Ethero

mercoledì 25 febbraio 2015

Magic Barrage

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Gameguyz

  • Data uscita:9 Gennaio 2015

     

     

    Reality Squared Games, meglio conosciuta come R2 Games, è un publisher specializzato in MMO free-to-play old style. Genere cui fa sicuramente parte Magic Barrage, sia per la grafica pixellosa, che richiama gli antichi videogiochi 8 bit, sia per il gameplay tutta frenesia e niente fronzoli che lo caratterizza.



    Come i giochi di una volta
    Esattamente come nei più classici arcade shooter, si sceglie uno dei tre personaggi disponibili e si passa immediatamente all'azione. Tre sono le classi subito giocabili gratuitamente e tre anche gli slot disponibili, in modo da poterle provare tutte. Trattasi di guerriero, mago e arciere: mentre ogni classe può spammare indefinitamente l'attacco base, le principali differenze tra esse risiedono negli attacchi speciali contraddistinti da cinque livelli di crescente efficacia, ovvero ciò che rende più intriganti le restanti (priest, ninja, paladin, warlock e assassin) ottenibili livellando una delle tre fino allevel  cap, fissato all'ottanta, oppure acquistabili con soldi veri per poter essere utilizzate sin dal principio.
    La caratteristica fondamentale di Magic Barrage è quella di essere un dungeon crawler decisamente arcade: il sistema di combattimento si basa sullo schivare ondate di colpi muovendo con maestria il proprio alter ego pensando allo stesso tempo a portare a segno i propri: gli spostamenti del personaggio sono infatti controllati via tastiera attraverso il classico WASD, mentre la direzione degli attacchi segue il puntatore del mouse. Coordinare le fasi di schivata e attacco è dunque essenziale come in tutti gli arcade shooter, con la difficoltà che è data sia dal numero di nemici su schermo sia dalla loro pericolosità. Ciò è ovviamente enfatizzato nelle battaglie contro i boss: spesso ci si trova a dover oltrepassare veri e propri muri di fuoco nemico, con la destrezza del giocatore a costituire l'elemento cruciale per riuscire a sopravvivere.
    I dungeon sono popolati da una discreta varietà di nemici con routine di attacco sovente differenti: alcuni puntano su un rateo di fuoco più ampio sia esso in termini spaziali o temporali, altri su colpi inferiori in numero ma decisamente più letali, contrassegnati da maggiore dimensione come vuole il simbolismo del genere.
    In altre parole questo titolo offre un vero e proprio salto indietro nel tempo ai coin-up degli anni '80, non solo in termini grafici ma anche come tipologia di gameplay, seppur non manchino alcuni elementi decisamente più attuali, implementati per dare profondità alla struttura di gioco. Su tutti il fatto di essere prettamente multiplayer, con annesse feature social e numerosi elementi tipici dei giochi di ruolo.

    Dopo un breve tutorial che introduce ai pochi fondamenti si viene difatti catapultati nella città che fa da hub, in cui si può interagire con tutti gli altri personaggi presenti, siano gli altri giocatori del server scelto o gli NPC attraverso cui prendere e consegnare quest, oppure commerciare oggetti. Questi rappresentano il sistema di gioco più espanso, sia per la presenza delle immancabili e utilissime pozze per rigenerare vita e mana sia per i tantissimi pezzi d'equipaggiamento di cui si viene in possesso nel corso delle avventure. Se il loro forte non è certamente la caratterizzazione estetica, che comunque (nei limiti di quanto può offrire lo stile grafico del gioco) non manca, lo è l'elevata differenziazione in armi, armature e accessori di vario genere. A questi è legato altresì il crafting: è infatti  possibile raccogliere diversi tipi di materiali, utili per realizzare oggetti via via più potenti mano a mano che si sale nelle skill relative, e non manca un completo sistema di potenziamento legato alla produzione di gemme. Il tutto ovviamente al fine di potenziare le sette statistiche secondarie del personaggio, con tanto di indice “pro-ism” a indicare la sua complessiva efficacia. Le opportunità per la caratterizzazione insomma non mancano, e oltre agli achievement è presente anche un grado di reputazione che conferisce il titolo nobiliare da cui invece dipendono i bonus per le cinque statistiche principali.
    Parlando infine delle feature social presenziano la chat, con diversi canali tematici, la friend list, la possibilità di unirsi in gilde e pure la presenza della modalità arena PvP per combattere contro altri giocatori.
    È però arrivando a quello che Magic Barrage in definitiva propone che ne emergono i limiti: a quanto sino ad ora descritto per la progressione non corrisponde infatti un impianto ludico altrettanto articolato: se è vero che è discreta la varietà in termini di ambientazioni e architettura dei dungeon, non c'è purtroppo un gran criterio in quello che vi succede una volta che si viene teletrasportati al loro interno. D'accordo che già il titolo, di per sé, lasci intendere che la giocabilità non vuole lasciare respiro, ma la difficoltà spesso si basa esclusivamente sulla confusione presente a schermo, con frotte di mostri e attacchi in arrivo da ogni direzione, con muri e ostacoli a fare da mero orpello e la presenza degli altri giocatori, più che un aiuto aumenta esclusivamente la complessità delle diverse fasi di gioco.
    Senz'altro si ha a che fare con un inferno caotico, e se questo era l'obiettivo degli sviluppatori può senz'altro dirsi raggiunto. Ma probabilmente non voleva essere l'unico come in definitiva è: sarebbe stata auspicabile una maggiore attenzione nell'offrire una giocabilità più ragionata, specie negli scontri coi boss ostici avversari che richiederanno diversi minuti e tanti riflessi per essere eliminati. Questo è aggravato dalla scarso coinvolgimento offerto dalle quest (fanno eccezione le simpatiche cut-scene della storyline) da ripetere sino a esaurimento, nonché dalla pochezza di tutto il comparto tecnico. Lo stile a 8 bit dovrebbe insomma necessariamente sottintendere fascino a palate, cosa che qui invece manca anche per animazioni ed effetti piuttosto anonimi, un sonoro agghiacciante e un bilanciamento generale da rivedere sotto diversi aspetti, su tutti il confronto tra classi e i costi del crafting, oltremodo eccessivi. 

Hearts Of Iron IV


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Paradox Interactive

  • Data uscita:Maggio 2015

     

     

    I grand strategy games appartengono a Paradox. Tra Europa Universalis, Crusader King e la serie Hearts of Iron nessun altro sviluppatore e/o publisher è riuscito a contrastare l'ascesa della casa svedese. Stiamo pur sempre parlando di un prodotto di nicchia, che in pochi riescono ad apprezzare nella sua totalità, e quando le tre ere storiche di maggior appeal sono già rappresentate, riuscire ad entrate in un mercato così saturo risulta ormai praticamente impossibile. Forte della sua posizione di leadership però, Paradox non si siede sugli allori e anno dopo anno continua a rilasciare contenuti, aggiornamenti e ovviamente nuovi capitoli per le sue serie predilette. Al ParadoxCon 2015 abbiamo messo le mani su una versione avanzata di Hearts of Iron IV, nuovo episodio ambientato ovviamenente nella seconda guerra mondiale.

    Riuscire ad entrare nel mondo dei grand strategy games è complesso: bisogna indubbiamente essere portati per la strategia, amare numeri e statistiche, ed essere disposti a dedicarsi anima e corpo a un solo gioco per diversi mesi, dato che il tempo necessario a conoscere a fondo suddetti titoli è davvero tantissimo.
    Con Hearts of Iron 4 le cose non sembrano voler certamente cambiare e ancora una volta l'idea di controllare semplicemente qualche truppa e assaltare i paesi vicini viene completamente abbandonata, per abbracciare una visione più ampia e completa delle guerre, dovendo interagire con tutti gli elementi logistici a supporto delle vostre armate.
    Preparatevi quindi a mettere mano alla produzione di armamentari nelle vostre fabbriche, a gestire strade e collegamenti, a guidare intere nazioni verso un obiettivo giustificato e, mentre fate tutto questo, ricordatevi anche che la politica svolge un ruolo importantissimo negli scontri, obbligandovi a pensare alla diplomazia e ovviamente al morale delle vostre truppe. Messi sul piatto tutti insieme questi elementi indubbiamente allontanano la maggior parte dei giocatori e Hearts of Iron 4, nonostante la sua interfaccia più intuitiva, non sembra farsi grandi problemi quando si tratta di migliorare l'intuitività.
    Abbiamo provato per qualche ora di gameplay a lasciarci trascinare dagli eventi, ma durante tutto il playthrough muovere guerra alla Danimarca, avendo il controllo dell'intera Germania nazista, è l'unica cosa che siamo riusciti a portare a termine. Immaginate allora di avere l'intera Europa ai vostri piedi e di dover organizzare assalti e difese tentando di unificare le regioni sotto il vostro controllo per raggiungere un obiettivo comune.
    Il timer nella parte superiore dell'interfaccia scorre inesorabile, e mentre i giorni passano avrete una quantità abnorme di opzioni da tenere sotto controllo, sfruttando i vari rami di ricerca per ottenere tecnologie più potenti grazie alle quali avvantaggiarvi sul campo di battaglia, secondo ovviamente un ordine ben preciso allineato con gli accadimenti reali avvenuti durante la seconda guerra mondiale.
    Il gioco vi guiderà insomma a ripercorrere quel periodo oscuro dell'umanità, senza però costringervi a seguire un percorso già tracciato. Spendendo una gran quantità di risorse sarà infatti possibile accelerare alcuni rami tecnologici, modificando il corso della storia. Potremo così sviluppare armi silenziate prima del nemico o costruire mezzi blindati per sfondare le difese impreparate delle nazioni limitrofe, anche se il gioco, saggiamente, tenterà di indirizzarci verso una riproduzione fedele di quanto successo.
    Gli sviluppatori hanno deciso così di inserire delle speciali missioni create proprio con questo scopo in mente. Ad esempio, nel caso decideste di prendere il controllo della Germania nazista, Hearts of Iron 4 vi chiederà inizialmente di rinforzare il lato occidentale della regione per poi trovare un motivo valido per dichiarare guerra alla Polonia e invaderla. Ogni elemento di gioco è cucito alla perfezione attorno alla personalità delle nazioni durante gli scontri della seconda guerra mondiale, con alcuni stati più adatti di altri alla produzione in massa dei propri veicoli mentre altri attenti a sviluppare mezzi imbattibili aumentandone il costo e riducendone il numero per livelli di strategia impensabili su qualsiasi altro gioco. Produrre carri armati è solo il primo passo verso la costruzione di un'armata, visto che questi andranno poi spostati fino al fronte, gli equipaggi andranno sfamati e i cingolati oliati e mantenuti per sfruttarli al massimo. Le città prendono allora un ruolo importantissimo in Hearts of Iron 4, più che nelle passate edizioni, grazie ad una sorta di auto sostentamento delle capitali che rivede e modifica i piani di battaglia precedenti. Altri livelli di profondità vengono dati dalle regioni, dalla conformazioni del terreno e dagli ordini impartiti all'esercito, che devono tenere conto anche di mutamenti climatici e morale

domenica 22 febbraio 2015

Pillars Of Eternity


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Obsidian Entertainment

  • Data uscita:26 marzo 2015

     

