Ethero

giovedì 29 agosto 2013

Call Of Duty:Black Ops 2 Apocalypse

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Treyarch

  • Data uscita:27 agosto 2013

     

    Puntuale come un orologio svizzero è approdato in questi giorni su Xbox Live Apocalypse, il quarto e ultimo pacchetto di mappe aggiuntive per Call of Duty Black Ops II, che di fatto chiude il ciclo Treyarch e passa il testimone a Infinity Ward e al loro Ghosts.
    Il nuovo DLC include quattro mappe per il multiplayer competitivo e una nuova location per la modalità zombie ambientata durante la prima guerra mondiale, rimanendo tuttavia negli stretti limiti contenutistici già imposti dai downlodable content che lo hanno preceduto.
    Abbiamo provato per voi le nuove mappe che, come sempre, sono attualmente disponibili solo per le modalità death match a squadre e dominio.
    DIG:
    Partiamo da Dig, la mappa che meno siamo riusciti ad apprezzare di questo Apocalypse, il motivo? E' presto detto: è il paradiso di camper e cecchini.
    Dalla forma quadrata, Dig è ambientata tra gli scavi Afghani ed è una rivisitazione di Courtyard, mappa già vista in World at War. Treyarch per l'occasione ne ha modificato leggermente la struttura, proponendo all'utenza alcuni piani rialzati in grado di dare il controllo territoriale completo ai cecchini e liberando le linee di visuale ai lati, rendendole terreno fertile per scontri sulla distanza tra tiratori. La necessità di correre allo scoperto vi renderà inoltre bersaglio facile per i camper, che in Dig avranno davvero decine di luoghi in cui nascondersi e appostarsi.
    La zona centrale invece, di forma circolare, si presta bene ad essere difesa e vi garantirà un attimo di tregua nel caso il vostro team riesca a mantenere la posizione.
    Gli angoli ciechi e le decine di mura abbattute favoriranno inoltre scontri molto rapidi dove la velocità di estrazione e la mira saranno indispensabili per sopravvivere.

    FROST:
    Frost al contrario di Dig ha tutto il nostro apprezzamento. Questa mappa è ben bilanciata, è sviluppata su diversi piani e presenta possibilità tattiche e di approccio davvero ben variegate.
    Il ghiaccio e la neve la fanno da padrone, con un fiume congelato che divide in due in maniera netta la location. Il letto del corso d'acqua è il livello più basso della mappa e sebbene vi permetta di passare da una zona all'altra velocemente è solitamente preso di mira sia dai giocatori di passaggio sui ponti che lo sovrastano sia dalle finestre dei palazzi adiacenti, spot perfetti per cecchinare.
    Una mappa di movimento, che permette ai giocatori di utilizzare un buon ventaglio di equipaggiamenti e perks ed è capace di offrire sia scontri al chiuso che in completo campo aperto.
    TAKEOFF:
    Una piattaforma di lancio in mezzo al pacifico è l'ambientazione che fa da contorno a Takeoff, una mappa piuttosto classica sia come colori che come situazioni di combattimento. La location è di discrete dimensioni e non sarà raro riuscire a colpire i bersagli semplicemente prendendoli alle spalle o lanciarsi in scontri corpo a corpo all'interno dei numerosissimi edifici sparsi per tutta la zona. E' possibile tenere sotto tiro la sezione centrale dai secondi piani delle strutture, raggiungibili comodamente tramite scale esterne. Un mappa decisamente familiare che non aggiunge nulla di particolarmente innovativo o di valore al contenuto complessivo del pacchetto.
    POD:
    Un'idea utopistica andata in malora è il concept che ha dato vita a Pod, con un villaggio completamente abbandonato in una Taiwan ormai riconquistata dalla natura. Tra le rovine fatiscenti delle costruzioni che circondano la zona i giocatori si troveranno in campo aperto di frequente, con saltuari scontri corpo a corpo negli stretti passaggi che collegano le due sezioni della location. Molti gli spot per ripararsi, tra alberi secolari e cespugli nascosti tra le ombre perfetti per tendere agguati. La zona centrale invece risulta essere decisamente più frenetica con i pod distrutti a fare da cornice agli scontri a fuoco. Una delle migliori mappe del pacchetto sicuramente e non a caso, ancora una volta, facente parte delle mappe disegnate da zero da Treyarch per l'occasione.

    ORIGIN:
    I nazisti tornano ancora una volta protagonisti, risvegliando a causa della loro ossessione per il paranormale, un'ondata inferocita di non morti templari. In breve tempo l'intero battaglione tedesco viene infettato e Tank Dempsey, Nikolai Belinski, Takeo masaki e il dottor Richtofen si trovano a dover sopravvivere a forze incredibilmente superiori alle loro capacità. Insieme dovranno riuscire a raggruppare tutti i pezzi di un nuovo macchinario, potendo fare affidamento come sempre alla loro mira e alla potenza di fuoco provvista dalle armi della prima guerra mondiale e di un paio di giocattolini nuovi interessanti. Non mancano poi le bevande in grado di potenziare i nostri attributi già viste nei DLC precedenti e arrivano anche condizioni climatiche dinamiche e robot giganteschi a torreggiare sulla vasta mappa di gioco. I giocatori potranno poi attivare la speciale modalità Zombie blood che gli consentirà di muoversi per la mappa liberamente senza essere colpiti dai nemici.

NBA 2k14

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:2k Sport

  • Data uscita:4 Ottobre 2014


    In questi ultimi anni il fenomeno NBA si sta affermando sempre di più anche in Europa e a beneficiarne, altre alle tv via cavo che trasmettono le partite in esclusiva, sono anche i videogiocatori che ogni anno possono contare sull’ottima trasposizione videoludica targata 2K Sport. Dopo lo scorso E3 ci saremmo aspettati di vedere a Colonia il principale contendente al titolo di cestistico dell’anno, ma a quanto pare NBA 2K14 non dovrà preoccuparsi eccessivamente di una concorrenza al momento non pervenuta. Il titolo arriverà sia sui sistemo current gen sia sulle console di nuova generazione, ma quest’ultima versione non è ancora stata svelata; se ne parlera probabilmente il mese prossimo. Alla GamesCom abbiamo partecipato a un incontro a porte chiuse in cui ci hanno illustrato le novità di quest’anno e successivamente abbiamo saggiato il campo da gioco con una demo confezionata per l’occasione.

    Nonostante sia una seria annuale, NBA 2K14 riesce a vantare al proprio arco frecce in grado di creare interesse anche in coloro che non sono avvezzi a comprare questo genere giochi. Le novità che 2K Sport ha in serbo per l’edizione 2014 sono molte e tutte interessanti, a partire dall’introduzione delle squadre di Eurolega nel roaster del titolo, scelta dovuta alla sempre maggiore popolarità del brand nel vecchio continente. In tutto sono state aggiunte quattordici squadre, ognuna comprensiva di dieci giocatori, tra cui spiccano le italiane Emporio Armani Milano e Montepaschi Mens Sana Siena. Essendo un titolo che ricerca la simulazione a tutti i costi, l’introduzione delle squadre europee porta con sé anche tutto il set di regole utilizzate in Eurolega, compresa la linea da tre punti più vicina e i tempi di dieci minuti al posto di dodici. La voglia di realismo ha portato gli sviluppatori a un ribilanciamento delle squadre che in questo caso sono più fisiche, difensive e meno avvezze a giocate spettacolari rispetto ai colleghi d'oltreoceano. L’intelligenza artificiale rispecchierà queste caratteristiche offrendo un’esperienza di gioco assai diversa tra i due campionati e nel caso si volesse fare una partita tra una squadra europea e una di NBA verranno scelte le regole di chi gioca in casa.
    Altra novità riguardante i contenuti in game è la presenza di una nuova modalità incentrata totalmente sulla figura di LeBron James, uomo copertina di NBA 2K14, dal nome LeBron Path to Greatness. Questa modalità si snoda per i sette anni successivi alla stagione che gli ha regalato il secondo anello, e pone come obiettivo l'entrata di King James nella Hall of Fame a suon di vittorie e sfide completate. Non è stato svelato molto in tal senso, certo è che se un giocatore non è un estimatore del prescelto, non troverà particolarmente appetibile un'intera modalità costruita attorno alla sua figura.
    Graditissimo ritorno invece per la modalità Crew, grazie alla quale è possibile creare una squadra con altri giocatori e sfidarsi online in partite cinque contro cinque, ma solo su console, visto che la versione PC ne sarà sprovvista. Analogo discorso per MyTeam, una sorta di Ultimate Team che ritorna con nuovi contenuti e competizioni, ma solo su console.

    Dopo la presentazione a porte chiuse siamo volati alla postazione di prova per farci un paio di partite in compagnia di un collega della stampa italiana. Pad alla mano, la cosa che salta subito all’attenzione è l’utilizzo del Pro Stick che permette di controllare i tutti i movimenti del giocatore in palleggio attraverso un'unico stick analogico. Mentre al sinistro, come da tradizione, toccano i movimenti direzionali, al destro sono adibiti il palleggio, le finte e il tiro, a dir la verità un po’ macchinoso al primo utilizzo. Inclinando la levetta è possibile rilasciare la palla verso il canestro, ma ci è capitato di tirare nel tentativo di fare un dribbling oppure temporeggiare nel palleggio nonostante la via per il canestro fosse libera. Come ogni nuovo sistema di controllo richiederà un po’ di pratica per essere padroneggiato al meglio, ma la maggiore precisione dei movimenti, le tremila animazioni aggiuntive e l’intuitività delle finte fanno già segnare un passo avanti rispetto all’anno precedente. In NBA 2K14 il feeling con il controllo di palla è ottimo, ma abbiamo notato una fase difensiva carente e troppi spazi concessi agli avversari.
    Al di là di questa novità più incisiva, tutto il lavoro degli sviluppatori è stato incentrato sull’aggiunta di nuove animazioni e Signature Skills, che daranno a ogni giocatore specifiche abilità tra quelle già presenti in NBA 2K13 e altre sei che esordiranno quest’anno. Allo stesso modo è stato arricchito il reparto dei Signature Style, una sorta di player ID volto a rendere i giocatori più importanti simili in tutto e per tutto alle loro controparti reali. Tiro, schiacciata, palleggio, finte ed esultanze riprendono quanto visto sui parquet dell’NBA e il risultato, unito all’incredibile comparto tecnico, è ancora migliore rispetto al passato. Ultima ma non meno importante l’introduzione di Smart Plays, ovvero la possibilità di eseguire schemi e strategie selezionabili con la pressione di un solo tasto sul pad, per variare in maniera semplice e immediata la disposizione in campo dei giocatori senza spezzare il ritmo della partita.

