Ethero

lunedì 24 agosto 2015

Metal Gear Solid V:The Phantom Pain


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Kojima Productions

  • Data uscita:1 settembre 2015 

     

     

    La recensione di oggi non è normale. 
    No, non c’entra il titolo coinvolto, appartenente a una serie che rappresenta per molti uno dei cardini del videogiocare, poco conta il fatto che io la stia scrivendo in prima persona, e scarso rilievo ha anche il mio stato d’animo, a dir poco alterato dopo aver letto certi commenti preventivi a pezzo ancora in piena stesura. Non sono qui per raccontarvi a che velocità i miei testicoli stanno roteando in questo momento (spoiler: il muro del suono è in frantumi da un po’), né per darvi una pacca sulla spalla e rassicurare gli animi specificando che l’opera del buon Kojima si è chiusa in modo perfetto e inarrivabile. Oggi sono semplicemente qui per raccontarvi una storia, che inizia con me che provo un gioco potenzialmente splendido, e finisce con Hideo che sodomizza tutti i miei neuroni. Uno, per, uno. Credo di doverlo a chi ci legge (non a chi fa finta), poiché quando un gioco scalda gli animi fino a questo punto è il caso di essere completamente cristallini. Se la storiella non vi interessa passate oltre, guardate lo sfavillante 9 che torreggia in cima alla pagina, e andate belli spediti a ordinare la vostra copia. Se invece vi va di sapere perché The Phantom Pain è uno dei giochi più stravaganti, audaci, e al contempo imperfetti che Kojima e il suo team abbiano mai congegnato continuate pure. I paragrafi da sfogliare non mancano.
    Mentirei se negassi di aver approcciato il gioco con neutralità assoluta. La serie l’ho giocata tutta e amata alla follia, e ancora ricordo il sordo tonfo della mia mascella sul pavimento quando, giovanissimo e imberbe, scoprii grazie ad alcuni amici come sconfiggere Psycho Mantis, o ancora lo shock nel rendermi conto che la frequenza radio di Meryl era bellamente scritta sulla custodia del gioco dopo dozzine di tentativi a casaccio per beccarla. I capitoli successivi al primo Metal Gear Solid su Playstation non sono certo da meno quanto a momenti indimenticabili e aneddoti degni di esser ricordati, ma non è la nostalgia a spingermi a certe reminiscenze, il motivo è preciso e ve lo svelerò in seguito. Per ora è il caso di tornare al mio impatto iniziale col videogame in questione, e che impatto... per “sole” 15 ore ho provato il titolo durante un evento preview in Francia, e quando sono tornato la certezza quasi assoluta di avere a che fare con qualcosa di memorabile permeava ogni mio muscolo facciale. Tutto merito di un prologo stratosferico e di un gameplay di una solidità eccezionale, due elementi che da soli basterebbero a convincere quasi ogni redattore. Quando tuttavia ho continuato la mia avventura  durante il review event, ho commesso l’errore di scordare il nome di colui che il progetto lo ha creato e non c’è voluto molto perché le mie certezze venissero disintegrate per lasciar posto a dubbi e confusione. 
    Del succitato prologo non posso dirvi molto, in verità. Gran parte di voi l’avranno già visto, altri si saranno risparmiati qualunque spoiler. Fatto sta che Konami mi ha categoricamente proibito di descriverlo nel dettaglio, e non è difficile capire il perché se si è tra coloro che il gioco lo hanno spolpato fino al midollo. 
    Poco importa, comunque. L’unica cosa che dovete sapere è che la prima ora ha l’intensità di un rave sotto casa, ed è un insieme di tocchi di classe registici, momenti inaspettati e follie che mette subito in chiaro il motivo per cui il caro Hideo al giorno d’oggi è ancora una sorta di rockstar dei videogiochi. Passato quel momento, però, tutto cambia. Il gioco decide di mettere da parte la formula tanto amata dai fan della serie per concentrarsi principalmente sulla sua nuova natura: quella di un free roaming con meccaniche complesse e innumerevoli possibilità. 
