è in balia delle onde, Blazkowicz viene soccorso e accolto in un manicomio dove lentamente riprende le forze. Nel momento del bisogno le energie tornano a gonfiargli le vene e in un impeto di rabbia decide da solo di ristabilire l'ordine naturale delle cose. Il giocatore a questo punto intraprenderà una lunga campagna contro i nazisti della durata di circa otto ore che lo porterà a viaggiare in una grande quantità di ambientazioni con il compito di riorganizzare la resistenza e chiudere per sempre i conti con i tedeschi.

    Wolfenstein the New Order aveva un compito difficile, riuscire a farsi apprezzare da due generazioni di giocatori differenti, e non esitiamo a dire che il gameplay, curato e variegato, è riuscito perfettamente in questo intento. La produzione Bethesda miscela sapientemente alcuni elementi old school, come la mancanza di rigenerazione della vita (o quasi, dato che sarà comunque possibile ripristinarne una minima parte) e la presenza dell'armatura con meccaniche presenti negli shooter moderni, permettendo la scivolata in corsa e l'utilizzo sapiente delle coperture, con la possibilità di sporgersi da qualsiasi riparo. Le fasi di shooting funzionano bene, con armi che regalano un feedback particolarmente intenso grazie ad un rinculo potente e a un sonoro che abbraccia completamente il caos a schermo. La varietà delle bocche da fuoco non è al top, ma presenzia una singola tipologia di armi per genere. Avremo quindi un fucile da cecchino, uno a pompa, un mitragliatore d'assalto, pistola e ovviamente torrette fisse da sradicare per l'occasione e utilizzare come strumento di morte sul campo di battaglia. Torna per la gioia dei fan la possibilità di imbracciare due armi contemporaneamente, perdendo lo zoom per la mira ma raddoppiando il rateo di fuoco: doppi proiettili doppio il divertimento.
    Importante l'introduzione del LKW, un fucile laser non solo decisamente pericoloso se utilizzato nella sua forma aggressiva ma anche indispensabile per risolvere i tanti enigmi che Wolfenstein mette sul piatto. Ogni singola arma avrà quindi due modalità di fuoco ben distinte, in grado di cambiarne radicalmente funzionalità e proprio grazie al laser dell'LKW potremo tagliare recinzioni, fondere catene per aprire passaggi segreti o semplicemente tagliare le casse in acciaio per raccogliere gli oggetti nascosti al loro interno, siano queste semplici munizioni e cure o preziosissimi artefatti in oro, da collezionare per completare il gioco al 100%.

    Wolfenstein the New Order ci è piaciuto perché non mette in campo solo il becero massacro di nazisti senza cervello a suon di piombo ma affila le lame introducendo meccaniche stealth in tutti i livelli. In ogni stage ci saranno infatti un numero variabili di comandanti, mostrati sulle mini mappe da icone specifiche, e ucciderli assalendoli alle spalle senza essere visti eviterà che questi possano chiamare rinforzi semplificandovi notevolmente le cose. La produzione Bethesda offre così una doppia lettura del gameplay e permette al giocatore di scegliere in che modo approcciare il gioco. Coltelli da lancio e pugnali a serramanico faranno il resto, anche se dobbiamo sottolineare un'intelligenza artificiale non particolarmente curata da questo punto di vista, lenta a scorgervi e in linea generale non esattamente tra l più sveglie nel panorama ludico. Una volta scattato l'allarme i soldati tenteranno di circondarvi, prendevi alle spalle e distruggere la copertura dietro la quale vi celate mostrando reazioni indubbiamente migliori. Certo, non siamo al top del genere, ma i cinque livelli differenti di difficoltà vi consentiranno di cimentarvi nelle battaglie con il livello di sfida perfetto, tanto che basterà entrare nelle opzioni per mutarlo in qualsiasi momento. Le novità interessanti non terminano qui e Wolfenstein butta nel pentolone anche un sistema di talenti: nulla di particolarmente profondo sia chiaro, ma sufficiente a dare una personalità specifica al vostro Blazkowicz. Eseguendo uccisioni silenziose, dalle coperture o con le granate, tanto per citare un paio di esempi, sbloccherete in maniera automatica i bonus passivi che andranno a migliorare alcune statistiche come la capacità dei caricatori o la velocità di ricarica. Come dicevamo non è nulla di particolarmente originale ma riesce comunque a dare un po' di profondità al tutto anche se un sistema più curato e con maggior spessore avrebbe dato al titolo un'ulteriore marcia in più.

    Se il gameplay quindi riesce ad offrire tante situazioni, anche le ambientazioni non sono da meno e la nostra missione ci farà viaggiare in una berlino supermodernizzata ma altresì sulla luna e nelle profondità degli oceani per una varietà più che soddisfacente. Come anticipato inizialmente la scelta fatta nel prologo sul commilitone da salvare influirà in maniera attiva su tutto l'arco narrativo e a seconda di chi avrete sottratto dalle grinfie dei nazisti vi troverete a vivere alcune scene inedite ed affrontare sezioni uniche nei livelli. Salvare Wyatt vi sbloccherà l'abilità per scassinare le serrature mentre risparmiare Fergus offrirà gadget per manomettere circuiti elettrici e ottenere potenziamenti alla salute. La trama si dividerà in due tronconi ben distinti e per avere un quadro completo sarà necessario giocare la campagna almeno due volte, raddoppiando conseguentemente le ore di gioco iniziali. Un'avventura lunga, che metterà in risalto una storia d'amore travagliata, decisioni cruciali per salvare il mondo dalla catastrofe e sbatterà in faccia al giocatore scene violente e inaspettate, condite ovviamente da diversi momenti scriptati e spettacolari che non fanno altro che innalzare la qualità del titolo. Davvero peccato quindi che i livelli audio del doppiaggio siano terribili e la sincronizzazione labiale inesistente, senza la possibilità peraltro di modificare le opzioni singolarmente dal menu dovendosi affidare invece ad una generale barra del volume. Ottimi i modelli dei nemici e di buona varietà, cosa stranamente non rilevata per quanto riguarda i personaggi secondari, meno curati tecnicamente di quanto ci saremmo aspettati. L'impatto grafico resta comunque di assoluto valore con coperture che esplodono sotto i colpi e il sangue che schizza copioso dai nemici colpiti. Ottimo il design dei Panzerhound e dei cani da guardia meccanizzati davvero temibili e cattivi nella loro possanza. Chiudiamo infine proprio con Blazkowicz, un personaggio che ci è entrato nel cuore, un duro dei vecchi tempi quasi caricaturale nell'aspetto ma in grado di entrare da subito nelle grazie del giocatore che si dovrà confrontare con alcuni dei nazisti più bastardi che il mondo videoludico ricordi, e quando le emozioni scaturiscono naturali durante la partita allora saprete quanto noi che l'obiettivo di Bethesda è stato centrato in pieno... 

