Ethero

martedì 29 luglio 2014

Whispering Willows


  • Piattaforme:iPhone, PC, TECH

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Night Light Interactive

  • Data uscita:9 luglio 2014

     

    Non è vero che non avevano voglia di parlare; al contrario, i morti hanno sempre un sacco da dire”: questa frase, pronunciata dall’eccezionale Max Payne targato Remedy, ben si addice al gioco che ci accingiamo a recensire, ovvero Whispering Willows. In questo titolo, infatti, il giocatore sarà chiamato a interagire con gli spiriti di persone scomparse, a risolvere puzzle e a salvare una vita. Scopriamo allora se queste premesse consentono all’avventura Night Light Interactive, in vendita in versione PC, MAC e Linux a € 14,99, di ottenere un giudizio positivo.
    La giovane Elena Elkhorn non riesce a darsi pace: la scomparsa del padre, disperso misteriosamente da qualche tempo, è un trauma difficilmente superabile. Una sera, dopo l’ennesimo incubo che disturba i suoi sogni, si fa coraggio e decide di recarsi alla magione Willows, luogo in cui il padre lavorava come custode. Una volta raggiunta la tenuta, partirà la storia vera e propria: in questa location Elena scoprirà che il proprio medaglione, ultimo dono del padre, le consentirà di comunicare con gli spiriti che infestano la magione grazie alla creazione di un proprio alter-ego, capace di interagire con i fantasmi che sussurrano storie di morte. Sarà grazie ai dialoghi tra Elena e queste entità, infatti, che verranno alla luce i segreti della tenuta, della vita di Wortham Willows, carismatica figura fondatrice della città in cui è ambientato il titolo, e della sorte del padre della protagonista.

    In un titolo sostanzialmente low budget come Whispering Willows, riuscire a raccontare tutte queste vicende è impresa ardua: non potendo realizzare cutscene in serie, e affidandosi sostanzialmente alle sole linee di testo per quanto riguarda la realizzazione dei dialoghi, lo strumento comunicativo scelto degli sviluppatori è stato l’inserimento di numerosi manoscritti. Questi elementi, sparsi per il mondo di gioco, riusciranno a ricreare una storia in qualche modo appassionante, anche se presentano un potenziale lato negativo. Se è vero infatti che non ci si dovrà sforzare più di tanto per ritrovare queste pagine, visto che saranno sempre facilmente individuabili, è altrettanto vero che il numero non proprio esiguo delle stesse potrebbe disincentivare il giocatore dal leggerle tutte quante. Tutto ciò è un peccato soprattutto perché, a livello puramente pratico, il gioco può essere terminato anche senza aver consultato la totalità delle pagine: è pur giusto dire, però, che così facendo poco si capirà della psicologia dei personaggi, e della storia dei luoghi che si stanno visitando. In buona sostanza, dunque, l’immersività che deriva dalla narrazione sarà funzione diretta del coinvolgimento del giocatore, il quale dipenderà a sua volta dalla qualità del gameplay. Come vedremo, però, le dinamiche di gioco non sapranno sostenere il plot in modo così convincente come invece ci si sarebbe aspettato.
    Whispering Willows mescola in qualche modo alcune dinamiche tipiche dei platform e delle avventure grafiche bidimensionali. Quello che il giocatore sarà chiamato a fare, in altre parole, sarà esplorare i vari ambienti della tenuta Willows, e risolvere alcuni enigmi che permetteranno di avanzare nella storia. La natura di queste sfide, spesso e volentieri, si risolverà nel ritrovare un determinato oggetto, o nel parlare con un dato personaggio. Possiamo dire senza particolare timore di essere smentiti che l’unico elemento che risalta in questo sistema di gioco, fruibile unicamente via tastiera, è dato dalla presenza dell’alter ego ultraterreno di Elena. Questa particolare versione della protagonista, infatti, può fluttuare, raggiungere altezze altrimenti inaccessibili, infiltrarsi attraverso crepe e interagire con determinati oggetti. La capacità più incisiva, in ogni caso, sarà quella di poter parlare con le anime che vagano per la magione, di modo da scoprire nuovi particolari dei protagonisti e soprattutto cercare di avanzare nella storia. Va da sé che sfruttare queste due “anime” della protagonista principale equivale in un certo senso a disporre di due personaggi separati: laddove non arriva la versione fisica di Elena, in altre parole, può riuscire la sua controparte ultraterrena. Tutto ciò ha permesso agli sviluppatori di ricreare alcune situazioni ed enigmi risolvibili alternando le due protagoniste; l’esempio più banale, in questo senso, riguarda la presenza di un determinato ostacolo, come una porta chiusa, aggirabile grazie all’azione dello spirito di Elena, che potrà sbloccare la situazione andando ad agire su un determinato meccanismo capace di aprire proprio la porta che ci ostacolava.
    Questa particolare feature del titolo, in ogni caso, non va a risolvere quella sensazione generale di lentezza che pervade l’intera produzione; nonostante la longevità complessiva sia esigua (circa tre ore), dunque, il giocatore potrebbe ritrovarsi dopo poco a fare i conti con una possibile sensazione di noia, scaturita anche dal possibile backtracking. Girare liberamente tra i locali della magione Willows, infatti, avrà come conseguenza primaria quella di rendere più difficoltosa la ricerca degli oggetti richiesti. Sarà molto importante, dunque, esplorare attentamente tutti gli ambienti in cui ci si ritroverà, e fare attenzione ai possibili oggetti con cui si potrà interagire. Non riuscire a scorgere un oggetto utile al primo colpo, spesso, farà sì che non si possa risolvere un determinato enigma, e difatti bloccherà il giocatore nel prosieguo della storia. Tutto ciò, come ben si intuisce, costringerà a tornare indietro sui propri passi, e a ricominciare la fase di ricerca, compassata e lenta a causa della scarsa velocità della protagonista.
    Uno dei modi in cui gli sviluppatori hanno pensato di rimediare a questo ritmo poco esaltante, probabilmente, è rappresentato dall’introduzione di alcuni momenti in cui la protagonista dovrà correre a perdifiato, di modo da sfuggire a delle oscure presenze che la inseguono. L’idea, in un gioco in cui si dovranno visitare cripte e giardini labirinto, ha una sua fondatezza, ma c’è da dire che questi espedienti spesso falliscono a causa dello scarso livello di difficoltà (basterà correre il più possibile in direzione opposta alla minaccia), e al poco incisivo impatto emotivo. Troppo poco, dunque, per un gioco che secondo gli sviluppatore dovrebbe promettere un’esperienza horror, capace di far venire ”la pelle d’oca”.
    Prima di approdare su PC, MAC e Linux, Whispering Willows ha fatto la sua originale apparizione su OUYA, la console Android su cui tanto è stato detto e scritto. L’aspetto grafico del titolo sembra essere diretta conseguenza di questa iniziale direzione di sviluppo: quella che ci si trova davanti, infatti, è una realizzazione bidimensionale leggera e pulita, che si segnala come uno degli elementi più piacevoli dell’intera produzione. Il titolo, almeno in riferimento alla versione da noi provata, quella PC, scorre via senza problematiche dal punto di vista hardware.
    Per quanto riguarda il versante audio, invece, non si segnalano particolari capaci di rimanere nella memoria del giocatore per tanto tempo; è possibile dire che le atmosfere fosche e tetre del titolo, in buona parte, siano da attribuire ai meriti della realizzazione grafica, piuttosto che a quella audio, che da par suo regala solo qualche accelerazione di ritmo nei momenti più concitati. L’assenza di un qualsivoglia doppiaggio, poi, ci dà l’opportunità di parlare della localizzazione del titolo: è pur vero che in un più occasioni sono presenti disattenzioni ed errori, ma considerando il carattere della produzione, l’aver voluto proporre una traduzione italiana (dei soli testi relativi al gioco, non di quelli dei menù delle impostazioni) merita in ogni caso un plauso.