    Lo ho già detto prima, il gameplay conquista e lo fa entro pochissime missioni. Scordatevi le limitazioni dei predecessori, The Phantom Pain è qualcosa di completamente diverso, una sorta di mescolanza riuscitissima tra uno stealth game e un sandbox. Il titolo Konami non è un sandbox puro, va precisato: il prode Big Boss, qui chiamato Venom Snake, deve affrontare missioni ben precise, divise tra operazioni principali e secondarie, e gli obiettivi sono indicati sempre più o meno con chiarezza sulla mappa. Sta ad ogni modo solo a voi decidere come raggiungere questi obiettivi, e gli stili di gioco offerti sono da acquolina in bocca. Se ricordate Ground Zeroes il sistema vi sarà familiare, poiché Snake ha la possibilità di marchiare i nemici dalla distanza con il binocolo per valutarne con facilità gli spostamenti, e la sua visibilità viene rivelata da un indicatore direzionale mostrato a malapena, la cui comparsa di norma offre ancora qualche istante per nascondersi prima che la guardia coinvolta si accorga della minaccia. Una volta scoperti il tempo viene rallentato con una sorta di Bullet Time, disattivabile a piacere dalle opzioni se non si desiderano facilitazioni eccessive, e come sempre sono disponibili sia armi letali silenziate che pistole e fucili caricati a tranquillanti, per superare le missioni senza far vittime. Su questa base il ventaglio si apre totalmente, e sventola sotto agli occhi del giocatore una serie di meccaniche ben più affinate di quelle della breve premessa uscita qualche tempo fa, con un’interattività nettamente maggiore nelle mappe, rade zone di scalata delle pareti, una mobilità migliorata, bombardamenti ed elicotteri di supporto, più opzioni quando si decide di interrogare un nemico preso di sorpresa, svariati veicoli controllabili, e una pletora di oggetti sfiziosissimi. Vi pare poco? Allora ci aggiungiamo le condizioni atmosferiche, che variano sensibilmente l’approccio alle missioni nascondendo il suono dei passi o riducendo la visibilità, e una brillante gestione del livello di difficoltà, non settabile a piacere ma con la capacità di mutare in base alle vostre prestazioni. In pratica, le armate presenti nel gioco imparano dalle vostre tattiche e si trasformano di conseguenza, iniziando a vestire giubbotti antiproiettile se completate i compiti in modo aggressivo, o portando sempre un elmetto nel caso il giocatore sia un grosso amante degli headshot tranquillanti. La trovata è geniale, e anche se nelle fasi avanzate può risultare frustrante avere a che fare con gruppetti di soldati in corazza eliminabili quasi solo grazie alle mosse corpo a corpo (sì, il CQC è tornato), è impossibile non lodare la spinta a variare costantemente l’approccio alle missioni derivante dall’idea. L’unico reale passepartout offerto dal gioco è il Chicken Hat, un copricapo ridicolo che può venir attivato dopo svariate morti e impedisce al nemico di rivelarvi, ma nessuno dotato di dignità oserà utilizzarlo.
    Ulteriore fiore all’occhiello del sistema sono gli aiutanti, compagni incredibilmente validi selezionabili in una comoda schermata dell’equipaggiamento prima di partire in missione. Già il cavallo a disposizione di Snake è tra i migliori quadrupedi nitrenti mai visti in un videogioco, se non altro per la sua funzione di copertura in movimento e i controlli precisi che lo rendono preferibile a quasi ogni mezzo a motore negli spostamenti, ma è  quando si ottengono Quiet, D-Dog e un simpatico Mech personalizzabile che le cose decollano sul serio. La svestitissima cecchina ormai resa famosa da polemiche e action figure è una compagna letale, che può venir mandata in avanscoperta, addormentare i nemici o fare una strage, a seconda di come la si equipaggia. DD non è da meno, e per quanto mi riguarda sarà a lungo seduto sul trono dell’olimpo dei cani virtuali, con il suo fiuto che marchia nemici e prigionieri nelle vicinanze, e le distrazioni che offre. A questo punto il mech potrebbe sembrare il membro più sfortunato del gruppetto, anche perché non ha un indicatore di affinità che sblocca abilità extra ed è difficile affezionarglisi, tuttavia anche il Walker è un sostegno incredibile in missione, e può fare disastri se modificato a dovere.  I partner di Venom Snake in The Phantom Pain in parole povere sono da applausi, al punto da rappresentare la ciliegina sulla torta di un gameplay che riesce già da solo a rendere ogni missione diversa dalla precedente.
