Ethero

giovedì 28 aprile 2016

Blackroom

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Data uscita:Inverno 2018

     

     

    John Romero, il noto designer dietro a giochi come Doom, Wolfenstein 3D e Quake è tornato: Prevedere un suo ritorno in grande stile, dopo così tanti anni di assenza, non era in effetti così semplice. Dopo essersi riunito col collega Adrian Carmack, artista con cui ha lavorato a stretto contatto in passato, ha annunciato l’inizio della campagna Kickstarter del suo nuovo gioco: Blackroom. A questi due grandi nomi, si unisce anche il noto chitarrista metal George Lynch, come garanzia che anche la colonna sonora sarà adrenalinica e ben curata. Tre nomi sicuramente importanti: saranno all'altezza delle aspettative?
    L’annuncio è arrivato grazie ad un simpatico video, in cui si vedono Carmack e Romero parodiare la scena clou dell’ultimo film di Star WarsBlackroom è ambientato nel 2036: una delle più grandi compagnie, la Hoxar, ha sviluppato una tecnologia rivoluzionaria che consente a chiunque di potersi trovare ovunque si desidera, grazie alla generazione di un mondo olografico all’interno di una grandissima stanza nera, completamente indistinguibile dal mondo reale; a causa di un glitch, però, il sistema ha iniziato ad amplificare le paure degli utenti e mostrarle, rendendo i nuovi mondi estremamente pericolosi. Prenderemo, quindi, il controllo di un ingegnere assegnato alla manutenzione di questo sistema: potremo sperimentare in prima persona la nuova tecnologia, rischiando anche di rimanerne uccisi. Grazie alla omonima stanza nera potremo avventurarci in diverse ambientazioni originali: passeremo da un mondo sci-fi ad uno western, arrivando anche all’interno di case infestate. Avremo a disposizione anche uno strumento, chiamato Boxel, per modificare e influenzare l’ambiente in cui ci troveremo, le armi in nostro possesso e i nemici. Blackroom è stato descritto dallo stesso Romero come “uno sparatutto viscerale, vario e violento che richiama i classici FPS, con una miscela di esplorazione, velocità ed intensi combattimenti armati”.  La campagna di gioco durerà dieci ore e vi saranno tre modalità multiplayer: Co-op, 1-on-1 Deathmatch ed Arena, con 6 mappe di gioco incluse e la possibilità di scaricarne ulteriori, create dalla community; saranno inoltre presenti diverse sfide (come lo speedrun di un livello, ad esempio) da poter affrontare, con relative leaderboard online.
    L'intenzione di John Romero è quella di dare ai giocatori PC "esattamente quello che vogliono": un gioco veloce, adrenalinico ed interamente personalizzabile: le mod saranno incoraggiate ed avremo la possibilità di poter creare server dedicati. Non pensiamo che sia un caso che l’annuncio di questo gioco arrivi a pochi giorni di distanza dalla prossima uscita del nuovo Doom, data l'importanza di Romero per la serie e dato che entrambi i giochi sembrano condividere lo stesso stile di gameplay: è possibile che abbia scelto proprio questo momento per sfruttare a suo favore la grande attesa per il nuovo capitolo. Il gioco ci appare molto interessante, le idee sembrano solide e vuole essere una lettera d’amore dedicata a tutti i giocatori PC, e in particolare ai fan dei vecchi lavori di Romero. Purtroppo, per ora abbiamo solamente idee, promesse e concept art: il gioco, dopotutto, è stato appena annunciato su Kickstarter e possiamo soltanto aspettare che la campagna di raccolta fondi si concluda e venga arricchita da ulteriori dettagli. Nonostante le buone premesse dietro questo titolo, ci assale un solo, unico, dubbio: John Romero riuscirà a mantenere le grosse aspettative o sarà un flop? È bene ricordare che l’ultima volta che si è occupato in prima persona di un gioco ambizioso è uscito Daikatana: un titolo sì memorabile, ma per tanti motivi sbagliati. Sono passati ben 16 anni da allora, e questa potrebbe essere  l’occasione del riscatto, per dimostrare a tutti che quello fu soltanto un "incidente di percorso", e che John Romero ha ancora molto da dare all’industria videoludica: ci auguriamo davvero che sia così e che ne venga fuori un grande videogioco. La campagna Kickstarter terminerà il 28 Maggio 2016, mentre l’uscita del gioco è prevista per la fine del 2018 solamente per PC. In verità, per il futuro Romero non ha escluso del tutto la possibilità di una release per console.

     

The Technomancer

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Spiders

  • Data uscita:21 giugno 2016

     

     

    I prodotti Spiders fanno parte di quell'ampia frangia di giochi con un potenziale incredibile ma purtroppo quasi sempre inespresso. Probabilmente per via del budget a disposizione (assai minore rispetto a quello di mostri sacri del genere) è sempre sembrato impossibile vedere il loro talento in mostra con titoli con premesse sempre interessanti, ma poi sviluppate soltanto parzialmente in prodotti costretti ad oscillare perennemente tra la mediocrità e la sufficienza. Eppure in Mars: War Logs non tutto era proprio da buttare ed anzi era riuscito a catturare l'attenzione di una piccola fetta di pubblico, parecchio affascinata dal setting e dalle premesse narrative. Ed ecco quindi che lo studio francese ci riprova, di nuovo su Marte con un Action RPG e sempre con Focus Home Interactive a fare da producer e publisher. 
    Il gioco si svolge nello stesso universo di Mars: War Logs. Uno dei sogni di Jehanne Rousseau (CEO di Spiders) era riuscire infatti a dipingere un quadro narrativo pulsante che prendesse vita su Marte, e la precedente opera non era soltanto che l'inizio. Il titolo si svolge durante la cosiddetta "Guerra dell'Acqua", duecento anni dopo l'avvenuta colonizzazione umana di Marte. Prenderete il controllo di Zachariah, un ragazzo pronto a divenire, tramite l'apposito rito di passaggio, un "mago-guerriero" noto come technomancer. Grazie ad un talento innato potrà utilizzare poteri elettrici distruttivi amplificati dagli impianti cibernetici a disposizione fin dalla giovane età. Nel mondo di gioco i technomancer vengono rispettati e temuti da tutti essendo guerrieri addestrati fin da bambini a combattere per la sicurezza del popolo, o almeno così vi verrà fatto credere. Il vostro viaggio comincerà ad Ophir, una delle prima città fondate su Marte e capitale di Abundance, soggetta ad un regime totalitario; in seguito ad un evento che i ragazzi di Spiders non hanno voluto riferire per non rovinare la sorpresa ai giocatori, vi ritroverete a dover fuggire dalla polizia segreta della città. L'impianto narrativo sembra interessante e potrebbe regalare anche qualche sorpresa grazie ad un sistema di scelte che porterà a cambiare radicalmente il mondo di gioco. Il team di sviluppo infatti ha assicurato che ogni decisione avrà un impatto sul rapporto con gli abitanti, con le fazioni ed anche con i vostri compagni di squadra, andando così a modificare il destino di Marte: saranno disponibili infatti ben cinque finali differenti.
    Avrete ovviamente la possibilità di personalizzare l'estetica del vostro personaggio dovendo poi decidere tra una delle tre specializzazioni di combattimento disponibili, scegliendo così tra la strada specifica della "tecnomanzia" oppure quella generale del tuttofare. Potrete pertanto diventare un guerriero armato di bastone, con uno stile di combattimento basato sulla velocità e sui danni ad area; un ladro molto agile equipaggiato con pistole e pugnali velenosi, disposto a portare avanti furti e inganni pur di proseguire per la propria strada; oppure un soldato dotato di mazza e scudo, pronto a difendersi tramite un interessante sistema di blocco-parata effettuabile in combattimento. Ogni stile avrà poi un classico albero delle abilità specifico in cui potrete apportare le modifiche che vorrete al personaggio, migliorandone le prestazioni. Inoltre, quando lo riterrete opportuno avrete perfino la possibilità di passare ad un altro stile, rendendo così il battle-system mai scontato ed in grado di donare al giocatore la possibilità di scegliere il metodo di approccio che si preferisce, in base al tipo di battaglia che vi attende. Tuttavia per ogni stile ci sarà una base comune di abilità da technomancer, come ad esempio la possibilità di elettrificare le vostre armi per aumentarne esponenzialmente il danno o creare uno scudo per proteggervi dagli attacchi nemici. Ogni stile avrà inoltre una sua tipologia di equipaggiamento che sarà possibile migliorare non solo cercando elementi in giro per la mappa ma anche con un annunciato sistema di crafting, di cui però al momento si conosce poco. Queste possibilità differenti sembrano fin dall'inizio molto interessanti e potrebbero influenzare radicalmente lo stile di gioco e il mondo in cui dovrete muovere i vostri passi per le oltre quaranta ore annunciate per arrivare alla fine. L'idea di avventurarci tra le lande di Marte combattendo contro mostri, mutanti dal DNA modificato, umani e technomancer rivali, potendo tra l'altro mettere mani su un battle system curato - come pare essere questa volta - ci stuzzica non poco: se il gameplay dovesse infatti mantenere le promesse potremmo finalmente vedere quel netto passo in avanti che si chiede da tempo alle produzioni del team francese. Sembra proprio che gli Spiders abbiano imparato dal passato e vogliano regalare al giocatore un ampio insieme di scelte assai diverse tra loro in grado di modificare l'esperienza generale.  
    Dove il gioco invece ci ha convinto davvero poco è sul piano tecnico. Dal materiale mostrato, infatti, il lavoro svolto pare abbastanza altalenante, con una qualità visiva fatta di alti e bassi ed una modellazione poligonale che lascia a desiderare. Il personaggio sembra avere problemi di movimento, con animazioni non curate come avremmo voluto e anche la fluidità delle varie azioni non sembra essere resa perfettamente. Tra tutti questi elementi, quello che però ci ha maggiormente colpito negativamente è la somiglianza eccessiva delle collisioni e degli impatti con quanto visto in Bound by Flame. Era uno dei problemi maggiori del precedente titolo Spider sul quale lavorare eppure sembra sia stato fatto poco per risolverlo. Abbiamo molti dubbi sulla stabilità della versione PC del titolo, inutile dirvi quindi della nostra paura per la versione console. Speriamo comunque di vedere parecchi miglioramenti nel gioco completo sotto l'aspetto tecnico.