The Long Dark

  • Piattaforme:iPhone, PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Hinterland Games

  • Data uscita:Early Access Settembre 2014

     

    Il rapporto tra uomo e natura assume risvolti diversi a seconda delle situazioni: è evidente come una bella visita a un parco nazionale rappresenti un’esperienza emozionante, dai risvolti quasi spirituali, e sicuramente piacevole. Ma se al parco nazionale in questione vengono tolti i percorsi guidati, tutti i vari addetti, e qualsiasi comodità come l’elettricità, ecco che l’esperienza spirituale diventa immediatamente qualcosa di più pratico, quasi di animalesco. Il bel cervo che prima ammiravi armato di macchina fotografica, in altre parole, adesso diventa l’unica speranza di vita. The Long Dark, in buona sostanza, parla di questo: un uomo, la natura, un’inspiegabile evento geomagnetico che ha spazzato via qualsiasi forma di progresso umano, e l’atavica sfida per la sopravvivenza. Andiamo a riepilogare, allora, tutti gli elementi emersi sinora e relativi a questa affascinante produzione Hinterland attesa in early access, su Steam, a settembre.
    Frutto del lavoro di un team di talentuosi sviluppatori provenienti da Relic, Ubisoft e Volition, The Long Dark si prefigge l’obiettivo di far vivere un’esperienza survival più autentica possibile. Nei panni di Will Mackenzie, sfortunato pilota di un volo bush andato male, il giocatore dovrà muoversi tra la selvaggia natura canadese, cercando prima di tutto un riparo e qualcosa da mangiare. Il tutto va a inserirsi in un contesto apocalittico, in cui un disastro geomagnetico ha ridotto l’umanità a uno stato primitivo: così come in altri titoli, l’obiettivo principale sarà quello di passare indenni la prima notte, accendere un fuoco e cercare di non congelare a causa delle sferzate d’aria gelida. Secondo quanto dichiarato dagli sviluppatori, inoltre, il titolo spingerà il giocatore a sfidare i propri limiti, con una storia matura e dai toni forti. Una delle differenze narrative maggiori rispetto ad altre produzioni incentrate su tematiche simili, difatti, risiederebbe proprio nella vicinanza tra gli avvenimenti che danno il via alla vicenda e ciò che vive il giocatore. Gli sviluppatori prendono a esempio Fallout; al contrario della serie riportata in auge da Bethesda, ambientata anni dopo il conflitto nucleare tra Stati Uniti e Cina, il nostro sfortunato pilota vivrà gli effetti immediati del disastro geomagnetico: sulle origini di questo straordinario avvenimento, però, ancora nulla è stato svelato.

    La versione early access in arrivo a settembre proporrà un’esperienza sandbox, in cui il solo scopo del giocatore sarà quello di sopravvivere il più a lungo possibile. In queste fasi, il titolo genererà degli eventi casuali, sviluppando un’esperienza di gioco diversa in ogni partita. Per fare un esempio, dunque, i giocatori potrebbero ritrovarsi all’improvviso in mezzo a una bufera di neve, talmente forte da far perdere l’orientamento e la strada verso il rifugio nel quale qualche ora prima, con un gran colpo di fortuna, ci si era imbattuti in cibo in scatola e kit per il pronto soccorso.
    Gli approcci, evidentemente, potrebbero essere molteplici: invece di lanciarsi subito alla ricerca di cibo, si potrebbe scegliere di passare la prima notte in condizioni di relativa tranquillità cercando solo un posto riparato, vicini al tepore di un fuoco. Anche in queste fasi, però, è impossibile allentare la guardia: disporre di un basso quantitativo di legna farà sì che il fuoco si spenga, con un conseguente e assai poco gradevole congelamento del protagonista.
    Un’altra variabile di cui sarà necessario tener conto, e che viene invece spesso sottovalutata in numerosi altri giochi, è la caduta da altezze elevate. Scegliere di scavalcare un pendio scosceso vorrà dire, il più delle volte, incorrere in qualche infortunio fisico. Zoppicanti per la gran caduta, a quel punto la ricerca di un qualche medicamento diverrà la priorità numero uno; in natura, però, spesso l’animale più veloce riesce a sopraffare quello più lento, e così si potrebbe divenire facili prede per lupi famelici, che sembrano usciti fuori dai racconti di Jack London ambientati sulle piste di ghiaccio verso il Klondike.
    Tutte queste varianti appena descritte, a livello di gameplay e interfaccia di gioco, vengono riassunte in una schermata approfondita e molto articolata, che fa ben capire quante siano le variabili capaci di far mutare l’esperienza di gioco in The Long Dark. La pressione del tasto TAB, infatti, farà apparire un menù carico di informazioni e schede: in ogni momento, i giocatori potranno venire a conoscenza della temperatura, dell’intensità del vento, delle calorie accumulate. Quattro barre, in modo se si vuole similare a quanto già visto anche in How to Survive, tanto per intenderci, indicheranno poi il livello di fatica, freddo, fame e sete del personaggio. Ancora, da questa stessa schermata si potrà accedere all’inventario, alle medicazioni, alla mappa di gioco e al riepilogo degli ultimi avvenimenti. In questo particolare stadio di sviluppo, in effetti, non tutte queste voci sono selezionabili: in base a quanto visto finora, però, è possibile parlare di un livello di dettaglio notevole, che restituisce un’esperienza presumibilmente variegata e complessa.
    La seconda modalità prevista dal titolo, disponibile solo a sviluppo ultimato, proporrà una storyline episodica. Non è ancora chiaro quale sia il plot, né quale sarà la struttura e il numero di questi episodi, ma a quanto è stato possibile apprendere il giocatore, nei panni di Mackenzie, vivrà un’avventura che porterà a scontrarsi con altri sopravvissuti, e a scoprire di più sul disastro che sembra aver colpito il pianeta.
    Una volta giunti alla fine della prima stagione, assicurano gli sviluppatori, i giocatori avranno avuto la possibilità di comprendere molti aspetti della vicenda, mentre sembra sia stato anticipato già da ora la presenza di una sorta di cliffhanger che avrà il compito di introdurre nuove, inquietanti domande.

    C’è già stato, in verità, un titolo recente che proponeva una natura selvaggia e cruda, e che dava al giocatore l’obiettivo di badare ai propri cuccioli nei panni inconsueti di una mamma tasso. Shelter, questo il nome della produzione, in un certo senso presentava alcuni fattori in comune con The Long Dark. Tra tutti, il ruolo centrale della natura, la ricerca della sopravvivenza, e in un certo senso anche lo stile visivo. Chi ha potuto apprezzare la piccola creazione sviluppata da Might & Delight, infatti, potrebbe scorgere anche alcune affinità con l’aspetto grafico di The Long Dark, che sebbene più ricco di particolari, sembra virare verso tenui tonalità pastello. Difficile esporsi maggiormente in considerazioni di carattere tecnico: le nostre domande troveranno riposta solo col tempo, ma quanto visto finora fa pensare a una rappresentazione volutamente stilizzata.

giovedì 24 luglio 2014

Abyss Odyssey

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Data uscita:15 Luglio 2014 (PC, PS3), 16 Luglio 2014 (X360)

     

     