Castelvania:Lords Of Shadow


  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Mercury Steam

  • Data uscita:27 Agosto 2013


    A ben venticinque anni dall’apparizione del capostipite della serie, Castlevania si rinnova con la produzione del primo titolo in alta risoluzione e completamente tridimensionale del celeberrimo franchise. Sin dall’inizio, la saga si è contraddistinta per i toni tipicamente horror che attingevano a piene mani dai maggiori film d’orrore usciti al cinema, proponendo al giocatore avversari quali licantropi, meduse, vampiri, esseri simili a Frankenstein e altro ancora, condendo il tutto con un comparto audio sempre d’eccezione e una buona dose di azione. Con il trascorrere degli anni si è passati da puri action adventure a scorrimento orizzontale ad adventure game più basati sull’esplorazione e il potenziamento del personaggio che all’azione vera e propria (comunque presente in gran quantità), soprattutto grazie al successo e alla qualità di Symphony Of The Night, apparso originariamente su Sony PsOne. Non sono mancate anche incursioni nel mondo 3D, dapprima con un paio di deludenti episodi per Nintendo 64 e in seguito altri per Playstation 2 e Xbox, senza tuttavia raggiungere il livello qualitativo delle controparti bidimensionali. Finalmente, grazie agli abili programmatori di MercurySteam (Clive Barker’s Jericho), team cui Konami ha deciso di affidare lo sviluppo di Lords of Shadow, sembra che le cose questa volta siano cambiate.
    Le vicende raccontate nel titolo hanno luogo nel lontano 1047, quando l’umanità si trova costretta a fronteggiare la fine del mondo a seguito di una serie di catastrofi e attacchi di creature demoniache che stanno causando morte e distruzione sulla superficie del pianeta. Tuttavia, per evitare un triste destino all’umanità c’è una speranza. Un’antica profezia narra, infatti, la venuta di un cavaliere dallo spirito puro, tanto forte e coraggioso da fronteggiare i signori dell’oscurità e ottenere i loro poteri, divenendo egli stesso una sorta di semi-Dio che spazzerà tutte le creature mostruose e maligne dal mondo.
    Ovviamente questo cavaliere non sarà altri che Gabriel Belmont, membro della Confraternita della Luce, che intraprende un viaggio apparentemente suicida nelle lande dei signori dell’oscurità non solo per restituire la pace sulla Terra, ma soprattutto per riportare in vita la sua amata Marie, uccisa proprio un paio di giorni prima del suo viaggio. La storia, sebbene possa sembrare apparentemente banale e scontata, è raccontata attraverso le pagine di un libro e grazie alle numerose cutscene di cui il titolo è infarcito, dove incontreremo e interagiremo con un buon numero di personaggi che finiranno per farci riflettere sul binomio luce/oscurità presente nell’essere umano, argomento già preso in esame in numerose altre produzioni.
    Quando il risultato finale è maggiore della somma dei suoi singoli elementi
    Sin da subito, appare evidente che Lords Of Shadow è un action-adventure che prende spunto da titoli blasonati quali God Of War, Uncharted, Darksiders, Dante’s Inferno e Devil May Cry e mescola i loro elementi allo scopo di fornire al giocatore un’esperienza completa e soprattutto mai troppo scontata. S’inizia con la classica croce con catena, dotata di un attacco veloce a corto raggio e uno più lento, ma dotato di maggiore ampiezza. A essa si aggiungono armi secondarie quali i coltelli, utili per colpire gli avversari da lunga distanza e ottenibili direttamente durante le battaglie dopo aver ucciso alcuni nemici. Questi ultimi, infatti, alla loro morte lasceranno sul campo vari oggetti o globi di energia che andranno a rimpinguare delle apposite barre di mana (ottenibili solo ad un certo punto del gioco): quella della Luce e l’altra dell’Oscurità. La prima ci consentirà ci assorbire l’energia vitale dei nemici colpiti mentre la seconda di raddoppiare la potenza fisica. Gli sviluppatori, per rendere le cose più interessanti, hanno aggiunto un apposito status denominato Concentrazione: se riusciremo a compiere un certo numero di attacchi consecutivi senza essere colpiti, riempiremo un’apposita barra che, giunta al suo massimo, consentirà di acquisire sfere ad ogni successivo colpo ed, infine, assegnare ad uno o l’altro amuleto l’energia guadagnata. Come di consueto, inoltre, l’eliminazione delle creature ci farà guadagnare dei punti abilità che potremo spendere per acquistare nuove mosse o potenziare l’armamentario attuale. Non mancano nemmeno upgrade per l’arma principale in grado di far ottenere al protagonista nuove capacità che permetteranno di raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili, ad esempio usando la catena come un rampino o come una specie di frusta in grado di disgregare gli oggetti più massicci. Inoltre, la barra dell’energia e della magia potrà essere espansa raccogliendo determinati cristalli, che serviranno altresì anche per richiamare una potente creatura capace di spazzare via tutti gli avversari presenti.
    I ragazzi di MercurySteam hanno ben pensato di rendere più dinamiche le battaglie introducendo una serie di QTE (quick time event) che compariranno a schermo durante l’eliminazione finale di appositi nemici o l'esecuzione di alcune mosse.
    Il nostro eroe, tuttavia, non dovrà solamente farsi largo tra mostri e altre amenità, ma per proseguire la sua avventura si troverà a superare diverse sezioni platform che ricordano molto il pluripremiato Uncharted, con numerosi appigli ben contraddistinti da un alone luminoso e varie serie di salti da eseguire per passare da un punto all’altro. A differenza dei precedenti Castlevania, l’esplorazione in questo capitolo della serie è proprio ridotta all’osso e tutto segue percorsi predefiniti cui è impossibile sottrarsi. Il tutto è complicato dalla presenza della telecamera fissa che, purtroppo, in alcune circostanze non sceglie l’angolo di visione ottimale per inquadrare le scene rendendo più difficile compiere determinate azioni o vedere i nemici che ci circondano.
    Ottima anche la presenza di svariati enigmi che dovremo risolvere per continuare per la nostra strada, che saranno superabili automaticamente a patto di rinunciare alla ricompensa che ci spetterebbe nel caso decidessimo di svelare l’arcano grazie alla materia grigia.
    La durata dell’avventura è davvero ragguardevole per gli standard attuali. Si parla di dodici capitoli a loro volta suddivisi in svariati sottolivelli e che portano la durata complessiva di gioco sulle 15-20 ore. I diversi stage, inoltre, si presentano molto rigiocabili poiché per riuscire a completarli al 110% avremo bisogno di abilità che otterremo solo più avanti nella storia, che ci costringeranno a riaffrontare la sezione non appena entreremo in possesso di tale potenziamento. Impressionanti le battaglie contro i titani che ben riportano alla mente il leggendario Shadow Of The Colossus per Playstation 2 e che vedranno il protagonista arrampicarsi su di esso e sconfiggerli distruggendo appositi punti energetici posti sui loro corpi.
    La difficoltà è piuttosto equilibrata. Al livello “Medio” già completare il titolo non sarà una passeggiata, complice un’I.A. discretamente sviluppata e che metterà alla prova il giocatore con attacchi multipli da più fronti dei nemici (non uno alla volta come succede in altri action, come Assassin’s Creed).

    Impossibile non rimanere incantati sin dall’inizio dalla pregevole realizzazione tecnica del titolo, in grado di regalare modelli poligonali di notevole complessità (basti pensare al personaggio principale, Gabriel, pensato fino al minimo particolare) e ambienti assolutamente evocativi e ricchi di dettagli. Il tutto, poi, è ancora più godibile pensando alla gran varietà di scenari proposti, dai classici castelli diroccati, alle paludi, alle lande innevate, alle caverne sotterranee, alle lussureggianti foreste e molto altro ancora. Certe volte, nonostante il ritmo di gioco sostenuto, si viene davvero invogliati a fermarsi un attimo per godere appieno del mondo che i grafici e i programmatori di MercurySteam ci hanno voluto regalare. Ottimi inoltre gli effetti particellari in generale e soprattutto incantevole l’illuminazione ricercata, in grado di donare la giusta atmosfera ai vari paesaggi. Tuttavia, per compensare a tal magnificenza saremo costretti a subire di tanto in tanto qualche rallentamento nelle situazioni più congestionate da nemici, seppur il problema sia stato circoscritto grazie all’utilizzo di una telecamera fissa che limita la visuale di gioco consentendo quindi di ridurre i calcoli concernenti la visualizzazione delle scene.
    Pregevole anche il comparto sonoro, che annovera tra i doppiatori personaggi del calibro di Patrick Stewart (il famoso capitano Picard di Star Trek The Next Generation), Robert Carlyle e Aleksandar Mikic, accompagnando il giocatore con melodie sempre all’altezza ed effetti più che adeguati.

lunedì 26 agosto 2013

Titanfall


  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Respawn Entertainment

  • Data uscita:Primavera 2014

     

    Nonostante i passi avanti fatti per la next gen, Battlefield e Call of Duty daranno ai giocatori un'esperienza già vissuta altre volte rimanendo particolarmente fedeli a loro stessi. Il titolo di Respawn Entertainment, essendo una nuova IP, ha invece deciso si costruirsi una strada propria, avvicinandosi alla frenesia di COD ma aggiungendo una verticalità mostruosa a tutte le mappe e differenti livelli di lettura per le locazioni: il risultato è a dir poco strabiliante.

    Quando entriamo nella saletta privata sono solo una decina le postazioni a nostra disposizione e quella che ci prepariamo ad affrontare è una modalità team death match piuttosto classica. Titanfall introdurrà però i combattimenti con altri giocatori anche nella campagna, in una sorta di storia online che vi metterà davanti a squadre di player aiutati da npc, variando gli obiettivi di partita in partita.
    La mancanza di una campagna classica potrebbe far storcere il naso a molti ma Respawn sembra essere piuttosto sicura della forza del titolo e vuole indirizzare tutti gli sforzi sul multiplayer per regalare la miglior esperienza online: per quanto visto e senza farvi attendere oltre diciamo che ci sono riusciti in pieno.
    Forse è prematuro prendere una posizione del genere a circa otto mesi dalla release, il titolo arriverà in fatti nella primavera del 2014, ma fidatevi quando diciamo che era davvero tanto tempo che non ci divertivamo così tanto ad un FPS.
    Inizialmente ci è stato possibile scegliere una tra le tre classi predefinite attualmente disponibili: l'assault, dotato del fucile R101, un classico mitragliatore semi automatico per gli scontri a media distanza; il tactical, una classe dedita agli appostamenti con capacità di cloaking ed equipaggiato con una pistola dai proiettili a ricerca in grado di girare addirittura gli angoli e infine una classe da corpo a corpo con un fucile a pompa devastante con il quale spedire al creatore chiunque, giusto con un paio di colpi.
    La seconda scelta invece ricade sul titano che sarà possibile richiamare in battaglia, da quelli dediti alla distruzione di altri mech o quelli specializzati nel falciare la fanteria avversaria.
    Scelto il loadout a noi più congeniale finalmente abbiamo aperto le danze sperimentando immediatamente i rapidissimo movimenti della fanteria. Ogni combattente sarà dotato infatti di jetpack speciali che permetteranno di eseguire double jump, wall jump in estrema libertà, correre sulle pareti e concatenare questi tre elementi in continuazione regalando al giocatore la possibilità di passare da un lato all'altro della mappa senza mai toccare terra.
    Questo comporta un'imprevedibilità assoluta negli attacchi, costringendo a tenere sempre sotto controlla la mappa strategica e cambiare completamente il metodo di approccio alle coperture dato che ora i colpi potrebbero arrivare anche da zone sopraelevate.
    Già questo sarebbe stato un twist interessante per gli FPS ma Respawn ha osato ancora, permettendo alla fanteria di richiamare in battaglia un titano da guerra. I mech potranno essere controllati sia in remoto, impartendogli semplici ordini come restare a pattugliare una specifica zona o chiedergli di seguire il giocatore per fornirgli coperture extra,sia entrandoci direttamente, cambiando il gameplay in maniera sensibile.
    Una volta dentro ai titani sparisce la possibilità di saltare, i movimenti si appesantiscono ma entrano in campo nuovi fattori come la possibilità di effettuare dash sul terreno e attivare scudi per proteggere i commilitoni alle nostre spalle.