giovedì 21 aprile 2016

Mafia 3

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Hangar 13

  • Data uscita:7 ottobre 2016

     

     

    Quando ci venne mostrato per la prima volta alla Gamescom di Colonia, lo scorso anno, Mafia III divise i fan della saga: una parte era felice del ritorno del franchise e incuriosita dalle possibili novità, mentre l'altra era preoccupata dai cambiamenti radicali - uno su tutti, quello del team di sviluppo, con il gioco affidato ad Hangar 13. Il rischio che la serie venisse in qualche modo snaturata sembrava dietro l'angolo, e l'attesa per scoprire ulteriori dettagli su questo prossimo episodio è sembrata decisamente lunga. Con l'arrivo del nuovo trailer e della data d'uscita, fissata per il prossimo 7 ottobre, sono però giunte un bel po' di novità sul gioco, che ne mettono in evidenza la filosofia e la personalità. Andiamo quindi a vederle nel dettaglio.
    Il gioco ci consentirà di vestire i panni di Lincoln Clay, afroamericano orfano che ha passato buona parte della sua vita all'interno degli ambienti mafiosi. Il periodo in cui non è stato circondato dalle brutte compagnie (si fa per dire), lo ha visto combattere in Vietnam, dal quale è tornato come veterano. Nuovamente nella sua New Bordeaux - un'interpretazione di New Orleans data dagli autori del gioco - nel 1968, si mette a caccia del clan mafioso italiano per compiere una vendetta in nome della sua famiglia, disposto a tutto pur di spodestare l'odiato boss.
    Se è vero che la sceneggiatura vanta spunti molto interessanti, come la condizione degli afroamericani negli Stati Uniti degli anni Sessanta e quella dei reduci del Vietnam, all'altro lato della medaglia è onesto ammettere che la tremenda vendetta non sia esattamente lo spunto narrativo più originale che si sia mai visto. Poco male, però, perché gli sviluppatori hanno già voluto assicurare che il gioco punterà fortemente sulla storia e su personaggi caratterizzati e riconoscibili, cercando di raccogliere l'eredità dei primi due episodi, che hanno conquistato i fan di Mafia.
    In attesa di scoprire ulteriori risvolti delle vicende, i riflettori sono tutti puntati sul gameplay: Mafia III vuole essere in tutto e per tutto un gioco di ampia scala, e New Bordeaux sarà, per questo motivo, un vero e proprio open world. Significa, in buona sostanza, che avete un obiettivo - indebolire il clan avversario ed infastidirlo al punto tale da riuscire ad avvicinarne i piani alti - e che starà a voi trovare il modo più efficace e a voi più consono per raggiungerlo. La mafia italiana finita al centro del mirino di Lincoln, ad esempio, gestisce dei racket sparsi nel territorio di New Bordeaux, che potremo andare a strapparle. O ancora, sarà possibile impedire l'arrivo dei furgoni del clan con denaro e rifornimenti, o direttamente distruggerli. O ancora, potrete rintracciare i luogotenenti del boss, eliminandoli per fargli terra bruciata intorno, o infiltrarvi nelle strutture del clan rivale mirando all'attacco diretto. Se poi volete risultare ancora più fastidiosi, potete tagliare i collegamenti telefonici del quartiere, rendendo innocui i numerosi informatori che sono pronti a chiamare rinforzi, spifferando al cuore del clan le vostre malefatte. Le strategie possibili sono molteplici, e l'intento degli sviluppatori è quello di fare in modo che non esista alcun modo di fallire la propria missione, ad eccezione della morte di Lincoln: pianificare la propria strategia sarà utile, a patto che si tenga conto che le cose potrebbero prendere in qualsiasi momento la piega sbagliata, e richiederanno una correzione in corsa e la capacità di adattarsi agli eventi. Mafia III, insomma, vuole dire che non esiste un modo giusto per raggiungere il proprio obiettivo, o uno predefinito e altri "alternativi": è il giocatore, e solo lui, a decidere il percorso da intraprendere - e a farsi ovviamente carico delle conseguenze. In una commistione di meccaniche che mescola la guida, il combattimento corpo a corpo, le sparatorie action o semplicemente le dinamiche stealth, sarete quindi voi a cercare il giusto equilibrio e il modo di agire più affine al vostro stile, mentre mettete in atto il disegno che porterà (o almeno dovrebbe) alla caduta del clan rivale.
    Appare abbastanza chiaro che, rispetto ai capitoli precedenti, Mafia III punti quindi in modo molto convinto sulla libertà d'azione e di scelta del giocatore, che non si limita alla sola messa in atto delle missioni: dopo che avrete ripulito ciascuno dei nove distretti della città dal clan mafioso italiano, dovrete spartire la posta con i vostri alleati. Al vostro tavolo, infatti, siede il clan degli haitiani, rappresentato da Cassandra, quello degli irlandesi, guidato da Burke, e quello che ben conoscete, guidato da Vito Scaletta. Ognuno di loro prenderà volentieri in gestione il distretto appena conquistato, consentendovi di ottenere, a seconda di chi sceglierete, nuove armi e potenziamenti (come un van che vi rifornirà di armi, o supporto diversivo durante un'infiltrazione). Attenzione, però, perché fare una scelta piuttosto che un'altra avrà ripercussioni anche sulla storia, andando ad influenzare il finale, tra i diversi presenti, che sbloccherete. Tanto per fare un esempio, nella recente demo Cassandra non era particolarmente interessata al quartiere ottenuto - poiché ne aveva già ottenuto degli altri - ma Vito e Burke sembravano decisamente agguerriti. Assegnando la gestione dei racket e la protezione del territorio a Vito, Burke non ha nascosto il suo malcontento, sibilando frasi minacciose che non promettevano nulla di buono per gli scenari futuri. La vostra posizione di potere sarà quindi molto delicata e richiederà una certa e quasi insospettabile delicatezza, visto che dovrete ricordarvi che state pur sempre spartendo quanto ottenuto con ben altri tre clan criminali dai diversi interessi. Gli equilibri sono fragili e le relazioni decisamente labili.
    Il titolo dice già tutto sulle intenzioni degli sviluppatori: New Bordeaux è un bel posto (a parte i racket, le famiglie criminali in guerra e i discutibili rapporti della cittadina con le forze dell'ordine). Rispetto ai precedenti episodi, i ragazzi di Hangar 13 hanno voluto che Mafia III, complice anche il progresso degli hardware, potesse contare su una città più credibile e popolosa, che non fosse fatta di sola atmosfera, ma anche di numerosi abitanti che ne calcano le strade. Per riuscire a proiettarci al meglio alla fine degli anni Sessanta, il team propone ovviamente veicoli adatti all'epoca, sportivi o meno, che potrete sia possedere che, semplicemente, rubare. In caso l'auto sia vostra, però, avrete il vantaggio di poter intervenire su di essa, applicando modifiche che, tanto per dirne una, vi agevoleranno in caso decidiate di affrontare delle corse - rigorosamente illegali. Il team vuole anche assicurarsi che il modello di guida sia soddisfacente, e che quindi ogni singolo veicolo abbia un suo peso ed un suo feeling riconoscibili, pad alla mano.
    La voglia di coinvolgere pienamente il giocatore nell'atmosfera di quegli anni si evince anche dalle scelte operate in sede di colonna sonora, con tutta una serie di artisti particolarmente celebri che andranno ad allietare le vostre scorribande mafiose per New Bordeaux: tra questi, possiamo annotare i Rolling Stones, Aretha Franklin e The Beach Boys.
    Appare chiaro, insomma, che Hangar 13 stia facendo del suo meglio per non lasciare niente al caso e, in un titolo la cui ambientazione storica è di grande fascino e di grande richiamo, la cura per i dettagli, per quanto piccoli possano sembrare, è fondamentale.

The Banner Saga 2

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Data uscita:19 aprile 2016 (PC)

     

     