     

    Il 95% dei giochi distribuiti da Paradox sono sviluppati internamente ed è davvero difficile riuscire a entrare nelle grazie della compagnia svedese. La loro filosofia è quella di supportare solo giochi dalla profondità inaudita, curati e dedicati a un pubblico maturo e amante della strategia.
    Non ci è difficile capire quindi perché proprio Obsidian Entertainment sia entrata di diritto a occupare quel 5% restante con Pillars of Eternity, un GDR che omaggia e rinnova le formule dei giochi di ruolo con visuale isometrica di diversi anni fa. Non è un mistero infatti che Pillars prenda a piene mani da capolavori del calibro di Planescape Torment, Baldur’s Gate e Icewind Dale.
    Il Paradox Con 2015 è stata l’occasione ideale per vedere in azione il titolo, ricordiamo finanziato tramite Kickstarter, e fare quattro chiacchiere con gli sviluppatori.
    Nella nostra precedente anteprima avevamo sollevato qualche dubbio sul sistema di combattimento non ancora del tutto rifinito ed eravamo curiosi di approfondire il discorso proprio in questa occasione. Purtroppo durante la presentazione i personaggi erano ovviamente sovra livellati ed equipaggiati a puntino per facilitare le cose agli sviluppatori, tanto da asfaltare in scioltezza tutti i nemici che si frapponevano tra il party e l’obiettivo. Non ci è stato possibile pertanto analizzare in maniera più esaustiva il combat system, ma qualche novità interessante è comunque emersa. Vi ricordiamo intanto che Pillars of Eternity avrà la bellezza di sei razze e di undici classi, le quali vanno dai consueti barbari, stregoni e ladri ai più particolari paladini e Chanter, con quest'ultima classe in particolare che potrà incanalare in continuazione incantesimi ed effettuare potenti evocazioni direttamente sul campo di battaglia.
    La tattica e la strategia rimangono il punto focale dell’esperienza di gioco, con il friendly fire sempre attivo, la morte permanente dei propri personaggi e soprattutto una gran cura per quanto riguarda build e specializzazioni.
    Le undici classi presenti potranno essere infatti modellate secondo le esigenze del giocatore, in modo tale da poter avere due personaggi con il medesimo ruolo ma agli antipodi come statistiche. Obsidian non ha voluto introdurre statistiche che potessero portare i giocatori a una sorta di vicolo cieco rendendo personaggi ingiocabili, così potrete persino fare un mago con la forza al massimo e poca intelligenza ad esempio, e un senso nel gioco potrebbe comunque mantenerlo. Gli incantesimi infatti, o meglio il loro danno, sono direttamente influenzati dalla forza, così un mago con questa caratteristica primaria causerà danni enormi con un drawback dovuto però alla bassa intelligenza che in tutta risposta ridurrà clamorosamente l’area di impatto delle magie.
    Per farvi un esempio pratico un mago dall’intelligenza molto alta potrà ad esempio incanalare palle di fuoco in grado di incendiare l’intero schermo mentre il suo opposto potrà lanciare fireball praticamente a target singolo ma capaci di farlo esplodere in un sol colpo. In questo modo, personalizzazione e statistiche diventano parte integrante del gameplay e la costruzione di un party eterogeneo diverrà essenziale. Obsidian ha inoltre confermato la possibilità di creare ogni singolo personaggio del proprio gruppo e darà ai giocatori la libertà massima sulla composizione, permettendogli di girare con sei maghi ad esempio o con un gruppo completo di cacciatori.
    Le sfide ovviamente non mancheranno, ma visto che il combattimento non è l’unica risorsa del gioco sarà interessante vedere come gli amanti dei giochi di ruolo reagiranno alle varie difficoltà poste sul loro cammino.
    Il combattimento, comunque, non sarà l’unico modo di interagire con i vari npc, aspettatevi un ritorno ad un tipo di narrazione fortemente legata alle azioni del giocatore, che gli permetterà di agire da buono o massacrare indiscriminatamente qualsiasi persona gli capiti a tiro, con gli altri NPC che reagiranno automaticamente alle scelte dei nostri eroi.
    Le linee di dialogo, studiate a fondo dagli story writer daranno molteplici opzioni anche per completare le quest e i puzzle che l’avventura ci metterà davanti senza estrarre la spada dal fodero. Durante la presentazione dovevamo ad esempio infiltrarci in un enorme castello e c’erano tre opzioni disponibili: entrare sfruttando la forza bruta, dialogando con gli npc e scoprendo così una via di accesso alternativa o ancora utilizzando le abilità stealth per superare invisibili le guardie.
    Gli sviluppatori di Obsidian hanno scelto di dare le abilità base, quelle cioè che non sono comprese nel combattimento, a tutti i personaggi e a tutte le classi. Così anche un guerriero armato potrà rivelare trappole ed effettuare azioni in stealth, con tutti i malus ovviamente che un’armatura in piastre può portare.
    Per quanto riguarda il mondo di gioco non si tratta certamente del top per quanto riguarda l’ampiezza e il numero delle mappe, ma se pensiamo che Baldur’s Gate 2 possedeva ai tempi qualcosa come 250 location, le oltre centocinquanta di Pillars of Eternity certamente garantiranno almeno un centinaio di ore di gioco. La cosa interessante è che circa due terzi del mondo non verranno toccati dalla storia principale ma saranno altresì riempiti di quest secondarie ed eventi facoltativi, che ricompenseranno gli amanti dell’esplorazione con alcuni degli oggetti più potenti del gioco. Se siete amanti dei loot vi farà altresì piacere l’introduzione di un mega dungeon composto da 15 livelli, quasi impossibile da portare a termine e contenente le sfide più ardue che gli sviluppatori abbiano mai creato. Immaginate questo dungeon come una sorta di scalinata verso gli abissi, e mentre il vostro party scende nelle più oscure profondità i nemici si fanno via via sempre più forti. Una sfida che sicuramente non ci faremo scappare.
    Se state pensando di “farmare" come disperati per raggiungere una potenza devastante, purtroppo dobbiamo deludervi, visto che Obsidian sembra aver pensato anche a questo. Ogni creatura del gioco è registrata su uno speciale compendium e ad ogni uccisione questo si aggiornerà con nuove informazioni, statistiche e resistenze. Una volta uccise abbastanza creature da completare al 100% la pagina queste non vi daranno più punti esperienza, costringendovi a cambiare zona o a proseguire con l’avventura. I modi per continuare a crescere in potenza comunque non mancano, data la possibilità di incantare i propri equipaggiamenti attraverso un pratico sistema di crafting. Insomma Pillars of Eternity sembra poter tranquillamente ereditare l’ottima eredità lasciata da Baldur’s Gate, un peccato dover quindi attendere marzo prima di poter mettere le mani sopra alla sua versione definitiva. 

giovedì 19 febbraio 2015

Cities Skylines


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gestionale

  • Data uscita:10 marzo 2015

     

     

    Sim City è stato un progetto problematico. Il lancio è risultato disastroso per molteplici motivi: la necessità di rimanere sempre connessi per giocare, la mancanza di mod, le città minuscole e le routine del traffico assolutamente casuali hanno affossato quanto di buono fatto da Maxis in precedenza, e tutto nonostante l'ossatura del titolo fosse comunque solida e promettente.
    Le patch sono arrivate nei mesi a seguire ma, ovviamente, la community aveva già preso le distanze dal progetto, lasciando i server di gioco deserti e facendo perdere gran parte di quell'impatto social tanto importante per il progetto.
    Purtroppo Electronic Arts non è riuscita a raccogliere per tempo i suggerimenti dei giocatori, trovandosi così per le mani un gioco criticato da molti e incapace di reggersi sulle proprie gambe. Paradox non è certamente rimasta con le mani in mano e, visto traballare il suo principale competitor per quanto concerne i gestionali, ha preso quanto di buono c'era nel prodotto targato EA e lo ha trasposto sul suo Cities Skylines, titolo che abbiamo provato in anteprima per voi a Stoccolma.

    Preso in mano il gioco, la prima cosa che emerge è la volontà degli sviluppatori di regalare agli appassionati la massima libertà per quanto concerne la personalizzazione. Cities Skylines, in arrivo il prossimo 10 marzo a un prezzo di poco inferiore ai trenta euro, integra nel menu principale il supporto a Steam Workshop. In questo modo Colossal Order, il piccolo team di quattordici persone alle spalle del progetto, si è già assicurato l'interesse dei giocatori PC e evitando così che la carenza di edifici unici che abbiamo riscontrato, non andasse a rappresentare in alcun modo un limite. Aprendo le porte ai contenuti creati direttamente dai giocatori con mod di ogni tipo, Cities Skylines può permettersi di partire con il freno a mano tirato su molte delle sue feature e lasciare che la community ampli ed estenda il gioco come meglio preferisce.
    Gli sviluppatori tuttavia non hanno la minima intenzione di presentarsi al banco di prova con un prodotto al di sotto delle aspettative e la struttura generale del prodotto è già pronta a supportare un gameplay profondo e ricercato, indirizzato proprio agli amanti dei gestionali cittadini. Non manca ad ogni modo quell'intuitività dell'interfaccia e dei controlli pensata per abbracciare un pubblico ancora più vasto e non neghiamo che i primi istanti di gioco sembrano essere presi di peso direttamente dal vecchio titolo Maxis. I tool per la creazione dei quartieri, delle strade e delle vie sono di semplice utilizzo e disegnare sulla mappa di gioco la nostra città ideale viene quasi naturale.
    Selezionata l'area destinata alla costruzione del primo quartiere, bisognerà semplicemente gettare le fondamenta delle prime strade, collegandole all'arteria principale, e selezionare la tipologia di abitazioni che verranno costruite. Tre le zone disponibili praticamente da subito: residenziale, perfetta per attirare nuovi cittadini, commerciale e industriale, strutturate e gestite in maniera semplice e con grafici e statistiche in bella evidenza per mostrare le necessità dei cittadini. Cities Skylines è il classico gioco che sembra semplicissimo da imparare, ma che nel giro di qualche minuto ti trascina in un vortice di dati e statistiche da tenere sotto controllo per non fallire, e vi assicuriamo che riuscire a gestire la vostra città non sarà affatto un gioco da ragazzi.
    Quando i cittadini iniziano ad arrivare le cose si complicano di conseguenza ed emerge il lato più hardcore della produzione. Acqua ed elettricità vengono tenuti sotto controllo attraverso semplici aree colorate sulla mappa, ma il piazzamento dei collegamenti attraverso cavi elettrici e tubature va pianificato del tutto manualmente. Servizi medici, anti incendio, di sicurezza e di pulizia delle strade aggiungono livelli su livelli di profondità, senza mai lasciare il giocatore spaesato però, venendo aggiunti mano a mano che la vostra città prende forma.
    A Cities Skylines attualmente non manca nulla e tutti gli elementi classici dei gestionali sono riportati con cura, con un comparto tecnico più che discreto a farne da contorno.
    Le animazioni relative alla costruzione delle case sono di buona fattura, così come le texture e forse l'unica nota stonata in questo ambito è relativa al traffico che, ingrandito al massimo, non risplende come quello dei concorrenti.
    Durante la nostra ora di gioco abbiamo notato anche qualche problema con la gestione delle routine dei mezzi di soccorso, a volte incastrati in ingorghi infiniti per inversioni a u sconsiderate nel bel mezzo delle strade principali, difetti che andranno corretti assolutamente prima delle release per non sprecare quanto di buono fatto dall'engine messo in piedi dai ragazzi di Colossal Order. Oltre alle semplici auto, infatti, il team eredita parte dell'ottimo sistema di trasporti visto in Cities in Motion, con la possibilità ulteriore di creare sopraelevate con un semplice click. Se la dimensione delle città inoltre vi aveva spaventato in Sim City, in senso negativo ovviamente, questa volta non avrete di che preoccuparvi, con zone di espansione extra acquistabili a piacimento fino a decuplicare l'area di partenza iniziale. Manca poco meno di un mese per avere la possibilità di mettere le mani sopra al gioco completo, continuate a seguirci per non perdervi tutti gli ulteriori aggiornamenti. 