    E poi c’è il Fulton Recovery System.
    Se vi siete persi ogni singolo trailer, spiego subito di cosa sto parlando: si tratta di un palloncino aerostatico auto-gonfiabile basato su un reale sistema di recupero militare, che scaglia nell’aere a gran velocità qualunque cosa o persona Snake voglia rispedire al suo campo base. Potenziatelo a dovere e potrete far vostri corazzati e container ricchi di materiali con la stessa facilità con cui si ottengono soldati extra per il proprio esercito, senza contare le armi e la chance di addormentare e mettere al sicuro praticamente ogni animale presente nelle zone di guerra esplorate. L’importanza del Fulton è notevole, perché garantisce di liberarsi di soldati storditi temporaneamente senza troppe difficoltà, di salvare prigionieri non feriti aumentando il proprio eroismo, di appropriarsi di mezzi poi schierabili in battaglia, e poiché attorno a lui ruota buona parte dell’aspetto gestionale di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. 
    Questo gioco è direttamente collegato a Peace Walker per personaggi, vicende e posizione nella complicata cronologia dei Metal Gear. Dal titolo per la portatile Sony prende in particolare la possibilità di gestire una propria Mother Base, con tanto di suddetto esercito in crescita continua e reparti dai compiti specifici. Ogni soldato recuperato tramite Fulton vanta statistiche che lo rendono più o meno adatto a un determinato compito, e la sua aggiunta a una squadra può aumentare il livello della stessa. Migliorare, ad esempio, le capacità della squadra di intel vi offrirà informazioni extra durante la missione, chiaramente indicate sulla mappa dell’iDroid portatile di Big Boss. 
    La scoperta di armi e oggetti, in particolare, dipende dal livello dei team di ricerca e di supporto, che se potenziati a dovere permettono di ottenere bocche da fuoco poderose a gioco inoltrato, e strumenti avanzatissimi che assicurano di superare certe missioni come se nulla fosse. Attenzione, la difficoltà e la progressione delle ricerche sono ben gestite al di fuori di qualche strano picco, ma l’elemento sandbox permette di completare alcuni compiti in gran fretta se si sa dove andare e come muoversi, a dimostrazione che la libertà lasciata al giocatore durante l’azione è totale. 
    La gestione della Mother Base insomma è utile e soddisfacente, e non dubito che per alcuni si trasformerà in una sorta di malattia, con sintomi da ossessivo-compulsivo che obbligano a scagliare nei cieli tutto ciò che si muove nelle zone disponibili per accarezzarlo amorevolmente una volta tornati alla base. Non è perfetta, poiché si gestisce tramite menù spesso poco intuitivi e per essere capita a dovere obbliga a un lungo scorrere dei consigli durante i caricamenti o nel menù dedicato, altrimenti non coglierete come mai ogni tanto scoppino risse nei vari team capaci di mettere fuori uso i vostri agenti per un po’, eppure in generale abbiamo apprezzato parecchio la “caccia al soldato d’élite” che si scatena quando le statistiche dei nemici iniziano ad apparire chiare grazie al binocolo. I soldati peraltro si uniranno a voi di loro spontanea volontà dopo la maggior parte dei compiti, impressionati dalle gesta di Big Boss o spinti dalla statistica Eroismo, che sale comportandosi in modo impeccabile o salvando dei poveracci catturati e cala quando si compiono errori o si viene scoperti. 