    Tra i titoli indipendenti più premiati del 2014, quando debuttò facendo leva su uno stile artistico e narrativo da applausi, ci fu The Banner Saga, tornato oggi con il suo carico di combattimenti strategici densi di decisioni dolorosissime.
    Gli sviluppatori di Stoic Studio hanno optato per un seguito diretto, che riprende temi, personaggi ed ambientazioni del predecessore, arricchendo, nel contempo, le meccaniche di gioco e il ventaglio di scelte a disposizione del giocatore.
    Fortunatamente, l'incantevole tratto grafico è rimasto immutato, come le proibitive condizioni di vita in cui i protagonisti si dovranno dibattere: se non vi spaventa affrontare il freddo, la carestia ed un nemico che brama il sangue della vostra gente, allora procuratevi una bevanda calda e proseguite nella lettura.
    The Banner Saga 2 vi aspetta.
    The Banner Saga fu un colpo di quelli che non vedi arrivare, una di quelle sleeper hit indipendenti che hanno fatto innamorare i giocatori: merito di una narrativa cruda, spietata, a metà tra una favola nera norrena e gli scenari fantasy tipici dell'immaginario mitteleuropeo, ma anche di scelte sempre pregnanti, con conseguenze reali (e dolorose).
    Tutte caratteristiche fondanti che hanno trovato spazio anche in questo seguito, rendendone l'incedere narrativo non meno entusiasmante e affascinante: le vicende di The Banner Saga 2 riprendono esattamente dove finivano quelle del predecessore, ovvero immediatamente dopo la sconfitta del leader dei Dredge, Bellower, trafitto da una freccia magica.
    Coloro i quali abbiano giocato al primo episodio potranno importare il salvataggio, vivendo sulla propria pelle le conseguenze delle scelte effettuate, mentre chi inizia la trilogia da questo secondo capitolo può contare su due differenti scenari precalcolati: l'unico difetto della produzione, seppure endemico, risiede proprio nella sua natura di seguito diretto, che risulterà abbastanza oscuro ai neofiti, nonostante il recap disponibile nel menu d'avvio.
    Qualunque sia lo scenario prescelto, lo scopo sarà quello di raggiungere Arberrang, ultima capitale degli uomini, e di farlo in un vero e proprio scenario di guerra, tra villaggi saccheggiati e fosse comuni.
    I Dredge sono ovunque, e non sono nemmeno gli unici pericoli per la carovana che saremo chiamati a condurre: la fame, la stanchezza e le avverse condizioni climatiche rappresentano altrettante spade di Damocle sulla testa dei sopravvissuti.
    La struttura del titolo, a metà tra una versione moderna di The Oregon Trail e uno strategico a turni in stile Fire Emblem, costringe il giocatore a prendere continuamente posizione, tanto sulle cose più triviali della quotidianità (come la gestione delle risorse e degli scout da mandare in avanscoperta) quanto su questioni di vita o di morte, come la scelta di dividere il gruppo in battaglia o di fermarsi a riposare in una foresta maledetta.
    Qualsiasi decisione prenda, il giocatore sbaglia: come nella più cupa delle realtà, ogni scelta ha un rovescio della medaglia, ogni azione una conseguenza, e ogni errore di valutazione può costare la vita ad uno o più personaggi giocabili.
    Come se non bastasse, il gruppo è male assortito, tra umani, Varl (giganti cornuti e formidabili guerrieri), Valka (sacerdoti che padroneggiano le arti magiche) e la novità Horseborn (centauri dall'intelligenza primitiva): anni di guerre e di reciproco disprezzo non possono essere cancellati nemmeno nel momento del bisogno, e, anche tra coloro che sono costretti a combattere spalla a spalla possono serpeggiare il malcontento e la diffidenza.
    Gli sviluppatori di Stoic hanno superato i livelli di crudeltà del primo episodio, se è vero che ogni volta che sarete coinvolti in una conversazione, andrete incontro a rischi maggiori di quelli in cui incorrerete durante qualsiasi combattimento: mai il detto “la lingua ne ferisce più della spada” ha trovato migliore applicazione.
    The Banner Saga 2 non eccede nelle descrizioni ma non lascia mai il giocatore in balia di se stesso, non gli svela le conseguenze delle proprie scelte ma gli lascia intuire cosa potrebbe succedere e, sopra ogni altra cosa, fotografa come pochi la natura umana, i suoi dilemmi, il suo egoismo e la sua grandezza.
    Le fasi più strettamente ludiche, quando cioè si scende in battaglia, rappresentano ancora uno degli elementi che compongono la ricetta di The Banner Saga 2, e, a dirla tutta, hanno guadagnato in importanza e profondità rispetto al primo capitolo, ma comunque non rappresentano né il punto focale della produzione né l'apice del genere nell'attuale (ricchissimo) catalogo PC.
    L'impressione che il team di sviluppo fosse molto più interessato a raccontare una storia in cui il giocatore fosse al centro della narrazione rispetto a fornirgli un altro strategico a turni viene rafforzata da questo seguito, nonostante gli evidenti miglioramenti al bilanciamento delle abilità, delle armi, l'introduzione di una nuova razza (i già citati Horseborn) e di scenari interattivi e con obiettivi mutevoli.
    L'ossatura di base è rimasta immutata, e quindi ci si trova dinanzi ad uno strategico a turni abbastanza classico, in cui ogni personaggio gode di un valore di armatura ed uno che funge, contemporaneamente, da salute e forza: avere otto punti salute rimanenti significa poter infliggere al massimo otto danni (a meno di colpi critici), mentre tenere alti i valori di armatura riduce significativamente le probabilità che i colpi inferti dai nemici intacchino l'indicatore della salute.
    Il morale della carovana e il numero di nemici abbattuti influiscono direttamente sulla forza di volontà delle truppe, necessaria per utilizzare le abilità speciali e le magie, e i personaggi caduti non vanno incontro alla morte permanente ma, al massimo, a ferite invalidanti, che non consentono loro di scendere in campo per una o due battaglie successive.
    Attorno a questi cardini, ruota un gameplay sensibilmente meno complesso di quello di molti congeneri, che nondimeno riesce a riservare soddisfazione e generare battaglie tese, sempre sul filo del rasoio, complice l'impossibilità di curare i membri del proprio party.
    Rispetto al recente passato, però, Stoic sembra essersi concentrata su una maggiore differenziazione degli obiettivi nelle battaglie, aggiungendo dinamismo anche tramite l'arrivo di rinforzi nemici, riducendo l'impatto del caso sugli esiti degli scontri ravvicinati, e, soprattutto, aggiungendo una variante non da poco con i centauri, che combattono in maniera assai differente dalle altre truppe.
    Dotati di grande mobilità e della possibilità di percorrere ulteriori spazi dopo aver colpito, i centauri consentono tattiche di accerchiamento che prima avrebbero richiesto molti più turni, offrendo, nel contempo, un discreto output di danni.
    Una certa fragilità e una scarsa varietà nelle abilità speciali, che tendono a ripetersi per tutti e quattro i membri di questa specie reclutabili, controbilanciano una razza che, altrimenti, avrebbe alterato il delicato equilibrio che si è venuto a creare con questo secondo capitolo. Le migliorie, pur non evidenti da subito, sul lungo periodo riescono a rendere più godibili gli scontri, differenziandoli gli uni dagli altri e facendo sì che il giocatore tenga sempre in debita considerazione l'opzione della forza bruta durante i dialoghi.

venerdì 15 aprile 2016

Fallout 4




I dlc sono indubbiamente un tema spinoso. C'è chi li considera un surplus gradito, in grado di dare nuova linfa vitale ad un determinato titolo, e c'è chi li vede come un male dei nostri tempi, mezzo attraverso il quale gli sviluppatori tentano di trarre il maggior guadagno possibile dalla propria utenza. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Ci sono dlc in grado di aggiungere realmente qualcosa di nuovo all'esperienza base, qualcosa che non sarebbe stato possibile implementare inizialmente, a causa di problematiche legate alle tempistiche o al budget disponibile durante lo sviluppo. Altrettanti sono i contenuti scaricabili privi di un qualsivoglia significato, non necessari o, ancor peggio, tagliati dallo sviluppo originale per essere venduti separatamente. Questa breve, ma significativa introduzione ci porta a parlare di Wasteland Workshop, secondo dlc di Fallout 4 . In quale delle due categorie rientrerà il contenuto scaricabile realizzato da Bethesda?

Se pensavate di ritornare nel Commonwealth per vivere una nuova avventura nei panni del sopravvissuto solitario, non sarete felici di ciò che leggerete. A differenza di Automatron, Wasteland Workshop non aggiunge alcun tipo di filone narrativo che possa definirsi tale, nemmeno sotto forma di una delle tante fetch quest ripetibili che Bethesda ha scelto di inserire in Fallout 4. Quest'ultimo dlc è interamente incentrato sul sistema di crafting, aumentandone la varietà in termini di oggetti realizzabili e aggiungendo feature decisamente marginali nell'economia di gioco. Prima di analizzare cosa realmente costituisce questo contenuto scaricabile per i giocatori, è opportuno fare una panoramica su cosa Wasteland Workshop offre di effettivamente nuovo.
Quando si parla del sistema di crafting di Fallout 4 non si può che apostrofarlo positivamente. Bethesda ha fatto decisamente un buon lavoro, permettendo ai giocatori di costruire e personalizzare i propri insediamenti con una certa libertà d'azione. Non tutti i giocatori sono interessati a questo tipo d'esperienza, ma un'aggiunta, per quanto facoltativa possa essere, è sempre gradita. Wasteland Workshop amplia le possibilità di personalizzazione, aggiungendo tutta una serie di nuovi oggetti da costruire, la maggior parte dei quali sono di natura estetica. Le strutture, le decorazioni e le fonti di illuminazione implementate permetteranno di realizzare insediamenti sempre più diversificati e complessi, dando al giocatore la possibilità di mettere in campo la propria immaginazione e creatività. Le possibilità sono indubbiamente molte, ma sappiate che la maggior parte delle aggiunte presenti non sono altro che asset già presenti in Fallout 4, i quali sono stati semplicemente resi disponibili per il crafting.
Completamente nuove sono invece le gabbie, la quali costituiscono l'unica nuova feature (se così possiamo definirla) che Wasteland Workshop offre. Le gabbie sono un nuovo tipo di costruzione, presenti in una buona varietà e realizzabili tramite l'uso di materiali specifici, tra i quali il cibo di cui la preda in questione si nutre. Quando alimentate da energia elettrica le gabbie permettono di catturare alcuni degli animali e dei nemici presenti nel Commonwealth. A questo punto vi starete chiedendo quale possa essere il nuovo sistema di cattura implementato da Bethesda e come esso possa essere influenzato dalle capacità del nostro personaggio. Ebbene, la verità è che non esiste nessun sistema di cattura. Semplicemente la creatura apparirà casualmente all'interno della gabbia mentre dormiamo o siamo lontani dal nostro insediamento. Questo espediente risulta certamente comodo da un punto di vista meramente pratico, ma preclude l'aggiunta di una nuova attività come poteva essere quella della caccia. Una volta catturata, la creatura servirà unicamente per imbastire delle battaglie nell'arena. Quest'ultima è formata da due semplici pedane, sulle quali è possibile posizionare le creature catturate e gli abitanti del nostro insediamento, in modo da farli lottare fra loro in scontri spesso all'ultimo sangue. Sebbene tale spettacolo possa risultare divertente la prima volta che lo si vede, facciamo fatica a credere che rimarrà tale già dalla seconda volta, figuriamoci oltre. Anche da un punto di vista narrativo questa attività ha decisamente poco senso, visto che un personaggio positivo difficilmente appronterebbe spettacoli degni del peggior tiranno o schiavista (è infatti possibile catturare anche nemici umanoidi). Con questo abbiamo esaurito quanto c'era da dire sulle aggiunte offerte da Wasteland Workshop, le quali ci hanno lasciato decisamente freddi.