Magicka 2

  • Piattaforme:PC

  • Sviluppatore:Paradox Interactive

  • Data uscita:Estate 2015

     

     

    Magicka è il classico titolo ideato e gestito da una manciata di sviluppatori indipendenti che esplode letteralmente in maniera del tutto inaspettata una volta giunto nelle mani dei videogiocatori. Paradox si è trovata così ad avere in casa un prodotto che da solo poteva garantire notevoli introiti e, cosa ancora più importante, stava facendo crescere la popolarità della compagnia praticamente a costo zero. Arrowhead aveva avuto l'idea giusta in un momento in cui il mercato era assolutamente carente di titoli co-op così divertenti e folli, e dopo qualche DLC e un capitolo indirizzato al PVP piuttosto riusciti ecco arrivare il momento del tanto atteso seguito. Siamo volati in Svezia per provarlo in anteprima, ma i dubbi emersi dopo la nostra prova sono decisamente molti.

    Prima notizia importante: Magicka 2 perde i ragazzi di Arrowhead per passare a Pieces Interactive, studio che ha collaborato con gli ideatori del progetto solo per qualche DLC, e questo è il motivo principale delle nostre perplessità.
    Dopo il fallimento di The Showdown Effect, gli Arrowhead si sono completamente staccati da Paradox e ora stanno lavorando su Helldiver, un altro frenetico gioco co-op a quattro giocatori ambientato però nel futuro, tra laser, alieni e mitragliatori. I nuovi sviluppatori si trovano pertanto a dover soddisfare i fan del vecchio Magicka e contemporaneamente a dover dare vita a un prodotto che possa tenere testa a Helldiver, un compito che sembra decisamente complesso.
    L'impressione che abbiamo avuto prendendo il pad tra le mani e iniziando a giocare a Magicka 2 è che Pieces Interactive non si sia voluta sbilanciare particolarmente, evitando di aggiungere nuove feature e mantenendo il vecchio gameplay praticamente immutato. Se speravate quindi di poter provare nuove combinazioni tentando di mischiare i vecchi otto elementi in maniera innovativa ne resterete particolarmente delusi e, anzi, a questo dovrete aggiungere l'impossibilità di miscelare elementi opposti (come fuoco e gelo), decisione presa per snellire e facilitare ulteriormente le cose ai novizi.
    Una scelta che non ci trova particolarmente concordi, soprattutto perché questo è un nuovo capitolo e le sorprese, per giustificarne l'acquisto, non dovrebbero mancare. Ci troviamo insomma già dal primo impatto con un “more of the same” lineare che non sembra brillare da solo come fece invece il suo predecessore.
    Non è questo però l'unico punto di domanda. Avendo provato il gioco su Playstation 4, unica versione che arriverà sul mercato oltre a quella pc, abbiamo notato grossi problemi con i controlli e anche una scelta grafica dell'interfaccia particolarmente problematica.
    Come ben saprete su pc ogni singolo elemento viene associato a un tasto e altre quattro ulteriori abilità (come la possibilità di resuscitare i propri compagni o un aumento della velocità) possono trovare posto sui tasti del mouse per avere tutto sotto controllo. Con il pad le cose, ovviamente, non sono così semplici e se quattro elementi possono tranquillamente essere posizionati sui tasti frontali, la necessità di dover premere il grilletto posteriore per attivarne altri quattro complica enormemente le cose. Gli altri tasti dorsali poi, servono a decidere se lanciare raggi di energia, utilizzare magie sul proprio personaggio o fare incantesimi ad area, davvero troppe combinazioni da tenere a mente per rendere il tutto fruibile e godibile al massimo. Magicka 2 inoltre continua a non essere un gioco semplice e lo schermo in brevissimo tempo si riempie di un gran numero di nemici, aggiungendo al caos del pad anche una totale bagarre a schermo.
    A chiudere il cerchio di un progetto che non funziona perfettamente ci si mette anche un'interfaccia ultra invasiva, che va ad occupare e a coprire più di un terzo dello schermo, portando i giocatori a volte a dover combattere completamente alla cieca.
    Controlli e interfaccia insomma sono completamente da rivedere o quantomeno da sistemare e, se della storia non si sa poi ancora molto (si è solo accennato al ritorno di Vlad nella campagna principale), una modalità survival extra non può al momento saziare la nostra fame di maghetti e magie. Prendendo spunto dalle “House Rules” dei più noti GDR ecco allora arrivare un menu contestuale per poter mettere mano a tantissime variabili, come un aumento di punti ferita dei maghi, il teletrasporto dopo ogni uccisione, modelli super deformed e così via, elementi simpatici certamente ma che non rappresenteranno secondo noi un motivo sufficiente per comprare il titolo, nemmeno per i vecchi fan.
    Solo il comparto tecnico, per ora, colpisce nel segno, con i nostri quattro maghetti e i nemici ben animati, colori vivi e buoni effetti delle magie. Chiudiamo infine segnalando la presenza di numerosissimi cali di frame rate, problema che, a detta degli sviluppatori, sarà risolto prima della release, prevista durante l'estate del 2015. 

lunedì 16 febbraio 2015

Just Cause 3

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Avalanche Studios

  • Data uscita:Maggio 2015

     

     

    In questa fredda giornata di febbraio, a scaldare un po' l'atmosfera, è arrivata qualche intrigante notizia riguardante il nuovo e atteso titolo di Avalanche Studios: Just Cause 3. Sono cinque anni che questa serie manca dalle nostre console e, tra alti e bassi, gli sviluppatori si preparano a un ritorno in grande stile. La serie, nonostante sia solo al suo terzo episodio, ha una storia piuttosto articolata che ripercorreremo in breve.

    Nel lontano 2006 uscì il primo capitolo della serie, e il successo non fu immediato: Just Cause proponeva un ottimo comparto grafico (per il tempo) ma il gameplay aveva numerose lacune. L'impressione della maggior parte dei giocatori era quella di avere a che fare con un prodotto ambientato in un ottimo open world, sprecato dalla natura schematica e lineare delle missioni, con la frenesia tipica di un GTA ma nel complesso non abbastanza caratteristico da potersi distinguere nel panorama videoludico.
    Nel 2010 gli sviluppatori cercarono di aggiustare il tiro e ci riuscirono in pieno: Just Cause 2 prese i punti deboli del suo predecessore e, sistemando alcuni elementi, li trasformò nel suo punto di forza. È proprio con questo secondo capitolo che la serie delineò bene la sua identità. Il gioco infatti si presentò come un open world ancora più vasto, dal ritmo incalzante e da una persistente frenesia nel gameplay, tra evoluzioni improbabili ed esplosioni degne di un film di Michael Bay. La trama non era il suo focus e, se preso per il verso giusto, gustandosi le acrobazie spericolate con il rampino e le assurdità dell'azione, Just Cause 2 poteva essere un titolo davvero apprezzabile. 
    Il co-fondatore dello studio Christofer Sundberg ha commentato: "...abbiamo un gran numero di fan che continua a giocare al titolo, anche a cinque anni di distanza dall'ultimo pubblicato: Just Cause 2. Quindi significa molto per lo studio e non solo perché si tratta di un gioco che vende bene ed è divertente, e così via, ma è come se avesse dato un'impostazione al nostro stile, al nostro approccio allo sviluppo dei videogiochi e di come ci approcciamo al game design".
    Stando alle parole degli sviluppatori, la strada intrapresa viene confermata come quella corretta e si insiste ancora di più su alcuni elementi per esasperare e rendere spettacolare ogni piccolo momento del gameplay. Avevate mai sentito il bisogno di esagerare? Piombare sui nemici in maniera ancora più esplosiva rispetto alla planata con il paracadute? Beh, adesso potrete letteralmente solcare i cieli grazie all'utilizzo di una tuta alare.
    In un'intervista il game director Roland Lesterlin ha dichiarato: "Volevamo che il giocatore avesse la sensazione di potersi tirare su con il semplice tocco di un pulsante oppure premere un altro pulsante per aprire la tuta alare e sentirsi subito parte integrante dell'azione".
    Per quanto riguarda il sistema di gioco, Lesterlin ha fatto luce sullo stile adottato e sul metodo che hanno seguito per realizzarlo: "Abbiamo voluto partire dall'inizio per ciò che riguarda il gameplay. Abbiamo voluto iniziare dai sistemi. Se li costruisci con la giusta complessità, ma con una semplicità in termini di comandi, allora il gioco offrirà al giocatore un divertimento di ogni tipo. E si tratta solo di imparare come funziona il sistema. La cosa veramente divertente è che ti trovi catapultato in questo mondo quasi subito e tutto risulta aperto davanti a voi. Voglio dire, Just Cause è fin dall'inizio un sandbox e quindi vogliamo aggiungere un sacco di tool e cose di questo tipo che servano al giocatore, che poi gli permettano di creare tutti i tipi di scenari selvaggi mai visti da nessun'altra parte".
    Just Cause 3 vuole quindi presentare una vasta gamma di possibilità d'azione, limitate solo dalla fantasia del giocatore e permesse da un motore grafico tenace e preparato, capace di offrire un comparto tecnico ancora una volta d'eccellenza. 
    Gli sviluppatori non si sono espressi molto per quanto riguarda la trama del gioco che, evidentemente, non sarà nemmeno questa volta il nodo gordiano della frenetica esperienza. Rico Rodriguez si avventurerà nel mediterraneo, nell'isola fittizia di Medici. Sul luogo è presente una dittatura e sarà nostro il compito rovesciare la situazione. Avalanche Studios ha giocato molto sul contrasto visivo e simbolico tra un paradiso naturale e gli orrori della dittatura e della guerra che devastano e il paesaggio: gli edifici e lo scenario parleranno da sé, e lasceranno intuire che il luogo è in conflitto da tempo immemore. Questo contrasto farà da sfondo all'intero capitolo e sicuramente sarà molto interessante e particolare da esplorare. 
    Un punto focale dello sviluppo del gioco invece è stato creare un connubio perfetto tra fluidità d'azione, dinamismo, spettacolo e livello di sfida. Un gioco estremamente veloce e con "tutte le possibilità a portata di mano" rischia infatti di avere una difficoltà molto ridotta o estremamente alta, il che rovinerebbe sostanzialmente il titolo. A quanto pare, Avalanche Studios è riuscita, almeno in questa fase pre-alpha, a trovare un ottimo equilibrio, creando un gameplay più difficile rispetto ai titoli precedenti ma molto più stimolante e divertente. Sicuramente la possibilità di utilizzare un lanciarazzi multi-razzo mentre siamo in volo con il paracadute ha aggiunto quella punta di brio in più che non guasta mai. Il gioco offrirà inoltre nuove schiere di nemici molto più varie rispetto agli anni passati, oltre alla possibilità di avere una grande varietà di armi a una o due mani, armi pesanti e veicoli di ogni genere. Anche l'interfaccia Chaos è stata riprogettata per permettere una migliore comprensione della situazione e delle azioni necessarie per liberare un'area.
    Un po' di tempo fa tutti si chiedevano quale sarebbe stato l'approccio degli sviluppatori rispetto al multiplayer di questo nuovo capitolo; visto l'enorme successo della mod multiplayer di Just Cause 2, questa era sicuramente un'opzione da valutare. Avalanche Studios ha fatto le sue considerazioni e, nonostante l'idea potesse essere allettante, ha deciso di escludere un multiplayer da questo terzo capitolo della serie. Tuttavia ci saranno modi asincroni di gareggiare con gli amici confrontando i punteggi online con sfide e gare di velocità con motoscafi, macchine e ovviamente con la tuta alare. Un contentino, insomma, che tuttavia potrebbe lasciare a bocca asciutta chi si aspettava una componente multigiocatore, in maniera non dissimile da quanto avvenuto con GTA Online.