    Inutile dire che una volta richiamato un Titano sarete presi di mira da tutta la squadra avversaria, decisa a farvi fuori nel minor tempo possibile. La fanteria è dotata di armi specifiche per contrastare l'avanzata dei mech e nel caso vi trovaste di fronte un altro colosso di ferro i colpi che potrete sopportare saranno davvero limitatissimi.
    La cosa più stupefacente è vedere come Respawn abbia ideato le mappe per creare coperture e ripari sia per i mech, grazie ai palazzi e alle costruzioni, sia per la fanteria che data la corporatura minuta potranno infilarsi nelle case e sbucare fuori da vie secondarie senza dare nell'occhio.
    Questo darà vita a inseguimenti tra titani e fanteria, e cambierà in modo sensibile il gameplay a seconda della nostra posizione sul campo di battaglia. Velocità e precisione la faranno da padrone, con un sistema di punteggi che andrà ovviamente a ricompensare maggiormente, per la modalità campagna, le uccisioni effettuate sui giocatori piuttosto che sugli npc di supporto.
    Conclusosi il match il team sconfitto avrà una manciata di secondi per raggiungere il punto di estrazione mentre i vincitori avranno lo stesso tempo per evitare che questi si salvino. L'incentivo a difendersi/inseguire è davvero alto dato che le ricompense in termini di punti esperienza durante queste fasi hanno dei modificatori davvero elevatissimi e anche solo piazzare un paio di colpi sui bersagli giusti potrebbe regalarvi un boost interessante per il vostro punteggio.
    Purtroppo le due partite fatte erano slegate tra loro e quindi non abbiamo potuto valutare il sistema di progressione tra i livelli, né provare una quantità di armi sufficiente.
    Quelle presenti tuttavia non ci sono parse particolarmente bilanciate, soprattutto la smart gun a ricerca che per forza di cose andrà rivista prima della release. Ci siamo trovati discretamente bene anche con il fucile a pompa grazie la facilità con cui ci si riesce ad avvicinare agli ostili mentre di difficile utilizzo il mitragliatore, che richiede riflessi e mira incredibili per piazzare i colpi, proprio data la mobilità che il gameplay di Titanfall riesce ad offrire.

domenica 25 agosto 2013

Rocksmith 2014


  • Genere:Rhythm Game

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:Dicembre 2013

     

     Fino a qualche anno fa i giochi musicali vivevano una stagione di fama e gloria. Le serie di Rock Band e Guitar Hero si dividevano un fiorente nuovo mercato di appassionati desiderosi di avvicinarsi al mondo musicale attraverso la porta offerta dei videogiochi. Quegli anni sono passati, il pubblico ha cambiato gusti, e quelle serie che sembravano inarrestabili sono quasi finite nel dimenticatoio. In questo scenario si è inserita Ubisoft con Rocksmith, titolo uscito lo scorso settembre, capace di offrire una visione nuova del genere, inaugurando un percorso che continuerà a fine ottobre con Rocksmith 2014, produzione che abbiamo provato nelle salette della Gamescom 2013. 
    Come sappiamo dal precedente capitolo, il titolo Ubisoft ci permette di collegare una chitarra elettrica a PlayStation 3, Xbox 360, Mac e PC, per accedere a quello che fondamentalmente è un maestro di musica virtuale. Poniamo di voler imparare la tecnica del bending: accediamo alla serie di lezioni dedicate e troviamo un software capace di seguirci passo dopo passo lungo il percorso d'apprendimento, un software che riconosce i nostri errori e reagisce proponendoci soluzioni adeguate, un software che ricalca con soddisfacente fedeltà il comportamento di un vero e proprio maestro.
    Fin dall'inizio tutte le lezioni sono disponibili per il giocatore, così da andare incontro alle diverse esigenze di ognuno, e ai diversi livelli di bravura. Si può partire completamente da zero, ma si può anche decidere di affrontare le canzoni più difficili puntando al 100 %. Nel caso la nostra prestazione non fosse soddisfacente, poi, il software riconosce le aree migliorabili e propone delle lezioni di conseguenza, oppure dà la possibilità di ridurre la velocità dei brani o di diminuire la densità delle note così da guidare gradualmente il giocatore nell'apprendimento. 
    Imparare a suonare uno strumento non ha molto senso se poi non si condivide la propria nuova abilità con qualcuno. Si può portare la chitarra sulla spiaggia come un romantico bardo (sapendo poi che quello che suona rimane da solo attorno al falò, mentre gli altri si appartano), oppure si possono incontrare colleghi musicisti per fare qualche sessione d'improvvisazione. Se la prima opzione è confinata ai mesi estivi, la seconda non è comunque di più semplice realizzazione, visto che non è sempre immediato conoscere esattamente gli strumentisti che ci servono per mettere su qualche jam session. Rocksmith 2014 ci viene incontro su questo fronte con il Session Mode, una sala prove virtuale nella quale tre compagni di suonata controllati dal software ci accompagnano nell'esecuzione. Decidiamo un genere, una velocità, la scala da seguire e quali strumenti assegnare agli altri, e poi basta iniziare a suonare per vederli reagire al nostro stile. Partiamo piano e la batteria abbozza pochi colpi, il basso giusto qualche nota per rinforzare la tonalità, acceleriamo ed aumentiamo l'intensità e i nostri compagni ci seguono crescendo e addirittura proponendosi per dei solo e passaggi di scala, il tutto con una latenza accettabile. Ovviamente non parliamo di musicisti in carne ed ossa, e certo non possiamo chiedere di ritrovare quelle occhiate che ci si scambiano durante una jam, ma il software riesce a seguire il giocatore senza rimanere fastidiosamente indietro, offrendo così l'opportunità unica di mettere alla prova la propria creatività direttamente dal salotto di casa. 
    Se l'orecchio è appagato, anche tutti gli altri sensi vogliono la loro parte. Esteticamente il titolo Ubisoft è molto chiaro, sia mentre ci indica le note da suonare, che nei menù, ora praticamente privi di quei caricamenti che invece viziavano il primo capitolo. Anche il problema della latenza tra gli input e la loro trasposizione a schermo è stato affrontato con successo, mentre sul fronte dei contenuti possiamo dire con piacere che saranno ben tre volte tanto quelli del titolo precedente: più di 50 canzoni, 67 strumenti da assegnare ai musicisti virtuali (ognuno con campioni registrati da musicisti professionisti), e la possibilità di importare quasi tutti i brani già disponibili ad oggi per Rocksmith e i suoi DLC. L'unica cosa che manca è la possibilità di registrare le proprie performance, ma per questo gli sviluppatori hanno una spiegazione tanto sincera quanto condivisibile: l'aggiunta di detta possibilità avrebbe richiesto uno sforzo notevole in termini di sviluppo, per poi non riuscire comunque a raggiungere il livello di software già disponibili sul mercato. 

sabato 24 agosto 2013

Godus

  • Genere:Gestionale

  • Sviluppatore:22 Cans

  • Data uscita:Settembre 2013

     

    Godus è un god-game, come Black & White, come Populous. Si tratta di titoli che permettono al giocatore di pasticciare con le vite degli altri, di dominare il mondo di gioco, di misurarsi con le proprie esigenze, e con quelle dei fedeli. E' un titolo che si posiziona come culmine di un ideale percorso creativo, come punto d'arrivo della storia professionale di Molyneux, come baluardo "perché poi se no i god-game muoiono", ci dice.
    "Mi piace l'idea di cominciare con qualcosa di piccolo, per farne qualcosa di epico. L'idea che i figli, dei figli, dei figli... dei primi due fedeli di Godus, i tuoi Adamo ed Eva, possano arrivare a conquistare lo spazio", ci spiega il designer britannico mentre scolpisce il mondo di gioco a colpi di mouse. Crea montagne, devia il corso dei fiumi, inventa spazio vitale per l'espansione della sua civiltà così da farla prosperare verso la prossima era, un passaggio che da quella primitiva a quella del bronzo richiede circa quattro ore, per poi dilatarsi sempre più, fino alla definitiva era spaziale.
    Lo spazio vitale non manca, il pianeta su cui nasce la nostra civiltà, il pianeta di cui siamo divinità, ha più o meno le dimensioni di Giove. Si tratta di un mondo immenso (praticamente impossibile per un umano fare il giro del mondo in una vita sola), in parte creato proceduralmente, in parte riempito da elementi predefiniti dagli sviluppatori, pieno di elementi interattivi in relazione tra loro. 
    Il primo obiettivo, dunque, è la moltiplicazione dei nostri fedeli. Più fedeli abbiamo, più questi generano l'energia necessaria per i nostri poteri divini, così da permetterci di farli prosperare fino al passaggio d'era. Al passaggio non saranno più loro ad essere conteggiati, ma il numero di strumenti a loro disposizione, nell'età industriale sarà lo sviluppo delle industrie, in quella dell'informazione la diffusione della stessa, un cambiamento più estetico che altro, ma che guida il giocatore in un cambiamento nella percezione della sua civiltà.
    Dicevamo dei poteri divini, come la possibilità di creare montagne, o di guidare i propri fedeli con precisione, o di mandare una tempesta di meteoriti sul mondo... ecco, questi poteri sono rappresentati da carte, carte che non possono essere tutte ottenute giocando in solitaria. Per sbloccarne alcune, infatti, bisogna necessariamente sfidare gli altri giocatori in arene chiuse, nelle quali vince chi raggiunge per primo un determinato livello di popolazione. In queste arene si combatte in tempo reale e il gameplay, da rilassato e creativo, diventa frenetico e distruttivo, mentre si utilizzano i propri poteri più violenti contro la popolazione avversaria. Da segnalare la possibilità di combattere anche con persone di ere diverse dalla propria: certo non è facile sconfiggere qualcuno di più avanzato, ma se ci si riesce si ottiene un potere relativo a quell'era prima del tempo, con importanti effetti sul proprio mondo.
    Il pvp, se così vogliamo chiamarlo, è dunque confinato a questo tipo di scontri? In un certo senso sì, in un altro no. "A circa cento miglia dal tuo punto di partenza, in ogni direzione, si trova il punto di partenza di un altro giocatore, e via dicendo. Un pianeta delle dimensioni di Giove non avrebbe nessun senso per un giocatore solo, del resto. Dicendoti che non sei l'unico, con questa semplice frase, ho cambiato il tuo modo di approcciarti allo sviluppo, anche se quello che succederà quando, e se, incontrerai qualcun altro non lo posso certo prevedere". Come dice Molyneux, non siamo soli. All'eventuale incontro con un altro giocatore si hanno diverse opzioni: si può decidere di attaccarlo, e di annientare così la sua civiltà (anche se sappiamo che ci saranno delle contromisure contro il bullismo virtuale), oppure di unire i propri popoli (che ci vedranno ora come un unico dio, al prezzo di poterli ridividere solo creando un clima da guerra civile), oppure ancora di lasciar stare e voltarsi dall'altra parte. 
    Ricordate Curiosity? Quel cubo da scavare? Ecco, il vincitore di Curiosity sarà, per sei mesi, dio di tutti gli dei di Godus, con la possibilità di influenzarne attivamente l'esperienza ludica. Questo superdio potrà agire su tre livelli: potrà modificare le condizioni atmosferiche rendendole uguali a quelle di casa sua (e visto che si tratta di un giocatore di Edimburgo, non è proprio un'ottima notizia), potrà prendere diverse decisioni su aspetti morali (come impedire che i fedeli lavorino più di un certo numero di ore al giorno, per esempio), oppure cambiare alcune meccaniche di gioco (come la quantità di punti che si ottengono per numero di fedeli). Sei mesi di regno, dicevamo, al termine dei quali il nostro dio degli dei può essere sfidato e destituito, in una battaglia i cui rapporti di forza sono regolati dalle votazioni di tutti i giocatori, che potranno quindi influire pesantemente a favore, o contro uno dei due contendenti. Essere il superdio sarà certo molto ambito, e non solo per motivi personali, visto che chi ricoprirà questa posizione guadagnerà anche una significativa percentuale degli introiti di Godus, una cifra che potrebbe essere molto interessante. 