Abbiamo parlato dei contenuti di Wasteland Workshop, ma adesso è il caso di soffermarsi sulla legittimità del contenuto scaricabile in questione. Ci troviamo davanti ad un dlc di entità indubbiamente minore, complice anche il costo con cui viene venduto. 4,99 € è un prezzo decisamente abbordabile, ma in questo specifico caso può essere considerato troppo elevato per ciò che il suo acquisto permette di offrire. Le aggiunte non solo sono estremamente marginali, ma sfruttano elementi già disponibili nel gioco originale. Alla luce di ciò non possiamo non chiederci la motivazione per cui tali novità non siano state inserite già al momento della release di Fallout 4, considerato l'esiguo lavoro necessario per implementarle. Ma anche nel caso in cui questi contenuti siano stati progettati per garantire  un rinnovo di appetibilità da parte del pubblico, sarebbe stato più opportuno renderli disponibili gratuitamente. Non si tratta di una questione di prezzo, ma di principio e di immagine. In tutto questo bisogna anche considerare il fatto che le mod su PC permettono già di raggiungere gradi di personalizzazione molto più elevati da quanto offerto in Wasteland Workshop, rendendo tale contenuto scaricabile decisamente superfluo. In definitiva, chi dispone del season pass si troverà tra le mani un'aggiunta marginale ma che potrebbe far felici gli amanti del crafting; per chi invece ne è sprovvisto, consigliamo caldamente di evitare l'acquisto del dlc, il cui apporto nell'economia di gioco è quasi nullo e difficilmente vi farà ritornare la voglia di riprendere in mano Fallout 4.

martedì 12 aprile 2016

Overwatch


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Blizzard

  • Data uscita:24 maggio 2016

     

     

    Quando la Blizzard decide di lanciare una nuova IP, non lo fa mai con leggerezza. Eppure il nuovo FPS del colosso di Irvine non può che sembrare un titolo votato proprio alla leggerezza. Personaggi sopra le righe, armi esagerate, ambientazioni futuristiche: ad un primo sguardo Overwatch appare del tutto spensierato, fra gorilla in armatura e dj sui pattini. Ma sotto un’apparenza da cartone animato, si cela un titolo con molto, moltissimo da dire. 
    Siamo stati alla presentazione milanese di Overwatch, dove abbiamo provato le versioni Xbox One e PS4 e possiamo dire, fin da ora, che quanto visto e giocato promette decisamente bene.
    Su queste pagine abbiamo già parlato di Overwatch, ma per chi si fosse perso le ultime anteprime e i live, ecco un veloce riassunto dell’ultima fatica Blizzard. Overwatch è un FPS competitivo a squadre, in cui al fianco di cinque compagni, dobbiamo sfidare un altro team composto da sei elementi. Le modalità di gioco sono abbastanza classiche e prevedono la conquista di un territorio (o la relativa difesa), il controllo di diversi obbiettivi e la protezione di un carico in movimento da un punto all'altro della mappa. A questo aggiungiamo la possibilità di giocare con e contro dei bot e la nuovissima modalità Competitiva, la quale permette di partecipare a leghe e scalare le classifiche online, guadagnando riconoscimenti e ricompense estetiche per personalizzare i propri eroi. Ma l’elemento più interessante dell’intero titolo è proprio il roster dei 21 personaggi disponibili. Divisi in quattro classi (attacco, difesa, supporto e tank) possiedono caratteristiche che li differenziano completamente gli uni dagli altri, sia in termini di attacchi, che in termini di mobilità o di colpi speciali. Il roster offre così esperienze del tutto diverse da una partita all'altra, ma anche all'interno della singola partita, essendo possibile cambiare eroe in qualsiasi momento.
    E proprio qui si trova l’anima profonda del titolo. Al giocatore sono richieste due differenti abilità strategiche. La prima è quella più classica e individuale: schivare, colpire, scegliere quale modalità di fuoco usare, conoscere le aree e sfruttarne le caratteristiche strutturali. La seconda è più sottile e cooperativa: per vincere infatti, non basta saper sparare, bisogna capire quale combinazione di eroi è la migliore, non in generale, ma in base alla mappa scelta, alla modalità e soprattutto alle combinazioni di eroi della squadra avversaria. 
    Dal punto di vista tecnico Overwatch, nonostante sia ancora in fase beta, fa più che egregiamente il suo lavoro. All’evento milanese abbiamo potuto provare le versioni per console e possiamo dire che il lavoro svolto fin ora è senza dubbio di grande qualità. Le due versioni (Xbox One e PS4) girano a 60 fotogrammi al secondo e 1080p nativi, senza presentare vistose differenze, a parte alcuni (pochissimi) attimi di incertezza su Xbox One, durante i momenti più concitati. Ad ogni modo su entrambe le piattaforme il frame-rate è sicuramente solido, infatti è doveroso far notare che le versioni console non sono semplici porting di quella PC, ma sono state sviluppate appositamente per le due piattaforme. A questo aggiungiamo una risoluzione dinamica, che diminuisce il numero di pixel su schermo durante le fasi più burrascose, di modo da mantenere fluido il gameplay: scelta, questa, sicuramente gradita per un titolo frenetico come Overwatch.
    Rispetto alla versione PC la velocità di manovra della telecamera non è naturalmente la stessa che si avrebbe con mouse e tastiera ma, tutto sommato, l’aggiunta di un leggero auto-aim e una buona gestione dei tasti del gamepad, rendono l’esperienza molto vicina a quella su PC e adatta sia ai neofiti che ai giocatori più navigati.
    Chiudiamo con qualche cenno sulla narrativa di Overwatch. Nonostante la trama non sia, di norma, un elemento fondamentale nel panorama degli FPS online, Blizzard ha deciso di non tralasciare alcun elemento e dare il giusto peso anche alla componente narrativa del titolo. Intreccio e caratterizzazione dei personaggi sono portati avanti con un approccio transmediale e il più possibile diversificato. All’interno del gioco troviamo mappe che raccontano eventi del passato (ad esempio una guerra fra umani e robot nell’area Volskaya Industries), oltre che skin degli eroi che ne mostrano il background. Invece, all’esterno del titolo vero e proprio, possiamo approfondire la storia attraverso cortometraggi animati e fumetti, distribuiti online. Tutto ciò, unito ad una sapiente caratterizzazione delle aree (a volte spassosa come solo Blizzard sa fare) riesce a costruire un mondo colorato e vibrante, perfetto per l’azione frenetica e indiavolata del titolo.
    Se poi aggiungiamo che tutte le nuove aree e i nuovi personaggi distribuiti dopo il lancio saranno completamente gratuiti, be', allora non ci resta che aspettare, pad alla mano, di darcele di santa ragione il 24 maggio, che siate fedeli del PC o possessori di console.

UnderDread


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Survival horror

     

     