sabato 14 febbraio 2015

Evolve


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Turtle Rock Studios

  • Data uscita:10 febbraio 2015

     

     

    Nato dalle ceneri di THQ, Evolve fa parte di quel gruppo di giochi in grado di drizzare le orecchie di esperti del settore e giocatori all'unisono, un membro del sempre più esclusivo club dei titoli “innovativi”, coraggioso e deciso a dare una sferzata all'intero genere degli shooter competitivi.
    Le basi per un videogame indimenticabile c'erano tutte: i Turtle Rock Studios alle redini, team rinomato per il lavoro fatto su Left 4 Dead, 2K come publisher, e un gameplay asimmetrico che vede quattro giocatori cacciare un pericolosissimo mostro controllato da un altro avversario umano. Pensateci per un momento: una caccia senza esclusione di colpi, armati di jetpack e aggeggi futuristici di rara potenza, alla ricerca di un gigantesco bestione dotato di intelligenza umana e in grado di farvi a pezzi al primo passo falso. È un concept geniale, di quelli che non dovrebbero poter fallire, eppure tutto l'hype che ha sorretto l'opera dei Turtle Rock è stata la solita arma a doppio taglio quando 2K ha rivelato i piani legati ai DLC previsti. Si sa, i DLC stanno sulle balle a un sacco di persone (spesso per ottime ragioni), ma di solito non bastano a rovinare l'immagine di un team. Stavolta però è esplosa la polemica, un po' ravvivata dai legni delle discussioni internettiane e un po' dalla natura multiplayer only del prodotto. Noi, in verità, dei contenuti in arrivo ci siamo preoccupati pochino, e abbiamo deciso semplicemente di buttarci sull'opera di questi sviluppatori, con l'intento di chiarirne i punti cardine e di valutarne la qualità effettiva. 
    Inutile tergiversare, possiamo subito dirvi che il lavoro svolto è di alto livello. Occhio a dove puntate quel fucile però, Evolve non è una caccia perfetta, e oggi cercheremo di spiegarvi perché.
    Non ci soffermeremo troppo sulla trama di Evolve, non è un titolo pensato per il singleplayer, e l'unica campagna disponibile non fa altro che buttarvi nella mischia contro dei bot, con qualche cutscene d'intermezzo a intervallare le partite. Personaggi e filmati sono curati, ma trascurabili, e non è certo qui che il videogame brilla. No, la parte luminosa sono le meccaniche, finissime, variegate, intuitive, ma dannatamente complesse meccaniche, che rendono il gameplay una goduria indecente per chiunque voglia addentrarvisi senza paura. Per prima cosa, la diversità dell'esperienza: a inizio partita si può scegliere una preferenza di classe tra le quattro specializzazioni dei cacciatori, Assalto, Trapper, Medico e Supporto, e il mostro, con tre scelte. Giocare nei panni dei cacciatori può sembrare poco diverso da quanto visto in altri shooter class based, ma in realtà in Evolve si gira per mappe estese, si ha una mobilità totale legata a un comodo jetpack, e ogni classe di cacciatore ha tre diverse varianti con abilità e armi uniche. Lo scopo della modalità primaria, la caccia appunto, è trovare il mostro entro un limite di tempo ed eliminarlo prima che arrivi al livello 3 di evoluzione, poiché a quel punto si diventa automaticamente le prede. Il nemico si trova seguendo tracce lasciate sul terreno, dirigendosi verso animali disturbati dal passaggio del bestione o piazzando trappole, mine e simili in zone strategiche dove l'avversario potrebbe passare. È una vera sfida trovare i giocatori più bravi, non solo perché le mappe, anche le più minute, offrono un'enormità di passaggi e nascondigli presentando numerose superfici scalabili, ma anche perché nei panni del mostro il titolo offre meccaniche da stealth game, con un movimento silenzioso utilizzabile per muoversi senza lasciare tracce e numerose abilità che facilitano la fuga o l'occultamento, e i jetpack dei cacciatori hanno energia limitata che si ricarica piuttosto lentamente (pur permettendo anche a benzina zero di scalare gli ostacoli). Ogni mostruosità peraltro è dotata di un olfatto molto acuto, che permette di evidenziare i cacciatori nelle vicinanze e le prede per nutrirsi, queste ultime indispensabili per ricaricare l'armatura ed evolversi.
    Tutto è calcolato alla perfezione: ad ogni evoluzione il mostro guadagna punti abilità divisi tra quattro poteri diversi, potenza d'attacco e punti vita, ma azzera l'armatura e gli hp non si rigenerano se si viene danneggiati senza corazza. I cacciatori dal canto loro partono avvantaggiati, ma la situazione si ribalta in fretta se il mostro cresce, e possono contare solo su alcuni buff temporanei ottenibili uccidendo bestie feroci albine sparse per la mappa. Arrivato a livello 3 il mostro può vincere una partita anche distruggendo un relè (che a quel punto va protetto dagli hunter con la vita), ma c'è anche un limite di tempo che impedisce di sedersi troppo sugli allori e rafforza la tensione di ogni partita.
    Insomma, una gestione degli scontri da applausi, con classi dissimili ma piuttosto bilanciate, e mostri che si muovono e combattono in modo del tutto inimitabile, diviso tra la possanza e la velocità di scatto del Goliath, la mobilità aerea e gli attacchi a distanza del Kraken, e le infami tecniche disorientanti del Wraith.
    Molti di voi ora saranno piuttosto esaltati per le lodi sperticate del paragrafo precedente, però è il momento di tornare calmi e parlare delle cose brutte. Perché dalla bruttezza non si scappa quasi mai, anche quando il gameplay di un gioco è fatto come si deve. Nel caso di Evolve, il problema è alla base. Chiaramente si tratta di un titolo dove la cooperazione è importantissima, e ogni ruolo all'interno di una squadra è indispensabile per la buona riuscita della caccia. Certo, un mostro rimbambito può capitare anche con frequenza piuttosto alta, ma nella maggior parte dei casi il bestione è più facile da “capire” dei cacciatori, e basta un membro del team completamente all'oscuro di come funziona il sistema per mandare a quel paese qualunque piano di cattura. I tutorial ci mettono del loro, spiegando sì le basi tramite video e un paio di sessioni nei panni di Goliath e Assault, ma fermandosi a quelle, senza chiarire come muoversi per bene nella mappa e sfruttare in modo avanzato il potenziale di ogni classe. In parole povere, il gioco è bilanciatissimo ed esaltante a livelli mai visti se lo si affronta in compagnia di amici, ma può risultare infernale e frustrante se si gioca in solo, lo stesso problema dei dota-like accentuato dalla natura 4 contro 1 delle partite. Chiaro, dopo qualche mese la community dovrebbe adeguarsi e i casi di compagni che vanno a zonzo dalla parte opposta della mappa rispetto a voi, o non sono minimamente in grado di trovare il mostro, diminuire di conseguenza, ma qui subentra il secondo problema: i contenuti.

Total War Attila

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Creative Assembly

  • Data uscita:17 febbraio 2015

     

     