sabato 17 maggio 2014

Blackwell


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Wadjet Eye Games

  • Data uscita:23 Dicembre 2006 (primo episodio)

     

     

    Nel corso degli anni abbiamo avuto modo più volte di soffermarci sui titoli Wajdet Eye Games: le produzioni di questo studio statunitense, infatti, rappresentano una parte importante di quella che in un certo senso può essere riconosciuta come una nuova giovinezza delle avventure grafiche. Con questa recensione speciale, allora, andiamo ad analizzare uno dei progetti più importanti e ambiziosi della realtà fondata da Dave Gilbert, la serie di avventure riguardanti le donne della famiglia Blackwell. Di seguito, dunque, approfittando della recente uscita dell’ultimo capitolo della saga, ovvero Blackwell Epiphany, andremo a riepilogare i temi di interesse dei cinque titoli che compongono questo lungo racconto, tentando di riassumere il tutto in un giudizio complessivo.
    Pubblicate tra il 2006 e l’aprile del 2014, le avventure grafiche della serie Blackwell sono attualmente disponibili su Steam a €14, 99 (questo il prezzo del bundle che comprende le edizioni rinnovate dei quattro capitoli), e € 13,99 (il costo del solo Blackwell Epiphany).
    L’intera serie è incentrata sulla relazione tra Rosangela Blackwell, una medium capace di comunicare con le anime delle persone defunte, e Joey Mallone, lo spirito guida della famiglia Blackwell. Il compito della coppia è avvicinare gli spiriti inquieti, e fargli realizzare che la loro esistenza terrena è ormai finita. Nel momento in cui queste entità intrappolate sulla terra, intente a infestare luoghi e città, comprenderanno di essere morte, Joey e Rosa potranno assolvere il loro compito, e far compiere loro l'ultimo viaggio verso ciò che li attende veramente dopo la morte. Prima di analizzare singolarmente ogni episodio, è d’obbligo dire che chi non vuole conoscere alcun particolare della trama potrebbe anche saltare i prossimi paragrafi e concentrarsi sull’ultima sezione del capitolo, dedicato alle conclusioni generali su trama e gameplay, oltre che sul consueto commento finale.La serie inizia con un avvenimento triste: siamo a New York, e la zia di Rosa, Lauren, muore in ospedale dopo anni passati in una casa di cura psichiatrica. Questo avvenimento avrà una conseguenza fondamentale, visto che segnerà l’arrivo di Joey nella vita di Rosa. Questa particolare entità ultraterrena non è altri che lo spirito guida della famiglia Blackwell il quale, dopo aver passato gli ultimi venticinque anni in ospedale in compagnia di Lauren, ora è pronto a ricominciare a salvare spiriti inquieti insieme Rosa. Partirà da qui, dunque, questa prima avventura della serie, che farà impratichire il giocatore con i vari elementi di gameplay che poi verranno riproposti anche in seguito. Parliamo soprattutto dell’inventario: durante le sue indagini riguardanti gli spiriti da salvare, la protagonista verrà inevitabilmente a contatto con altri personaggi da cui otterrà informazioni. Tutti gli elementi di rilievo verranno inseriti nel taccuino di Rosa: le varie voci potranno essere utilizzate come linee di dialogo nel caso di conversazione con altri personaggi, ma potranno altresì essere combinate tra di loro di modo da creare nuove note, utili al prosieguo delle indagini. Va detto che l’inventario non conterrà un numero spropositato di oggetti: cosi come in altre avventure Wadjet Eye Games, l’attenzione è posta più sui dialoghi e sulla storia che sull’esplorazione vera e propria. Le locazioni visitabili, cosi, non saranno tantissime, come gli enigmi, che poche volte riusciranno a fermare il giocatore. Tutto ciò, però, consente di concentrarsi sull’elemento principale della serie: i personaggi. Fin dall’inizio, infatti, i giocatori entreranno in contatto sulla storia della famiglia Blackwell e di Joey, e tutto ciò aumenterà l’immersività e la voglia di continuare a giocare.
    Il secondo capitolo della saga propone novità sia dal punto di vista narrativo che di gameplay: per prima cosa, i giocatori controlleranno la zia di Rosa, Lauren, in un’avventura ambientata negli anni ’70. La seconda grande novità riguarderà il secondo personaggio giocabile, ovvero Joey: agendo sull’apposita icona dell’inventario, infatti, si potrà controllare lo spirito guida delle Blackwell, che potrà disporre di capacità decisamente utili, come quella di poter attraversare porte e superfici. L’interazione tra i due personaggi sarà di importanza capitale, anche perché più volte capiterà di carpire informazioni utili al prosieguo della storia proprio tramite Joey. Per quanto riguarda la gestione degli oggetti e degli indizi raccolti, non si segnalano particolari novità, mentre entra in scena una meccanica rimasta in sordina nel primo titolo e che verrà ripresa in modo sistematico nei capitoli successivi, pur con qualche variazione. Ci riferiamo alla possibilità di consultare l’elenco telefonico attraverso Lauren: digitando il nome della persona interessata, infatti, si verrà più volte a conoscenza dell’indirizzo dei personaggi su cui investigare, e tutto ciò sbloccherà nuove locazioni e dialoghi che faranno avanzare nella storia.
    Da segnalare, oltre agli aspetti di gameplay, l’ottima atmosfera data dall’ambientazione anni ’70: oltre la colonna sonora dal sapore blues e jazz, dominata da melodie suonate da sassofono, è da segnalare la rappresentazione del personaggio di Lauren, probabilmente uno dei migliori della serie, e l’introduzione di alcuni personaggi che si riveleranno di estrema importanza nei capitoli successivi. Pensato inizialmente come una singola sequenza narrativa del terzo capitolo della serie, questo particolare episodio risulta essere estremamente interessante e ha consentito di creare un intreccio narrativo decisamente più profondo. Il raccontare cosa sia successo a un’altra protagonista della famiglia Blackwell, inoltre, ha l’inevitabile pregio di creare una sorta di legame tra il giocatore e le due generazioni di donne Blackwell protagoniste della storia.
    L’avvio del terzo capitolo della serie ha come protagonista Rosangela: sono passati circa sei mesi dagli avvenimenti di Blackwell Legacy, e la nostra sarà invischiata in una vicenda che richiamerà in causa alcuni dei personaggi con cui la zia Lauren ha avuto a che fare in passato. Senza entrare troppo nei meandri della vicenda, questo terzo capitolo si concentrerà su alcune questioni irrisolte del secondo episodio, senza proporre particolari novità né dal punto di vista del gameplay che della narrazione vera e propria. Se la gestione dell’inventario è pressoché immutata dal secondo capitolo, infatti, la sensazione è che questa particolare avventura vada a confermare quanto di buono proposto dalle meccaniche dei due precedenti capitoli; l’interazione tra i personaggi, il continuo utilizzo di internet (evoluzione dell'elenco telefonico visto nel secondo episodio) per scoprire informazioni e nuove location, cosi come il sistema di indizi da raccogliere (in cui manca inspiegabilmente la possibilità di combinare gli indizi), verranno riproposti senza aggiunte, e difatti non sembra essere una scelta malvagia. Va sottolineato, in ogni caso, il carisma e la caratterizzazione di alcuni personaggi: al di là di Rosa e Joy, infatti, il ruolo del cattivo di turno verrà rappresentato in forma prima netta e inequivocabile, per poi diventare sfuggente e addirittura indecifrabile. In questa particolare serie di avventure grafiche, d’altronde, giudicare dalle mere apparenze e prime impressioni porterà spesso a conclusioni errate, e questo episodio sostanzialmente è forse quello che meglio interpreta questo concetto. Da segnalare, infine, un certo salto qualitativo nella grafica, che spesso indugerà nella rappresentazione di pioggia e effetti atmosferici, nonché di una rinnovata presentazione dei titoli di testa e soprattutto di coda: anche da questi particolari, peraltro, si nota una crescita di tutto il team di sviluppo guidato da Dave Gilbert.
    Il terzo capitolo della serie per certi versi chiude un certo ciclo narrativo, caratterizzato da una figura negativa tutto sommato dominante, e allo stesso tempo lascia aperti interrogativi importanti. Protagonista di Blackwell Deception, quarto episodio della serie, è nuovamente la coppia Joey-Rosa: quest’ultima, divenuta ormai a tutti gli effetti medium e scrittrice di libri incentrati sulle proprie storie, dovrà indagare su una serie di morti misteriose che, come da tradizione della saga, sembrano avere un punto in comune. Rispetto ai precedenti capitoli, dal punto di vista del gameplay, si segnala una sola novità: le due azioni che in passato Joey effettuava autonomamente, ovvero soffiare su oggetti e persone e adoperare la propria cravatta, strumento attraverso il quale gli spiriti possono compiere il proprio viaggio verso l’aldilà, ora saranno disponibili in ogni momento, azionabili direttamente dal giocatore. Con l’avvicinarsi del finale della serie, al di là delle dinamiche di gioco, la narrazione assume uno spessore ancora superiore: è possibile dire che, a esclusione dell’episodio finale, questo capitolo proporrà probabilmente la storia meglio strutturata e avvincente, con un finale emozionante e che lascia aperti i giusti interrogativi. Il dipanarsi di una storia sostanzialmente più lunga di quelle viste nei capitoli precedenti, e con una difficoltà forse leggermente più alta, ma comunque per nulla impossibile, regala un’avventura di spessore unico. Si può notare, in questo senso, un certo salto di qualità anche dal punto di vista della pura e semplice narrativa, con un climax crescente che si avvale anche di continui riferimenti ai personaggi e alle situazioni dei titoli passati.
    Partiamo con una certezza: il quinto e ultimo capitolo della serie è il migliore per tanti motivi. Il primo, più evidente ma non per questo scontato, consiste nel fatto che Gilbert ha saputo in qualche modo chiudere degnamente le varie linee narrative aperte nel corso della storia. Rosa e Joey, infatti, avranno a che fare con un’entità misteriosa che riesce letteralmente a spezzare in due le anime perse di New York: per cercare di sventare questa ennesima minaccia, la coppia dovrà affrontare una sfida decisamente più ostica delle precedenti. Dal punto di vista del gameplay, anche qui le novità non sono molte: l’unica aggiunta è rappresentata infatti dalla possibilità di richiamare Joey e Rosa nel momento in cui uno dei due personaggi si trova in una schermata differente. Per il resto, si nota un certo dinamismo maggiore proprio nell’utilizzo dei due personaggi: la capacità di Joey di passare attraverso porte e muri tornerà utile più volte, mentre solo Rosa potrà utilizzare gli oggetti sparsi per i vari ambienti. Da notare che proprio le locazioni, in questo ultimo capitolo, saranno presenti in quantità maggiore rispetto al passato; per il resto, almeno per quanto riguarda la dinamiche di gioco, tutte le meccaniche di indagine e raccolta delle informazioni viste in precedenza vengono riconfermate, andando a costituire la consueta solida esperienza di gioco.
    Non sarà il gameplay, in ogni caso, l’elemento che farà si che Blackwell Epiphany rimanga nelle menti dei giocatori, ma bensì l’ottimo lavoro di scrittura della trama, capace di disegnare scene e situazioni fortemente drammatiche e toccanti. La tentazione di descrivere almeno uno di questi episodi è forte, ma comprendiamo che spoilerare non sia di nessun aiuto: diciamo solo che far rendere conto a un’anima persa di non essere più parte del mondo dei vivi sarà un qualcosa di intenso, ed estremamente coinvolgente. Alcune scene di Blackwell Epiphany, specie verso il finale, valgono l’intero prezzo del bundle della serie, e innalzano questa piccola produzione fin sulla vetta dell’eccellenza delle avventure grafiche recenti.