Project Spark

  • Genere:Fantasy

  • Sviluppatore:Team Dakota

  • Data uscita:Novembre 2013


    Dove posso arrivare con la mia fantasia? Questa è la prima domanda che ogni possibile acquirente di Project Spark dovrebbe porsi, perché quello sarà l'unico limite del gioco, o almeno queste sono le premesse. Quanto mostrato prima all'E3 e poi a Colonia è infatti un miscuglio di idee geniali, fuse alla perfezione con tutta una serie di notevoli possibilità tecniche e un utilizzo particolarmente intelligente di Kinect.
    Giocare Project Spark per una manciata di minuti non è certamente il modo giusto per farsi un'idea del titolo, il progetto di Team Dakota è infatti complesso, profondo e dannatamente intrigante ma per poterne apprezzare appieno tutte le qualità sono necessarie davvero tante ore e una mente aperta alle sperimentazioni.
    Quando si entra nelle classiche salette a porte chiuse delle fiere, più o meno il cliche che ci attende è sempre il medesimo, qualche saluto di rito con gli sviluppatori, ci si accomoda sui divanetti e ci si mette buoni a guardare una demo che corre veloce su schermo, spesso cercando di capire in maniera raffazzonata difetti e pregi per poi poterli riferire al proprio pubblico. Con Project Spark oggi si è andati finalmente oltre, con qualcosa di diverso che ci ha colpito: ci sono state mostrate le capacità di un prodotto in grado di aprire le porte a possibilità davvero illimitate.
    La versione mostrataci, fatta girare rigorosamente su Xbox One e affiancata da una build per Windows 8, si presentava né più né meno con un semplice quadrato in mezzo al mare, un appezzamento di terreno inutile, senza texture e senza senso alcuno, ma è qui che lentamente è iniziata la magia della creazione.
    Dapprima il territorio è stato allargato e solo successivamente sono stati posizionati sull'isolotto due troll e un piccolo gruppo di volatili, rigorosamente anonimi e dei quali veniva messo in evidenza il solo modello poligonale.
    A questo punto gli strumenti di terraforming hanno iniziato a creare montagne, gallerie, cunicoli e fiumi, facendo prendere forma ad un mondo unico e incredibilmente realistico. La cosa che ci ha stupito era la velocità con cui tutto questo veniva modellato davanti ai nostri occhi, oltre alla semplicità di esecuzione, paragonabile a un disegno su un foglio di carta. L'altezza delle colline, la profondità dei rilievi e la modellazione delle sporgenze erano tutti dettagli modificabili in pochissimi click, a cui ne sono seguiti altrettanti per dare una spruzzata di colore e mischiare zone ricche di alberi e foreste ad altre più spoglie e desertiche.
    Con un tool del genere non osiamo immaginare cosa la community sarà in grado di creare, e questo era solo l'inizio. Già perché, come dicevamo all'inizio, Project Spark non pone freni all'immaginazione e grazie ai tantissimi strumenti disponibili si potranno creare giochi di ruolo, puzzle game o addirittura dare vita a vere e proprie saghe modellando i personaggi da zero.
    Kinect, come avrete ormai capito se siete lettori abituali, non è una periferica per la quale andiamo particolarmente matti, ma in questo caso ha messo in mostra veramente il meglio di sé. Grazie alla telecamera Microsoft sarà infatti possibile registrare movenze particolari e poi applicarle direttamente ai personaggi, così come dotarli di voice acting e fargli urlare qualsiasi cosa vi passi per la mente.
    Immaginate quindi che i troll inseriti inizialmente sull'isola riescano a seguire le indicazioni che gli avete dato utilizzando Kinect e sbraitino con la vostra voce, puntualmente modificata da speciali filtri: il potere è tutto nelle vostre mani. 
    Un mezzo così potente sarebbe inutile senza un'adeguata istruzione ed è quindi per questo che Project Spark avrà uno speciale tutorial, molto dettagliato, che non solo vi insegnerà le basi come si confà in questi casi, ma vi prenderà per mano e vi spiegherà passo passo come creare un gioco per un genere specifico. Avete in mente di realizzare uno shooter? Spark avrà un tutorial dedicato nel quale vi spiegherà come posizionare i bersagli, come inserire momenti scriptati e come creare da zero la vostra astronave; volete creare invece un gdr? Spade ed equipaggiamenti compariranno nei menu e chissà che il vostro talento non venga notato da qualche grossa software house e veniate contattati proprio grazie alla vostra inventiva.

martedì 13 agosto 2013

Payday 2

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Overkill Software

  • Data uscita:13 Agosto 2013 

     