    Se avete già avuto modo di provare i titoli dell'ACE Team in passato, sapete già che questi ragazzi cileni sono a dir poco allergici ai comuni canoni videoludici. Con giochi come gli Zeno Clash e Rock of Ages questa software house ha ormai dimostrato di avere una notevole personalità e di saper osare, anche se l'estro dei suoi programmatori non è mai riuscito a dar vita a reali capolavori. 
    Oggi i nostri ci riprovano con Abyss Odyssey, un gioco forse meno folle dei progetti che l'hanno preceduto, ma non per questo privo di idee estremamente interessanti. Parliamo di un brawler a scorrimento che vuole mescolare una struttura da Vania a un platform e a un roguelike, con meccaniche da combattimento vicinissime a quelle di un picchiaduro 2D. L'idea vi stuzzica? Vale anche per noi. Dunque oggi cercheremo di capire se l'esecuzione è all'altezza del concetto alla base del lavoro. 
    Dal punto di vista narrativo gli ACE non si sono sforzati più di tanto, e hanno deciso di costruire l'intera avventura attorno a un potente stregone assopito sul fondo di un abisso creato dalla sua stessa immaginazione. Nei panni di una giovane spadaccina proveniente proprio dalla mente del mago, comincerete ad esplorare il baratro allo scopo di eliminare la minaccia, supportati da un gruppo di coraggiosi soldati a guardia dell'entrata. 
    La bella Katrien è però solo uno dei tre personaggi sbloccabili durante il gioco: ben presto le morti nell'abisso daranno vita a un monaco oscuro armato di spadone, e più avanti sarà possibile sbloccare persino una principessa degli oceani armata di alabarda. Ogni protagonista è dotato di abilità specifiche, che pian piano aumentano divenendo potenziabili, e vanno appaiate a una furba scelta di armi ed equipaggiamenti trovati durante la discesa. Quando parlavamo di elementi da Vania Game, infatti, intendevamo proprio la crescita dei personaggi, che salgono di livello ogni tot combattimenti vinti e raccolgono costantemente monete d'oro con cui è possibile acquistare svariati strumenti di morte dai venditori delle zone iniziali (peraltro non tutte sbloccate da subito), o utili oggettini dai mercanti sparsi per le stanze dell'abisso. 
    La peculiarità maggiore comunque non risiede in questi elementi di crescita, bensì nel combat system, che si avvicina più a quanto visto in Smash Bros che a un Castlevania. Se vi sembra assurdo, allora considerate che il giocatore ha a disposizione attacchi normali e speciali, utilizzabili con la combinazione di tasto e direzione, una presa, una parata statica a “barriera”, e due schivate direzionali. Un sistema complesso, che si complica ulteriormente quando si sbloccano i “cancel” con cui gli attacchi normali possono venir interrotti dalle special e dalle manovre difensive, o ci si rende conto che negli scontri si possono eseguire addirittura parate perfette e attacchi improvvisi dopo una schivata. 
    Sulla carta l'idea è favolosa, peccato che le meccaniche non risultino applicate alla perfezione. Gli impatti non ci sono piaciuti, con hitbox non sempre chiarissime e una mancanza patologica di colpi dotati di una potenza degna. Tutte le mosse, anche quelle più avanzate, sono utilitarie e mancano di spettacolarità: ciò riduce buona parte degli scontri alla sola ricerca della giusta distanza per l'attacco, rovinata inoltre in parte dall'intelligenza artificiale, che sembra spesso prevedere le mosse del giocatore e reagire all'istante (un po' come facevano i boss finali dei picchiaduro SNK, per intenderci). Questa scelta degli sviluppatori è abbastanza limitata da non risultare frustrante, e il numero di meccaniche difensive garantisce comunque di non soccombere, ma in generale le battaglie sono lentine e prive di pathos. Non aiutano moltissimo le fasi platform, piuttosto banali nonostante la capacità degli eroi di eseguire salti doppi con tanto di schivate aeree.
    Già più curiosa la struttura del prodotto, che abbiamo giustamente avvicinato ai roguelike all'inizio dell'articolo. L'abisso è generato casualmente ad ogni entrata, con stanze di difficoltà variabile indicate dal loro colore. In ogni zona i nemici compariranno quasi a casaccio, bloccando la vostra avanzata con nette barriere finché non saranno eliminati. C'è una divisione ambientale delle zone man mano che si scende, ma gli ostacoli non sono particolarmente ostici, e si parla principalmente di qualche trappola sui muri o di laghi di lava posizionati di rado sulla vostra strada. 
    Va precisato che non ci sono checkpoint automatici: la partita finisce quando si muore o si decide di interrompere, e una volta fatto si riparte dall'inizio, con l'unica differenza rappresentata dalle tre entrate disponibili, che permettono di saltare alcuni quadri iniziali. Alla morte però non si ricomincia subito, prima si prende il controllo di un soldato semplice, dotato di un moveset limitato, che può raccogliere l'arma del giocatore e riportarlo in vita arrivando a uno degli altari generati casualmente nella mappa. Non finisce qui poi, perché gli eroi sono dotati di un'altra curiosa abilità, ovvero la capacità di trasformarsi nei loro nemici una volta ottenuta la loro anima. Riempiendo una barra del mana e utilizzando una sorta di super attacco sugli avversari, è possibile prendere il loro spirito e usarne il moveset. Un potere utilissimo per mantenere alti i punti vita dei protagonisti (che non si rigenerano) specie quando si ottengono anime di nemici problematici. 
    L'assenza di regen e la perdita dell'equipaggiamento ad ogni morte mantengono alta la tensione, ma l'avventura creata da ACE manca un pochino di varietà nonostante le buone idee di fondo. Con una spinta maggiore verso una specifica direzione forse gli sviluppatori avrebbero ottenuto un titolo più solido, invece così dall'inizio alla fine dà l'impressione di essere un progetto abbastanza grezzo, con molto potenziale sprecato. Non che non sia divertente, specie se giocato in compagnia, ma manca di quel guizzo geniale che contraddistingueva Zeno Clash e Rock of Ages, risultando solo un'opera discreta.
    Almeno, dal punto di vista visivo, il gioco è estremamente particolare. Gli ACE si sono rifatti all'Art Nouveau, utilizzando tratti netti e colori accesi che donano una gran personalità al colpo d'occhio. L'impatto è tra lo "strano" e l'ispiratissimo, e se l'intento degli artisti del team era stupire è indubbio che ci siano riusciti. Discreta la longevità, derivante dal multiplayer e dalla generazione casuale del dungeon abissale, oltre che dalle difficoltà maggiori, ma dipende da quanto la formula di Abyss Odyssey riuscirà a catturarvi.

Battleborn

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Gearbox Software

  • Data uscita:Marzo 2015

     

     

     C'è sicuramente un quesito che perseguita i ragazzi di Gearbox: ad ogni uscita, ad ogni appuntamento e ad ogni dichiarazione, infatti, il team viene praticamente aggredito dalla domanda "quando vedremo Borderlands 3?". Non bastano i lavori in corso su Borderlands: The Pre-Sequel, perché i videogiocatori vogliono vagare su Pandora anche sulle nuove console, e il percorso più naturale per la serie sembrava proprio quello dell'approdo su PS4 e Xbox One. Il team statunitense sceglie allora di andare controcorrente non solo annunciando un nuovo Borderlands sulle vecchie console, ma anche evitando di adagiarsi sui sonni tranquilli offerti da una IP che ha già una sua fanbase e una buona fetta di mercato. Eccoli quindi al lavoro sulle tanto ambite giovani console, su un franchise tutto nuovo ed un gioco che farà da punto di incontro tra i generi più disparati: Battleborn.
    La nuova IP della software house, fin dal suo primo trailer, ha dimostrato di non mancare certo di personalità: pur proponendosi come uno di shooter in prima persona, Battleborn abbonda di scelte originali, come quella relativa ad uno stile grafico coloratissimo, quasi fiabesco, che un po' rimanda alle palette che recentemente abbiamo visto anche in Splatoon. Dopo lo stile estremamente riconoscibile di Borderlands, quindi, ecco emergere la personalità di Battleborn, che è stato definito dagli sviluppatori come hero shooter: il gameplay del gioco si erigerà infatti sui 20 diversi personaggi dei quali sarà possibile vestire i panni, caratterizzati ciascuno da armi specifiche, alcune delle quali parecchio strampalate, e da conseguenti abilità uniche. Nel complesso, i membri del cast faranno parte di cinque diverse fazioni che dovranno superare le loro divergenze e collaborare (l'esempio citato è quello delle famiglie protagoniste de Il Trono di Spade) contro i Varelsi nel tentativo di salvare il loro sistema solare, animato dall'unica stella ancora attiva, Solus.
    Ognuno dei diversi eroi, come spiegato da Gearbox, cerca di riprendere le caratteristiche di altri generi ludici, tentando quindi di dare ad ogni giocatore una combinazione di suo gusto: ci troveremo così innanzi all'elfo che utilizza l'arco, al supersoldato armato di mitragliatrice, al combattente dotato di un bastone-fucile, all'agguerrita damigella che lancia lame che è capace di controllare con il pensiero e così via. Addirittura, tra essi è presente Miko, che può utilizzare la sua testa a forma di fungo per creare un'area di cura per i suoi compagni di squadra, e di avvelenamento per i suoi avversari.
    Come è facile comprendere, quindi, la definizione di hero shooter è dovuta al fatto che proprio le diversità dell'eroe che sceglierete di impersonare daranno vita ad un approccio di gioco unico, ulteriormente impreziosito dalle abilità uniche alle quali facevamo cenno in precedenza: oltre alle meccaniche da sparatutto, infatti, Battleborn vi consente di salire via via di livello, aggiungendo nuove capacità al vostro alter-ego virtuale. Inoltre, alcune aree delle mappe di gioco saranno esplorabili solo quando vestiremo i panni di un personaggio capace di accedervi – elemento che aggiunge ulteriore pepe al momento in cui dovrete decidere qual è l'eroe più adatto al vostro stile di gioco.
    Purtroppo, al momento non sappiamo praticamente nulla della modalità campagna, eccetto il fatto che sarà giocabile in co-op e split-screen, e che punterà forte sulla narrativa. Decisamente di più, invece, i dettagli diffusi relativi al multiplayer, ed in particolare alla sua modalità Incursione.
    Nella sua modalità multiplayer, Battleborn manterrà ed eleverà all'ennesima potenza tutte quelle caratteristiche che abbiamo introdotto nel primo paragrafo: in particolare, giocando una partita alla sopraccitata Incursione avrete ancora una volta modo di vestire i panni di uno degli eroi, e sarete impegnati in una sfida 5vs5 nella quale dovete attaccare la base dei nemici. Queste dinamiche MOBA sono rese più profonde dal fatto che non solo avrete a che fare con gli avversari controllati dagli altri utenti, ma ognuno degli schieramenti potrà anche contare su orde di droni controllati da intelligenza artificiale – oltre che sue due enormi ragni meccanici. Quando vi ritroverete ad attaccare proprio questi ultimi, comprenderete l'importanza del gioco di squadra, che vi richiederà non solo di collaborare in maniera efficace con i vostri compagni, ma anche con i suddetti droni, che sono a tutti gli effetti sul campo di battaglia per fare la loro parte. Ognuno assumerà quindi un suo ruolo utile all'interno della schieramento, e lo sforzo congiunto di tutti i membri, con le loro diverse specialità, consentirà di affrontare anche le battaglie più impervie. Per collaborare al meglio, avrete anche la possibilità di taggare i nemici sulla mappa comune ai vostri compagni, e di sfruttare – dopo aver fatto respawn – le aree di warp presenti nei pressi della vostra base, che vi consentono di raggiungere rapidamente un determinato punto dell'area di gioco. 
    Anche in questa modalità, l'esperienza si differenzierà molto in base al personaggio che avete scelto, potendo assumere atmosfere più tattiche o più frenetiche a seconda delle potenzialità che il vostro eroe si ritroverà ad esprimere.
    Gearbox ha poi trovato un modo ingegnoso per evitare che gli utenti alle prime armi vengano massacrati, nelle loro partite d'esordio, da quelli più esperti: alla fine di ogni match, tutti i livelli che avete conquistato a suon di punti esperienza vengono infatti azzerati, e vi ritroverete tutti quanti a ripartire sulla stessa linea. A causa di questa scelta, il level up con annesso sblocco della abilità sarà ovviamente molto più rapido di quanto accade solitamente, e vi richiederà di utilizzare i grilletti in tempo reale per attivare questa o quella nuova capacità alla quale avete appena avuto accesso – due per volta. Tra esse troverete ad esempio la possibilità di sparare più velocemente, quella di correre più rapidamente, di sbloccare proiettili infuocati o gelati (anche in questo caso, ciascuna specifica dei diversi personaggi). 
    Al momento, purtroppo, i developer non hanno voluto rivelare altre modalità multiplayer, pertanto non siamo in grado di riferirvi come queste meccaniche saranno sfruttate in altre tipologie di sfide.