    ”There’s girl in New York City, who calls herself the human trampoline”
    Al di là delle semplici considerazioni sui vari capitoli della saga, è giusto cercare di tracciare delle brevi linee generali che accomunano i cinque episodi creati da Dave Gilbert. Partiamo dalla longevità: ogni capitolo, a grandi linee, avrà una longevità tutto sommato breve, visto che i giocatori non impiegheranno più di due, tre ore per venire a capo delle vicende. Come anticipato precedentemente, però, e così come visto in altri titoli sviluppati internamente allo studio newyorchese, come The Shivah, nonostante la breve durata l’esperienza di gioco la serie Blackwell propone un gameplay sempre molto solido e con una propria personalità. Niente complicati enigmi dalla logica troppo fantasiosa, dunque: Rosangela e Joey, difatti, dovranno agire sempre in modo abbastanza plausibile, pur considerando le tematiche trattate. Sarà molto importante ragionare su tutte le informazioni raccolte, e usare i pochi oggetti a propria disposizione nell’inventario al momento opportuno. L’unico pericolo di rimanere fermi nel prosieguo della storia, difatti, dipenderà dalla scarsa o incompleta comprensione delle situazioni e degli indizi raccolti: una volta capito il da farsi, interagire con i personaggi attraverso i dialoghi si rivelerà un’attività relativamente semplice; tutto ciò farà si che il giocatore si concentri sui personaggi e sulla trama: un fatto, questo, che in un gioco che spesso parlerà di persone morte, a volte vicine alla disperazione, ma che allo stesso tempo non disdegnerà mai la presenza di brevi momenti più leggeri, non può che rivelarsi positivo. Un altro elemento distintivo della serie è l’attenzione, o più presumibilmente l’affetto che Gilbert ha riservato alla maggioranza dei personaggi. Tralasciando il trattamento indirizzato ai protagonisti principali, siano essi i “buoni” o i “cattivi”, quello che sorprende in positivo sono i piccoli richiami alle figure secondarie e meno rilevanti, che in questo modo troveranno posto nella memoria del giocatore; i più attenti, inoltre, noteranno con certezza come le storie della famiglia Blackwell si intreccino con i luoghi e i personaggi di altre avventure Wadjet Eye Games: si tratta di riferimenti a volte sfumati o solo accennati, oppure spesso svelati dagli stessi sviluppatori, visto che le varie avventure potranno essere giocate col supporto del loro commento.
    Un altro elemento di spessore, se si vuole meno importante di quelli citati precedentemente, ma che dimostra ancora una volta la bontà di questa serie, è l’identificazione delle storie e dei personaggi con la città di New York. Le avventure grafiche Blackwell, in buon sostanza, sono le avventure grafiche di New York: la Grande Mela rivive nelle ambientazioni, nella musiche, nelle frasi dette dai protagonisti, e persino nella presenza di due personaggi realmente esistiti e facenti parte della cultura newyorchese come il giornalista Joseph Mitchell e lo scrittore Joe Gould, che appariranno in alcuni episodi.
    Da notare, infine, come nella visione complessiva della serie emerga chiaramente la maturazione della scrittura e della narrazione, elemento che si esemplifica in modo palese nella dinamica dei finali dei cinque giochi; se il primo capitolo dunque ha il compito di presentare i personaggi, già il secondo introduce il bellissimo personaggio di Lauren: è proprio questa iterazione della serie, da un punto di vista della trama complessiva, a risultare forse una delle più importanti, perché getta le basi per molte delle vicende che verranno concluse in Blackwell Epiphany.
    Ci sarebbe ancora molto da dire, e molto da spiegare di questa piccola serie che conferma ancora una volta come le avventure grafiche siano vive e vitali: se sembra superfluo indugiare sull’aspetto grafico ormai tipico della avventure Wadjet Eye Games, basato su Adventure Game Studio, è invece d’obbligo sottolineare il grande lavoro svolto dai doppiatori. Tra tutti, si distinguono Abe Goldfarb (Joey), Rebecca Whittaker (Rosa), e Dani Marco (Lauren): sono loro, in ultima analisi, ad aver trasmesso esattamente quello che lo script creato da Gilbert aveva ipotizzato sulla carta. 