    “Ci sono tre modi di fare le cose: il modo giusto, il modo sbagliato e il modo in cui le faccio io” diceva Robert De Niro in Casinò. Ma in un gioco come Payday 2, il quadro si riduce sensibilmente: c’è un solo modo di affrontare Payday, e tutti gli altri sono sbagliati.
    Lo abbiamo scritto qualche settimana fa e lo ripetiamo: Payday 2 è un gioco cooperativo. Questo non significa che non sia possibile giocare da soli, ma non solo è sconsigliato, è concettualmente sbagliato, tanto da lasciarci dubbiosi di fronte alla scelta opinabile degli sviluppatori di introdurre una modalità per giocatore singolo. Come vedremo, sono molti i motivi che spingerebbero un qualunque lupo solitario a considerare questo prodotto una vero e proprio buco nell’acqua. Ma, fortunatamente, dietro una valanga di problemi si cela un’esperienza profonda e incredibilmente divertente. Una sorta di tesoro nascosto da un caveau apparentemente impenetrabile.
    Payday 2 è il sequel di un gioco indie che, a sorpresa, ottenne un grande successo nonostante le scarsissime risorse a disposizione degli sviluppatori. L’annuncio di un sequel fece molto rumore, non solo a causa della folta schiera di seguaci che il gioco ha ottenuto nel corso degli ultimi anni, ma anche grazie all’annuncio che il team si sarebbe ingrandito. Tra le fila degli svedesi di Overkill Software si nasconde infatti il newyorkese David Goldfarb, già responsabile dei giochi della serie Battlefield. Al timone di questo progetto c’è dunque uno sviluppatore con le carte in regola, e questo team ci è parso credere davvero nel proprio prodotto ben prima del momento del rilascio.
    Ora che il gioco è giunto nelle nostre mani, abbiamo potuto cogliere i frutti delle fatiche di Overkill scoprendo un prodotto che si muove su due strade diverse. Da un lato, abbiamo il gameplay. Dall’altro la realizzazione tecnica. Due elementi che sembrano non volersi incontrare mai, dato che alla qualità dell’uno non sempre corrisponde la qualità dell’altro.
    Payday 2 va interpretato come un “arcade simulativo” di rapine in banca. L’ossimoro, in qualche modo, descrive la doppia natura di questo gioco, che richiede intelligenza, pazienza, coordinazione ma che tende ad innaffiare il tutto con una sana dose di azione irrealistica.
    Il gioco comincia già a partire dalla schermata di Crime.net, una sorta di rete informatica del crimine in cui vengono assegnati i lavori sporchi ai giocatori di tutto il mondo. Si tratta, in breve, di un hub che permette di selezionare la missione da svolgere, e che permette con un rapido colpo d’occhio di avere un quadro d’insieme dei compiti da affrontare. Tutte le missioni sono classificate per difficoltà, e talvolta è possibile trovare le stesse assegnazioni con gradi di difficoltà differenti, che naturalmente elargiscono ricompense più appetibili. Il giocatore, dunque, può selezionare immediatamente il tipo di missione da svolgere, quindi accedere a una lobby. Da qui è possibile unirsi ad altri giocatori e iniziare il lavoretto, o entrare direttamente in gioco casomai vi fosse uno slot libero in una missione già iniziata.
    Il matchmaking nella fase beta del gioco è apparso incredibilmente solido, e la community ha lasciato delle impressioni positive. Siamo pronti a ricrederci nel momento in cui il gioco verrà dato in pasto alle masse, ma per il momento è stato divertente confrontarsi con dei giocatori più esperti.
    In effetti, è la socializzazione il vero fulcro di Payday 2. Nel momento in cui ci si ritrova nella lobby in attesa di lanciare la missione, le discussioni in chat fanno salire l’adrenalina. Ci è capitato più volte di discutere dei piani con dei perfetti sconosciuti, cercando di concordare sulle varie strategie da utilizzare ancora prima di sapere cosa ci sarebbe aspettato. Ad esempio, dovevamo rapinare una gioielleria. Abbiamo optato per un lavoro pulito: entra, spacca le vetrine, arraffa tutto e scappa. Liscio come l’olio: abbiamo sparato a una guardia giurata e in meno di due minuti eravamo sulla via del ritorno. In un altro caso abbiamo affrontato la stessa missione, puntando però anche all’incasso. In questo caso dovevamo aprire la cassaforte del negozio con un trapano (con la fastidiosa tendenza ad incepparsi), non prima di aver annullato la sorveglianza sparando alle telecamere. Sfortunatamente, un civile è riuscito a fuggire e ha dato l’allarme: nel bel mezzo della trivellazione del nostro Black & Decker modificato ci siamo ritrovati circondati. Tutti gli schemi sono saltati, e ben presto uno dei nostri compagni si è messo a negoziare con la polizia tenendo in ostaggio un paio di persone. Ci ha fatto guadagnare il tempo sufficiente ad aprire la cassaforte, ad arraffare il denaro e a fuggire dal retro, il tutto affrontando appena quattro o cinque poliziotti.
    È evidente che, in caso di mancata comunicazione tra i giocatori, le cose diventano assolutamente ingestibili. In un caso ci siamo ritrovati invasi dalle forze speciali in un centro commerciale, il tutto perché un nostro compagno ha pensato bene di trasformare il gioco nell’ennesimo livello di Call of Duty, sparando a tutto quello che si muoveva. Il kick del nostro host non è bastato, e nel giro di qualche minuto si è letteralmente scatenato l’inferno.
    Se ne deducono due cose: Payday 2 necessità di giocatori pazienti e, possibilmente, con uno spirito collaborativo. In secondo luogo, il titolo dà il meglio di sé in compagnia di qualche amico. Sebbene gli sconosciuti incontrati in rete si siano rivelati sorprendentemente partecipativi, è chiaro che con la compagnia di un conoscente (e magari con l’ausilio di una chat vocale) l’esperienza già buona può elevarsi a livelli davvero altissimi. Non va sottovalutato, infine, il comportamento scorretto di alcuni host che si disconnettono nel bel mezzo di una missione o che cacciano i giocatori senza alcun apparente motivo. L'ingresso di un nuovo giocatore in una partita congela tutti per qualche secondo, pertanto - se potete scegliere - scegliete dei conoscenti come compagni d'avventura.
    C’è un solo motivo per cui Payday 2 non è giocabile in modalità giocatore singolo: l’intelligenza artificiale è pessima. Poiché le missioni sono pensate per essere giocate in compagnia, qualora si decidano di affrontare le varie missioni off-line il gioco giunge in nostro soccorso con dei bot. Peccato che, a differenza dei giocatori umani, i bot si limitino a seguirci e a compiere parte delle azioni richieste dagli obiettivi. Ci è capitato di scardinare delle casseforti e vedere i contanti lasciati al suo interno, solo perché i nostri bot non erano abbastanza intelligenti da arraffarli e noi eravamo troppo carichi per portare altro denaro. Perlomeno i bot tendono a sparare ai cattivi - o meglio, ai buoni - e a soccorrerci quando siamo feriti, ma questo è il massimo dell’intelligenza artificiale su cui possiamo fare affidamento.
    Lo stesso problema dell’IA si ripercuote anche nei confronti degli ostili. Guardie giurate, poliziotti, squadre speciali non brillano certo per intelligenza, e sembra che gli sviluppatori abbiano scelto di sopperire a tale mancanza creando orde di poliziotti che ci piombano addosso da ogni angolo. La conta dei cadaveri alla fine di un lavoro non troppo pulito rasenta quello della spiaggia di Omaha al D-Day. Non è per niente realistico, ma in un’ottica action questa scelta funziona alla meraviglia. Se gli sviluppatori avessero optato per un gioco più lento, con pochi encounter nel tentativo di inseguire in realismo, il tutto sarebbe sfociato in un’esperienza alquanto noiosa.
    Un altro aspetto che, indubbiamente, rende Payday 2 un prodotto interessante si riscontra nell’elevato grado di personalizzazione del proprio personaggio. Da un lato, è possibile personalizzare vestiario, armi e naturalmente le maschere indossate durante le rapine. Per poter sbloccare le varie componenti personalizzabili, però, è necessario completare con successo parecchie missioni. Alla fine di ogni lavoro si viene ricompensati con una schermata che ci permette di scegliere una carta, alla quale è associato un premio. In questo modo è praticamente impossibile che due giocatori con lo stesso livello di abilità abbiano accesso ai medesimi elementi di personalizzazione: in Payday 2 c’è un grado di unicità del proprio personaggio davvero forte, e i collezionisti avranno pane per i loro denti.
    Nel gioco è inoltre presente un covo nel quale è possibile allenarsi e che, ovviamente, può essere personalizzato. In questo caso gli elementi che arricchiscono il locale si possono acquisire grazie ai contanti ottenuti nelle rapine. L’idea non è certo originalissima, è in tutta onestà non abbiamo trascorso molto tempo nel covo, preferendo lanciarci nel vivo dell’azione sin dai primi minuti di gioco.
    Il terzo elemento di personalizzazione è costituito dal sistema di classi e abilità del prorpio personaggio. Ci sono quattro diversi alberi delle abilità da sviluppare: mastermind, enforcer, tecnico e spettro. Ottima l’idea di Overkill di non obbligare il giocatore a scegliere una sola classe: è possibile sviluppare indipendentemente ognuno dei quattro alberi, ottenendo così un personaggio con qualità variegate. Le prime tre classi incarnano, in buona approssimazione, i tre archetipi del medico, tank e ingegnere. La classe dello spettro, infine, introduce un elemento fondamentale di Payday 2: la possibilità di affrontare ogni missione in versione stealth. È evidente che sarebbe pretenzioso e fuorviante definire Payday 2 come “un gioco stealth”, dato che è pensato per l’azione. In ogni caso, è possibile tentare i colpi senza essere visti, facendo uso di particolari abilità (che permettono, ad esempio, di scassinare una serratura in pochi secondi o di muoversi con rapidità) e attraverso un’attenta valutazione dell’ambiente e di chi lo popola. Overkill ha messo in campo alcuni lampi di genio: in un caso, ad esempio, si è obbligati a penetrare di soppiatto nella stanza delle telecamere a circuito chiuso e assassinare l’addetto, in modo tale da disabilitare l’allarme che altrimenti sarebbe scattato. La modalità stealth complica le cose in maniera esponenziale, ma con il giusto gruppo di amici potrebbe dare molta soddisfazione. Inutile dire che offline è sostanzialmente impraticabile.
    Un altro aspetto molto interessante di Payday 2 è rappresentato dalla suddivisione dei vari colpi in giorni, fino a un massimo di sette. Ci sono degli incarichi che si sviluppano nel corso di più giornate e che richiedono, ad esempio, di recuperare la merce durante, di trasportarla, di consegnarla al contatto, e così via. Questo consente di vedere i frutti dei propri progressi e contribuisce a creare una sorta di trama, sebbene l’elemento narrativo in Payday 2 non sia certo brillante. Ma soprattutto, questo sistema implica la presenza di missioni variegate. Non aspettatevi soltanto un'accozzaglia di rapine tutte uguali tra loro: ci sono rapine, atti vandalici, missioni di scorta, di recupero, di difesa, furti con scasso. Persino le missioni di tipologia simile hanno un buon grado di unicità grazie agli ambienti variegati e alle diverse tipologie di approccio adottabili dal giocatore. Il tutto si eleva all'ennesima potenza a causa dei diversi gradi di difficoltà associabili da Crime.net a ogni missione, che spingono a rigiocare ciascun livello più e più volte.
    L’aspetto che, probabilmente, è destinato a creare più controversie in Payday 2 è costituito dalla componente visiva. La grafica del gioco non è certo eccezionale: i modelli dei nemici sono tutti uguali, i civili sono un esercito di cloni e gli ambienti, per quanto variegati, sono costituiti da elementi che si ripetono quasi ossessivamente. In una missione, ad esempio, ci siamo ritrovati dentro un negozio di scarpe di lusso da vandalizzare: ebbene, in vetrina venivano esposte quattro diverse paia di scarpe, che si ripetevano all’interno e su tutti gli scaffali. Sarà difficile riuscire ad emozionarsi per gli scorci offerti da Payday 2: le rapine sembrano svolgersi sempre fra gli stessi luoghi, e non vi è riconoscibilità degli esterni. Perlomeno gli interni sono credibili, e non sono state quasi mai compiute bizzarre scelte di design nella progettazione della planimetria dei palazzi. Un vero peccato, considerando i piccoli guizzi di genio inseriti dagli sviluppatori (tra cui la vista che si inclina di lato quando si trasporta un borsone carico di contanti o gioielli).
    La musica, al contrario, è costituita da una ricca colonna sonora che scandisce le varie fasi dell’azione e cambia prima, durante e dopo l’assalto. Il doppiaggio, come nel predecessore The Heist, è costituito da poche linee di dialogo per nulla invasive. Come detto, non è la storia a rappresentare il nucleo di Payday 2, e troppi exploit recitativi sarebbero risultati d’impaccio.

lunedì 12 agosto 2013

Dragon Age: Inquisition

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:BioWare

  • Data uscita:Autunno 2014

     