giovedì 17 luglio 2014

Plants Vs Zombies:Garden Warfare

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:PopCap

  • Data uscita:27 febbraio 2014 - 26 giugno 2014 (PC) - 4 settembre 2014 (PS3-PS4)

     

    Plants vs. Zombies: Garden Warfare fu una bella sorpresa. Nonostante l’eccessiva presenza degli zombie nel mondo dei videogiochi e il criticato trasferimento nel sacro mondo delle console di marchi solitamente legati al mondo dei cellulari, questo gioco fu apprezzato. I motivi sono tanto semplici quanto validi: Garden Warfare è un gioco curato, divertente e accessibile. Uno shooter che si rivolge al mercato casual, ma che al contempo sa presentare una profondità tattica capace offrire diversi strati di profondità.
    Il gioco è rimasto un’esclusiva Xbox 360 e One fino a qualche settimana fa, quando è finalmente arrivato anche su PC. Quello che abbiamo fra le mani, dunque, è un porting di un gioco che ci piacque molto, e di conseguenza non perderemo tempo a decantare nuovamente le lodi del gioco che trovate nella nostra recensione della versione Xbox One. In questa recensione, pertanto, ci interroghiamo sulla qualità di questa versione PC.
    Lo diciamo subito: la versione PC di Plants vs. Zombies: Garden Warfare è un porting di qualità. Non vi è nulla da recriminare a PopCap Games: il passaggio sulla nuova piattaforma sembra essere stato compiuto in maniera pressoché immacolata, con gli stessi contenuti, e possiamo ammettere senza troppi pensieri che la versione PC è pressoché identica alla versione Xbox One, con le dovute differenze grafiche. Da questo punto di vista, non ci troviamo di fronte a un porting che introduce straordinarie migliorie grafiche, ma perlomeno è possibile giocare una risoluzione Full HD (contro i 900p della versione Xbox One), e ad un frame rate stabile persino su di una configurazione i7 di prima generazione con scheda grafica Radeon HD 5870. 
    La varietà delle opzioni grafiche disponibili nel menù non lascia certo a bocca aperta, presumibilmente per facilitare la configurazione all’utente-tipo di questo genere di giochi. Inoltre, abbiamo notato che il titolo tende ad essere un po’ troppo pretenzioso a livello hardware, perlomeno se si attivano i settaggi automatici che abbassano la qualità grafica anche in configurazioni hardware decisamente al passo coi tempi. Non è chiaro se ciò sia dovuto a un’eccessiva cautela da parte degli sviluppatori, a una precisa scelta volta a mantenere il frame rate sempre stabile o a un’effettiva richiesta di risorse derivante da una pigrizia nel polishing: in ogni caso, il gioco gira in maniera fluida e con una resa visiva piuttosto appagante, complice anche lo splendido design di personaggi e ambienti e la sgargiante palette di colori che contraddistinguono Garden Warfare.
    Dopo alcune ore di gioco con mouse e tastiera, la natura console di questo gioco emerge a gran forza. In generale, si ha la sensazione che Plants vs. Zombies: Garden Warfare funzioni meglio con un controller. Benché la risposta del mouse sia immediata e precisa, l’uso delle importantissime armi secondarie risulta infinitamente più comodo su di un pad piuttosto che sulla tastiera, dove la pressione dei tasti 1-2-3 mentre si controlla il movimento con WASD può creare qualche grattacapo. In questo caso si potrebbe trarre beneficio da un mouse dotato di pulsanti extra, ma in generale crediamo che la soluzione derivante dall’uso di un controller Xbox 360 sia la migliore.
    Un aspetto che, invece, ci ha lasciato qualche perplessità è legato al pubblico del gioco. Garden Warfare è un titolo che ha radunato attorno a sé una folta schiera di giocatori più giovani, e a quanto sembra molti di essi hanno un microfono. Quello che ne risulta è un continuo vociare che, francamente, infastidisce. La cosa è resa particolarmente grave dal fatto che molti dei ragazzini presenti in gioco passano l’intera partita ad insultarsi a vicenda. Un problema - quest’ultimo - comune a molti giochi online, ma che con Garden Warfare prende una piega davvero perversa, data la giovane età di molte delle voci che ascoltiamo. La parte anziana e bacchettona di noi ci ha fatto più volte dire la seguente e banale frase: “Se fossi il papà di quel ragazzino, sai quante mazzate?”. Per nostra fortuna la chat vocale può essere disattivata con un click, ed è un vero peccato che non vi sia un’opzione per disattivarla di default. Sia chiaro: non vi è nulla da recriminare agli sviluppatori in merito a questo aspetto imputabile esclusivamente alla community, e questa nota "di colore" non inficia il giudizio nei confronti del gioco.
    Se il matchmaking è risultato rapidissimo, a prescindere dalla modalità di gioco scelta, non possiamo dire lo stesso della sua precisione nel bilanciare i team. Non è raro finire in squadre con la metà o il doppio dei giocatori della squadra avversaria, e in più di un’occasione ci siamo trovati a vincere (o perdere) delle partite a squadre con punteggi di 50 a 15. A quanto sembra, inoltre, l’attesa di un minuto tra una partita e l’altra - da aggiungersi al caricamento di circa 30 secondi - è davvero troppo per molti giocatori, tanto che se si decide di attendere la partita successiva non è raro ritrovarsi con la propria squadra decimata o, addirittura, in un match a squadre con tre giocatori in totale. 
    Gli sviluppatori, probabilmente, hanno introdotto un tempo così lungo per permettere ai giocatori di personalizzare i propri personaggi o di acquistare qualche pacchetto di carte (con le monete acquisite in gioco o con le microtrasnazioni), con il risultato di creare dei momenti morti che molti giocatori non sembrano sopportare. In breve, è più semplice e rapido uscire dalla partita e cercarne una nuova che attendere l’esaurimento del countdown nella lobby. Una caratteristica, quest’ultima, che ci auguriamo venga presto riveduta dagli sviluppatori.
     

Naruto Ninja Storm Revolution

  • Piattaforme:PC, PS3, Xbox 360

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:CyberConnect2

  • Data uscita:12 settembre 2014

     