mercoledì 14 maggio 2014

The Last Tinke:City Of Colors


  • Piattaforme:PC
  • Genere:Action-Adventure
  • Data uscita:12 maggio 2014
  • Download gia Disponibile:  Download


    Se prendiamo come riferimento gli episodi tridimensionali di The Legend of Zelda, gli action adventure non sono poi così diffusi sul mercato. Di tanto in tanto ti capita il Darksiders di turno, produzioni di ottimo livello, che comunque non riescono a darti il feel del franchise Nintendo, né la sua profondità. Probabilmente va bene così, in quanto è giusto che ciascun prodotto cerchi una propria identità prescindendo dal genere di appartenenza.
    Questo The Last Tinker può essere visto come “il Darksiders di turno”, ma anche come qualcosa di diverso. E’ un action adventure, ci sono tanti puzzle eccetera eccetera. Ma tra tutti gli elementi che compongono la produzione uno spicca sugli altri e si fa notare con prepotenza: è il profondo amore dello sviluppatore per una ormai defunta Rare.
    Non si parla di aziende che possono continuare a esistere o meno, ma di un modo di fare videogiochi che purtroppo è morto con l’unica console a 64bit che sia mai arrivata sul mercato. Se avete giocato a Banjo-Kazooie, o ad altri prodotti Rare dello stesso periodo capirete immediatamente di cosa si sta parlando.
    The Last Tinker è un adventure nudo e crudo, imperfetto, breve, onesto, diretto. Non ha un battle system profondo come quello di un qualsiasi Zelda, né un endgame di alcun genere, né quest secondarie da scegliere se seguire o meno. The Last Tinker è in potenza lo Spyro the Dragon di questa generazione, un gioco semplice e accessibile, fruibile da un adulto come da un bambino, il Kirby del mercato indipendente.
    Tutti gli elementi del gioco portano alla mente un cartone animato, a partire dalla deliziosa veste grafica, ispirata e coloratissima, ma anche impressionante se consideriamo che è realizzata interamente con il motore grafico Unity.
    Il nostro personaggio è un abitante di Colortown, una città dove ad una periferia serena si contrappone un centro fatto di rivalità, ghetti e razzismo. La storia racconta delle tre razze esistenti, i Rossi (che rappresentano rabbia o coraggio), i Verdi (paura o curiosità), i Blu (tristezza o saggezza). La coesione fra le tre razze va a scardinarsi nel momento in cui qualcuno cerca di stabilire quale sia quella superiore, cosa che scatena inimicizie e una forte rivalità interna a Colortown. Essendo un Tinker, il nostro personaggio non fa parte di nessuna di queste categorie.
    I problemi reali sorgono nel momento in cui la Monocromia comincia a dilagare per le strade della città, paralizzandone gli abitanti e scatenando il panico. Ovviamente saremo noi, prodi scimmie con velleità pugilistiche (sì, saremo una scimmia, e anche terribilmente brutta) a dover salvare la situazione, andando a recuperare gli spiriti dei tre colori principali per acquisire le forze necessarie a combattere il nemico.
    Il gioco ha una struttura molto lineare, lontana dalle impostazioni open world che vanno tanto forte di questi tempi. Non che non ci si possa muovere in giro, ma semplicemente non ce n’é motivo: il gioco è quasi del tutto sprovvisto di quest secondarie, e oltre all’avventura principale esistono solo tre ulteriori attività pensate per chi volesse completare il gioco al 100%. Nulla di troppo stimolante né interessante.
    Nella stragrande maggioranza dei casi ci limiteremo dunque a seguire il dipanarsi della storia, andando dove ci viene richiesto e risolvendo le missioni che di volta in volta ci verranno affidate.
    Qualora non sapessimo dove andare, una semplice pressione di un tasto porterà il nostro indie-Navi a indicarci la via, in maniera molto simile a quanto avviene in Bioshock. Nessuna possibilità di perdersi dunque, e direttive della missione bene indicate in alto a sinistra sullo schermo. Tutto molto facile, tutto molto accessibile, con un’esplorazione semplificata dove si è scelto di eliminare il tasto adibito al salto, permettendoci di correre in giro con la stessa agilità di un Ezio Auditore o chi per lui, saltando con agilità su superfici minuscole, e arrampicandoci un po’ ovunque. Visivamente è tutto molto piacevole, con alcuni momenti che sanno più di Mirror’s Edge che di altro. Ciò significa anche che non esiste una reale componente platform nella produzione, in quanto ciascuna acrobazia avverrà in maniera del tutto automatica, e l’unica richiesta che potrà essere fatta al giocatore sarà il tempismo nell’azione.
    L’esplorazione è di per sé piacevole, con ambienti disseminati di enigmi forse non troppo originali, ma comunque gradevoli e spesso gratificanti al momento della risoluzione. Proprio i puzzle ruoteranno spesso intorno alle abilità che di volta in volta apprenderemo da parte dei vari spiriti. Potremo ad esempio colpire a distanza con Rosso, fermare il tempo per qualche istante con Verde, creare uno scudo contro la Monocromia con Blu e raggiungere aree altrimenti inaccessibili. Fin qui nulla di troppo stimolante. 
    Più divertente è invece giocare con Biggs e Bomber, due NPC assolutamente esilaranti che spesso e volentieri ci porteremo a spasso nelle nostre avventure. Biggs è una sorta di fungo troppo cresciuto, un gigante decisamente instabile e non troppo furbo che ti aspetti si metta a urlare “Hodor” da un momento all’altro. Bomber è la versione ridotta di Biggs, altrettanto esilarante ma molto più isterico e incline alle esplosioni. Potremo manipolare sia Biggs che Bomber in relazione all’ambiente circostante, impartendo semplici comandi e causando effetti particolari in base alle abilità che useremo sugli stessi. Ad esempio potremo aggrapparci al gigante Biggs e travolgere tutto ciò che si para sul nostro cammino (pareti incluse), ordinargli di saltare sul posto per attivare degli switch o fargli piantare dei semi per annullare temporaneamente la monocromia. Dal canto suo Bomber potrà essere afferrato e portato in giro, rilasciato per andare a esplodere da qualche parte e via dicendo. Gli enigmi non sono mai difficili, ma li definiremmo invece intriganti. La loro risoluzione sa gratificare, l’uso dei due personaggi è ingegnoso, e la varietà che si ottiene nel corso dell’avventura è convincente.
    L’elemento meno riuscito della produzione è senza ombra di dubbio il battle system. Nel gioco combatteremo a mani nude, con un sistema di lock vagamente ripreso da quello della serie Batman Arkham, dove basterà voltarsi verso uno degli avversari perché il nostro personaggio lo raggiunga e colpisca quando presseremo il pulsante. Peccato che al di là del lock on, tale sistema non abbia neanche da lontano la stessa profondità di quanto elaborato da Rocksteady. Fondamentalmente potremo colpire, concatenare attacchi e schivare. Le abilità che apprenderemo dai vari spiriti potranno essere utilizzate in battaglia, ma considerata la scarsa longevità del titolo le cose si faranno accettabili solo sul finale. Se dunque un colpo Verde metterà in fuga gli avversari e un colpo Blu li stordirà, per la maggior parte del tempo ci ritroveremo comunque a menare cazzotti come degli ossessi senza un reale tatticismo. Aumentare il livello di difficoltà del gioco (selezionabile in qualsiasi momento) può aiutare da questo punto di vista, ma si tratta in fondo solo di un palliativo per un sistema su cui si sarebbe dovuto puntare di più. Inoltre non c’è moltissima varietà all’interno del bestiario, e parlando di boss se ne incontreranno appena due tipi, uno dei quali molto banale. Una maggior cura sul comparto bellico e sull’evoluzione delle proprie abilità (è previsto un sistema di upgrade, ma è deludente e poco approfondito) sarebbe stata molto più che gradita.