    Titoli come Amnesia sono stati pionieri in un genere che ultimamente sembra andare a gonfie vele. L'idea di eliminare gli scontri diretti, costringendo invece il giocatore ad acquattarsi in qualche buio anfratto per non farsi scorgere dal mostro di turno, ha funzionato a dovere. Il doversi muovere nelle ombre con la consapevolezza di essere fatti a pezzi ad un minimo passo falso è una soluzione capace di generare livelli di tensione mostruosi. Molti sviluppatori hanno deciso di adottare questo concept per le loro produzioni; alcuni sono riusciti a fare centro, mentre altre volte la mela è rotolata via ben lontana dall'albero. Questo è il caso di UnderDread, un clone di Amnesia che però non si avvicina nemmeno alla grandezza del titolo a cui si ispira; ecco di che si tratta.
    Diciottesimo secolo; un uomo e sua figlia si fermano in un accampamento, decisi a concedersi un po' di riposo dal loro lungo viaggio. Prendono alloggio presso una locanda ma durante la notte Lisa, la figlia del protagonista, sparisce nel nulla. L'uomo chiede disperatamente aiuto agli abitanti del villaggio ma nessuno sembra aver visto niente. Qualcuno gli dice che non è la prima volta che succede qualcosa di simile e che strani eventi si stanno verificando al maniero poco distante. L'uomo parte quindi alla ricerca della figlia, seguendo le orme di un detective che aveva già affrontato la medesima missione prima di lui. Il gioco ha inizio proprio nelle viscere del castello, dove verremo introdotti ai pochi comandi disponibili tramite un breve tutorial. Il nostro alter ego porta con sé una lanterna che può sollevare per illuminare meglio l'ambiente, oppure spegnere accovacciandosi a terra. Il titolo, come detto in precedenza, si ispira ad Amnesia e ne ripropone grosso modo la medesima struttura di gioco. Bisogna infatti muoversi tra le ambientazioni, risolvendo i vari enigmi ed evitando al contempo di entrare in contatto con le entità maligne presenti sul nostro cammino. Nella prima parte dell'avventura la nostra nemesi prenderà la forma di un grosso spirito scheletrico. Dovessimo averci a che fare troppo da vicino, l'unico modo di scampare a morte certa è quello di utilizzare una speciale abilità (la cui fruizione è limitata) in grado di bandirlo per breve tempo. Per riuscire a sfuggirgli possiamo inoltre avvalerci di alcuni specifici spot in cui rintanarci a torcia spenta in attesa che l'aberrazione passi oltre. Purtroppo gli enigmi sono uno dei punti deboli della produzione, soprattutto a causa del backtracking necessario a risolverli. Il titolo infatti permette al giocatore di avanzare di area in area, costringendolo però a tornare sui propri passi per recuperare oggetti che si rivelano necessari a posteriori ma che non erano recuperabili in precedenza. ci spieghiamo meglio con un esempio: all'inizio del livello c'è un tavolo con una fialetta appoggiata sopra, sembra importante, proviamo a prenderla ma non è possibile interagirvi. Dopo due ore di gioco si scopre che ne servono sette per risolvere un enigma, bisogna quindi tornare sui propri passi e recuperare tutte quelle lasciate indietro. Questo espediente si ripete svariate volte, una soluzione decisamente infelice soprattutto a causa della lentezza con cui il protagonista è in grado di spostarsi. Egli ha invero a disposizione uno sprint ma servirà a ben poco considerando quanto dovrà scarpinare nei sotterranei.
    UnderDread dispone solo di due ambientazioni: i sotterranei del castello ed un complesso di miniere a cui accederemo nella seconda parte dell'avventura. La pochezza poligonale con cui sono realizzate le location è tristemente abbinata ad un evidente anonimato che rende il tutto piatto e lascia un amaro retrogusto di già visto. Il comparto tecnico è inoltre afflitto da vari bug: a partire da innocui sfarfallii delle texture, passando per il mancato caricamento di tutti i testi in lingua italiana, cosa che ci ha obbligati a fruire del titolo in versione inglese. La lanterna tende poi a incastrarsi in cassetti e mensole dando vita a lunghe serie di convulsioni, a tratti più disturbanti delle creature che infestano i dungeon. Le animazioni di morte inoltre sono veramente poco curate e ci vedono spesso riversi all'interno di qualche colonna piuttosto che in una pozza di sangue. Anche l'audio vuole fare la sua parte proponendo dei jumpscare in maniera spudoratamente gratuita, forse con l'intenzione di farli passare per il crollo di alcune statue, cosa che avviene quasi sempre fuori dal nostro raggio visivo. A conti fatti questo UnderDread non ha praticamente nulla da offrire che non si sia già visto, spesso in forme decisamente più godibili. Le annotazioni che troveremo sul nostro cammino, stilate dal detective che ci ha preceduto, ci aiuteranno nel nostro incedere durante l'avventura, la quale però subisce un taglio netto sul finale, dopo le quattro ore circa necessarie al suo completamento. Niente spoiler ovviamente, ma ve lo comunichiamo chiaramente: l'ultima scritta a schermo dice To Be Continued. Onestamente non ce lo saremmo aspettati quando abbiamo preso in mano il gioco, soprattutto perché la descrizione sulla pagina ufficiale di Steam non lascia in alcun modo presagire una distribuzione di tipo episodico. Riteniamo questo tipo di politica scorretta nei confronti dell'utente pagante, il quale non viene in alcun modo informato del fatto che sta per acquistare un prodotto incompleto. D'altro canto, speriamo che eventuali episodi successivi vengano rilasciati gratuitamente e che siano in grado di risollevare il livello di una produzione che, allo stato attuale, si rivela essere insufficiente.

venerdì 8 aprile 2016

Mxgp 2

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Milestone

  • Data uscita:07 aprile 2016

     

     

    Dopo l’esordio avvenuto nel 2014, Milestone torna nuovamente a proporre l’atmosfera tipica del campionato di motocross grazie a MGXP 2. Scopriamo allora se il più recente prodotto della software house italiana ha il potere di farci vivere l’adrenalina di questa categoria motoristica.
    Il 2015 non è stato proprio un anno da ricordare per Tony Cairoli, pilota siciliano che ha scritto la storia di questa specialità grazie agli otto mondiali vinti tra MXGP, MX1 ed MX2. Gli infortuni, e l’ascesa di piloti di talento come il francese Fevbre, hanno difatti costretto il talento di Patti a una stagione travagliata; l’avvio della stagione 2016, d’altronde, fino ad ora non ha regalato grandi soddisfazioni, sebbene i piazzamenti ottenuti in Qatar, Thailandia e Olanda possano essere considerati un discreto segno di rivalsa. Se dopo aver iniziato questo paragrafo non avete immediatamente smesso di leggere in preda all’indifferenza più totale, allora vi interesserà sapere che grazie a MXGP 2 è possibile rivivere integralmente la stagione 2015 delle categorie MXGP ed MX2, grazie al roster completo di piloti e la presenza dei 18 tracciati ufficiali. I contenuti single player del titolo, esclusa la Carriera, prevedono la presenza di altre specialità come l’MXoN, ovvero il Motocross delle Nazioni, che comprende gare corse da squadre nazionali, oltre che delle gare indoor, e la riproposizione di alcuni eventi reali della stagione scorsa, in cui saremo chiamati a sovvertire quanto accaduto. Torneremo meglio dopo su alcuni aspetti di queste modalità, mentre per ora è giusto concentrarsi su cosa offre la Carriera del titolo Milestone. Le soluzioni adottate in questa opzione di gioco, va detto, sono tutto sommato tradizionali: si inizia creando un proprio pilota e un proprio team, cercando di impressionare scuderie e sponsor vari in due gare corse da wild card. Al termine di queste due prime frazioni, a seconda dei nostri risultati, potremo essere ingaggiati da alcuni team di MX2, oppure scegliere di continuare con il nostro team personalizzato, che potrà contare in ogni caso su alcuni partner commerciali durante le varie gare. Ogni sponsor, evidentemente, ci porrà degli obiettivi, che una volta conseguiti ci permetteranno di accumulare crediti; questi, come da copione, ci daranno la possibilità di acquistare upgrade per il nostro outfit o la nostra moto, o addirittura di acquistare un mezzo più potente e prestante. L’ultima tappa della Carriera è l’approdo nella classe regina, rappresentata dalla MXGP.
    Dal punto di vista delle modalità di gioco, dunque, quello offerto da MXGP 2 è un quadro completo, che sopperisce anche a una delle lacune più evidenti del precedente titolo Milestone dedicato al motocross, ovvero la mancanza di alcune licenze dei tracciati. Oltre alle piste ufficiali del campionato MXGP, ora, vanno incluse le quattro arene fittizie indoor, e il tracciato francese di Ernée, utilizzato per la gara di MXoN. Si comprende, dunque, come anche dal punto di vista dei contenuti si sia fatto un notevole passo in avanti, a tutto vantaggio della varietà di situazioni proposte. Che dire, però, del gameplay? Da questo punto di vista, siamo rimasti sorpresi: MXGP 2 è stato, in alcuni specifici momenti, il gioco di guida su due ruote più divertente a cui abbiamo avuto modo di giocare negli ultimi tempi. Il merito di questa affermazione è dovuto a un modello di guida estremamente divertente, simulativo, e capace di dare soddisfazione praticamente immediata. Constatata la presenza di un buon sistema di scalabilità del modello di guida, abbiamo proceduto alla prova come nostro solito, ovvero disattivando subito tutti gli aiuti, impostando il livello di difficoltà più elevata, e mettendoci subito alla prova. Il primo fattore con cui abbiamo dovuto fare i conti è stata l’importanza della corretta distribuzione del peso del pilota. Di norma, l’enfasi in questi titoli va sugli spostamenti verticali del centauro, che di solito deve abbassarsi durante i rettilinei e alzarsi prima delle curve, di modo da sfruttare il maggiore o minore attrito con l’aria. Nelle gare di motocross, però, anche gli spostamenti orizzontali sono di importanza vitale, perché avvicinarsi tutti storti a una rampa non solo può costare preziose posizioni, ma può letteralmente catapultare il pilota fuori dal percorso (cosa che ci è successa tante – ma tante – volte). Con gli aiuti disattivati, questa attenzione alla distribuzione del peso trova la sua ragion d’essere - come detto - durante i salti: dirigendo le due levette in direzioni opposte, ad esempio, è possibile esibirsi in uno scrub, di modo da limitare il nostro tempo in aria e avvantaggiarci sui nostri avversari. Non è detto, però, che a ogni rampa sia possibile effettuare una mossa di questo tipo, ma è vero invece che ogni salto possiede caratteristiche diverse, che richiedono una diversa distribuzione del peso in aria e in fase di atterraggio, così come un differente uso dell’acceleratore. Si tratta di particolari che, ai livelli di difficoltà più elevati del gioco, si rivelano essenziali per la vittoria, e che rendono ogni circuito una storia a sé. Guidare senza gli aiuti disattivati, poi, vuol dire dover gestire separatamente i freni, che difatti hanno effetti differenti sulla guida. L’anteriore dovrà essere particolarmente dosato durante le curve lente e strette, di modo da avere il giusto angolo, mentre il posteriore torna utile nelle curve più dolci; tutti questi accorgimenti, inoltre, trovano una loro collocazione ideale se si parla del tipo di tracciato, e della sua usura. Dopo pochi giri, infatti, le curve più impegnative presenteranno solchi abbastanza importanti, che faranno scomporre leggermente la moto, richiedendo ancora una volta una buona gestione degli spostamenti del nostro pilota. Riuscire a gestire in modo ottimale le curve, dunque, sarà tutto un gioco fatto di frizione, freno anteriore e posteriore, e distribuzione del peso. Può sembrare un sistema di gioco complesso e difficoltoso, e difatti spesse volte lo è: dobbiamo ammettere con un pizzico di vergogna, ad esempio, di aver utilizzato veramente molto la funzione rewind, che consente di tornare indietro di qualche secondo per poter rimediare ai propri errori. D’altra parte, riuscire a imbroccare il giro giusto è questione di pazienza ed esperienza, ed anche del mezzo utilizzato. Quest’ultimo particolare ci dà modo di parlare brevemente del sistema di upgrade della propria moto, che consiste di aggiornamenti estetici e prestazionali. Questi, come prevedibile, consentono al proprio mezzo di fornire performance migliori. Gli effetti sono evidenti fin dai primi giri: dopo aver cambiato lo scarico, ad esempio, siamo stati in grado di dar battaglia a piloti che prima ci sverniciavano senza troppi complimenti durante i brevi rettilinei dei vari tracciati. Anche il setup della moto, poi, riveste una sua importanza, rendendo possibile il tuning delle sospensioni, e i rapporti delle marce.
    Durante le nostre gare di motocross ci siamo divertiti per due motivi principali: il modello di guida, analizzato in precedenza, è uno di questi, mentre il secondo elemento è dato dai duelli con gli altri piloti gestiti dalla IA, che però ci hanno lasciato a volte l’amaro in bocca. Prendiamola un po’ alla larga: la differenza nel modello di guida tra una MXGP e una MX2 risiede soprattutto nella potenza del motore, che nelle MXGP è decisamente più potente e per certi versi meno gestibile. Avere a che fare con una bestia simile durante gare sempre affollate di piloti è spesso molto divertente, perché il gioco diventa una sfida di concentrazione, conoscenza del tracciato, e consapevolezza della presenza degli altri piloti. Se ad esempio ci si infila troppo all’interno di un altro centauro in una curva stretta, o magari in salita, la gravità si farà sentire, e finiremo a gambe all’aria perché abbiamo piegato troppo la moto. Tutto ciò è giusto e ottimo, ma è un peccato che questa nostra consapevolezza non trovi sempre riscontro nei nostri avversari. L’intelligenza artificiale che muove i piloti, infatti, spesse volte non sembra essere conscia del fatto che il giocatore esiste, e che come tale si muove nelle sue vicinanze. Questo porta a tutta una serie di inconvenienti: piloti che ci atterrano sulla schiena alla fine di un salto, ingressi in curva spericolati e che ci mandano gambe all’aria, contatti in aria, e via di questo passo. Ai livelli più bassi di difficoltà, tanto per sottolineare gli alti e bassi della IA, non è raro imbattersi poi in piloti che finiscono malamente a terra dopo uno scrub improvvisato. Queste contraddizioni sono causate anche da una fisica delle collisioni un po’ incoerente, e che spesse volte ci ha dato come l’impressione che gli altri piloti fossero di cemento, visto che anche andandogli addosso non ci sarà quasi mai modo di disarcionarli. Questi due difetti, dunque, potenzialmente vanno a rovinare gare che, specie ai livelli di difficoltà più elevati, propongono duelli appassionanti e molto divertenti.
    La versione da noi esaminata, ovvero quella PC, propone una grafica molto gradevole, sia per quanto riguarda piloti e moto, che dal punto di vista dei tracciati. Va da sé che le livree delle varie squadre sono riproposte in maniera fedele, e che il titolo mette a disposizione del giocatore un buon set di caschi e tute per poter personalizzare il proprio outfit. Siamo rimasti soddisfatti anche dalla realizzazione delle varie location, tutte caratterizzate in maniera differente, specialmente per via degli elementi naturali di contorno, oltre che per il tipo di tracciato. Altri elementi secondari come il pubblico, eventuali mezzi di soccorso e tribune presentano alti e bassi, ma in generale non ci si può lamentare di quanto fatto da Milestone, considerato anche il positivo utilizzo dell’illuminazione, che riesce a dare a ogni location un carattere differente. Da notare poi la presenza di alcune chicche, magari poco visibili, ma decisamente gradite, come la leggera deformazione della tuta del pilota dovuta all’aria, o il fango che si depositerà sul nostro outfit giro dopo giro, sporcando la nostra tenuta sgargiante. Il gioco, poi, se si eccettua qualche calo di framerate in alcuni tracciati, è risultato quasi sempre “digeribile” dal punto di vista hardware, e tutto sommato reattivo e attento alle nostre sollecitazioni, come ad esempio riduzioni a icona anche ripetute. Dal punto di vista audio, non sembrano essere presenti particolari elementi di analisi degni di nota: di sicuro gli effetti audio dei mezzi sono positivi e sufficientemente realistici, e accompagnano in maniera positiva anche i cambiamenti nella potenza del proprio mezzo.
    Per ultimo, accenniamo al multiplayer: il titolo permette di creare e partecipare a gare online, consentendo di gestire un numero di parametri che vanno dalla tipologia di categoria di mezzi e competizioni, passando per la modalità di gioco preferita (corsa singola, campionato). È possibile intervenire poi sul tipo di fisica (base oppure più avanzata), sul numero di giri, sulla
    presenza o meno di collisioni, sul livello della IA. Purtroppo, durante le nostre prove i server erano deserti, e dunque non abbiamo potuto saggiare la tenuta sul netcode.