    Dragon Age: Inquisition torna a far parlare di sé dopo mesi di silenzio, e, considerato il nuovo flusso di notizie sul gioco in arrivo, è giunto il momento di tirare le fila del discorso sul terzo capitolo della serie dark fantasy targata Bioware. Sono emersi infatti, in occasione dell'annuncio della copertina di settembre di GameInformer dedicata proprio al titolo in questione, i primi dettagli e alcune informazioni inedite sulla produzione che si propone di ridare slancio al franchise dello storico studio canadese.
    Il gioco è in sviluppo (come i precedenti) presso i creatori della saga - storicamente una garanzia in fatto di GDR di qualità - che hanno ascoltato, e tuttora continuano a considerare, i pareri e i feedback dei fans: molte delle decisioni prese in fase di progettazione e durante la lavorazione del titolo sono andate in questa direzione, in seguito alle critiche ricevute dal secondo capitolo. Infatti, se l'esordio della serie è stato accolto con entusiasmo da critica e pubblico, il sequel uscito un paio di anni dopo ha diviso l'opinione pubblica e “costretto” Electronic Arts a un ripensamento del franchise al fine di assicurarne un futuro migliore. Bersaglio delle critiche è stata soprattutto la deriva action e la semplificazione di alcune dinamiche di gameplay prettamente legate agli aspetti ruolisitici del gioco.
    Innanzitutto, la versione PC del titolo, a differenza di Dragon Age II, sarà curata e ottimizzata per questa specifica piattaforma, sia a livello estetico sia come controlli, con il pieno supporto all'inseparabile accoppiata mouse+tastiera. E questa di per sé è un buona notizia, che sembra dissipare i dubbi sul trattamento riservato alla versione Windows, che non dovrebbe essere quindi un mero porting da console, ma anzi, la versione di rifermento insieme a quelle per la next-gen.
    Tecnicamente, il Frostbite 3 è stato usato per riprodurre scenari di ampio respiro: alcuni ambienti di gioco saranno distruttibili e saranno anche ricostruibili o manipolabili sfruttando la magia, ad esempio. In particolare, le conseguenze di tali “danni ambientali” potrebbero apportare seriamente delle novità in un genere avaro per sua stessa natura di innovazioni degne di nota. Ma per ora rimaniamo con il beneficio del dubbio su questa potenzialità, almeno sino a prova contraria.
    Il nuovo engine ha permesso a Bioware di avere a disposizione la potenza e la flessibilità necessarie per poter sviluppare cinque versioni del gioco in parallelo con i medesimi contenuti, riducendo a zero le differenze in termini di gameplay tra le versioni, sebbene quelle per PC, PS4 e Xbox One saranno graficamente migliori rispetto a quelle per PS3 e Xbox 360. Gli sviluppatori hanno anche affermato che il Frostbite 3 è destinato a colmare il divario tra l'attuale e la prossima generazione, e che il suo impiego ha portato, ovviamente, all'abbandono del precedente motore grafico, Eclipse, definito poco adattabile e limitante.
    Ritornando agli scenari, si parla di un mondo open-world pesantemente influenzato dagli aspetti narrativi, composto da location multiple di grosse dimensioni, con differenti regioni e vasti luoghi da esplorare in lungo e in largo e, a differenza del predecessore, privo di elementi estetici e ambienti ripetuti più volte. Bioware ha dichiarato che ogni area costruita è più grande di qualsiasi altra riprodotta in passato dal team, sebbene il titolo, per dimensioni dell'area di gioco, non sarà paragonabile ai campioni del genere come Skyrim, e non riconducibile alla definizione classica di open-world. Niente più level design ripetitivo e privo di personalità come nel recente passato: la varietà di ambientazioni sarà rimarchevole, con deserti, pianure, paludi, montagne, villaggi e fortezze; l'estensione della mappa dovrebbe comprendere Ferelden all'estremità est, e Orlais a quella opposta. Inoltre, per incoraggiare la fase esplorativa e facilitare la percorrenza di lunghe distanze, è stato introdotto un sistema di cavalcature. Maggiori dettagli sono attesi circa questa interessante funzione.Nonostante la maggiore libertà concessa ai giocatori, Bioware non vuole perdere di vista la trama e il suo svolgimento, quindi sono previste limitazioni in questo senso. I giocatori potranno imbattersi in mostri e creature molto più forti durante il loro peregrinare, un po' come la mod di Oblivion che eliminava il sistema di livellamento dei nemici in base alla forza del personaggio. Una soluzione (quanto definitiva non sappiamo) senza compromessi, che renderà la vita ardua a più di un gruppo di eroi avventurieri rendendo l'esplorazione un elemento di gioco importante.
    Due degli elementi della rinascita: combattimento e trama.Per quanto riguarda gli scontri elemento portante e centrale al pari del canovaccio narrativo in qualsiasi gioco di ruolo che si rispetti - siano essi all'arma bianca o a base di incantesimi magici, l'intenzione dichiarata dagli sviluppatori è quella di riprodurre un sistema di combattimento che sia veloce, moderno e tattico allo stesso tempo; si potranno selezionare a proprio piacimento e in qualsiasi momento gli alleati a propria disposizione, e gli ordini verranno eseguiti dall'IA in tempi stretti, dando maggiore ritmo all'azione sul campo di battaglia. I nemici disporranno di tattiche e pattern d'attacco peculiari per ogni tipologia, inoltre, sfrutteranno l'ambiente circostante a proprio vantaggio. Altri aspetti importanti sono l'equipaggiamento, il looting e la personalizzazione del personaggio, sia estetica, sia nelle skills. Torna il consueto albero delle abilità e delle specializzazioni, anche se ulteriori dettagli in merito non sono ancora emersi. Sarà presente un sistema di crafting attraverso il quale i giocatori potranno lavorare gli oggetti raccolti, creare pezzi unici e modificare le armature e le armi in possesso.
    Dragon Age: Inquisition potrebbe, oltre a sancire un ritorno al passato, introdurre alcuni elementi di novità, inediti per la serie e in parte per il genere cui appartiene: lo sviluppatore non ha confermato né smentito una possibile modalità multiplayer, anche se questa è stata accennata dal team e probabilmente è oggetto di valutazione. La compagnia crede che la componente online introdotta con Mass Effect 3 sia stata ben accolta dai giocatori, e loro stessi si sono detti felici di averla sviluppata oltre che soddisfatti dei risultati ottenuti. In ogni caso, per adesso, precedenza all'esperienza in solitaria.
    Last but not least, la trama, che avrà un ruolo centrale nel gioco, trattandosi a detta degli stessi sviluppatori di un'opera heavily story-driven. La storia si svolge nella terra di Thedas, piagata dal caos e dallo scontro tra religiosi e maghi. Il mondo viene scosso da un varco verso Fade, luogo di magia e malvagità che riversa sulla terra demoni e mostri. All'inizio dell'avventura i giocatori potranno scegliere tra tre razze (uomini, elfi e nani) e tra tre classi (guerriero, ladro e mago), oltre al nome e al sesso del protagonista. Quest'ultimo è l'Inquisitore ed è a capo della fazione dell'Inquisizione. Questa organizzazione da poco risorta avrà il duplice compito di consolidare il proprio potere e darsi da fare contro la minaccia demoniaca che ha sconvolto il mondo.
    Stando alle informazioni trapelate, gli eventi si susseguono in base alle proprie scelte e la reputazione sale o diminuisce a seconda delle proprie azioni, al completamento di determinati obiettivi e con l'aiuto dato ai NPC. Al momento non è chiaro quanto le gesta del giocatore influenzino la trama del gioco, ma il sistema di dialoghi è stato migliorato e alcune conseguenze si avvertiranno anche sugli scenari di Thedas, a un livello anche profondo, con ambientazioni precluse o meno in base alle azioni intraprese in passato. Quindi, una sorta di memoria storica terrà conto della condotta del giocatore e delle scelte - difficili o meno - intraprese (The Witcher 2 è tra i titoli che hanno fatto scuola in quanto a scelte complesse e conseguenze annesse). Dragon Age: Inquisition uscirà verso la fine del 2014 ed è in sviluppo per PC, PS3, PS4, Xbox 360 e Xbox One. Una versione Mac del gioco non è ancora confermata.

venerdì 9 agosto 2013

Worms: Clan Wars

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Team 17

  • Data uscita:15 agosto 2013

     

     Il tempo passa, ma per la serie Worms l’onda del successo sembra non terminare mai. Dopo l’esordio avvenuto nel 1995 su più piattaforme, Team17 ha saputo anno dopo anno rinnovarne l’offerta ludica, con una serie di aggiunte più o meno azzardate che sono riuscite a mantenere vivo l’interesse dei giocatori. Il team britannico ha voluto sperimentare più idee, passando da ambientazioni in due dimensioni fino ad arrivare a scenari esplorabili a trecentosessanta gradi, per poi tornare alle origini, diciamo così, con Worms: Revolution e Worms Clan Wars. Con quest’ultimo prodotto la software house tenta il tutto per tutto, proponendolo come il titolo definitivo della serie e donandogli una nuovissima componente multigiocatore. Saranno riusciti nell'impresa?
    La modalità storia di Worms: Clan Wars si apre con la presentazione di Tara Tinkle, una ricca profanatrice di tombe - e storica ultrà, da come si definisce - che richiede il nostro intervento in un museo. Il motivo della sua richiesta è presto detto: uno strano individuo noto con il nome di Lord Crowley-Mesmer ha rubato l’antico manufatto magico della Carota di Pietra, uno degli elementi che portò il famosissimo Asino di Cemento a creare il mondo di Worms. La cattura del manufatto gli ha garantito dei poteri immensi, e grazie all’ipnosi riesce ora a controllare un grandissimo esercito di vermi come se fossero marionette. Il nostro compito sarà quello di fermarlo prima che riesca a ottenere il controllo assoluto sul mondo dei vermi, facendoci strada tra enigmi da risolvere, squadroni nemici da abbattere e numerosi compagni presi in ostaggio da salvare.
    I ben venticinque livelli proposti per la sola modalità in singolo serviranno principalmente a prendere dimestichezza con tutte le novità presenti nel titolo. Scenario dopo scenario, il gioco ci spingerà ad utilizzare determinate armi piuttosto che altre, o a sfruttare tutti i vantaggi che derivano dall’utilizzo degli oggetti fisici, già introdotti nel precedente capitolo e qui migliorati non di poco. Le cose da fare saranno veramente molte, e per la maggior parte delle volte sarà una vera sfida riuscire a sterminare la squadra nemica. Non mancheranno poi numerosi possibili approcci allo scontro, utilizzando per esempio un jetpack ad acqua per far scivolare gli ostili lungo la mappa fino a farli cadere in mare o armi dalla qualità inizialmente dubbia, come il cuscino scoreggione, ma dall’effetto finale davvero esilarante, potente e capace di avvelenare le truppe nemiche e di fargli perdere un quantitativo fisso di vita ad ogni turno. Questa modalità riuscirà a tenervi impegnati per più di una decina di ore, e l'ottimo lavoro svolto dalla doppiatrice Katherine Parkinson, oltre a strappare qualche sonora risata, rende la narrazione più che piacevole e non fa in alcun modo rimpiangere la mancanza del doppiaggio in italiano.
    Quello che non abbiamo totalmente apprezzato in questa componente è stato però un eccessivo sbilanciamento tra la tipologia delle armi a nostra disposizione e quelle della CPU. Più volte ci siamo visti fronteggiare con munizioni scarsissime dei nemici armati fino ai denti, capaci di spammare per più turni di fila un attacco aereo in grado di metterci in seria difficoltà. Da un lato questa eccessiva aggressività dell’intelligenza artificiale serve a dare un maggiore stimolo alla pianificazione delle proprie azioni, in modo che l’utente non agisca a casaccio e si guadagni facilmente la vittoria, ma dall’altra può risultare quantomai frustrante per la maggior parte dei videogiocatori. A proposito di IA, avremmo apprezzato anche un maggiore bilanciamento nelle routine degli eserciti nemici. Talvolta il team avversario ci ha stupito a causa della precisione maniacale con cui è riuscito ad assestare un colpo alle nostre unità anche da una parte all’altra della mappa, mentre in altri casi abbiamo dovuto attendere diverse decine di secondi prima che facesse anche solo una mossa, magari per poi passare semplicemente il turno nonostante avesse vicino uno dei nostri commilitoni. Un comportamento del genere può rendere eccessivamente noiosi dei match particolarmente lunghi, e anticipare di molto l’attivazione del famigerato Sudden Death.
    A fianco di una solida per quanto ardua campagna, il nuovo prodotto Team17 propone le Worms Ops, ovvero una serie di missioni aggiuntive durante le quali saremo chiamati a svolgere determinati incarichi o a padroneggiare in maniera ancora più approfondita alcune delle armi a nostra disposizione. Dovremo per esempio fare uso del bazooka e del jetpack per riuscire a sterminare i nemici disposti sulle piattaforme di una mappa, oppure sfruttare la fisica di gioco per saltare determinati ostacoli e poi atterrare indenni grazie all’utilizzo di un paracadute. Un’aggiunta non di poco rilievo, che riesce a dare all’utente più di un’infarinatura di base e a prepararlo ad affrontare i giocatori di tutto il mondo nella modalità multiplayer.
    Rimanendo in tema, ciò su cui Team17 ha voluto lavorare maggiormente è stato invece il comparto multigiocatore. Oltre all’intramontabile 1 vs 1 in locale e online, nel quale sfidare i propri amici in match singoli nelle modalità Deathmatch o Fortini personalizzando liberamente tutte le variabili di gioco, la software house ha dato vita ai Clan, mediante i quali i giocatori potranno creare e dare un nome al proprio gruppo (capace di contenere fino a 120 utenti), realizzare un emblema con il quale farsi riconoscere in rete e scalare le leaderboard mondiali. Non mancano nemmeno altre feature, come la possibilità di realizzare i propri speechbank, lanciare sfide alle gilde avversarie o semplicemente passare del tempo insieme. Lo scopo di Worms: Clan Wars appare quantomai ovvio, e il titolo punta soprattutto a creare una community persistente in grado di popolare per diverso tempo quest’ultima iterazione della serie. A supporto di tutto ciò, il team di sviluppo pubblicherà a breve anche una companion app con la quale gli utenti potranno tenere sotto controllo il proprio clan, e dare ad esempio un’occhiata alle statistiche personali o controllare l’esito di un match svoltosi precedentemente. Purtroppo al momento della stesura di questa recensione l’applicazione non è ancora stata rilasciata, pertanto non possiamo esprimere una particolare opinione in merito. Diverso discorso vale invece per il netcode: nei giorni scorsi abbiamo infatti avuto modo di sfidare uno dei designer di Team17, che oltre ad averci distrutto con un brutale 3-0 ci ha illustrato l’utilizzo di alcune nuove armi a nostra disposizione e ci ha concesso di constatare la stabilità dell'intera componente, che non ha assolutamente mostrato alcun problema.
    Analogamente all’ultimo capitolo multipiattaforma, Worms: Clan Wars presenta un ottimo sistema di classi che riesce a distinguere in maniera ottimale le tipologie di vermiciattoli a nostra disposizione. Potremo optare per il Soldato, capace ad esempio di far esplodere le granate a comando anche prima della loro naturale detonazione, oppure per il Bruto, caratterizzato da una tremenda lentezza nei movimenti ma da una maggiore resistenza ai colpi e da un’esplosione davvero estesa - forse fin troppo, a nostro avviso - al momento della sua morte. Non mancano il già sperimentato Scienziato, che ad ogni turno curerà di 5 unità i suoi HP e quelli delle unità astanti, e l’Esploratore, in grado di eludere le mine piazzate a terra e di percorrere grandi distanze in tempi davvero veramente ridotti. Oltre a queste mere prerogative la scelta di una classe piuttosto che un’altra influenzerà anche l’utilizzo delle normali armi. Durante la nostra partita multigiocatore abbiamo per esempio commesso l’errore di utilizzare il jetpack con il Bruto, e solo a metà del nostro percorso, proprio dopo aver oltrepassato un dirupo, ci siamo accorti che il carburante a nostra disposizione era ormai finito poiché la stazza del personaggio richiedeva un quantitativo maggiore di risorse. Sfortunatamente non abbiamo potuto fare altro che constatarne il decesso per annegamento. In un altro caso la scelta dell’Esploratore non si è rivelata particolarmente brillante, poiché grazie alla mazza da baseball un avversario è riuscito a lanciarci brutalmente in aria e a farci fare la stessa fine del Bruto sopracitato.
    Studiare un buon compromesso per il proprio team sarà dunque pressoché indispensabile, specialmente se vi ritroverete a gareggiare in match 8 vs 8, e non sempre la scelta migliore sarà quella di adottare bestioni dall’infinita barra HP o mingherlini in grado di muoversi liberamente per lo scenario.
    A fianco di tutte queste novità e miglioramenti, una è stata però quella che più ci ha entusiasmato e che ha spinto il titolo a uscire solamente su PC: Steam Workshop. Per chi non lo conoscesse, il Workshop della piattaforma Valve consente a qualsiasi utente di creare i propri contenuti e di condividerli in maniera completamente gratuita con i giocatori di tutto il mondo, aumentando così le possibilità di personalizzazione dei propri minion e permettendo di creare ulteriori mappe con le quali sbizzarrirsi. Ma non è tutto, poiché gli sviluppatori sono voluti andare ulteriormente incontro ai giocatori permettendogli di scaricare un potente tool con il quale testare il frutto del proprio lavoro. Un’ottima scelta, a nostro avviso, che sicuramente riuscirà a riscuotere un grandissimo successo grazie all’enorme quantitativo di modder presenti in tutto il mondo.
    Dando in ultima istanza un’occhiata alla componente tecnica, il lavoro svolto dalla compagnia è molto buono ma non propriamente eccellente. Rispetto ai precedenti capitoli il comparto grafico è stato migliorato in maniera significativa e ottimizzato a dovere, tanto da permettere l’esecuzione su un PC di fascia media con un frame rate fisso a 60. Ottimo anche il lavoro svolto sul fronte dell’antialiasing, con seghettature quasi totalmente invisibili, e sugli effetti particellari. Ciò che non ci ha invece soddisfatto del tutto è stata invece l’altalenanza dell’IA, già citata nei paragrafi soprastanti, e un discreto quantitativo di bug presenti nelle varie ambientazioni: più volte ci siamo infatti incastrati in alcune zone dello scenario, e la mancanza di armi che potessero aiutarci a sbloccare la situazione ci ha obbligato, nel migliore dei casi, a ricaricare dal checkpoint, oppure a ricominciare da capo la partita. Sebbene un problema del genere possa risultare abbastanza ignorabile a distanza di pochi minuti dall’inizio del match, dopo dieci o quindici minuti le cose possono farsi decisamente più irritanti. 