lunedì 12 maggio 2014

Warlock 2:The Exiled


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Paradox Interactive

  • Data uscita:10 aprile 2014

     

     

    Esattamente due anni fa, un piccolo strategico a turni prodotto ed edito da Paradox ci stupì in maniera sorprendentemente positiva. Warlock: Master of the Arcane fu all'epoca capace di convincere molti, appassionati e non del genere, in cerca di qualcosa di diverso dal solito Civilization.
    Oggi parliamo del seguito Warlock 2: The Exiled sviluppato dal medesimo studio russo Ino-Co Plus il quale può vantare come curriculum l'aver curato Majesty 2. È disponibile ormai da diversi giorni su Steam e tutti gli altri principali canali di digital delivery al prezzo di 30 € nell'edizione standard e a 40 € o 50 € in due diverse edizioni arricchite di contenuti aggiuntivi, oggetti in-game e non solo come soundtrack o artbook, i quali - in tutta franchezza - rappresentano l'opposto dell'imperdibilità.
    Per chiunque non abbia mai avuto a che fare con il primo Warlock, vi basti sapere che anche in questo caso si ha a che fare con un brillante e non eccessivamente complicato strategico a turni dall'ambientazione fantasy, basato su griglie esagonali.
    Andando subito al sodo, si nota che le differenze rispetto all'opera precedente sono decisamente poche. Oltre a qualche piccolo fino aggiornamento di qualche particolare le novità principali sono sostanzialmente due: la modalità Exiled e l'editor di mappe.
    La prima, assimilabile a una sorta di campagna, porta in dote una nuova linfa in seno all'esperienza ludica, incentivando fortemente l'esplorazione poiché ogni giocatore partirà dal proprio piccolo mondo e dovrà, seguendo gli obiettivi delle quest via via proposte, scovare i portali per espandersi sugli altri mondi, sconfiggendo incredibili orde di mostri sempre più potenti. Purtroppo, le dimensioni ridicole dei mondi di questa modalità rendono inutili tutte le unità navali, e talvolta si incappa in mondi che sarebbe stato opportuno incontrare in momenti successivi, generando una grande sensazione di frustrazione e impotenza.
    L'editor, una delle poche gravi mancanze del primo capitolo, è un'aggiunta assai gradita. Encomiabile il lavoro svolto dagli sviluppatori che per mezzo di un interfaccia semplice e intuitiva hanno reso possibile la creazione di nuove mappe in pochi minuti senza dover perdere tempo con tool, tutorial o strumenti complicati e astrusi. Inoltre, grazie al supporto dello Steam Workshop, è persino comodo cercarne di nuove. Si può pure tranquillamente importare qualche mod che modifica il bilanciamento e gli equilibri complessivi, rendendo piacevole sperimentare gli esiti di questi ultimi.
    Le altre piccole novità sono comunque molto apprezzate, tra le quali si annovera una gestione del sistema di ricerca degli incantesimi e relativi raggruppamenti ora del tutto assimilabile a un tradizionale albero tecnologico, il limite di sole cinque città gestibili a tutti gli effetti senza incorrere in penalità e il limite al numero di upgrade disponibili per le proprie unità.
    L'ossatura principale è ancora la modalità Sandbox la quale rimane tutt'ora la più divertente. Lo scopo è quello di sconfiggere gli altri grandi maghi e le loro nazioni sfruttando le diverse condizioni di vittoria, personalizzabili ad inizio partita al tempo stesso scegliendo o creando il proprio personaggio, i relativi tratti che lo caratterizzano, difficoltà, dimensione e tipo del mondo su cui si protrarrà la partita. 
    La gestione del proprio regno è fortemente incentrata sull'aspetto militare: si può vincere in altra maniera ma non si può comunque puntare alla creazione e gestione di un esercito di un certo livello anche solo per sopravvivere. Questo perché pure in questo secondo episodio un numero inaudito, anch'esso personalizzabile ad inizio partita per fortuna, di mostri o creature varie come lupi mannari, vampiri, ciclopi, draghi volanti o tartarughe giganti siano lì appositamente per infastidire sia noi che i nostri avversari. Sono loro i veri nemici. Peccato anche per la scarsa attenzione posta nella diplomazia e un comportamento delle fazioni avversario generalmente sin troppo cauto e pacifico nei nostri confronti specialmente ai livelli di difficoltà più bassi.
    Per quel che riguarda l'aspetto tecnico, Warlock 2: The Exiled scivola clamorosamente. Purtroppo non si riesce proprio a chiudere un occhio di fronte al clamoroso riciclo di asset che ha avuto luogo. Se non fosse per qualche nuovo tipo di mondo, qualche bestia e qualche incantesimo in più, si potrebbe tranquillamente affermare che il primo gioco sia stato riproposto senza alterazioni. Le texture, le animazioni, gli effetti e i modelli poligonali sono stati reimpiegati senza nessun upgrade, così come l'interfaccia che non ha visto sostanziali modifiche. Persino il comparto audio è stato interamente riciclato.
    L'IA non brilla sempre per abilità: talvolta commette cocciutamente sciocchi errori mentre altre volte si rivela piuttosto sapiente nel gestire le proprie unità.
    Nonostante sia passato diverso tempo dal lancio del gioco abbiamo incontrato qualche raro ma fastidioso bug come crash improvvisi o salvataggi che sparivano temporaneamente. Apprezzabile, infine l'implentazione degli Achievement di Steam.