    Altro anno, altro titolo dedicato a Naruto e ai ninja di Kishimoto. D'altronde i Cyberconnect con il marchio han fatto soldoni, e la qualità più che degna dei loro picchiaduro è il principale motivo del loro attuale successo (e del lavoro costante su nuovi progetti del team). Ci siamo ormai però pericolosamente avvicinati a quella linea dove l'eccesso di ripetizione diventa fastidioso: i Cyberconnect hanno di volta in volta apportato modifiche al gameplay degli Ultimate Ninja Storm, eppure la formula fondamentale è rimasta sempre troppo simile, con rimaneggiamenti contenutistici che negli ultimi anni non sempre hanno soddisfatto i fan. 
    Normale, dunque, guardare con occhio particolarmente critico il nuovo capitolo della serie, che esce a un passo dalla conclusione del manga, e cerca di fare un brusco passo avanti inserendo nel sistema nuove interessanti meccaniche. Noi siamo riusciti a provare a dovere Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm Revolution grazie a una demo disponibile da qualche giorno, e oggi cercheremo di descrivere nel dettaglio proprio il nuovo sistema. 
    Ripartiamo dalle basi. Il gameplay di Revolution sarà subito familiare a chi ha già provato i precedenti capitoli: tutto ruota attorno a serie di attacchi rapidi, alla possibilità di interrompere una combo con la tecnica della sostituzione, e al chakra, indispensabile energia che permette ai ninja di eseguire tecniche speciali. Le manovre disponibili non sono poche, si va da rapidi scatti laterali ad assalti a testa bassa con cui si possono allungare le combinazioni a dismisura, fino a collegamenti di ninjutsu e attacchi normali devastanti. Certo, è uno scheletro leggerino se paragonato ai picchiaduro competitivi, ma i Naruto sono sempre stati titoli più incentrati sulla spettacolarità e il divertimento con gli amici che sul bilanciamento perfetto. Matsuyama e i suoi, tuttavia, stavolta hanno voluto aprirsi un pochino alla complessità, inserendo un paio di meccaniche gustose. La prima meccanica è il contrattacco in guardia, che stordisce l'avversario per molto tempo se intercetta una mossa al momento giusto, impedendogli persino di utilizzare la sostituzione per levarsi dai guai. Possiamo affermare subito che la tecnica diverrà un fondamentale nelle partite online, perché considerando la finestra temporale piuttosto larga in cui può funzionare è fin troppo facile utilizzarla contro avversari aggressivi. Potrebbe persino risultare un comodo counter alle combo allungate con gli scatti potenziati, che riescono il più delle volte a contrastare anche l'efficacissimo tronchetto della sostituzione. La seconda, meno efficiente ma comunque utile, è un attacco spezza guardia. Il loro quantitativo è contato (due per match), dunque vanno sfruttati a modo contro avversari particolarmente difensivi. 
    Le novità ci sono piaciute, pur notando l'eccessiva potenza delle contromosse, ma ancor di più abbiamo apprezzato la netta divisione tra gli stili di gioco dei combattenti, che ora oltre alla modalità Risveglio e Tecnica Suprema presentano un Action Mode concentrato sugli assist dei compagni. Tutte sono più elaborate adesso, con il Risveglio che cambia il moveset se usato parzialmente, e permette al solito di trasformarsi in una poderosa versione potenziata del proprio combattente quando la barra dedicata si carica a sufficienza. La modalità Tecnica Suprema, dal canto suo, è quella più classica, e la sua forza sta nella capacità di utilizzare Jutsu supremi di potenza devastante, anche in combinazione con i propri compagni assist. La modalità Azione è la più particolare del gruppetto, poiché oltre a permettere di cambiare i propri assist da offensivo a difensivo a piacere con un po' di chakra, offre un assalto combinato che sigilla i poteri dell'avversario, bloccando temporaneamente tecniche supreme, assist, e altro ancora. Essendo gli stili selezionabili da qualunque combattente, la varietà raggiunta è a dir poco sfiziosa. Unico appunto? Il bilanciamento tra i tipi non ci è parso esattamente “divino”. 
    Sempre ottimo il comparto tecnico infine, con colpi esagerati ed esaltanti, animazioni lodevoli e ottimi modelli tridimensionali dei combattenti. Va però sottolineato come Cyberconnect proprio non sembri in grado di lavorare a dovere sull'ottimizzazione del motore, perché durante certe mosse si notano cali di framerate inaccettabili per un titolo di questo genere. Scarso anche il netcode, purtroppo, già testabile nella demo. 

lunedì 14 luglio 2014

Escape Dead Island

  • Piattaforme:PC, PS3, Xbox 360

  • Genere:Survival horror

  • Data uscita:Autunno 2014

     

    I nostri cari amici zombi non potevano certamente mancare alla fiera videoludica più importante del settore e così anche quest'anno, durante l'E3, abbiamo avuto la nostra bella dose di mangia cervelli. Techland con il suo Dead Island 2 è riuscita a catalizzare ovviamente tutte le attenzioni, forte di un filmato d'apertura d'effetto altamente spettacolare.
    I giocatori però hanno visto veramente poco di interessante in quella manciata di minuti di computer grafica confezionati ad arte, rimanendo affamati di novità come un non morto a digiuno da giorni. Visto che l'attesa fino alla Gamescom (dove avremo finalmente una versione giocabile, si spera) sembrava davvero troppo lunga, e l'hype come ben sapete va alimentato continuamente, Deep Silver ha ben pensato di regalare a tutti un piccolo extra, presentando a sorpresa Escape Dead Island. Ci siamo dunque recati negli uffici milanesi di Koch Media per provare una versione preliminare del titolo e oggi siamo pronti a svelarvi quanto abbiamo scoperto sulla nuova produzione.

    Partiamo dalle basi: Escape Dead Island ribalta come un calzino tutto quello che pensavate di conoscere sulla serie. Certo ci sono ancora gli zombi e sì, dovrete riuscire a sopravvivere tentando di farvi strada con le armi più disparate, ma il tutto sotto una nuova veste grafica.
    Fatshark, il nuovo team di sviluppo per questo progetto, ha infatti deciso di rivoluzionare completamente l'impatto visivo, non solo realizzando un titolo completamente in cel shading, ma soprattutto eliminando in via definitiva la visuale in prima persona caratteristica della serie per passare ad una in terza persona, decisamente più adatta alla tipologia di gioco che ci siamo trovati davanti.
    Escape Dead Island ci piazzerà di nuovo sull'isola di Banoi, ma questa volta, piuttosto che massacrare impunemente non morti, avremo una trama molto più articolata da seguire, caratteristica che potrebbe diventare uno dei punti di forza dell'intero gioco. Studiato e sviluppato per accontentare soprattutto i fan, questo nuovo progetto ci racconta gli accadimenti tra il primo e il secondo capitolo della serie, divenendo un anello di congiunzione importantissimo per tutti gli amanti del lore e della narrazione.
    Il prodotto, tuttavia, mantiene una fortissima dose di follia e la mente del nostro personaggio, vulnerabile ai morsi degli zombie, non sembra passarsela esattamente alla grande. Non sono rari infatti i casi di visioni improvvise e il comparto tecnico, come dicevamo poc'anzi, riesce ad affiancare il tutto in maniera convincente. Ad un primo sguardo fugace l'isola sembra quella di sempre, ma non appena si esce all'aperto e si alzano gli occhi al cielo qualcosa non torna. Rocce fluttuanti come in un quadro di Magritte affiancano le nuvole, mentre piovono container che ci forzano lentamente a seguire passaggi lineari e forzati. Se dovessimo quindi puntare il dito verso uno dei difetti più grossi riscontrati durante questa nostra prima prova, potremmo tranquillamente indicare la poca libertà concessa al giocatore per l'esplorazione, costretto a girovagare per l'isola attraverso vicoli e strettoie, e questo nonostante la buona estensione dell'area di gioco.
    Questa struttura è stata ovviamente pensata per indirizzare l'utente finale verso zone ben precise e la massiccia presenza di eventi scriptati ne è la giustificazione più palese.

    Sebbene agli inizi della nostra avventura il gioco tenda ad offrire meccaniche lente e ragionate, con tanto di indicatori sugli zombi atti ad indicare il nostro grado di stealth, con l'avanzare dei capitoli l'azione diverrà sempre più importante e dirompente, soprattutto quando entreremo in possesso di armi poderose. Nella nostra prova una pistola silenziata e un fucile a pompa affiancavano una mazza ferrata e un'accetta dotata di lame, perfetta per fare a pezzi i numerosi nemici che ci correvano incontro.
    Entrati in combattimento il mouse diviene la nostra arma principale, con un tasto dedicato ai colpi veloci e uno a quelli potenti da combinare tra loro per sbarazzarsi velocemente dei nemici, con l'unica limitazione imposta dalla barra della stamina. Lenti, stupidi e senza troppa fame, evidentemente, gli zombi ci sono sembrati decisamente troppo poco pericolosi e nel giro di qualche minuto eravamo già in piena mattanza. Tra finisher, decapitazioni e colpi caricati l'azione a schermo ci ha esaltato e divertito e il sangue, sempre copioso, imbrattava completamente lo schermo. Il gameplay insomma è semplice ma funzionale e la possibilità di combinare le armi tra loro sui vari banchi di lavoro, così da creare nuovi strumenti di distruzione, dovrebbe regalare al pubblico proprio quel pizzico di profondità in più.
    Il codice, ovviamente, era ancora molto arretrato, ma non è mancata una bossfight piuttosto semplice dove veniva richiesto di massacrare senza pietà una figura importante della trama, che non vi riveleremo per evitarvi spoiler, mentre ondate di non morti continuavano a saltarci addosso. La trama dal canto suo non è di facile lettura e quasi impossibile da comprendere durante i nostri venti minuti di gioco, dato che flashback, salti temporali e visioni hanno costellato questo breve test rendendo impossibile farsi un quadro preciso.
    Per forza di cose dovremo quindi attendere una nuova prova per approfondire la conoscenza con questo spin off e Colonia dovrebbe essere la tappa perfetta. 