    Rome II non è stato il Total War che i fan di vecchia data si aspettavano. C’erano l’ambientazione, la scala, l’ambizione e persino lo scintillio grafico, ma sono mancate la pulitura finale e la visione d’insieme. Al lancio il titolo fu un passo falso non da ridere per i sempre osannati Creative Assembly (peraltro inaspettato dagli stessi redattori, la cui build pareva ben più stabile) e solo con la Emperor Edition il gioco è riuscito finalmente a dimostrare di poter far parte a testa alta dell’ormai storica serie. I veterani della saga, tuttavia, sono rimasti insoddisfatti. Rome II era un gioco enorme e curato, ma ha scartato elementi molto apprezzati dagli amanti della strategia, e anche dopo la patch alcune delle sue magagne sono rimaste, portando la community a chiedere a gran voce un nuovo capitolo capace di ribaltare una volta per tutte la situazione. Al richiamo ha risposto uno che, quando passa lui, non cresce più l’erba: Attila. Il condottiero unno è la figura di spicco di un omonimo Total War, che arriva tra noi poco dopo il predecessore e sembra pensato per far contenti proprio gli aficionados di vecchia data. Sarà una migrazione indolore o l’inizio di un freddo inverno per questo amatissimo marchio?
    La premessa di Total War: Attila è quanto mai adatta agli intenti degli sviluppatori: siamo al tramonto dell’impero romano, un’era in cui questa immensa potenza mondiale era spezzata in due e divisa tra gli attacchi serrati e inarrestabili di popolazioni barbare imprevedibili, e priva di figure di spicco capaci di salvare la loro civiltà. Un periodo storico dominato da guerra e brutalità, dove le alleanze duravano quanto un battito di ciglia e le città cadevano manco fossero fatte di fiammiferi. Se vi aspettate un Total War in cui poter coltivare con calma il vostro impero, quindi, vi renderete conto immediatamente che Attila non è diretto a voi. Ci sono fazioni che godono di una situazione piuttosto stabile e facile da gestire all’inizio, ma sono la stretta minoranza e nella maggior parte dei casi vi ritroverete circondati da forze ostili estremamente aggressive. 
    Iniziamo dalle buone notizie però: gli Unni non sono semplicemente un terrore costante con cui il giocatore dovrà avere a che fare nella campagna, bensì una popolazione giocabile, e come loro utilizzabili sono molte fazioni di grandi migratori, tra cui Vandali e Visigoti, che mutano sensibilmente il gameplay del titolo. Proprio i popoli nomadi rappresentano infatti la prima grossa innovazione alla formula di Rome II in Attila, poiché non gestiscono più città bensì accampamenti strettamente legati alle proprie armate, posizionabili un po’ ovunque ma persi all’istante quando uno degli eserciti viene distrutto.
    Vestire i panni dei grandi migratori è un’esperienza tesa e spesso caotica. Da una parte la flessibilità di questi popoli e la loro potenza militare facilita uno stile di gioco da conquistatore (anche se non è sempre così), dall’altra una dura sconfitta in battaglia può portare a una perdita di stabilità non indifferente per il proprio dominio, oltre che essere il più delle volte una terribile botta all’economia. Un popolo nomade è in grado di stabilirsi nelle città conquistate, certo, ma rivoluzionare il proprio stile di vita rende la gestione delle terre assoggettate più complicata del normale, così come la possibilità di abbandonare i centri abitati di certi popoli, presente a sua volta nel gioco, non è una scelta facile da prendere.
    La vera “opzione del veterano” comunque è la scelta dell’impero romano d’oriente o d’occidente, una fazione che da subito metterà a dura prova i vostri nervi. Pensata per i giocatori di vecchia data, questa campagna vi mette al centro di un enorme territorio, praticamente ingestibile dal punto di vista militare e controllabile solo con un lento e inesorabile ridimensionamento del proprio potere. In pratica, chiunque voglia mettersi seriamente alla prova dovrà vestire i panni dell’imperatore qui.
    Non temete, i neofiti non sono abbandonati del tutto a sé stessi grazie a un tutorial piuttosto completo e longevo che spiega le nuove meccaniche. Tenete ad ogni modo conto del fatto che, fin dal prologo, Total War: Attila vi metterà contro gli Unni costringendovi a fuggire e a salvare il salvabile, giusto per metter subito in chiaro lo stacco da chi l’ha preceduto.
    Ma abbiamo tirato in ballo le meccaniche, quindi è il momento di entrare nel dettaglio di ciò che è cambiato da Rome II. I problemi del gioco precedente erano noti e non sono stati risolti tutti, ma in Attila i miglioramenti ci sono stati e non vanno sottovalutati. Prime novità: l’albero della famiglia e la gestione di diplomazia ed economia. Finalmente è tornata la possibilità di gestire parenti e sottoposti, assegnandogli posizioni di prestigio utili per mantenere l’ordine in una provincia o organizzando matrimoni politici per ottenere facili alleanze. La presenza di governatori, poi, permette di attivare degli editti che offrono bonus passivi variabili o modificano l’influenza di certe religioni, mentre un nuovo sistema che bilancia il potere del proprio popolo e il controllo su di esso non ci è parso altrettanto intuitivo e semplice da gestire (il potere tende sempre a salire e si fatica a mantenere l’equilibrio costante durante una campagna ricca di successi).
    Gradite presenze anche per i rami di abilità dei generali e delle armate, che permettono di personalizzare in parte le proprie forze e specializzarle in determinati ruoli, e apprezzatissima la nuova gestione degli assedi, ristrutturati in modo da venir spalmati su più turni con la costruzione di macchine d’assedio varie e ben più spettacolari durante lo scontro diretto. Entriamo proprio nello scontro, tuttavia… qui i miglioramenti ci sono stati, sia chiaro, ma il primo aspetto da analizzare è ovviamente l’intelligenza artificiale e se vi aspettate passi da gigante resterete delusi. Il computer è più aggressivo e reattivo, muove meglio le unità e non si incarta durante gli assedi con la stessa frequenza, dovendo conquistare zone difese da pericolose torri di guardia e gestire nuove e complesse mappe cittadine. Resta però chiaro che alla base di Attila c’è l’IA di Rome II ritoccata, e noterete quindi ancora alcuni posizionamenti strambi delle unità in attacco nonostante la caduta delle vostre mura, o mosse inspiegabili da parte del nemico durante battaglie già praticamente decise. 
    Sono momenti radi, ma che potevano esser del tutto eliminati, così come non ci è ben chiara la volontà dei Creative di inserire le torce negli assedi, nonostante la loro struttura migliorata. Ci spieghiamo meglio: di norma affronterete l’assedio di una città armati delle succitate macchine d’assedio, pensate per buttar giù mura e portoni e in seguito abbandonabili. Nel caso vengano distrutte, la battaglia non finirà, poiché molte delle vostre truppe potranno semplicemente dar fuoco ai cancelli lanciandogli con allegria addosso delle caldissime torce. Non è un approccio propriamente realistico alla battaglia, pur facilitando la vita e garantendo che questa continui anche in caso di grossolani errori di valutazione, ma almeno avremmo voluto una diminuzione dell’efficacia di questi fuocherelli da lancio, visto che ci sono casi in cui le città cadono prima a forza di cancelli in fiamme che con un bell’ariete da assedio. 
    Sempre presenti infine le battaglie navali, con tanto di scontri misti (spesso proprio durante gli assedi delle città costiere) che permettono di gestire truppe di terra e mare contemporaneamente.
    Se inoltre fate parte del gruppo che non apprezza la gestione dei combattimenti nella serie e vorreste vedere un cambio di marcia durante gli scontri diretti, sappiate che in Attila l’engine è praticamente invariato, e quindi persistono problemi di pathing delle unità (che anche con ordini multipli alle volte si bloccano o rallentano senza motivo) e il “blob” delle truppe in battaglia, con formazioni che risultano importanti al momento dell’attacco ma poi perdono di significato nel casino della mischia. Le abilità attive di generali e singole truppe, c’è da dirlo, restano indispensabili per sopravvivere contro forze pericolose, e tutto funziona ancora molto bene secondo noi, con la solita possibilità di mettere in pausa, riposizionare le truppe prima dello scontro, la variabilità del campo in base alle condizioni atmosferiche, e via così. Il bilanciamento delle truppe stesse peraltro ci è parso di buona qualità, seppur al momento sia impossibile affermarlo con sicurezza assoluta.
    Vorremmo dirvi di più invece sulla campagna mutiplayer, la cui stabilità non abbiamo avuto modo di testare a fondo. Rimane un’esperienza piuttosto divertente e atipica, che in particolare con amici può catturare, ma il bel lavoro fatto con Shogun in campo online non sembra esser stato ripreso anche in Attila.
    Per quanto riguarda il comparto tecnico, ugualmente, non c’è molto da dire. Il fuoco dinamico durante certe battaglie può fare disastri ed è molto bello da vedere, e le nuove mappe cittadine citate poco fa sono uno spettacolo per gli occhi, ma al di fuori di questo siamo di fronte a un reskin di Rome II con variazioni minime sia a livello di dettaglio grafico che di ottimizzazione. Interessanti comunque la cura per certi dettagli, come la presenza di filmati iniziali unici per le varie fazioni, e la presenza di un Benchmark interno, utile per regolare i molti settaggi grafici disponibili.
    Incriticabile in chiusura la longevità. Con la varietà di popoli e campagne a disposizione del giocatore, Attila offre dozzine di ore di gameplay, con in più varie battaglie storiche da affrontare e gli immancabili scontri personalizzati. Se avete fame di guerra questo gioco la sazierà.

giovedì 12 febbraio 2015

Adr1ft


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Three One Zero

  • Data uscita:Metà 2015

     

     

    Ve lo ricordate Adam Orth? No? Vi rinfreschiamo la memoria allora: Orth era creative director per Microsoft, un pezzo grosso della compagnia insomma, che durante l’iniziale disastro del lancio di Xbox One commise un gravissimo errore… appoggiò la scelta della compagnia riguardante il drm su tutti i suoi titoli via Twitter (poi bellamente annullata, a causa della reazione mostruosamente negativa dell’utenza). 
    Il “deal with it” di Orth riferito ai giocatori gli costò il posto, e improvvisamente il nostro passò da una situazione finanziaria rosea e di un certo prestigio al nulla più totale, con non pochi detrattori al seguito. Nonostante il momento piuttosto tragico, però, Adam non si diede per vinto, contattò alcuni suoi colleghi e conoscenti nel mondo dello sviluppo e gli propose un’idea. Quell’idea era Adr1ft, un gioco in prima persona ambientato nello spazio e concettualmente ispirato in parte agli eventi sopra descritti.
    Il progetto ora è poco più di un prototipo, ma l’idea è concretissima, e ha sorpreso i 505 Games al punto da guadagnarsi il loro supporto per la distribuzione e lo sviluppo. Siamo quindi andati da Halifax Italia a Milano a provarlo, per valutare se l’idea di questo piccolo team chiamato Three One Zero e guidato da Orth ha effettivamente del potenziale, con l’ausilio di un sempre apprezzato Oculus Rift. 
    Accomunando Adr1ft alle vicende dell’ex creative director di Microsoft non intendiamo certo avvicinarlo a un fantomatico simulatore di social networking in cui bisogna aggirare gli insulti della folla. No, Adr1ft è una First Person Experience, un tipo di videogame che ultimamente va piuttosto di moda nel mondo indie e punta a coinvolgere il giocatore nell’esperienza con una ambientazione suggestiva e grande atmosfera. In questo caso l’analogia con la vita di Orth sta nel disastro improvviso: si interpreta infatti un’astronauta coinvolta in un terribile incidente. Sola e stordita all’interno di una stazione spaziale praticamente distrutta per cause sconosciute, e tenuta in vita solo da una tuta spaziale piuttosto danneggiata, la nostra eroina si ritrova a dover esplorare le rovine che fluttuano nell’immensità del cielo, raccogliendo preziosissimo ossigeno mentre cerca una soluzione o, perlomeno, una spiegazione per ciò che è accaduto. 
    La premessa è molto interessante, e sembra adeguata a una sorta di stramba variante a gravità zero dei survival. Fatto sta che Adr1ft al momento è ancora un concept, senza un direzione nota o elementi di gameplay ben definiti. La versione da noi provata da Halifax era poco più di una tech demo, molto simile a quanto si era visto durante la presentazione dei VGA. Senza limitazioni o pericoli, abbiamo potuto vagare per la stazione in tutta tranquillità, osservandone i dettagli e perdendoci nella sua devastata bellezza. È evidente come Orth e compagnia vogliano puntare moltissimo sull’impatto visivo del loro titolo, e già in queste fasi sperimentali paiono aver una certa padronanza del motore Unity, visto che il pezzettino di stazione esplorabile ci è parso subito evocativo e ben modellato. La prima analogia che viene alla mente è quella con Gravity, il film pluripremiato di Cuaròn, ma le strade percorribili dagli sviluppatori sono molteplici e potrebbero spaziare dal puzzle game all’avventura, tralasciando almeno in parte la volontà di trasportare il giocatore in un viaggio sensoriale su cui ha controllo limitato. 
    Di certo al momento è difficile prevedere il futuro del gioco, ma possiamo almeno dire che lo sposalizio con Oculus è molto riuscito, e che i controlli, volutamente lenti e non perfettamente gestibili, potrebbero venir sfruttati e/o modificati per offrire un titolo discretamente impegnativo e originale. Anche in questa misera demo ci si sente, in effetti, intrappolati nel nulla, con l’angoscia che sale a causa della ripetitiva voce registrata della tuta che indica il suo stato critico e la disperazione in aumento per una circostanza all’apparenza irrecuperabile. C’è da dire, comunque, che non è nemmeno una passeggiata di salute dar vita a un videogame solido dove non si può fare altro che interagire con oggetti fluttuanti e avanzare lentamente a gravità zero. Tutto dipende dalla genialità del team, e dalla capacità di Orth e dei suoi sviluppatori di programmare una “first person experience”, come gli piace chiamarla, ricca di momenti dalla grande forza e di audacia. I 505 pare gli abbiano dato grande libertà, ora sta solo a loro.