Chronology


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Puzzle game

  • Sviluppatore:Osao Games

  • Data uscita:12 maggio 2014

     

     

    Chi si interessa al gaming indipendente avrà certamente avuto modo di giocare a due titoli più o meno sconosciuti alle masse. Parliamo di Braid e di Giana Sisters - Twisted Dreams, produzioni di altissimo livello e, per un motivo o per un altro, brillanti. In Braid avevamo modo di giocare con lo scorrere del tempo per risolvere puzzle anche molto complessi. In Giana Sisters potevamo invece cambiare al volo uno dei due personaggi utilizzabili, osservando le cose sotto una diversa prospettiva, e di conseguenza avendo a che fare con elementi diversi all'interno del livello. 
    Chronology mette insieme queste due idee e crea un mix di alta qualità con ingegno e stile. 
    Chronology è un puzzle game, e purtroppo è anche un gioco breve. Diciamo purtroppo perché è un titolo divertente, e dispiace doversene separare dopo quelle tre ore o poco più necessarie per completarlo. 
    La nostra avventura si divide in sette livelli principali, con uno finale dove la tipologia di gioco passa dal puzzle al platform più puro. Ciascun livello ha una durata variabile, dipendente dalla rapidità con cui saprete risolvere i vari enigmi. 
    Impersoneremo un non meglio definito inventore, e una lumaca creata in laboratorio e opportunamente meccanizzata. In qualsiasi momento potremo passare da un personaggio all'altro tramite la pressione di un tasto, al fine di sfruttare le abilità specifiche dei due improbabili compagni di viaggio. 
    Proprio qui entra in gioco il titolo di questo prodotto, data la capacità dell'inventore di muoversi avanti e indietro nel tempo grazie ad un particolare orologio. Se dunque ci sarà un "prima" caratterizzato da benessere, luminosità e una società ancora viva, il "dopo" sarà l'esatto opposto, con la vegetazione a farsi strada dove una volta erano città, rovine metalliche di ogni sorta, e vecchietti opportunamente azzoppati. 
    L'inventore potrà cambiare epoca in qualsiasi momento, trasportando con sé oggetti e spostandoli da un periodo all'altro. Ciò sarà necessario per risolvere gli enigmi che incontreremo nel nostro cammino, permettendoci di osservare le differenze ambientali tra i diversi momenti storici, e cercando di capire in che modo affrontare gli ostacoli. 
    A darci una mano avremo inoltre la nostra fida lumaca chiamata Lumaca. Potremo utilizzare questo personaggio in qualunque momento premendo uno dei tasti dorsali: non potremo più saltare, ma potremo camminare in verticale o a testa in giù, se le superfici saranno lisce. La lumaca avrà inoltre la possibilità di fermare il tempo, immobilizzando le scene a nostro piacimento, e dandoci inoltre la possibilità di tornare all'inventore senza che nulla ritorni al suo naturale trascorrere. 
    Proprio l'inventore potrà inoltre richiamare la lumaca alla semplice pressione di un tasto, e farla apparire accanto a sé, magari per salirle sul guscio e sfruttarne l'altezza. 
    La curva della difficoltà del gioco è ben bilanciata, molto graduale, con un inizio che fa da semplice tutorial spiegandoci le meccaniche di base. Proseguendo le cose si faranno più dure, ma mai troppo complicate. Nella nostra prova siamo rimasti bloccati un'unica volta, per circa venti minuti. Per il resto l'avventura è filata via liscia, in modo semplicistico prima, in maniera stimolante dopo, con una serie di puzzle forse non difficili, ma comunque intelligenti e gratificanti al momento della risoluzione. Nessun veterano di puzzle game o avventure grafiche dovrebbe avere problemi con questo Chronology, mentre gli altri lo troveranno certo stimolante.
    Durante le nostre sessioni di gioco abbiamo incontrato un numero non indifferente di bug, prontamente segnalati allo sviluppatore, con la promessa che sarebbero stati tutti risolti prima della release.
    Il comparto estetico del gioco convince, semplice eppure molto ispirato. I colori sono tenui, quasi fossero lievi pennellate su una tela che sa di cartone animato e ricorda da vicino l’infanzia. Non chiedeteci perché, ma in qualche modo lo stile grafico ci ha riportato alla mente i lavori di Tim Schafer, in particolare Costume Quest. Probabilmente è l’aria che si respira, la voce volutamente infantile della lumaca, l’inventore che di fatto incarna lo stereotipo dell’inventore. Tutto è molto gradevole, placido diremmo.
    Le animazioni sono un po’ altalenanti: quando si tratta di muovere il personaggio principale ogni cosa è molto fluida, ed è chiaro che siano stati sviluppati numerosi frame di animazione. Tuttavia abbiamo notato qualche problema nella fisica degli impatti, con movimenti che risultano legnosi in salto, un contatto con le superfici che non ci ha convinto, e una maniera di cadere dell’inventore che appare innaturale. Buoni i movimenti della lumaca, ma in questo caso abbiamo riscontrato dei difetti di compenetrazione poligonale nel caso di vicinanza a determinate strutture, e problemi di sovrapposizione qualora l’inventore vada a poggiare un oggetto addosso o vicino alla lumaca stessa.
    In nessun caso si tratta di elementi troppo fastidiosi, ma di certo con qualche settimana in più si sarebbe potuta raggiungere una migliore rifinitura del prodotto.
    Buona l’ottimizzazione dal punto di vista hardware, senza problemi di sorta, anche in virtù di una risoluzione che - purtroppo - non può essere modificata. 
    L’audio è di livello accettabile, con tracce molto piacevoli da ascoltare, ma doppiaggi non altrettanto buoni. Purtroppo dobbiamo segnalare come nella traduzione italiana (solo sottotitoli) si perdano un certo numero di sfumature del parlato utili a risolvere determinati enigmi. Non una mancanza dei traduttori in ogni caso, è stato fatto un buon lavoro.