giovedì 8 agosto 2013

Brothers: A Tale Of Two Sons


  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Starbreeze Studios

  • Data uscita:7 Agosto


    Senza di te non sono nulla, sembrano voler dire a ogni passo i due fratelli protagonisti di Brothers: A Tale of Two Sons, se solo parlassero una lingua comprensibile. È un rapporto simbiotico dal legame apparentemente indissolubile, il loro, di quelli in cui il mutuo soccorso risulta essere vitale per proseguire il proprio cammino, per trascinarsi avanti in un mondo fiabesco ricco di insidie lungo una mini epopea di circa tre-quattro ore, certamente brevi ma senza dubbio appaganti, intense e dannatamente coinvolgenti.
    Quella di Brothers è una storia sul coraggio, la crescita e soprattutto l’amore per la propria famiglia, un tema tanto caro al regista Josef Fares, qui per la prima volta alle prese con un videogioco grazie al supporto dei ragazzi di Starbreeze Studios. Fares sa bene che la narrazione videoludica è ben diversa da quella cinematografica, lo sa perché coi videogiochi ci è cresciuto prima ancora di conoscere il successo e intraprendere la carriera dietro alla cinepresa, da cui ha voluto prendersi una pausa per sperimentare con qualcosa di nuovo e più stimolante, eccitato dalle grandi possibilità che questo medium è in grado di offrire. E ci è riuscito molto bene, costruendo un impianto narrativo dove non esistono parole e dialoghi, dove i personaggi non hanno un nome né un’identità, ma solo un’essenza. Tutto viene raccontato dal poetico e ispirato mondo di gioco, dalla inequivocabile gestualità dei personaggi che bofonchiano e sbraitano versi che sembrano il relitto di un antico dialetto norreno ormai perso nel tempo, da quel sostrato grottesco di atti vili avvenuti tra lande desolate dove l’urlo del vento si mescola alle grida delle anime perdute. Brothers è un racconto intenso e triste, un dramma personale in un terra lordata dal sangue dei morti, da cadaveri contro cui ci imbatteremo lungo il nostro cammino senza nemmeno capire le reali cause che hanno portato a tragedie così grandi e al contempo così intime. 
    Partirete per il vostro viaggio in fretta e furia, cercando di trovare una cura per vostro padre, in lotta contro la sua malattia disteso su un solido tavolo di legno mentre viene accudito da una misteriosa figura. Dal villaggio rustico ve ne andrete rapidamente, passando da quel nucleo scarsamente popolato che è la vostra minuscola terra natia, fino a lambire i precipizi che si affacciano su una taiga scandinava abitata da giganti e creature bizzarre talvolta amiche, altre volte ostili. Nonostante la brevità dell’avventura, colpisce la grande varietà di situazioni e ambientazioni, capaci di intrattenere come se foste davanti a un’opera concentrata che non si perde in banali riempitivi che ne avrebbero forse minato il nerbo narrativo. Brothers: A Tale of Two Sons è una fiaba muta che racconta più di quanto un videogioco moderno riesca a fare coi suoi ovvi e riciclati dialoghi; è la piena espressione del videogioco a tutto tondo che richiama con prepotenza gli echi di quel capolavoro di nome ICO. Non tanto per l’incomprensione dell’eloquio dei personaggi o per la cooperazione tra i due protagonisti, ma più per lo stesso modo di comunicare col giocatore e far vibrare con autenticità le sue emozioni, creando quell’interconnessione mentale che fa da apripista all’empatia.
    Le particolarità di Brothers: A Tale of Two Sons non si limitano solo all’aspetto narrativo e alla sua ambientazione, ma al contrario diventano ancora più evidenti quando si comincia a giocare e si realizza fino in fondo di star vivendo un’esperienza in cui si intraprende una cooperativa con se stessi: controllerete i due fratelli con un solo pad, come se le vostre mani fossero davvero gli strumenti attraverso cui agire le volontà dei personaggi. Grilletto (tasto azione) e analogico sinistro per il fratello maggiore; grilletto e analogico destro per quello minore. Contemporaneamente. Si tratta di una scelta di game design coraggiosa e ardita, che tutto sommato funziona bene e raramente porta alla frustrazione. Capiterà però di invertire la posizione dei due personaggi su schermo, pertanto il vostro cervello e le vostre dita potrebbero non rispondere immediatamente al meglio, riducendovi talvolta a deviare involontariamente dalla direzione giusta. Non sono pochi i momenti in cui vi fermerete realizzando che avete incrociato le posizioni dei due e che forse è meglio rimetterli al loro posto per non far fare le bizze al vostro cervello. Niente di drammatico, comunque, perché non ci saranno mostri a corrervi dietro ogni cinque minuti e quindi non cederete al panico bestemmiando contro il particolare sistema di controllo.
    Brothers è interamente basato sugli enigmi ambientali e su situazioni di gioco che obbligano alla cooperazione tra i due fratelli. Quello maggiore è più forte e può tirare le leve pesanti, è l’unico dei due in grado di nuotare, ha più peso, ma di contro è anche più grosso, quindi a differenza del fratello minore che ha un corpo più esile, non può passare tra le sbarre di gabbie e cancelli e non può quindi raggiungere alcuni punti particolari da dove è possibile attivare i meccanismi che aprono la via a nuove aree. L’ideazione e la messa in scena dei puzzle glorifica in tutto e per tutto questo dualismo, senza tuttavia renderlo mai artificioso o fuori luogo; tutto è molto intuitivo, appagante, convincente e mai innaturale. Il superamento degli ostacoli è un processo sempre molto intuitivo e gradevole, merito di un level design semplice che non cede mai il fianco ad arzigogoli creativi che ne avrebbero forse inficiato l’immediatezza. La collaborazione tra i due fratelli non si limita però al solo utilizzo di leve o abbassamento di ponti, tutt’altro. Nelle fasi più avanzate tutto diventa più interessante quando i due saranno fisicamente legati l’uno all’altro, trasformandosi quindi a ogni occasione nel perno attraverso cui, alternatamente, i fratelli possono oscillare per raggiungere appigli altrimenti fuori portata. Di grande valore artistico sono invece quegli enigmi in cui parti semoventi dello scenario mutano completamente la fisionomia delle strade da percorrere. Non vi diciamo esattamente cose sono queste “parti” proprio per non rovinarvi la sorpresa, ma vi assicuriamo che ne varrà la pena scoprirlo da soli.
    In due non bisogna solo superare gli sbarramenti che ci si pareranno innanzi, ma anche affrontare i boss. Dato che i fratelli non hanno a disposizione nessuna arma e le uniche due azioni possibili sono il movimento libero e l’interazione con gli oggetti dello scenario, è facile capire come anche in questi casi bisogna giocare d’astuzia. Per la verità, si poteva fare qualcosa in più a livello di complessità generale, poiché non si ha mai la sensazione di avere di fronte un ostacolo degno di far spremere a fondo le meningi o che possa rappresentare un grosso elemento di sfida per il giocatore. Starbreeze Studios ha probabilmente evitato di proposito di alzare la difficoltà di Brothers, scegliendo più la via di un gameplay funzionale all’impianto narrativo, che fungesse da fondamenta e al contempo da struttura di base su cui edificare un racconto fiabesco a tinte cupe, che affonda le sue radici negli strascichi di antiche mitologie nordiche forse ancora poco raccontate. Brothers: A Tale of Two Sons è l’elogio dell’avventura e della scoperta, una storia dove viene anche dipinta la fase di crescita che porta l’adolescente a diventare un uomo. Vivrete questo passaggio sulla vostra pelle, vi immedesimerete e capirete anche il loro dolore, facendolo vostro. In Brothers i cadaveri non sono puro elemento scenografico e non sono nemmeno squallidi pretesti per dipingere uno scenario tutt’altro che bambinesco, e ve ne accorgerete soprattutto durante una scena molto forte, durante un atto scellerato di cui capirete forse le motivazioni, ma mai la reale natura. Perché Brothers è questo: un’opera dove siete voi a cercare di capire cosa sia accaduto in quel mondo semi abbandonato, vittima della natura e di chissà cos’altro, senza mai arrivare a comprenderlo veramente. Tutto è carico di mistero, non vi vengono date spiegazioni e ciò che vedrete e vivrete sono gli unici elementi su cui far viaggiare la vostra immaginazione. Capirete ben presto che c’è una storia non raccontata dietro a ogni cosa bizzarra o inaspettata contro cui vi imbatterete, una magia e un senso del fantastico frammisti a un sottofondo tragico qui magnificamente rappresentato. Brothers: A Tale of Two Sons è una perla che non dovete lasciarvi assolutamente sfuggire, non priva di qualche difetto, ma che sa come colpire il giocatore e trascinarlo a forza in un mondo che ha da raccontare molto più di quanto appare. Una storia drammatica che conclude certamente l’avventura dei due, ma che anche a console spenta vi farà chiedere cosa è successo in quel mondo così pacifico e così violentato da un passato burrascoso e segreto.