domenica 8 febbraio 2015

Mortal Kombat X

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:NetherRealm Studios

  • Data uscita:14 aprile 2015

     

     

    La vita è sempre più dura per i picchiaduro. Dopo un boom inatteso ma giustificato da alcune uscite sopraffine, questo genere estremamente di nicchia si è ravvivato con un'energia senza precedenti, fino a saturare il mercato. Anche con situazioni simili tuttavia può aprirsi uno spiraglio, e per l'esattezza la luce in fondo al tunnel franato stavolta è rappresentata dalle nuove console, nelle cui librerie i campioni delle botte virtuali sono ancora pochini.
    Qualche sfidante è già salito sul ring, ma nessuno ha spaccato il mondo e la via d'uscita si fa sempre più stretta considerando che stanno per arrivare avversari tanto famosi quanto noti. Mortal Kombat é senza dubbio uno dei pesi massimi, un marchio amato da sempre ma riesploso solo di recente grazie a un ultimo capitolo di tutto rispetto. Noi siamo volati a Londra per gustarci la decima iterazione della serie, che promette meraviglie in molti aspetti, e oggi vi sveleremo se l'esperienza ci ha feriti o esaltati.
    Nel mondo dei fighting game i Mortal Kombat hanno sempre fatto la parte degli outsider. Incentrati su brutalità e spettacolarità, hanno spesso trascurato il gameplay, al punto da venir ignorati quasi del tutto dalla community competitiva. Le cose sono cambiate solo con il nono capitolo della serie, dotato di un gameplay ben più affinato e vicino a quello di un picchiaduro 2D “classico” rispetto al passato, ma alcune meccaniche vecchiotte rimaste invariate e l’accessibilità del sistema hanno reso il titolo comunque una sorta di pariah tra gli incontentabili espertoni dei picchiaduro. Lo sforzo da parte dei NetherRealm c’è pure stato, con finanziamenti ai tornei e una costante opera di ribilanciamento del loro pargolo, eppure con Mortal Kombat X l’idea di fondo pare quella di lasciare nell’angolo le urla dei veterani, per concentrarsi sulla massa del pubblico pagante.
    Vediamo di spiegarci meglio: il gameplay di Mortal Kombat X è, alla base, invariato. Le combo si basano sempre sullo stesso target combo system, intuitivo e facile da padroneggiare ma piuttosto rozzo, c’è ancora una barra divisa in tre parti che permette rispettivamente di eseguire mosse speciali potenziate, interrompere le combo avversarie, o dare il via a delle devastanti mosse X-Ray (l’equivalente delle super in Mortal Kombat, ma con molte più vertebre tritate), e i proiettili continuano a non incontrarsi. Difficile capire perché gli sviluppatori abbiano voluto mantenere quest’ultima caratteristica nonostante le critiche… stando al producer da noi intervistato il motivo è semplicemente legato all’identità del titolo, e alla volontà di mantenere invariati certi elementi. Zoning escluso, il sistema resta solido, divertente e facile da utilizzare anche per i neofiti, e nel decimo episodio si accompagna a una manciata di scelte molto coraggiose, che si distaccano leggermente dai desideri degli esperti per donare ancor più impatto al tutto.
    La prima, ed è apocalittica, è la divisione degli stili per ogni combattente. In pratica ogni guerriero in Mortal Kombat X ha tre stili, che variano le mosse speciali utilizzabili mutando di conseguenza l’approccio del giocatore ai match. Alcuni stili, come il Ninjutsu di Scorpion, sacrificano le special per offrire armi da taglio con cui risulta più facile eseguire combinazioni brutali, altri si concentrano sui proiettili, e altri ancora offrono opzioni particolarissime, come varianti del grappling o la capacità di piazzare pericolose trappole per l’arena. È una trovata incredibilmente furba a livello di game design, perché oltre a rendere ogni combattente 3 diversi guerrieri in uno, rende semplice concentrarsi su un singolo stile di gioco, mettendo a disposizione dell’utente un numero di mosse non eccessivo e calcolato con intelligenza. L’unica magagna? Il bilanciamento. Il roster dei Mortal Kombat è molto nutrito, e riteniamo praticamente impossibile bilanciare a dovere ogni singolo stile. Magari i NetherRealm ci smentiranno dimostrando un’innata abilità in questo campo, ma così ad occhio ci dà l’impressione di essere un’altra soluzione pensata per dare più possibilità al grande pubblico, sbattendosene altamente dei torneoni. 
    Sia chiaro, non stiamo condannando la scelta degli sviluppatori, è l’esatto contrario. Ora come ora i picchiaduro ultra tecnici che non perdonano niente sono fin troppi e non svettano certo in cima alle classifiche di vendita, quindi riteniamo estremamente sensata la volontà di NetherRealm di offrire un prodotto appetibile a tutti e abbastanza spassoso da poter rompere persino la dura scorza di chi è cresciuto a pane, Third Strike e King of Fighters.
    Altra novità sono le interazioni ambientali, prese paro paro da Injustice, ma all’apparenza meno variabili in base al peso e alla forza del personaggio coinvolto. Al di là di alcune zone nelle arene utilizzabili per spostarsi rapidamente da una parte all’altra dello schermo, non sono mancate chicche come un braciere le cui ceneri venivano sparate in faccia al nemico, o un cadavere trasportato dalla corrente scagliabile a mò di proiettile. Considerando la filosofia di fondo del nuovo Mortal Kombat, questo inserimento aggiunge varietà agli scenari, rendendo l’azione ancor più variegata e imprevedibile con buona pace dei puristi delle arene immutabili.
    Le grosse novità rivelate durante l’evento, ad ogni modo, non riguardavano il gameplay del gioco, di cui bene o male già avevamo colto le basi. Il piatto forte infatti si chiama Living Tower, ovvero una variante in costante mutazione della Challenge Tower tanto osannata nel predecessore. Per chi non lo ricordasse, la Challenge Tower era un enorme torrione ricchissimo di missioni da completare, di difficoltà crescente e in grado di occupare l’utenza per ore al di fuori della campagna singleplayer e del competitivo online. Le Living Tower sono invece tre diverse torri, che vengono cambiate dagli sviluppatori dopo un tot di tempo e sono affrontabili con qualunque lottatore (diversamente dalle vecchie missioni, costruite attorno a singoli personaggi). Tali torri si dividono in Quick, Daily e Premiere,  e la loro composizione varia rispettivamente ogni tot ore, ogni giorno e ogni settimana, con molti meno stage nelle Quick e nelle Daily Tower rispetto alla titanica Premiere. Tra i “temi” disponibili abbiamo affrontato una Quick Tower dove in ogni match un numero crescente di granate esplosive veniva fatto rotolare ai piedi dei giocatori, una Daily Tower con piogge di vario tipo (dai meteoriti alle sfere congelanti), e una Premiere Tower con scontri tutti diversi tra loro. Le potenzialità di questa idea sono illimitate e le torri potrebbero rendere il gioco incredibilmente longevo anche per coloro che non amano affrontare gli scontri online. 
    E non è tutto qui, perché il secondo reveal ha riguardato le Faction, fazioni selezionabili dai giocatori ogni settimana, che si sfidano accumulando punteggio per ottenere premi vari. Le Faction funzionano in modo simile ai club di DriveClub: i giocatori accumulano punti in qualunque modalità decidano di giocare e questi vanno poi a sommarsi al totale della fazione. Quando la settimana finisce, la Faction in testa ottiene premi e chicche varie, tra cui anche nuove fatality per i personaggi, poi tutto si resetta. La presenza di cinque gruppi, oltre che di una dettagliatissima pagina dedicata al proprio profilo con rank variabile, obiettivi da completare e molti altri dati, rende persino questo metagame online un punto di forza non indifferente per l’ultimo capitolo della serie. 
    Chiudiamo con il comparto tecnico, del quale è difficile lamentarsi. La fluidità del gioco è impeccabile, le arene splendide e i combattenti estremamente dettagliati, con una cura per il gore e gli sbudellamenti da manuale Netter di Anatomia. Abbiamo notato qualche imprecisione negli effetti particellari, ma considerando la build arretrata da noi provata sparirà indubbiamente tutto nella versione finale.

venerdì 6 febbraio 2015

Deathtrap

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Neocore Games

  • Data uscita:4 febbraio 2015

     

     