domenica 3 aprile 2016

Quantum Break

  • Piattaforme:PC, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Remedy Entertainment

  • Data uscita:5 aprile 2016

     

     

    Come una bella donna, si è fatto attendere fin troppo. Figlio della filosofia di Remedy che con il suo “esce quando è pronto” aveva fatto penare gli appassionati già ai tempi di Alan Wake, finalmente Quantum Break è tra noi, con il suo carico di ambizioni e responsabilità.
    Il titolo lega i due fili rossi che hanno contraddistinto le precedenti produzioni del team, le sparatorie in terza persona e lo storytelling, dando vita ad un esperimento unico, apice della ventennale carriera dello sviluppatore finlandese, nonché nuovo punto di riferimento per quanto concerne la commistione tra media diversi e il modo di raccontare storie in ambito videoludico.
    Quantum Break è molto più della somma delle sue parti, oltre le sterili polemiche sulla risoluzione nativa, oltre difetti endemici ma secondari, che non scalfiscono la compiutezza e la folle ambizione del disegno più grande.
    Soprattutto, Quantum Break è una storia, degna di essere narrata e raccontata nel più brillante dei modi.

     
    Quantum Break racconta la storia di tre amici, delle loro ambizioni, delle loro vite, e gioca con il continuum temporale in maniera intelligente, senza eccedere in soluzioni narrative astruse né nelle spiegazioni che ne deriverebbero: le motivazioni dietro le scelte dei protagonisti appaiono chiare, i colpi di scena mai telefonati (con una sola, parziale eccezione) e il livello di empatia con i personaggi raggiunge livelli eccezionali.
    Questo avviene per varie ragioni, che vanno dalle ottime interpretazioni di attori di calibro internazionale alla straordinaria opera di modellazione poligonale dei volti, tremendamente somiglianti alle controparti reali, ma soprattutto per la scelta fatta da Remedy a monte, e cioè quella di ibridare videogioco e serie TV come mai nessuno aveva fatto prima.
    In una ulteriore evoluzione rispetto ai già notevoli picchi raggiunti con Alan Wake, il team finlandese ha incorporato in-game diversi episodi (della durata di circa venticinque minuti l'uno) di un serial TV legato agli eventi del gioco.

    Ogni puntata ne arricchisce e completa la trama, coprendo eventuali buchi narrativi e immergendo il giocatore nella Riverport che fa da sfondo agli eventi come mai prima, tratteggiando personaggi a tutto tondo, cui ci si affeziona in un istante.
    Al termine di ognuno dei cinque atti che compongono il gioco, durante i quali il giocatore veste i panni di Jack Joyce, rientrato a Riverport in seguito alla richiesta di aiuto dell'amico di infanzia Paul Serene, si passerà proprio nelle vesti di quest'ultimo, per una breve sequenza interattiva che illustrerà le conseguenze delle due scelte possibili.
    Un rapido esempio viene dalla prima di queste sequenze, cui si giunge dopo poco meno di tre ore di gioco: a seguito di un'incursione armata in un campus universitario, Paul Serene, capo della Monarch Solutions, dovrà decidere il destino dei testimoni, e, in particolare, di una di loro.
    Il giocatore può scegliere se adottare la linea dura, sterminando tutti coloro che hanno assistito all'azione militare, o manipolare l'opinione pubblica, addossando la colpa di quanto accaduto a Jack Joyce, cosicché i media lo additino come pericoloso ricercato.
    Prima di prendere una decisione, al giocatore viene mostrata una sorta di preview degli eventi che potrebbero verificarsi, così da avere sempre ben chiare le conseguenze delle proprie scelte: in questo caso, optare per l'uccisione di tutti i testimoni porta alla morte di un personaggio secondario che, invece, potrebbe rivelarsi piuttosto utile nelle fasi avanzate della campagna.
    A scelta effettuata, parte la prima delle quattro puntate della serie TV cui si ha accesso per ogni playthrough, che illustra le conseguenze di quanto appena deciso e porta avanti la narrazione in maniera efficace: i dubbi sulla possibilità di una serie posticcia e a scarso budget vengono dissipati già dopo pochi minuti, con valori produttivi che nulla hanno da invidiare a produzioni assai più blasonate.
    Ognuno degli attori coinvolti offre una buona prova recitativa, e le vicende ruotano attorno a personaggi di grande spessore, con una menzione particolare per due di loro, apparentemente secondari nell'intreccio, ovvero Beth Wilder, interpretata dalla splendida Courtney Hope, e Liam Burke, portato in scena da Patrick Heusinger.
    La connessione che si sviluppa tra il giocatore ed i personaggi è fortissima, e beneficia dei vantaggi derivanti dall'utilizzo di un medium dichiaratamente deputato a raccontare storie, più di quanto qualsiasi videogioco abbia mai fatto.
    Come per The Last of Us, a lasciare il segno, più che l'arco narrativo in sé, sono i sentimenti, i dubbi e le motivazioni dei personaggi, sul destino dei quali il giocatore avrà un controllo che pochi altri titoli hanno garantito da quando il medium videoludico esiste.
    L'eccellenza del doppiaggio (peccato solo che la voce di Aidan Gillen non sia la stessa sentita ne Il trono di Spade) e il fatto che molti dei volti a schermo appartengano ad attori noti ed amati dal pubblico, non fanno che aumentare il grado di coinvolgimento e la curiosità di conoscere la conclusione delle vicende.
    Al di là dei gusti personali, e di quanto molti potrebbero non gradire il fatto di sorbirsi una puntata di un serial TV (che si può comunque saltare) ogni due ore di gioco o poco più, l'ibridazione tra media funziona benissimo, conferma il grande talento di Remedy nell'ambito dello storytelling e apre a nuovi scenari per le future produzioni tripla A.
    La parte prettamente ludica di Quantum Break si configura come uno sparatutto in terza persona caratterizzato dal massiccio utilizzo dei poteri temporali del protagonista e dal dinamismo delle sparatorie, molto diverse da quelle, in trincea, cui il genere ha abituato gli utenti negli ultimi anni.
    Per fare un esempio, venendo dall'ottimo sistema di coperture di The Division, cardine delle sparatorie del titolo Ubisoft, le prime impressioni, come potete leggere nella nostra anteprima di una decina di giorni fa, sono state contrastanti: l'approssimazione e l'inefficienza del cover system implementato da Remedy, sulle prime, possono spiazzare, e in effetti il modo in cui Quantum Break gestisce le coperture è probabilmente uno dei pochi difetti della produzione.
    Jack si ripara automaticamente dietro a muri, scrivanie, cestini dell'immondizia e automobili, privando il giocatore della possibilità di spostarsi da un riparo all'altro e beccando, non di rado, pallottole vaganti perché determinate parti del corpo non sono perfettamente allineate con le coperture.
    Giocando il titolo come si farebbe con qualsiasi TPS post Gears of War, allora, si finisce presto per vedere la schermata del game over, perché semplicemente non è quello il modo di affrontare le sparatorie pensato dal team di sviluppo.
    I poteri a disposizione del protagonista, tutti a utilizzabili del giocatore già prima della fine del secondo atto, spingono a sfruttare intelligentemente la grande mobilità del nostro alter ego e la sua capacità di piegare il flusso temporale al suo volere, seppure per pochi secondi.
    A riprova di ciò, basti pensare alla presenza di nemici vulnerabili solo se colpiti alle spalle, o altri che, proprio come Jack, possono spostarsi alla velocità della luce, cogliendo spesso il giocatore alle spalle.
    Insomma, scegliersi un riparo e pensare di gestire gli attacchi nemici dietro di esso è quanto di più sbagliato si possa fare: Quantum Break vuole che il giocatore si sporchi le mani, che affronti a viso aperto i nemici, che si renda un bersaglio difficile non perché ben coperto dietro ad un riparo ma perché sempre in movimento.
    Digerita questa meccanica di gioco, si scoprono sparatorie intense, frenetiche, vissute a cento all'ora, che, soprattutto settando il livello di difficoltà più alto, sanno regalare immense soddisfazioni.