The Golf Club

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:HB Games

  • Data uscita:17 aprile 2014 early access (PC)

     

    l trailer mostrato all’E3 di PGA Tour 15 ha portato con sé molti motivi di discussione: si potrebbe parlare dell’adozione del motore grafico Frostbite 3, così come della scelta dell’impegnativo slogan ”Golf without limits”. Per un eventuale competitor, in altre parole, riuscire a gareggiare con un gioco che ha dalla sua campi da golf in cui fanno bella mostra le battleship di Battlefield, difatti, potrebbe essere un’impresa non da poco. A raccogliere la sfida ci ha pensato HB Studios, che propone un’alternativa alla visione senza limiti di EA Sports con The Golf Club, previsto su PS4 e Xbox One, ma già disponibile in early access su Steam a € 31,99. Scopriamo cosa ha da offrire questo nuovo progetto.
    Dire “Ammazza che mazza” sarebbe troppo facile
    Banalmente, uno degli elementi che meglio esprime la filosofia di questa produzione sportiva risiede proprio nel titolo, laddove la parola Club riesce a raffigurare quello che il gioco intende offrire agli utenti: la possibilità, cioè, di creare una sorta di network di appassionati, in cui questi possano interagire continuamente e senza problematiche. Sebbene non siano ancora presenti tutte le feature che verranno incluse nella release finale, possiamo dire già da ora che The Golf Club permette di creare e soprattutto pubblicare percorsi personalizzati, sfidare i propri amici online, e condividere i propri risultati.
    Andando con ordine, l’editor di gioco incluso si è dimostrato di una profondità veramente notevole, capace di ricreare mondi vari e soprattutto corrispondenti alla volontà del giocatore. Dopo aver effettuato una prima selezione parziale delle macro caratteristiche del terreno, per esempio scegliendo tra area alpina o deserto, sarà possibile determinare tramite alcuni slider la difficoltà del circuito e il numero di buche. Una volta creata una prima versione del circuito, si potrà intervenire modificando il terreno, aggiungendo o eliminando sabbia, acqua, vegetazione o addirittura animali. Una volta finito, è possibile pubblicare la propria creazione online, di modo che tutti gli altri utenti la possano utilizzare. Il processo è semplice e, compatibilmente col livello delle creazioni, costituisce la base per una longevità potenzialmente infinita. E’ proprio questa dimensione social, d’altronde, che sembra contraddistinguere The Golf Club: appena un proprio amico inizia una partita, ad esempio, il gioco ci avvertirà dell’avvenimento, e sarà possibile unirsi al percorso iniziato. Considerato che ogni partita giocata viene salvata automaticamente online, però, è giusto dire che fondamentalmente si potrà giocare anche contro performance già effettuate da sé stessi o altri giocatori. Per quanto riguarda le modalità di gioco, è possibile creare tornei e tour vari, così come giocare una partita singola: le regole seguono quelle delle gare stroke, match play e four ball.
    La sensazione, dunque, è che la volontà degli sviluppatori sia quella di creare un network di appassionati capaci di popolare un mondo di gioco persistente: va da sé che torneremo meglio su questi aspetti nel momento in cui il titolo verrà pubblicato in versione definitiva, ma nonostante ciò già da ora i giocatori PC possono godere di un assaggio di quello che sarà il prodotto finito.

    Vediamo adesso di concentrarci sul gameplay: il primo elemento che risalta, e che sottolinea la natura multipiattaforma del titolo, è il sistema di controllo; il gioco, infatti, dà la possibilità di utilizzare il mouse, ma la macchinosità della soluzione fa appare chiaro come l’impostazione di fondo sia stata quella di indirizzare l’utenza verso il controllo via pad, periferica naturale in ambiente console. Scegliendo di analizzare questa particolare soluzione, dunque, dobbiamo dire che gli sforzi degli sviluppatori si sono concentrati sulla riproduzione di uno swing il più naturale e definito possibile. Tutto ciò è possibile grazie all’azione dello stick destro, e alla sua oscillazione. Di conseguenza la potenza del tiro, così come la direzione dello stesso, vengono determinati dalla velocità di movimento e dall’orientamento della stessa levetta. Si tratta senza dubbio di un sistema intuitivo, capace di adattarsi a ogni tipologia di giocatore, ma che in teoria offre anche qualche spunto ai giocatori più esperti. L’inserimento di una modalità di tiro avanzato, infatti, permette di scegliere con maggiore precisione il tipo specifico di giocata da effettuare, scegliendo ad esempio di privilegiare una traiettoria più alta e lenta rispetto a una maggiormente rasoterra.
    Il gameplay, evidentemente, viene influenzato anche dalle condizioni climatiche e ambientali: oltre al vento, alla conformazione del terreno, alla vegetazione e all’inclinazione del green, c’è da dire che anche l’illuminazione farà la sua parte, visto che è possibile giocare praticamente durante ogni fascia oraria, dalla mattina fino alla sera.
    Considerato lo stato di early access, lanciarci in approfondite analisi delle dinamiche di gioco sembra essere prematuro: di certo l’esperienza è positiva, divertente soprattutto se giocata insieme ad altri giocatori, e discretamente fluida grazie all’assenza di caricamenti tra una buca e l’altra. E’ soprattutto la presenza di numerosi percorsi creati dai giocatori, però, a suscitare le speranze maggiori; la creatività e la capacità degli appassionati, infatti, consente già da ora di lanciarsi in sfide di un certo livello, in cui viene premiata non solo la bravura nei singoli colpi ma anche la capacità di saper leggere l’ambiente, di modo tra sfruttare possibili soluzioni alternative.

    Parlando di grafica, la flessibilità del motore grafico Unity fa bella mostra di sé anche nella rappresentazione dei tranquilli scorci naturalistici che fanno da sfondo alle sfide sportive di The Golf Club. Di certo la sfida con il Frostbite 3 è di quelle belle toste, un po’ come centrare il green dopo essere sprofondati in un bunker, anche se per forza di cose al momento non sembra saggio esprimere giudizi affrettati. Non essendo stato ancora possibile provare le versioni console, poi, non è ancora chiaro se e quanto le varie controparti differiranno tra di loro. Quello che i giocatori PC hanno davanti al momento, però, è di sicuro un comparto grafico pulito e capace di restituire una buona resa, sia che si tratti di desolati paesaggi desertici che di lussureggianti collinette verdi. La scalabilità della grafica, parliamo ovviamente della versione PC, non va oltre le classiche opzioni del launcher esterno di Unity, anche se dobbiamo dire che il titolo è risultato essere tutto sommato leggero e gestibile nella quasi totalità delle situazioni.
    Bene anche il comparto sonoro, che concorre a ricreare quella pacifica atmosfera che è plausibile trovare in una partita a 18 buche tra amici altolocati. Discreta, e allo stesso tempo positiva, la presenza delle musiche di sottofondo, naturale continuazione dei tenui rumori della natura durante la navigazione nei menù di gioco; questi elementi, stilisticamente parlando, seguono un po’ il trend degli ultimi sportivi targati Electronic Arts (non bisogna dimenticare, peraltro, che lo sviluppatore HB Games possiede un lungo pedigree composto da numerosi titoli pubblicati sotto l’etichetta del noto publisher americano in questione). I giocatori, dunque, si ritroveranno davanti a schermate piene di quadrettoni in stile Metro facili e accessibili da gestire.

giovedì 10 luglio 2014

Mouse Craft

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Puzzle game

  • Data uscita:11 novembre 2013 Early Access (PC) - 9 luglio 2014 (PC, PS3, PS4, Vita)

     

     

    Tra i binomi che da sempre rimandano a un’idea generale di confronto-scontro, quello che vede gatto e topo fronteggiarsi è certamente uno dei più duraturi e consolidati nell’immaginario collettivo presente e passato. Ed è curioso constatare come, dalle grandi fiabe della tradizione ai fumetti fino all’animazione seriale e ai film per ragazzi, i mezzi di comunicazione abbiano spesso assegnato alle piccole creature dentute la palma della vittoria, in una sorta di elogio all’intelletto a discapito della superiorità fisica. Nei fatti la questione è assai diversa, specie perché, tra le due parti, quella dotata di maggiore arguzia è certamente quella felina. Gli sviluppatori del team indipendente Crunching Koalas devono essersi resi conto di questa discrepanza di fondo, decidendo di ristabilire il corretto ordine di supremazia naturale proprio all’interno della loro ultima fatica videoludica. MouseCraft, puzzle game rilasciato su Steam in accesso anticipato lo scorso novembre e ormai disponibile nella sua versione definitiva anche su PSN, vede al centro della scena un bizzarro gattone scienziato, che dei topi fa mero carburante per le sue strambe sperimentazioni. Abbiamo approfondito la versione PC nella sua interezza: quanto segue è, in sostanza, ciò che ha da offrire.