    L'Europa dell'est sta vedendo crescere con sempre maggior frequenza realtà davvero interessanti. CD Projekt Red ormai è divenuto uno studio di sviluppo rinomato e riconosciuto a livello internazionale ma, ovviamente, non è l'unica realtà che negli ultimi anni ha dimostrato di saperci fare con i videogiochi. Dal 2013 infatti anche i ragazzi di Neocore Games, con sede nella bellissima Budapest, hanno immesso sul mercato due eccellenti capitoli di Van Helsing, hack 'n' slash dalle tinte steampunk. Il buon successo di vendite ha quindi spinto Neocore a continuare con la sperimentazione, partorendo nell'ultimo anno un prodotto particolare, che abbiamo testato davvero con molto interesse.
    Deathtrap, venduto su Steam a circa 20 euro, è un tower defense unico, capace di miscelare elementi da gioco di ruolo, come la personalizzazione del proprio alter ego virtuale, con meccaniche hack 'n' slash, aggiungendo infine alla formula una buona dose di tattica e pianificazione delle proprie mosse.
    Il giocatore si troverà così a dover scegliere inizialmente una tra le tre classi a disposizione, piuttosto basilari a dire il vero. Avremo il consueto tank corazzato in grado di resistere a una gran quantità di colpi, uno stregone dedito alle magie elementali e un cacciatore dotato di abilità velenifere. La scelta modifica in maniera sostanziale il gameplay e il modo di affrontare i tredici livelli messi a disposizione. Un numero che sembrerebbe essere risicato, se non fosse che ogni livello si ripropone in quattro tier differenti, modificando la composizione delle squadre di assalto nemiche, la posizione delle nostre barriere difensive da costruire su postazioni predefinite e, ovviamente, la resistenza dei vari esseri che usciranno dai portali per raggiungere il nostro nucleo.
    I livelli possono durare dai cinque ai dieci minuti l'uno, ma mettete in conto di dover ripetere più volte alcuni stage del medesimo tier se il vostro obiettivo è quello di arrivare a conquistare tutte le stelle e i relativi potenziamenti che il gioco mette sul piatto.
    Deathtrap ha un triplice sistema di livellamento per il vostro personaggio: il primo, e quello più classico, è relativo al vostro eroe che potrà guadagnare esperienza e progredire attraverso ben cento livelli, accumulando punti da suddividere nelle numerose skill a disposizione. Ci sono potenziamenti passivi e abilità attive da imparare e ogni eroe ha ovviamente le sue specializzazioni, per una adattabilità complessiva davvero eccellente. Molteplici sono le spec realizzabili e la libertà data al giocatore è tale che difficilmente si troveranno due build assolutamente identiche quando ci si getterà nelle partite online, che vedremo in seguito.
    Il secondo stadio si riferisce invece alle trappole stesse, le quali acquisiscono potenziamenti e abilità mano a mano che il nostro eroe progredisce con i livelli, sbloccandone anche di completamente nuove proprio sul finire dell'avventura. Alcune trappole sono semplicemente donate al giocatore dopo che questo avrà superato un numero prestabilito di livelli mentre altre, per l'appunto quelle avanzate, richiederanno il completamento di alcuni compiti per essere sbloccate.
    Il sistema funziona egregiamente e ci si sente spinti a raggiungere il prima possibile questi obiettivi, proprio per vedere quale tipo di macchinario strambo gli sviluppatori si sono inventati e aumentare il ventaglio di tattiche a disposizione.

    Riprendendo l'ambientazione mezza steampunk vista in Van Helsing, troviamo un design ricercato e quantomeno diverso dal solito, con trappole a vapore, sputafuoco rotanti o anche pilastri capaci di scagliare magma e fulmini a nostro piacimento.
    Non mancano poi trabocchetti indirizzati verso le evocazioni, così da poter schierare al vostro fianco sul campo di battaglia non morti e lupi mannari, pronti a rallentare le continue ondate nemiche. Alla fine di ogni stage inoltre vi verrà donata una preziosa cassa del tesoro, contenente al suo interno un loot casuale che potrà ovviamente essere utilizzato per modificare le statistiche base del vostro eroe.
    Da questo punto di vista Deathtrap si distingue da tutti i prodotti similari, come Orcs Must Die o Dungeon Defenders tanto per citarne un paio, donando un sistema di crafting semplice ma efficace, oltre a uno shop dove vendere e comprare equipaggiamento, amuleti e rune di vario tipo.
    Elemento della produzione che invece non ci ha convinto completamente è la necessità di ricominciare l'intera campagna dall'inizio ogni qual volta decideremo di cambiare personaggio. Vista la già intrinseca ripetitività dei livelli avremmo preferito poter selezionare liberamente eroe in qualsiasi momento piuttosto che avere tre personaggi divisi in comparti stagni.
    La ripetitività, comunque, è sempre all'erta e il rischio di annoiarsi dopo il primo tier è piuttosto elevato. Fortunatamente entra in gioco la componente multiplayer, varia e ben strutturata anche se forse ancora carente al momento nei contenuti.
    Fino a quattro giocatori, di qualsiasi classe, potranno cooperare per superare le diverse sfide che adatteranno la difficoltà al numero dei partecipanti. La raccolta delle essenze, valuta necessaria per acquistare nuove trappole, verrà divisa automaticamente tra tutti gli eroi presenti così che ogni giocatore possa gestire un lato della mappa o, eventualmente, potenziare le trappole dei propri compagni. È interessante in questo senso vedere ampliarsi sensibilmente la varietà di tattiche disponibili, potendo creare con un gruppo affiatato build complementari le une alle altre, con grandi punti di forza ma anche pericolose debolezze, compensate per l'appunto dalle scelte dei propri compagni.
    Deathtrap insomma trova proprio nella cooperativa uno dei suoi punti di forza maggiori, un peccato quindi che per poter giocare le varie mappe sarà necessario averle precedentemente sbloccate o, ancora una volta, ci si troverà a dover eseguire tutta la progressione livello per livello per mettere in pari gli altri giocatori.
    Neocore non si è tuttavia limitata alla sola co-op, ma ha inserito anche una modalità competitiva con tanto di classifiche e ladder dove le regole del gioco vengono stravolte.
    Qui un giocatore dovrà difendere come al solito, mentre il suo avversario si troverà a poter controllare un essere spettrale capace di prendere controllo delle varie orde bestiali e di potenziarle. Peccato per la sola mappa messa a disposizione, peraltro fortemente sbilanciata per il ruolo dell'attaccante a meno che il difensore non abbia raggiunto livelli altissimi, rendendo la difesa un vero gioco da ragazzi. Era d'obbligo in questo caso prevedere un livello standard sia per attacco che per la difesa, così da evitare i forti sbilanciamenti che abbiamo riscontrato.
    La visuale isometrica di Deathtrap fa il suo dovere e design e assets dei nemici sono presi a piene mani dalle creature mitologiche viste in Van Helsing, con le ovvie mutazioni del caso e l'aggiunta di qualche essere inedito. Preparatevi ad affrontare enormi ghoul, arpie, gargoyle e non morti di varia natura, per una buona varietà complessiva di classi. La colonna sonora invece non convince, con un solo brano ripetuto in maniera ciclica che purtroppo acuisce quel senso di deja vù che ci accompagna già dopo le prime partite. 

lunedì 2 febbraio 2015

Battlefield Hardline

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Visceral Games

  • Data uscita:19 marzo 2015

     

     

    Il franchise di Battlefield ha attirato a sé una crescente lista di critiche, in seguito a una serie di promesse non mantenute. Il quarto episodio, in particolare, è uscito con una imbarazzante campagna offline e senza parecchie rifiniture nella componente online, alla quale sono occorsi dei  mesi prima di iniziare a vedere qualche risultato apprezzabile.
    Così, l’annuncio di Battlefield: Hardline non è stato accolto con il solito hype che di norma si riserva alla serie sviluppata da DICE. Il gioco, infatti, è stato da molti interpretato come un grosso DLC stand-alone di Battlefield 4, con nuove armi, nuove skin e nuove modalità. Dopo la prova della versione beta, possiamo affermare che – in effetti – le sensazioni provate in fase di annuncio non si discostano molto dalla realtà: Battlefield: Hardline non è un nuovo capitolo della saga, ma un gioco fortemente basato su quanto visto in Battlefield 4 con un forte cambiamento nelle ambientazioni, nei protagonisti e nel feeling grazie alla direzione dei Visceral Games. E questo, in barba ai pregiudizi, non è necessariamente qualcosa di negativo.
    Vi avevamo già parlato qualche mese fa della campagna single player di Battlefield: Hardline, e di quanto questa non si discostasse dalle banalità già viste in passato in questa serie. Nella prova svoltasi qualche giorno fa negli studi di Guildford, in Inghilterra, abbiamo però avuto l’opportunità di mettere mano alla beta multiplayer del gioco, con qualche giorno di anticipo sul lancio mondiale che avverrà il 3 febbraio. Vero cuore dell’esperienza di ogni Battlefield, il multiplayer di Hardline si differenzia subito da quello del quarto episodio per la presenza di due differenti squadre. Abbandoniamo i soldati e i terroristi per abbracciare il mondo delle guardie e dei ladri: nel nuovo capitolo, infatti, avremo a che fare con il mondo della polizia e quello dei malviventi, con conseguenti modifiche nell’equipaggiamento, nelle ambientazioni e, ovviamente, nelle modalità.
    La prova riservataci ci ha permesso di mettere mano a una modalità non ancora vista nella saga, e chiamata Hotwire. Il concept si basa sulla modalità Conquest, in cui dobbiamo catturare e mantenere dei punti di controllo per fare scendere a zero il punteggio avversario. In questo caso, però, i punti di controllo sono cinque veicoli che possono essere guidati e dunque spostati in giro per la mappa. Così, ogni volta che si conquista un mezzo inizia una lunga fuga dai nemici, che faranno di tutto per annichilirci e recuperare il veicolo, o distruggerlo nell’attesa che ne venga respawnato un altro. I mezzi da conquistare si dividono tra auto, furgoni e camion e permettono di adottare diverse strategie, in particolare quando si carica a bordo un compagno per difenderci dagli attacchi nemici. Sfortunatamente, chi è alla guida del veicolo non può sparare, ed è costretto a trascorrere parecchi minuti girando come un ossesso per la mappa di gioco, limitando le sue capacità offensive al mezzo stesso che può investire gli avversari e ucciderli. Sulla carta, la modalità Hotwire offre qualcosa di originale e punta a trasformare ogni partita in un piccolo film d’azione, con inseguimenti e sparatorie. Nella pratica, ci è sembrata fin troppo noiosa per gli autisti, che si ritrovano a convivere con un sistema di guida poco appagante e con limitatissime capacità di intervento nell’assetto bellico della partita.
    Ben diverso è il discorso per la modalità Heist, nella quale Battlefield: Hardline fa emergere con forza la sua vera natura trasformandosi in una versione testosteronica degli amati giochi della serie Payday. In questo caso, il gioco ci divide tra guardie e ladri, e ci chiede di andare a rapinare una banca o di sventare il furto. In breve, Heist è una rivisitazione del concept di Cattura la Bandiera, in cui però una sola delle due squadre può raccogliere l’obiettivo – una valigia di contanti – e portarlo presso un punto di estrazione, nell’attesa di un elicottero.  Questa asimmetria tra la squadra di attacco e quella di difesa porta con sé un netto miglioramento in termini di organizzazione tra i giocatori e di dispiegamento tattico, rendendo il gioco molto più divertente del previsto. La presenza di un numero limitato di percorsi per raggiungere il punto di estrazione, infine, rende il combattimento molto più intenso e veloce che in una qualunque altra modalità di Battlefield: Hardline, e in generale la sensazione è di un netto passo in avanti rispetto a quanto visto fin’ora nella serie.
    L’idea degli sviluppatori si è basata su la regola delle “tre esse”: Speed, Story & Strategy, vale a dire velocità, storia e strategia. In Hotwire, come detto, tutte le idee di Visceral Games sembrano essere state castrate da un gameplay reso poco emozionante a causa dello scarso contatto fra i giocatori che si crea quando tutti si trovano a bordo di un veicolo che richiede ben più dell’intervento di uno o due giocatori a piedi per essere fermato. Comprendiamo altresì quanto la strategia sia importante in una partita di questo tipo, e possiamo intravedere un certo potenziale per chi gioca principalmente in un clan. Ma, allo stesso modo, crediamo che la proverbiale disorganizzazione dei giocatori che si affidano al matchmaking (e che sono la maggior parte) porterà a una certa diffidenza nei confronti di questa modalità.
    Diverso è il discorso per Heist, dove la velocità si fa davvero sentire e la strategia, visto l’andamento asimmetrico delle partite, sembra assumere una valenza ancora più grande. Crediamo che Heist sarà una delle modalità preferite dai giocatori al momento dell’uscita del gioco, e che sarà una delle evoluzioni più gradite introdotte da Hardline.
    Da segnalare, infine, la possibilità di respawnare non più in punti predefiniti o sul caposquadra ma in punti “intelligenti” basati sulle zone in cui la battaglia è più accesa e più in bilico. Un altro preciso segno nell’intenzione degli sviluppatori di rendere il gioco più veloce e privo di inutili spostami ma che, tuttavia, non si è rivelato sempre funzionale e ci ha costretto comunque a lunghe camminate nelle mappe più ampie.
    Il progetto di Battlefield: Hardline è fortemente basato sugli asset di Battlefield 4. Non troveremo un nuovo motore grafico o fisico, e nel bene e nel male avremo a che fare con la tecnologia di Battlefield 4, rifinita per l’occasione. Così, nel corso della nostra prova abbiamo potuto apprezzare la distruttibilità degli ambienti data dal motore Frostbite e la presenza di alcuni eventi scriptati, e al contempo abbiamo avuto a che fare con tutti gli stessi bug del motore grafico, già visti nel gioco del 2013.
    Sfortunatamente, in Hardline ci sarà solo una mappa Levolution nella quale il campo di battaglia sarà fortemente influenzato dall’arrivo di una tempesta di sabbia: tutti gli altri eventi scriptati, invece, si limitano a modificare qualche percorso e a costringere i giocatori ad apportare qualche piccolo cambiamento tattico.
    Le armi e l’equipaggiamento di Battlefield: Hardline, infine, incarnano la nuova anima urbana del gioco, con una presenza più serrata di mitragliette tattiche e di fucili da interni, naturalmente modificabili. La personalizzazione del proprio loadout appare piuttosto variegata, e nel poco tempo a nostra disposizione abbiamo notato una buona differenziazione nel feeling delle varie armi disponibili. Anche da questo punto di vista, possiamo riconoscere un piccolo passo in avanti rispetto a Battlefield 4.