lunedì 5 agosto 2013

Shadowrun Returns

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Harebrained Schemes

  • Data uscita:25 Luglio 2013

     

     Lavorando in questo campo, è ormai impossibile non discutere della crescita inarrestabile di Kickstarter nell’ultimo quinquennio. Quello che inizialmente era un modo per finanziare rapidamente nuovi giochi da tavolo o videogame indie minori, sembra ora diventato una reale alternativa alla distribuzione classica, un modo per creare titoli completamente distaccati dai desideri delle grandi case e costruiti attorno al volere dei soli giocatori. Migliaia, anzi, milioni di speranze si sono riversate come un fiume in piena sulla peculiare piattaforma, un’energia in continua crescita il cui unico scopo è ridare vita a grandi marchi dispersi del passato, o far rinascere generi quasi scomparsi perché considerati “troppo complessi” o “troppo di nicchia per avere successo”.
    L’affidabilità di Kickstarter, tuttavia, non è ancora stata dimostrata al 100%. Numerose creazioni ottime sono spuntate dalle sue lande dorate, ma i dubbi permangono: tanti i finanziamenti falliti, tanti i titoli solo mediocri, e ancor di più quelli finanziati con fior fior di quattrini il cui destino non è stato rivelato. 
    Uno dei primi progetti ad aver ottenuto la fiducia del pubblico è stato Shadowrun Returns, il seguito spirituale (e non) di un grande gdr isometrico comparso su Super Nintendo nel lontanissimo 1993, e basato su un rpg pen & paper e gioco da tavolo ambientato in un suggestivo mondo tra il fantasy e il cyberpunk. Gli Harebrained Schemes, questo il nome della giovane software house al lavoro sul gioco, hanno promesso di rispettare sia l’ambientazione che il sistema originale, riproponendo il tutto con le dovute evoluzioni e offrendo ai finanziatori un’esperienza priva di semplificazioni o forzature. Un bel gdr vecchio stile su PC insomma, con tutto il carisma del predecessore.
    Dopo quasi 2 milioni ottenuti e più di un annetto buono di sviluppo, Shadowrun Returns è finalmente giunto tra noi. Si prospettano ottime notizie, o la reputazione di Kickstarter è destinata a subire un altro brutto colpo?
    La storia inizia in una stanza sudicia. La vita dello Shadowrunner dopotutto è fatta di alti e bassi, un giorno sei in cima al mondo e il giorno dopo puoi ritrovarti facilmente in un motel da quattro soldi con abbastanza crediti per una colazione di bassa qualità e qualche sigaretta. Se le cose vanno peggio di così significa che sei diventato cibo per vermi e, considerando il numero smodato di nuovi cadaveri per le strade ogni settimana, è una mossa furba starsene buoni a contare le ore ogni tanto. Il conteggio viene però presto interrotto da una videochiamata. E’ Sam, un vecchio collega che in passato vi ha salvato la pelle. La rimpatriata sarebbe anche allegra, se non fosse per un dettaglio: Sam è morto, e quello che vi parla non è altro che un messaggio registrato arrivato sul vostro schermo grazie a un Dead Man's Switch, attivatosi automaticamente quando il cuore del vostro amico ha smesso di battere. La voce registrata non dà risposte, ma vi offre un lavoro, perché il buon Sam i debiti li ha sempre pagati e non vuole certo restare defunto senza restituire al suo assassino ciò che gli deve. 
    Non ci mettete molto a decidere. Forse odiavate Sam, forse vi stava simpatico, non importa. I soldi sono soldi e le missioni scarseggiano, è tempo di indagare.
    Non è la più originale delle premesse, ce ne rendiamo conto, eppure funziona, perché il mondo di Shadowrun è un luogo cinico, dark e ultratecnologico, dove storie semplici ma dirette colpiscono nel segno. La campagna creata dagli Harebrained fa quello che deve fare, e trasporta il giocatore tra strade buie e pericolose, metaumani, periferie e zone ricche della città, mostrando quel tanto che basta a far apprezzare il notevole background in cui ci si trova. 
    Il problema sta nella durata della campagna. Parliamo di sole sei ore circa di gioco, davvero pochine per delineare con precisione personaggi, luoghi e sottotrame, e a dir poco miserevoli quando si considera che siamo davanti a un gdr. La durata è chiaramente legata alla volontà degli sviluppatori di rendere Shadowrun Returns moddabile a piacere: chiunque può infatti dedicarsi al complesso editor di gioco, e mettersi a creare storie o extra per il titolo, quindi la presenza di una sola breve campagna creata dagli sviluppatori non distrugge necessariamente il titolo. Avremmo comunque apprezzato almeno la presenza di qualche contenuto ufficiale in più, perché così com’è l’opera pare solo un interessante esperimento con una buona avventura di prova, e visti i non pochi backers del progetto era lecito desiderare un lavoro più imponente.
    Il gameplay lascia sicuramente meno dubbi della striminzita, seppur riuscita, campagna. Chi ha giocato il classico per Super Nintendo ritroverà molti elementi comuni in Shadowrun Returns. Innanzitutto si parte dalla creazione del personaggio, una semplice serie di schermate in cui si sceglie la razza del proprio alter ego, il suo aspetto fisico (tra poche possibilità estetiche e una serie limitata di ritratti), e la sua classe. E’ evidente da subito come siano proprio le classi il fulcro del sistema, una lista di possibilità molto complesse, che offrono abilità variabili e tutta una serie di trucchetti unici. Se siete amanti del fantasy Stregoni e Sciamani sono lì per voi, con le loro magie ed evocazioni sempre utili, ma fareste bene a non ignorare il resto delle possibilità, specie se avete letto Neuromancer in gioventù e l’idea di divenire uno Street Samurai o un Decker vi stuzzica. 
    Una volta scelta la strada da percorrere vi ritroverete in una serie di mappe piuttosto lineari, con fasi di esplorazione e analisi intervallate da combattimenti a turni. Sì, avete letto bene, abbiamo detto “lineari”. L’altro difetto di Shadowrun Returns è infatti la mancanza di bivi o possibilità alternative, visto che la campagna vi guiderà passo passo in una serie ben definita di eventi e zone, senza possibilità di visitare altre locazioni (tranne rari casi in cui avrete modo di tornare al vostro quartier generale), o di affrontare complesse scelte morali. Ci sono missioni alternative, ma il loro svolgersi in mappe poco interattive e dalla grandezza piuttosto limitata le rende poco più di un passatempo di contorno. 
    E’ una fortuna che lo svolgersi di questi compiti sia piuttosto divertente, grazie alle succitate fasi esplorative e al combattimento a turni del gioco. Prima di ogni  missione avrete modo di analizzare elementi fissi per scoprire indizi sulla morte di Sam o risolvere qualche enigma, e di parlare con npc vari. Sono parti piuttosto suggestive, adeguatamente accompagnate da dialoghi spesso ben scritti e da qualche opzione alternativa correlata al carisma o al carattere scelto per il protagonista. 
    I combattimenti comunque non vanno ignorati e ci mettono del loro a innalzare la qualità complessiva, grazie a una serie di meccaniche intuitive e ben inserite nel contesto. Il sistema è, come abbiamo detto, a turni, e vi vedrà dare ordini al protagonista e ai suoi compagni in base agli action points a loro disposizione. Tenendo bene a mente le azioni possibili, potrete attaccare più volte lo stesso bersaglio, spostarvi in una zona con una copertura più sicura, o utilizzare oggetti e abilità. Cliccare su un nemico significa partire all’assalto usando una tra le armi equipaggiate, e l’uso dei poteri è sempre chiarito da evidenti aree d’effetto o da descrizioni che precisano con chiarezza gli ap necessari all’attivazione e il cooldown dopo l’utilizzo. 
    Seppur non innovativo, il sistema fa bene il suo lavoro in virtù della notevole varietà di abilità offerte e della scelta di accompagnare saltuariamente il protagonista a un gruppo di mercenari da assoldare, spesso rimpolpati da personaggi a costo zero legati agli eventi. L’opzione permette quindi di variare a piacere il proprio gruppo prima delle missioni e di fare vari test con le classi, a patto di avere i soldi necessari.
    Ottimo anche il sistema di sviluppo, basato su punti karma ottenuti al completamento delle quest e degli scontri. In generale ci si può specializzare a piacere, andando a prendere skill multiple e sforando nelle altre categorie. 
    Sempre restando legati al passato, sono persino presenti delle fasi nel cyberspazio, che variano un po’ la formula introducendo abilità proprie dei decker e nuovi avversari virtuali. Una trovata indubbiamente interessante, anche se usata a dovere solo in una breve sezione. 
    Come gameplay dunque ci siamo, se non fosse che tutte queste buone notizie vengono brutalmente sminuite dal più grave problema di Shadowrun Returns… La gestione dei salvataggi.
    Davvero non riusciamo a capire come abbiano fatto gli sviluppatori a pensare che l’obbligo di sfruttare degli autosave estremamente radi, che partono solo al completamento di una determinata area, fosse una buona idea. Potreste giocare per un quarto d’ora, completare più battaglie in una locazione discretamente estesa, venire eliminati all’ultimo scontro a fuoco, e scoprire di dover ricominciare tutto da capo perché non c’è modo di salvare nel mezzo dei vari compiti. E’ un’assurdità, e influisce negativamente anche sul gameplay, visto che si tende a puntare su strategie sicure per evitare troppi danni piuttosto che a sperimentare tattiche alternative divertenti che possono portare alla sconfitta. 
    Forse i save parziali verranno implementati con una patch o mod futura, ma per ora la loro assenza è totalmente priva di logica. 
    Anche tecnicamente il gioco non brilla né stupisce, anche se, considerando le risorse limitate a disposizione del team, è stato fatto un lavoro più che accettabile. I modelli tridimensionali dei personaggi sono composti da una manciata di poligoni, e si muovono su mappe disegnate con cura notevole, molto fedeli al materiale originario e spesso ispirate. Giocando abbiamo notato più di un bug legato all'interazione con certi oggetti, che ad ogni modo solo una volta ci hanno quasi costretto a riavviare, rivelandosi praticamente sempre singhiozzi minori. Non mancano infine le strizzate d'occhio per i fan del gioco originale, tra cui abbiamo in particolare apprezzato la presenza di un certo personaggio giocabile che non mancherà di strapparvi un sorriso.