    La vita da inventore è davvero dura sul pianeta Cohesia. Lo è in particolar modo per Schrödinger, genio della scienza – o presunto tale – che conduce la sue ricerche avvalendosi delle prestazioni motorie di una serie di topini da laboratorio. Più nello specifico, egli è ora intento a servirsene per il suo ultimo e sofisticatissimo macchinario, che, per chissà quale stramba motivazione, può essere acceso solo dall’interno. In un processo mentale francamente contorto, Schrödinger ha predisposto il meccanismo in maniera da attivare ciascuno degli ingranaggi che lo compongono solamente tramite pressione di un pulsante posto a conclusione di un breve itinerario orizzontale. Un percorso davvero minuscolo, ideale per il transito di esserini senza cervello guidati dall’istinto più autentico e puro: quello per il cibo. Perché quindi non posizionare un pezzettino di groviera proprio sui pulsanti per attirare i piccoli ospiti verso la meta?
    Sarebbe tutto perfetto, se non fosse per un problema di non poco conto: il formaggio costa e, si sa, il mestiere di ricercatore non concede certo guadagni milionari. I risparmi di una vita, gelosamente conservati all’interno del proprio porcellino di ceramica, non sono sufficienti a saziare così tanti roditori, per cui Schrödinger necessita di ulteriori finanziamenti per portare a termine il progetto. L’occasione non tarda ad arrivare: un grosso magnate di chissà quale losca attività – un alieno molto simile al boss della SPECTRE di bondiana memoria – si offre di aiutare lo scienziato squattrinato in cambio di Anima Shards, cristalli blu d’immenso valore che si trovano proprio all’interno della macchina di Schrödinger e, guarda caso, possono essere raggiunti solo da creature minuscole. Per farla breve, la situazione non è delle più rosee e, come prevedibile, toccherà al giocatore ovviare all’incoscienza del simpatico mad doctor dai lunghi baffi.

    L’obiettivo principale in MouseCraft è quello di creare le condizioni necessarie affinché i roditori possano transitare lateralmente da un punto A ad un punto B – dalla ruota che li ospita al formaggio - senza incorrere in alcun genere di ostacolo. In ogni stage è fondamentale tenere sotto controllo il cammino di tre creaturine, le quali, previo ordine del giocatore, si muovono pedissequamente verso destra o sinistra su uno sfondo idealmente suddiviso a scacchiera. Il numero di tasselli di tale griglia definisce le azioni che gli animaletti sono in grado o meno di compiere. Essi non potranno mai valicare pareti superiori alla singola unità di altezza, contro cui si troveranno obbligati a un irreversibile arresto e conseguente cambio di direzione; ugualmente, non potranno sopravvivere a salti più profondi di tre unità. Questo è effettivamente un grattacapo, perché i nostri amici dalla coda arrotolata si comportano esattamente come altre figure familiari ai videogiocatori novantini: i Lemmings. Rielaborando il concept del celebre rompicapo Psygnosis, i topi di Schrödinger sono totalmente privi di spirito d’autoconservazione, per cui il trovarsi di fronte a morte certa non fermerà in alcun modo la loro avanzata. E non è tutto: gli sviluppatori han pensato bene d’inserire gradualmente letali roditori robot, pozze di acido e lunghe distese d’acqua. In uno scenario come questo, l’avanzamento lineare non sarà mai un’opzione praticabile. Tra l’altro, se tutto ciò non fosse ancora sufficiente, risulta poi indispensabile indirizzare le piccole palle di pelo verso i già citati Shards, sparsi nelle posizioni più improbabili del quadro ma da raccogliere comunque in quantità per sbloccare le porzioni di mappa successive. È pur vero che per passare allo schema seguente sarà sufficiente che anche un solo animaletto raggiunga il formaggio; tuttavia, ogni singola bestiolina uccisa o cristallo evitato influirà negativamente sulla performance dell’utente, il quale si vedrà così privato dell’ingranaggio d’oro, il massimo riconoscimento a cui ogni completista che si rispetti possa aspirare.
    In un calderone di costrizioni così nutrito, come intervenire concretamente affinché la nostra missione di salvaguardia vada a buon fine? Gli unici strumenti a disposizione sono stati presi in prestito da un altro videogioco della tradizione e riadattati all’attuale contesto. Il gioco in questione è Tetris e gli strumenti, neanche a dirlo, i tetramini. I Tetronimos – così rinominati per l’occasione - sono disponibili in quantità limitata all’inizio di ogni stage e, se opportunamente ruotati e incastrati nell’ambiente, possono alterare anche radicalmente la conformazione fisica dell’itinerario. L’intervento del fruitore non è comunque relegato alla fase preparatoria; questi potrà decidere di modificare il tragitto anche a moto dei topolini già avviato, freezando l’azione per un tempo indeterminato e posizionando i tetramini rimasti secondo logica. Per esempio, ergere una barriera protettiva dopo il passaggio del primo roditore potrebbe essere provvidenziale per la tutela degli altri due, per poi essere abbattuta in un secondo momento tramite l’ausilio di bombe sparse qua e là nello scenario. Tra l’altro, i blocchi forniti variano non soltanto nella forma, ma soprattutto nel materiale. Nel corso della partita, il gioco fornirà Tetronimos di gomma, terra, acciaio, dinamite e addirittura elettrificati, ognuno caratterizzato da un’utilità più o meno manifesta. La meccanica del “crea una via verso l’uscita”, ormai parecchio abusata da una larga fetta di produzioni mobile, beneficia in questo modo di nuova linfa, mettendo il giocatore a confronto con dinamiche di ragionamento sempre più complesse, in grado di arricchire costantemente un’esperienza altrimenti troppo esposta a un rischio di ripetitività.
    MouseCraft propone infine un extra interessante, gradevole aggiunta benché lungi dall’essere il fulcro del titolo. L’editor dei livelli consente di sviluppare percorsi personalizzati scegliendo uno sfondo, aggiungendo piattaforme, disseminando ostacoli e stabilendo quali e quanti blocchi mettere a disposizione durante la partita. Si tratta di uno strumento parecchio semplificato e, proprio per questo, ideale a stimolare la creatività dell’utente senza necessità di particolari abilità tecniche.
    A proposito del tipo di sfida offerta, è necessario spendere qualche parola su quella che, a conti fatti, è la vera nota dolente dell’opera Crunching Koalas. La modalità principale consta di una mappa suddivisa in quattro sezioni, per un monte di ottanta stage complessivi, per lo più ideali per sessioni di gioco anche molto brevi. Non è prevista la possibilità di selezionare un livello di difficoltà su misura, ma viene proposta un’esperienza unificata, che dovrebbe soddisfare un po’ tutti, dai giocatori casual a quelli cresciuti a pane e puzzle. In effetti, a quadri caratterizzati da una complessità risibile si alternano scenari realmente cervellotici, in grado di rendere il significato di “rompicapo” più che mai lecito. Tuttavia, il problema si pone nel momento stesso in cui ci si rende inevitabilmente conto di come l’alternarsi di questi due livelli di sfida sia alquanto altalenante. La difficoltà di MouseCraft è, senza mezzi termini, mal distribuita all’interno della mappa di gioco. Dai primi, comprensibili tutorial ci si troverà di fronte, in maniera del tutto inaspettata, a quadri di un’astrusità notevole già sul finire delle prime sezioni, per poi ricadere in nuovi tutorial e schemi dalla risoluzione assai banale, in un continuo e immotivato sali e scendi tra agio e frustrazione. Il gioco giunge poi alle battute finali fornendo un oggetto determinante – il Tetronimo che si può spostare a piacimento anche dopo la sua prima collocazione – la cui eccessiva utilità si dimostra parecchio fuori luogo in una fase così avanzata. Tale discontinuità ricorrente, in parte atta a far prendere al giocatore confidenza con i nuovi blocchi introdotti, è però talmente tangibile da smorzare buona parte del coinvolgimento accumulato nell’arco dell’esperienza. E, considerando la buona riuscita generale del prodotto, è davvero un peccato. 

venerdì 4 luglio 2014

Titan Souls

  • Piattaforme:PC, PS4, PS Vita

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Acid Nerve

  • Data uscita:Maggio 2014

     

     