    I poteri a disposizione del nostro eroe sono cinque: Visione Temporale, Blocco Temporale, Schivata Temporale, Scudo Temporale e Esplosione Temporale, ed ognuno di essi può essere migliorato spendendo in un apposito menu particelle di Chronon rinvenute sul campo.
    Visione Temporale permette, come già visto altrove, di generare un impulso che evidenzia la posizione dei nemici, e si rivela utilissimo sin dalle prime fasi per pianificare attacchi nei confronti di gruppi di avversari ignari della nostra presenza.
    Blocco temporale, probabilmente il più caratteristico e spettacolare del lotto, consente di creare una bolla all'interno della quale il tempo si ferma: oltre a immobilizzare i nemici, consente di vomitare loro addosso il nostro intero caricatore, i cui proiettili li raggiungeranno in pieno viso non appena il tempo ricomincerà a scorrere.
    Schivata Temporale si rivela fondamentale in presenza di nemici multipli (quindi nella stragrande maggioranza dei casi), perché consente di sgusciare via da situazioni di pericolo a grande velocità, quasi teletrasportandosi dall'altra parte della stanza.
    Scudo temporale è un potere difensivo, che crea una bolla temporale all'interno della quale stazionare per ripararsi dai proiettili nemici e, se opportunamente potenziato, per godere di un effetto curativo supplementare rispetto a quello automatico, che, lo ricordiamo, ristora la salute completamente dopo qualche secondo. Infine, uno dei poteri offensivi più devastanti: Esplosione Temporale, che è quanto di più vicino possibile ad una granata a mezz'aria. Questo potere consente di caricare e rilasciare un piccolo buco nero, che esplode nel punto indicato infliggendo danni ingenti a tutti i nemici nelle vicinanze; la sua potenza è confermata dal fatto che il tempo di ricarica di quest'ultimo potere è il più lento di tutto il lotto.
    I tempi di cooldown di ogni abilità sono indipendenti, e questo consente di utilizzarle in contemporanea per creare delle combo devastanti e spettacolari, che spesso rappresentano l'unica via d'uscita da situazioni decisamente spinose.
    Fugati anche i dubbi sull'eccessiva facilità del titolo: pur non raggiungendo mai un livello di sfida assoluto, a partire dal terzo atto il gioco ci metterà di fronte a nemici immuni ad alcuni dei nostri poteri, e a gruppi eterogenei di avversari, che richiedono tattiche differenti per essere sconfitti, offrendo così sparatorie stimolanti nonostante i poteri da supereroe del nostro alter ego a schermo.
    Il consiglio, comunque, è di rigiocare i capitoli completati al massimo livello di difficoltà, così da godere al meglio dell'aggressiva intelligenza artificiale nemica e, magari, raccattare qualche documento extra lasciato indietro durante la prima run.
    Nell'anteprima di una decina di giorni fa non avevamo esitato a definire “ridicole” le polemiche sulla presunta risoluzione a 720p, giunte in rete da quando sono iniziati a circolare i primi dati tecnici sul prodotto Remedy: oggi, dopo aver visto tutto quello che il gioco ha da offrire (a livello tecnico e non), confermiamo tanto il nostro pensiero quanto l'aggettivo utilizzato.
    Come puntualizzato dal team di sviluppo, la risoluzione è variabile, e sebbene la base siano i 720p, spesso il gioco innalza la definizione a seconda dell'azione a schermo e del carico di lavoro che il motore grafico si trova a gestire: molte volte si passa ai 900p, ad esempio, e, nel mentre, il framerate è granitico, seppur bloccato a trenta frame per secondo.
    L'unica occasione in cui si è notato un calo nei frame è stato durante uno specifico checkpoint, con un rallentamento breve ma vistoso, che è però rimasto un episodio isolato durante tutte le ore di test, e come tale, non fa molto testo nel disegno generale.
    Gli effetti sono spettacolari: l'antialiasing dona pulizia all'immagine, un motion blur abbastanza pronunciato aggiunge dinamismo a scene d'azione già movimentate di loro, i particellari si dimostrano sempre convincenti, e, come anticipato, la modellazione poligonale di volti e personaggi è di primissimo piano.
    L'unico altro compromesso notato è rappresentato da fenomeni sparsi di pop in delle texture, con il livello di dettaglio che aumenta man mano che il giocatore si avvicina: parliamo di soluzioni rese necessarie dall'hardware ospite, di certo il meno performante della generazione (Wii U fa storia a sé), che comunque, oltre ad essere visibili solo ad un occhio particolarmente clinico, non inficiano minimamente l'esperienza di gioco.
    Fatte queste considerazioni sul versante tecnico, doverose ma non esaustive dell'aspetto di un titolo, veniamo al punto: Quantum Break è magnifico da vedere.
    Chi vorrà giocarlo a 1080p e con un framerate maggiore avrà a disposizione la versione PC Windows, ma l'utenza Xbox One, a nostro avviso, non ha nulla di cui lamentarsi.
    Anche durante le scene più spettacolari e caotiche il titolo non mostra segni di incertezze, sfoggiando una buona distruttibilità degli ambienti, effetti di luce particolarmente godibili e un buon comparto animazioni, con il solo protagonista che a volte denuncia una certa pesantezza nei movimenti.
    Con il senno di poi, considerando la presenza contemporanea di sette o otto nemici su schermo, la quantità di effetti da gestire e la frenesia delle scene d'azione, mantenere una risoluzione in full HD avrebbe richiesto sacrifici più visibili, e non avrebbe garantito al gioco l'aspetto che invece può vantare.
    Così com'è, alla faccia delle polemiche alimentate dagli integralisti dei 1080p, Quantum Break si piazza sul podio dei titoli più belli da vedere tra quelli disponibili per la console Microsoft.
    Molto bene anche l'audio, diviso tra un doppiaggio di alto livello e una colonna sonora che gioca a nascondino in alcune fasi, per poi prendersi la scena durante altre, poggiando su tracce note che faranno la felicità di moltissimi appassionati di musica.
    Altro elemento facilmente misurabile ma non per questo esaustivo dell'esperienza di gioco è rappresentato dalla longevità, quantificabile tra le otto e le dodici ore a seconda del numero di collezionabili, mail e documenti che il giocatore si soffermerà a cercare prima e leggere poi: considerando che per visionare tutto ciò che il titolo ha in serbo sono necessarie almeno un paio di run complete, ecco che la durata complessiva può essere promossa come tutto il resto del pacchetto.