Dying Light

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Techland

  • Data uscita:27 gennaio 2015  

     

     

    Un’immaginaria città turca (Harran) distrutta e devastata dal solito virus in stile Umbrella Corporation, migliaia di zombi che hanno invaso le strade, case ed edifici abbandonati, pochi superstiti e qualche sparuta zona protetta che ha resistito all’invasione dei morti viventi. E’ questo lo sfondo di Dying Light, nuova fatica di Techland che dopo l’ottimo Dead Island e il più interlocutorio Dead Island: Riptide torna alla formula del survival in prima persona. In effetti molti degli elementi visti nei due giochi appena citati tornano anche in Dying Light. La struttura da mondo aperto (non immenso ma nemmeno ristretto), le quest primarie e secondarie, le tante attività collaterali, la grande importanza data al crafting, le armi distruttibili e la progressione del protagonista del gioco in senso ruolistico. Se avete già giocato a Dead Island, vi troverete perfettamente a vostro agio in mezzo a questi vicoli lordi di sangue e corpi in decomposizione e a una città labirintica come poche. Un cambio di location che non piacerà a tutti visto anche l’atmosfera solare e caraibica di Dead Island, ma Harran riserva comunque una discreta varietà di ambientazioni tra colline, specchi d’acqua in cui nuotare e immergersi, gallerie, soprelevate, un lungo tratto ferroviario e alcuni edifici esplorabili di medie dimensioni (il grattacielo iniziale, la scuola, altri palazzi ecc.).
    La prima vera novità che si percepisce subito rispetto a Dead Island è l’estensione verticale della mappa e non è certo un caso. Dying Light prevede infatti un sistema di movimento in stile parkour che si maneggia senza particolari problemi fin da subito; si salta, ci si aggrappa a qualsiasi cosa, si scivola mentre si corre, si scavalcano muri e recinzioni. Il tutto per muoversi più agilmente sui tetti e sui terrazzi della città in modo da stare il meno possibile in mezzo alle strade piene zeppe di zombi, che a parte qualche rara eccezione sono i classici living dead lenti, impacciati e incapaci di saltare e di arrampicarsi. Muoversi in questo modo con una visuale in prima persona fa molto Mirror’s Edge, ma dopo lo spaesamento iniziale dobbiamo ammettere che il sistema funziona e la grande agilità del nostro alter ego coinvolge anche il sistema di combattimento, con mosse, calci volanti, finte e schivate che si imparano nel corso del gioco avanzando di livello. Lo scotto da pagare per essere così agili e veloci è l’impossibilità di guidare un qualsiasi veicolo. Se in Dead Island le auto e le jeep erano fondamentali per investire gli zombi e muoversi velocemente da una parte all’altra dell’isola, in Dying Light tutto ciò non è più possibile, anche perché spostarsi in auto in questi vicoli sarebbe praticamente impossibile. Ciò, unito all’assenza di un trasporto immediato che leghi i vari rifugi, costringe a muoversi continuamente a piedi e a farsi chilometri di corsa per tornare a un punto dopo aver risolto una missione. Questi continui spostamenti dopo un po’ tendono a stancare e la mancanza di qualche mezzo di trasporto più immediato si fa inevitabilmente sentire.
    Per fortuna le cose da fare quando ci spostiamo non mancano mai. Dying Light è davvero un titolo vastissimo a livello di contenuti. Le missioni che seguono la quest primaria sono infatti affiancate da incarichi secondari che otteniamo parlando con i PNG sparsi per la città, dalla ricerca di materiali per il crafting e da molte altre attività. Possiamo ad esempio soccorrere una persona attaccata da un gruppo di zombi o umani, competere in gare di velocità, scovare i vari collezionabili (lettere, statuine) e arrivare prima dei nemici nei luoghi degli air drop, casse contenenti materiale prezioso che vengono lanciate su Harran dagli aerei e che, naturalmente, fanno gola anche ad altri sopravvissuti. Volendo c’è anche spazio per del sano grinding, utile soprattutto all’inizio per raccogliere i soldi e gli oggetti dagli zombi morti e per aumentare il livello di Forza, una delle tre caratteristiche principali del sistema si potenziamento. La velocità con cui ci vengono comunicate missioni e incarichi via radio è davvero pazzesca, tanto che annoiarsi in Dying Light è praticamente impossibile. Questo anche perché la ricerca di oggetti e potenziamenti per il crafting di armi e gadget è pressoché continua e sempre interessante. Le armi da mischia, da lancio e da fuoco sono presenti in grande quantità (un po’ meno le ultime) e tutte possono essere potenziate e letteralmente trasformate proprio come già visto in Dead Island, con la differenza però che il crafting in Dying Light è immediato e si può fare dove e quando si vuole. 
    C’è davvero l’imbarazzo della scelta se amate trasformare, creare e potenziare tra medikit, modifiche elettriche, piante e funghi, molotov e altre “ricette” che aggiungono un certo tipo di danno alle armi. A funzionare molto bene è anche il sistema di progressione diviso tra Agilità, Forza e Sopravvivenza. Ognuna di queste voci aumenta di livello a seconda se ci muoviamo molto, se combattiamo spesso e se portiamo a termine le missioni. Guadagnato un punto al passaggio del livello successivo, possiamo attivare una delle rispettive skill e anche in questo caso l’albero delle abilità è fitto di opzioni tra potenziamenti attivi e passivi e nuovi tipi di attacco, pur rimanendo di comprensione immediata e approcciabile da qualsiasi giocatore. Quando poi cala la notte, Dying Light prende le sembianze di un vero survival horror; si vede poco e se si accende la torcia elettrica di rischia di attirare verso sé gli zombi, anche se il vero pericolo sono le creature della notte che vanno evitate come la peste. Le fughe da questi mostri sono il momento più spaventoso del gioco, ma per fortuna, stando attenti al loro “cono” visivo segnalato sulla mappa e quindi optando per un approccio quasi stealth, si può evitare di finire a brandelli. Mostri che tra l’altro possiamo impersonare in una modalità alternativa del gioco e che si controllano quasi come Spider-Man, con un’agilità pazzesca e con una specie di sostanza che funge da ragnatela per raggiungere altezze altrimenti proibitive.     
    Che dire ancora di Dying Light? Il co-op online permette di giocare con un massimo di altri tre giocatori tramite un classico drop-in/drop-out, dividendosi così le fatiche e compiendo dei veri e propri massacri indiscriminati di zombi. La longevità rimane bene o male quella di Dead Island; non enorme se si seguono solo le quest principali ma molto più cospicua se si esplora, si risolvono le missioni secondarie e si cerca di ottenere tutte le skill disponibili. Il comparto grafico convince pur senza far gridare al miracolo. Molto bello tutto il lavoro fatto sullo scenario, sull’illuminazione, sulla gestione delle ombre, sul “sangue” e sulla netta sensazione (data anche dall’audio) di assistere a combattimenti cruenti e molto fisici. Il gioco assicura un buon frame-rate anche con PC di livello medio, ma se volete attivare l’occlusione ambientale e spingere le texture al massimo livello è meglio poter contare su una scheda grafica con parecchia VRAM (almeno 3 GB, meglio ancora 4). Stupisce poi in positivo, visti anche i tempi di day one di giochi PC a dir poco problematici, la stabilità del codice review. Mai un crash in oltre 20 ore di gioco, anche se una futura patch dovrebbe sistemare il problema dello stuttering che si presenta con alcune opzioni grafiche attivate. Nel nostro caso, con texture Medie e HBAO+ disabilitato, andavano tranquillamente oltre i 60 fps in Full HD con una GeForce GTX 770, 12 GB di RAM e un SSD da 256 GB. Difetti? Oltre al continuo andirivieni per la città, segnaliamo un’IA dei nemici umani un po’ troppo “allegra” e ben poco tattica, una trama così così e un protagonista che forse anche per il doppiaggio italiano trasmette davvero poca empatia. Anche sul discorso originalità Dying Light non è certo una cima e le molte somiglianze con Dead Island lo dimostrano chiaramente, ma Techland ha realizzato un titolo davvero solido, bello da vedere, divertente da giocare e spaventoso quanto basta.