    Immaginate un action adventure indie, con vista ortogonale e realizzato in grafica 16 bit. Fino a qui nulla di strano, ce ne sono a bizzeffe. Ora, immaginate che la sua difficoltà sia portata all’estremo, fino a raggiungere e superare quella dei Dark Souls. La cosa inizia ad intrigarvi? Bene. Aggiungete a questo il concept di Shadow of the Colossus: nessun nemico, solo una serie di boss da sconfiggere, ognuno dei quali richiede al giocatore una certa dose di intuizione e ragionamento. E sommate a tutto questo il fatto che il gioco è, nella sua totalità, una archer run con a disposizione una sola freccia. A questo punto, se siete come noi, dovreste sentire lo sfrigolio dell’hype scendere lungo la schiena. E non c’è nulla di male ad ammetterlo, perché Titan Souls ci ha fatto venire l’acquolina in bocca sin dalla sua prima prova.
    Il concept di Titan Souls è esattamente quanto descritto poc’anzi. Il giocatore interpreta un eroe, armato di arco e dotato di una sola freccia magica, alle prese con oltre venti boss da sconfiggere. Ogni nemico richiede un’attenta valutazione dell’ambiente, del suo pattern di movimento, nonché delle azioni che accadono ad ogni colpo inferto. Esattamente come nel classico di Team Ico, i titani di Titan Souls celano meccaniche vicine al genere dei puzzle game, piuttosto che a quelli di un puro action-adventure. 
    Come detto, il giocatore ha a disposizione una sola freccia, che tuttavia può essere recuperata grazie a un potere magico che ci permette di attirarla verso di noi. Così, ad ogni colpo andato a segno o fuori bersaglio, è possibile richiamare il dardo e riportarlo nella nostra faretra, facendogli compiere un viaggio di ritorno che può colpire il nemico per una seconda volta.
    Il giocatore, però, è la creatura più vulnerabile del gioco: è sufficiente essere sfiorati una sola volta dal titano per giungere immediatamente al game over. La morte è parte integrante dell’esperienza: esattamente come nella serie di From Software, l’eroe apprende dalla propria morte, e soltanto prendendosi qualche rischio di troppo si può scoprire quali siano i punti deboli del proprio nemico e quale sia la tattica di combattimento da seguire.
    Nella mezz’ora di tempo dedicata alla nostra prova, svoltasi nella coreografica cornice di una roulotte in alluminio parcheggiata di fronte allo Staples Center di Los Angeles, abbiamo avuto l’opportunità di affrontare tre diversi boss. Abbiamo sconfitto il primo boss, un grosso macigno cubico dotato di un occhio su di un solo lato. Il nemico si spostava in maniera tale da travolgerci e, contemporaneamente, da rivolgere il suo vulnerabile occhio sempre nella direzione opposta a noi. In questo caso è stato sufficiente colpire il nemico recuperando la freccia scoccata, un’operazione che si è rivelata più complessa del previsto. Abbiamo poi capito come sconfiggere il secondo boss, una gelatina gigante che si divideva a metà ad ogni colpo inferto, raddoppiando inesorabilmente la sua potenza letale. In questo caso, pur avendo capito quale metà colpire ogni volta, siamo morti talmente tante volte da desistere e passare al terzo boss. Quest’ultimo, una creatura capace di lanciare dei potenti raggi dal pattern complicatissimo, ci ha fatto letteralmente brancolare nel buio: ci toccherà attendere l’uscita del gioco per decifrare il modo in cui affrontare questo titano.
    Non vi è dubbio che, nonostante il titolo includa soltanto venti boss o poco più, la longevità potrà rivelarsi sorprendentemente elevata. Se in mezz’ora abbiamo sconfitto un boss e capito come sconfiggere il secondo, senza riuscirvi, è evidente che la somma totale di tutti i titani può consentire al giocatore svariate ore di gameplay. E, perché no, può spalancare la strada agli speedrunner che, siamo certi, ameranno alla follia Titan Souls.
    Ma non è finita: oltre ai colossi principali, infatti, il giocatore è chiamato a risolvere svariati misteri per scoprire l’ubicazione dei cosiddetti “titani dimenticati”, i quali possono liberare dei poteri arcani. Non ci viene detto se questi boss apriranno il gioco a ulteriori meccaniche, né se vi siano dei puzzle ambientali che portano all’apertura di nuove vie. Quanto abbiamo visto nella demo presentata all’E3 2014 lasciava intendere un ambiente piuttosto lineare, che non lasciava troppo spazio all’esplorazione. Ma, stando a quanto affermato dagli sviluppatori, ci sarà da scervellarsi anche al di fuori degli scontri con i boss.

Munin

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Puzzle game

  • Sviluppatore:Gojira

  • Data uscita:1 Luglio 2014

     

    Queste poche righe, assieme ad altre presenti nelle schermate fisse prima di ogni mondo, rappresentano l’approccio narrativo di Munin, un puzzle game particolare che pesca dalla mitologia norrena per creare poco più che uno sfondo per i propri livelli bidimensionali. Munin era uno dei due corvi che informavano Odino su tutto ciò che accadeva a Midgard; qui, invece, assume le sembianze di una ragazza dopo che Loki l’ha privata delle ali, costringendola a vagare in lungo e in largo per recuperare le sue preziose piume nere.
    Considerando quanto ricca e complessa sia la mitologia a cui fa riferimento il gioco, è un peccato che le limitazioni narrative siano così evidenti. Munin è infatti incentrato unicamente sui rompicapo che bisognerà risolvere, senza essere capace di stimolare il giocatore dal punto di vista della trama, che è praticamente assente. Ci sono numerosi rimandi alle fantastiche immagini mitologiche della terra scandinava, ma rendersi conto che si tratta solo un’aggiunta accessoria che giustifica la realizzazione delle ambientazioni, fa un po’ male dentro. In effetti, Munin non pretende di essere qualcosa di diverso da un puzzle strutturato in livelli statici, né tantomeno prova a coinvolgere l’utente in modi alternativi. Vi ritroverete dunque all’interno di scenari suddivisi fisicamente da grosse caselle ruotabili, che permettono di raggiungere zone altrimenti fuori portata. La difficoltà principale è esattamente questa, perché bisogna avere intuizione, logica e talvolta anche prontezza di riflessi, in un sistema di gioco che è figlio di ottime intuizioni, ma anche di qualche scelta di game design decisamente poco convincente. 
    Se cambiare i connotati dei livelli risulta semplice durante i primi minuti, ben presto le cose cominciano a farsi più complesse, soprattutto perché ruotare un quadrante significa automaticamente ruotarne anche altri in punti spesso divergenti. Per questo motivo, un livello con molte caselle può a primo impatto mettere in crisi anche il più paziente e ottimista degli utenti, ma bisogna dire che con un po’ di attenzione e con la capacità di saper immaginare la nuova estetica di uno scenario, si riescono a padroneggiare le logiche che stanno alla base del titolo sviluppato da Gojira. Non è possibile ruotare la casella in cui si sosta, pertanto aprirsi una nuova strada diventa un’operazione da eseguire fuori dal perimetro della zona, e talvolta anche “al volo”, perché molto spesso bisogna stare attenti agli elementi di disturbo che possono cancellare in un attimo la vita di Munin. Il compimento di questa disgraziata ipotesi, vi fa automaticamente ricominciare il livello da capo, e fidatevi quando vi diciamo che morire a causa di motivi molto stupidi non è esattamente il massimo della gioia, soprattutto quando ci avete messo un quarto d’ora buono per far incastrare ogni casella con attenzione, cercando una coerenza architettonica che non balza immediatamente all’occhio.
    In sostanza, non prendere in considerazione la presenza di checkpoint intermedi è una scelta a tratti sin troppo punitiva, in particolar modo perché le movenze di Munin sono goffe e dunque poco adatte ad evitare una prematura dipartita. In un mondo, per esempio, ruotare delle caselle significa attivare dei grossi massi che servono a raggiungere posti sopraelevati; ma non accorgersi delle conseguenze dei propri atti e vederseli rotolare addosso senza poter fare nulla, è frustrante. E accade anche con la lava.
    Il nostro personaggio può solo camminare e saltare, ma piuttosto lentamente rispetto alle esigenze che effettivamente ha. Senza contare che la responsività, oltretutto, non è esattamente tra le migliori viste.
    Ogni mondo ha una piccola diversificazione alla formula che viene reiterata per tutti i livelli. Ecco dunque che oltre ai massi troviamo degli interruttori mobili attivabili con la forza di gravità, o dei laser che complicano un po’ il tutto. La parte più interessante è però rappresentata dal mondo in cui si ha a che fare con l’acqua, la fisica dei liquidi e il principio dei vasi comunicanti: qui si nuota, si svuotano interi corridoi e si riempiono aree per riuscire a raccogliere quelle piume che sembravano proprio irraggiungibili. Tranquilli però, non affogherete e soprattutto, l’unica punizione che avrete dalla morte è la ripetizione dello stesso livello. 
    A lungo andare, non potrete fare a meno di avvertire un certo sbilanciamento nella difficoltà, perché la verità è che Munin ha dei grossi problemi che lo fanno fluttuare tra l’eccessiva semplicità e la brutale difficoltà, spesso senza vie di mezzo. Va da sé che si tratta di un gioco adatto solo a chi ama mettersi in discussione coi puzzle, e non a tutti gli altri, che potrebbero farsi accalappiare da un aspetto grafico che adesso va tanto di moda tra gli indie. Cercare la particolarità in una cosmesi che fa il verso alla pittura dei Macchiaioli poteva andare bene ai tempi di Braid, ma oggi risulta essere qualcosa di artefatto e poco originale. E poi, diciamolo pure: l’acqua sembra realizzata con Paint.