venerdì 9 maggio 2014

Bound By Flame


  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Spiders

  • Data uscita:9 maggio 2014

     

     

    CD Projekt e From Software, rispettivamente con The Witcher e la saga Souls, hanno letteralmente fatto impazzire gli amanti dei giochi di ruolo e non ci è voluto molto prima di vedere spuntare come funghi progetti che ne ricalcassero le orme, pronti ad attirare qualsiasi appassionato non ancora sazio di demoni, mostri e armi incantate. Il futuro per i fan è sicuramente roseo e all'orizzonte si stagliano una moltitudine di titoli interessanti, tra cui si annoverano i seguiti delle due serie sopracitate e ovviamente quel Dragon Age Inquisition del quale ancora oggi si sa veramente pochissimo. Come un'ombra che si muove lesta tra i titoloni tripla A spunta anche Bound by Flame, gioco preso in esame proprio in questa recensione. Dopo aver sviscerato la produzione fino al midollo, siamo pronti a dirvi se è meritevole di attenzione o se invece potete tranquillamente lasciarla bruciare tra le fiamme infernali.
    In Bound By Flame impersonerete Vulcan, un mercenario al soldo delle Lame Franche dedito a difendere il mondo di Vertiel dall'invasione di un esercito di non morti, capeggiato dai sette potenti necromanti del ghiaccio. Durante un mistico rituale ad opera degli Scribi Rossi però qualcosa va storto e un'esplosione ci travolge, facendoci perdere i sensi e cambiandoci profondamente.
    Un demone si impossessa infatti del nostro eroe fornendogli una doppia personalità, fattore che durante tutta la narrazione svolgerà un ruolo importantissimo, permettendo al giocatore di compiere scelte morali differenti che andranno ad influenzare direttamente storia e psiche del nostro alter ego. Sono scelte piuttosto nette, senza sfumature, ma che ci hanno comunque soddisfatto, se non altro per la trasformazione di Vulcan che, lentamente e assecondando i voleri del demone, cambierà non solo il modo di approcciarsi ai personaggi secondari ma anche estetica, con corna che sfonderanno l'elmo e fiamme che lacereranno pelle e armatura per donargli un aspetto malvagio. Promosso quindi a pieni voti il lavoro svolto sul protagonista, indubbiamente almeno un paio di scalini sopra rispetto a tutti i congregari. Privi di carisma, banalotti e stereotipati al massimo, gli npc con cui entreremo in contatto non lasceranno nulla in termini di emotività, essendo mere caricature di eroi visti già altre decine di volte. Non mancano infatti l'elfo arciere, la misteriosa maga oscura o l'umana guaritrice, per un pieno di cliché di cui avremmo fatto volentieri a meno.
    Poco importa quindi se potremo arruolare ognuno di questi sedicenti eroi e trascinarlo con noi in battaglia, la loro intelligenza, esattamente come quella dei nemici, non brilla e anche le azioni più basilari come cure e attacchi diverranno lente e macchinose, praticamente inutili in un contesto frenetico come quello di Bound of Flame.

    Sguainiamo le lame, ancora una volta
    Il combat system mischia elementi puramente action, con un tasto dedicato ai colpi veloci ed uno ai colpi potenti e caricati da inanellare in sequenza, e la tattica vista in Dark Souls, dove sbagliare i tempi di una schivata o di una parata potrebbe significare andare a perdere più di metà vita, anche contro le truppe basilari dei non morti. Menare fendenti diverte però solo fino a un certo punto, poiché la totale assenza di una fisica curata per gli impatti non riesce a trasmettere quel feeling necessario ad innamorarsi dei combattimenti. Ad aggravare il tutto purtroppo ci si mette di mezzo uno sbilanciamento pauroso della classe del guerriero, che potrà, semplicemente rimanendo immobile con la guardia alzata, divenire praticamente immune a tutti i colpi leggeri e a distanza che gli arriveranno contro. Colpite una sola volta tutti i nemici, così da prendere l'aggro, e poi lasciate che il vostro compagno di squadra faccia il resto, per una meccanica noiosa e ripetitiva ai massimi livelli.
    Solo i nemici più grossi e caparbi potrebbero mettervi in difficoltà, ma la possibilità di effettuare brevi schivate dovrebbe togliervi da ogni empasse. Noi abbiamo giocato in modalità bufalo, la terza delle quattro disponibili e i problemi maggiori derivavano purtroppo da animazioni dei nemici completamente errate, con arcieri capaci di coglierci alla sprovvista scagliando salve di frecce dandoci la schiena o boss dotati di combo imparabili che continuavano a martellarci anche una volta a terra senza lasciarci alcuna possibilità di reazione, rendendo particolarmente frustranti gli scontri.
    Purtroppo non va meglio optando per una delle altre due classi disponibili: una sorta di assassino dotato di pugnali e basato sulle kill silenziose e il piromante, mago del fuoco capace di infondere fiamme nelle lame, scagliare palle incendiarie o proteggersi con armature ardenti. Non esistono statistiche di sorta da potenziare, ma ad ogni passaggio di livello si potranno assegnare punti speciali sui tre diversi rami di talenti per creare una build adatta al proprio stile di gioco, per un'evoluzione globale soddisfacente anche se non particolarmente ricercata o varia.Ad aggiungere un po' di sale al tutto ci si mette un sistema di crafting estremamente basilare, dove piuttosto che creare armi e armature nuove sarà possibile potenziare quelle lasciate cadere dai nemici, aumentandone danno, resistenze o effetti elementali. Pozioni, trappole e dardi saranno le altre opzioni fruibili, davvero troppo poco per non considerare questa feature un mero elemento di contorno, lontanissimo dalla profondità vista nei concorrenti diretti. È una semplicità che si riflette anche sulla mappa di gioco, solitamente caratterizzata da un hub principale dove raccogliere quest primarie e secondarie per poi esplodere in aree estremamente lineari e guidate che accompagneranno Vulcan passo passo verso il combattimento finale. Le venti ore scarse necessarie per portare a compimento il titolo scivoleranno via piuttosto velocemente una volta padroneggiate le meccaniche e l'unica cosa che probabilmente vi spingerà a proseguire sarà proprio l'evoluzione del vostro personaggio, solo elemento davvero valido in un gioco che purtroppo, non convince sotto molti altri aspetti.