     

Dirt Rally


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Simulazione guida

  • Sviluppatore:Codemasters

  • Data uscita:27 aprile 2015 (Early Access) - Disponibile PC (Steam) - 5 aprile 2016 (PS4-Xbox One)







Dopo quasi cinquanta ore passate sulla versione PC di DiRT Rally, eravamo in trepidante attesa di scoprire se anche la versione per console fosse effettivamente all'altezza della sorprendete qualità mostrata dal titolo Codemaster qualche mese fa. Un po' in controtendenza rispetto a quanto accade solitamente per le uscite sul mercato, DiRT Rally ha compiuto un percorso cominciato con la fase di accesso anticipato su PC, che si è infine concluso con un'uscita ufficiale che ha raccolto parecchi consensi tra critica e pubblico. Dopo un test effettuato sulla versione per PS4, possiamo già anticiparvi che si è trattato di un lavoro realizzato con grande attenzione e meticolosità.
Rispetto ai precedenti titoli, certamente validi ma anche un po' troppo arcade, DiRT Rally rappresenta tutto sommato un gradevole ritorno alle origini, e più precisamente a quel modo di interpretare questo sport che apparteneva al glorioso Colin McRae Rally, dove la sfida era soprattutto contro se stessi. A differenza degli altri capitoli della serie DiRT, dove insomma erano presenti gimcane, inviti continui alle derapate e diverse specialità che nella vita reale si vedono fare a virtuosi delle quattro ruote come Ken Block, questa nuova incarnazione rappresenta di fatto una lettera d'amore ai giochi di corse di qualche generazione fa. Sebbene siano presenti dei circuiti Rally Cross in cui bisogna gareggiare fisicamente contro altre vetture – e contro altri utenti, se deciderete di assecondare la vostra sete di vittoria online – qui bisogna soprattutto battere dei tempi molto stretti. Se non sarete in grado di raggiungere almeno il podio alla fine dei diversi campionati, andare avanti nella carriera e salire di categoria vi risulterà dunque impossibile. E di conseguenza, non riuscirete nemmeno a guadagnare il denaro per acquistare le vetture adatte alle competizioni più elitarie. La difficoltà, adattabile dalle opzioni a seconda delle proprie esigenze, è sin da subito piuttosto elevata, a dimostrazione della poca indulgenza verso gli utenti, che saranno anzi continuamente spronati a imparare dai propri errori. I puristi saranno inoltre lieti di sapere che non esiste la tanto vituperata opzione che permette di riavvolgere il tempo, né tantomeno sono presenti quelle facilitazioni alla guida che consentono di tenere l'auto in carreggiata con più facilità del solito. Anche con tutti gli aiuti attivati, DiRT Rally è davvero poco permissivo, in special modo quando la cilindrata dei bolidi aumenta e il fattore velocità rende più complicato il controllo della stabilità. Va comunque detto, a scanso di equivoci, che il titolo di Codemaster non è esattamente una simulazione nuda e cruda; è piuttosto una gradevole via di mezzo che simula bene il comportamento delle vetture su pista, dando la sensazione di controllarle secondo tutti i normali parametri. Ma si tratta appunto di una sensazione, perché il dosaggio dell'acceleratore in curva, del freno a mano, lo slittamento e altre importanti fattori sono decisamente meno rigidi rispetto alla realtà; il tutto, a vantaggio di un'ottima godibilità, che contempla un sistema di gioco assai impegnativo senza mai essere davvero frustrante.
Del gioco ne abbiamo insomma già parlato nella nostra precedente recensione dedicata alla versione uscita quattro mesi fa su PC: ci aveva colpito positivamente e dimostrava oltretutto un'interessante apertura verso il mondo degli e-sport, grazie ad eventi strutturati per durare nel tempo. Anche su console è possibile disputare delle gare a cadenza giornaliera, settimanale e mensile, le quali lasciano intendere quanto Codemasters sia orientata a dare il pieno supporto alla propria opera davvero a lungo. 
Nonostante la gestione dei contenuti debba ancora essere perfezionata, oltre al rally classico va segnalata anche la presenza degli eventi Hillclimb, dove bisogna tenere a bada mostri dalla grande accelerazione mentre ci si inerpica sui tornanti di ripide montagne. Il cuore pulsante di DiRT Rally resta comunque la disciplina più classica, quella dove bisogna far registrare i tempi migliori nelle complesse e articolate piste delle sei nazioni che ospitano tragitti sempre poco prevedibili: Grecia, Svezia, Montecarlo, Galles, Finlandia e Germania. 
Considerando che il gioco è contenutisticamente identico alla controparte PC, è giusto comprendere fino in fondo quale sia la qualità della conversione. Ebbene, Codemasters ha portato a compimento un lavoro davvero egregio, che non fa sfigurare questa versione davanti a quella che è tutto sommato la più impressionante. L'Ego Engine, su PC molto performanti, dà certamente il meglio di sé, con modelli più definiti, ambientazioni dettagliatissime ed effetti stupendi da vedere anche attraverso la visuale dall'interno dell'abitacolo. Su console è stata fatta la scelta più saggia, ossia quella di mantenere 60 fps solidi per non inficiare in alcun modo sulla fluidità. Su PS4 si raggiungono i fatidici 1080p, mentre su Xbox One si ha una risoluzione dinamica che scala in alcuni casi fino a 900p. Tutto sommato, il sacrificio grafico ha trovato un ottimo compromesso, ed è proprio per questo motivo che la definizione inferiore degli ambienti non desta grandi fastidi, poiché ad onor del vero, quella di DiRT Rally è una delle conversioni meglio riuscite.

Homefront

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Deep Silver Dambuster Studios

  • Data uscita:20 maggio 2016

     

     

    Vi avevamo già parlato di Homefront in una nostra precedente anteprima e in molti di voi hanno avuto modo di provare il titolo con la recente closed beta apparsa su Xbox One. Grazie a un invito di Koch Media siamo quindi tornati a Londra per vedere qualcosa di più della campagna e toglierci eventuali dubbi su storia e gameplay. 
    Il futuro che vi attende in Homefront: The Revolution non è esattamente uno dei più rosei. La Corea ha invaso gli Stati Uniti d’America e ormai il controllo territoriale è completamente nelle mani della KPA, una forza militare che ha soggiogato l’intera popolazione, costringendola sostanzialmente alla schiavitù. Il vostro ruolo in tutto questo enorme caos sarà quello di ripristinare l’ordine e sconfiggere il nemico, una situazione sicuramente già vista ma con i ruoli ribaltati. Invece di essere parte di un esercito militarmente avanzato ed organizzato ci troveremo a lottare per la sopravvivenza tra le fila della resistenza, un nucleo ridotto di coraggiosi soldati determinati a porre fine al conflitto. L’idea di base, insomma, ci è parsa particolarmente interessante e stimolante, anche se il gameplay non riesce a supportare le nuove trovate con altrettanta solidità. Stiamo parlando di un FPS che ci racconta gli accadimenti attraverso missioni guidate, sfociando poi in immense aree free roaming con relative sub-quest e missioni da completare. Invece di miscelare il tutto e proporre un’esperienza di gioco fluida e variegata, Homefront decide di fare le cose diversamente, differenziando in maniera netta le tre tipologie di aree che incontreremo e assegnando come riferimenti tre colori: le aree verdi sono le zone sicure, solitamente i quartier generali della resistenza; quelle gialle sono zone dedicate alle missioni stealth, mentre in quelle rosse il conflitto a fuoco sarà all’ordine del giorno. In realtà, se è vero che sulla carta questa era l’idea originaria, la differenza di gameplay tra la zona rossa e quella gialla dipenderà unicamente dal giocatore, dato che nulla vieterà di imbracciare un fucile e far esplodere l’inferno nelle aree stealth, o comportarsi in maniera silenziosa e pulire gli avamposti delle zone rosse senza essere scoperti. Il gioco pare insomma voler fare troppe cose senza riuscire a guidare il giocatore nella maniera corretta; starà alla versione finale toglierci poi questa convinzione. 
     
    L’assortimento di armi presente viaggia in parallelo con quanto proposto dagli altri giochi del genere. Avremo pistole semplici, una balestra, lanciafiamme, fucili d’assalto, lanciarazzi e tutte le bocche da fuoco che potete aspettarvi in uno shooter ambientato nell’epoca moderna. Le armi, tuttavia, si presentano in maniera differente, con una meccanica speciale che permetterà ai giocatori, piuttosto che selezionarle dal classico menù a ruota, di smontarle e modificarle a piacimento. Ecco allora che al manico della balestra potremo agganciare un serbatoio per il napalm e gettare fuoco sui nemici o tenere il calcio della pistola e usarlo come manico per una mitraglietta. Questo sistema vi costringerà sostanzialmente a scegliere due armi per il cambio rapido e a modificare assetto solo nei momenti di tranquillità, dato che passare da una modalità di fuoco all’altra non è propriamente rapido. Oltre a questo, nei rivenditori dedicati, potrete poi comprare mirini, caricatori o silenziatori montandoli successivamente sull’arma che preferite. Non aspettatevi però un numero di opzioni particolarmente ricco, visto che la resistenza non sembra essere in grado di procurarsi materiali e tecnologie sofisticate. Le modifiche all’equipaggiamento non riguardano solo le armi ma anche progetti per creare bombe o molotov e vestiario da indossare, elemento che di fatto va a costituire l’ossatura di perks e talenti presenti su Homefront. Ci sono giacche che vi offriranno l’opportunità di predare automaticamente i soldati della KPA durante gli abbattimenti, ginocchiere grazie alle quali acquattarsi più in fretta e così via, senza alcuna idea eccessivamente innovativa nel mezzo. 
    Con una personalizzazione piuttosto limitata nelle armi e nella costruzione del protagonista ci aspettavamo un sistema di gioco che esaltasse le fase di shooting, ma anche qui, a causa di un’intelligenza artificiale piuttosto deficitaria, risulta quasi impossibile divertirsi. Muoversi per le strade di Philadelphia a piedi non è semplicissimo, a causa della gran quantità di pattuglie e droni che sorvolano l’area di gioco, ma con l’aggiunta della moto, disponibile in quasi tutti i checkpoint e accampamenti la cosa diventa sin troppo semplice, tanto che giocando a livello di difficoltà media era possibile sfrecciare da una parte all’altra di una red zone senza correre alcun pericolo, una situazione che rendeva l’intera atmosfera poco realistica. Un punto su cui invece Homefront può contare è il comparto tecnico che sfoggia, quantomeno su pc, una qualità dell'illuminazione di tutto rispetto e anche texture curate e dettagliate. Si tratta insomma di un titolo che mostra ancora tantissime lacune e che difficilmente vedremo risorgere da una condizione causata anche dal lunghissimo e travagliato tempo di sviluppo.