    Anche il comparto tecnico è pesantemente altalenante, e sia nella sua versione PC che in quella next gen emerge una modellazione poligonale davvero scarsa, texture non eccelse e animazioni piuttosto raffazzonate e spesso scollegate tra loro, soprattutto durante la corsa, scattosa ed eccessivamente accelerata. Si salva invece l'equipaggiamento, ricercato nel design ma mai esagerato, con armature e armi realistiche di buona fattura. 

The Amazing Spider-Man 2

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Wii U, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Beenox

  • Data uscita:02 maggio 2014 - TBA (Xbox One)

     

     

    Ci sono fondamentalmente due categorie di persone che giocheranno a The Amazing Spider Man 2: quelli come me che lo devono fare forzatamente per lavoro e gli amanti dello spararagnatele di quartiere, magari di giovane età, spinti all'acquisto impulsivo dopo aver visto l'omonimo film uscito di recente nelle sale. L'ultimo lavoro Beenox però non nasconde sorprese e si ripresenta con quella formula classica che solo due anni fa era riuscita a fargli ottenere un voto discreto su queste pagine. I tempi però cambiano e se è vero che nel 2012 il titolo era uscito su console di potenza decisamente inferiore è altresì vero che nell'ultimo periodo abbiamo visto titoli freeroaming di ben altro calibro, alzando conseguentemente i parametri di paragone.

    Mettiamo subito in chiaro le cose, The Amazing Spider Man 2 con il film centra veramente poco, riprendendo invece la linea narrativa interrotta con il precedente capitolo videoludico. La storia è quindi originale e vede il novello Peter Parker nuovamente alle prese con la Oscorp corporation, con gli ibridi e con un giro misterioso di affari della malavita russa, in poche parole un gran calderone di cattivoni con cui fare a botte.
    Ci troveremo così in una Manhattan invasa dal crimine dove i giustizieri, proprio come il nostro Spidey, non sono visti di buon occhio ma anzi cacciati dalle forze militari messe in campo dalla stessa Oscorp. L'insulsa, piatta e terribilmente vuota città diverrà il nostro playground, con decine e decine di missioni secondarie da completare. Saranno proprio queste infatti ad allungare la longevità di una produzione che se dovesse reggersi solo sulle gambe della storyline principale non andrebbe sicuramente oltre le quattro/cinque ore di gioco.
    Il problema più grande di questo sistema messo in piedi da Beenox è che le missioni principali, purtroppo, non differiranno poi molto da quelle secondarie ed ecco quindi che dopo aver preso a calci pugni un manipolo di insensati e folli criminali, ci troveremo nuovamente a dover picchiare selvaggiamente e nelle stesse situazioni i medesimi nemici per sbloccare tutti gli obiettivi.
    Solitamente nei giochi open world, anche negli stessi Batman con cui questo The Amazing Spider Man cerca in tutti i modi di confrontarsi, la storia principale porta a vivere esperienze uniche, a giocare situazioni altrimenti introvabili nella normale area di gioco, cosa che invece in questo caso non accade.
    Certamente ci sono gli scontri di fine capitolo a portare un po' di varietà ma anche in quel caso oltre a dover schiacciare come forsennati il tasto dell'attacco bisognerà fare davvero poco altro, riducendo i boss a semplici nemici potenziati. Mancano combattimenti epici che possano rimanere impressi nella mente del giocatore e anche la storia, banale e scontata, non riesce a fare da traino per rendere il tutto più interessante. In poche parole la monotonia e la prevedibilità la fanno da padrone.
    Freeflow, freeflow in ogni dove. The Amazing Spider Man 2 riprende lo stesso, identico, sistema di controllo visto nel precedente capitolo e già visto nella serie Arkham, snellendolo tuttavia di alcune tech e presentandone solo l'ossatura. Con questa mossa Beenox trasforma un sistema di combattimento semplice ma funzionale in un mero button smashing dove premere furiosamente il tasto d'attacco offre semplicemente più vantaggi che cercare di inanellare combo o compiere mosse spettacolari utilizzando anche le prese e i colpi con le ragnatele. Ecco allora che i sensi di ragno diverranno utili esclusivamente per effettuare le schivate al momento giusto per poi riprendere a mollare pugni e calci all'infinito. Il comparto delle animazioni è stato riproposto in maniera identica al predecessore e l'avanzamento di livello del nostro super eroe non porta ulteriori combo o elementi di interesse nel combat system appiattendo tutto il gameplay. Compiendo missioni secondarie e uccidendo nemici spiederman otterrà infatti bonus alla resistenza, all'attacco e diversi potenziamenti alle mosse base, superflue comunque nei combattimenti e incapaci di alterarne gli equilibri. Causa di tutto ciò è anche un livello di difficoltà tarato estremamente verso il basso, laddove anche nella sua modalità più ardua morire sarà praticamente impossibile.
    Ecco allora che oltre alla piattezza del sistema di combattimento sopraggiunge la noia per una produzione che davvero non ha imparato nulla dagli errori passati e questo, almeno secondo noi è il suo più grande limite.

    The Amazing Spider Man 2 si propone nella stessa maniera del predecessore non solo in termini di gameplay ma anche esteticamente cosa che, se contiamo il salto generazionale, affossa completamente la produzione. Se già su Xbox 360 e Playstation 3 il comparto tecnico zoppicava vedere una tale qualità su next gen ci fa davvero rabbrividire e se paragoniamo il titolo ai recenti openworld visti su console lo stacco diventa quasi imbarazzante.
    La città, come dicevamo, è guidata da routine del traffico assolutamente non credibili, da passanti inebetiti e quasi ignari della nostra presenza e solo gridolini di eccitazione provenienti dalle strade mentre ci dondoliamo da un palazzo all'altro ci assicurano che sotto di noi ci sia davvero della vita.
    Saltare sparando ragnatele è l'unica cosa veramente piacevole del gioco anche se, e questo è bene sottolinearlo, prendere mano con i controlli non è immediato né tanto meno semplicissimo. La fluidità negli spostamenti la si guadagna solo dopo una mezz'oretta di gioco e nei primi minuti schiantarsi contro i muri o andare a sbattere sulle vetrate sarà naturale, mettendo in mostra animazioni tutt'altro che curate. Si salvano il modello poligonale del protagonista e i suoi costumi, compresi quelli alternativi, e gradevole risulta anche la texturizzazione delle skin, cura purtroppo non profusa sui nemici "standard" presenti nel gioco.
    Chiudiamo come al solito con il doppiaggio, nella media per i giochi del genere e indubbiamente senza picchi di particolare qualità, al quale fa eco una personalizzazione di Spider Man davvero troppo accentuata con battute esageratamente frequenti che alla lunga fanno sembrare il tessi ragnatele molto più vicino a Deadpool di quanto avremmo voluto.