    Questa crescita delle truppe si ripercuote in parte sulla cattura delle piattaforme online, un’interessante extra che si sblocca dopo un bel po’, e vedrà le vostre truppe o quelle di un altro giocatore difendere zone della Mother Base appositamente acquistate in acque territoriali speciali da un nemico infiltrato. È purtroppo l’unica modalità che non ho avuto modo di testare a fondo, ma sulla carta è curiosa e potrebbe occupare per molto tempo certi giocatori, specie considerando la varietà di difese acquistabili per rendere più difficile la vita agli infiltrati, e la possibilità di intervenire direttamente a salvaguardia della propria base. La personalizzazione della Mother Base a livello di logo e colori dipende probabilmente proprio dalla volontà degli sviluppatori di dare un tocco unico a ogni base, per donare maggior personalità a tali scontri.
    Non che la Mother Base sia solo rose e lamiere comunque: al di là dei difetti d’interfaccia, anche la sua gestione fisica poteva essere migliore. Le grosse piattaforme acquistabili e ampliabili posson venire esplorate liberamente da Venom Snake dopo ogni missione, e sono spesso il luogo ove la storia si sviluppa maggiormente tramite cutscenes. I soldati arruolati poi gironzolano per la base e incontrarli aumenta il morale delle truppe, fatto sta che la distanza tra le varie piattaforme è fin troppa ed esplorarla ha un’utilità relativa, correlata solo alla fase finale o alla volontà di avvicinare certi personaggi per vedere cosa combinano. Avremmo indubbiamente preferito la presenza del Fast Travel agli spostamenti tramite elicottero o Jeep, e pure l’obbligo a tornare ogni volta a bordo dell’elicottero per cominciare una nuova missione risulta leggermente fastidioso alla lunga.
    Proprio dalle mancanze della Mother Base, per quanto marginali, è il caso di passare alla descrizione dei difetti del gioco, dopo averne elogiato in larga parte gameplay e altri elementi. Il paradosso è che tali mancanze non sono neanche poche.
    Meglio indicare subito l’elefante nella stanza, visto che il problema primario di The Phantom Pain risiede proprio nella sua struttura atipica rispetto agli altri Metal Gear. La presenza di due larghe macrozone completamente esplorabili al di fuori delle missioni e circoscritte solo quando si ha un preciso obiettivo è fantastica, ma chiaramente va a diluire la narrativa, che si sviluppa solo dopo alcune spedizioni precise, normalmente indicate da una comoda spunta color oro. Il difetto non esisterebbe neanche se il titolo continuasse da inizio a fine con la stessa struttura, anche perché era ovvio da subito che il team si sarebbe concentrato maggiormente sul giocato questa volta. Eppure a metà gioco la magia si spezza, introducendo un capitolo 2 dove le missioni non progrediscono più allo stesso modo. Mi spiego meglio, o al meglio delle mie possibilità, perché non posso citare le singole missioni causa NDA e possibili spoiler. La campagna del gioco è divisa praticamente in due parti: nella prima i compiti offerti sono estremamente vari e, anche se le estrazioni di prigionieri o le eliminazioni all’apparenza simili non mancano, la diversificazione di mappe e nemici e il numero di approcci mantengono senza pause alto l’interesse.  Si giunge dunque alla seconda fase galvanizzati e con una fame eccezionale per tutto ciò che verrà dopo, ma si viene in parte ingannati. Qui infatti compaiono sì nuove missioni, ma sono accompagnate da contratti ripetuti, trasformati da modificatori che ne aumentano enormemente la difficoltà.
    Tali modificatori sono piuttosto ovvi, però vi assicuriamo che rendono certe fasi un inferno se non si approccia il gioco con massima concentrazione e capacità di reinventare le proprie strategie. Subsistence vi costringe a ottenere tutto l’equipaggiamento da zero, Total Stealth porta al fallimento non appena scoperti dal nemico, ed Extreme aumenta enormemente il danno inflitto dagli avversari e la loro resistenza, oltre a rendere inutilizzabile Reflex Mode e Chicken Hat. 
    Figata, direte voi. Ed è così in effetti. D’altronde la presenza di missioni hardcore durissime capaci di mettere alla prova un giocatore è motivo di vanto per un videogame nel 99% dei casi. Qui però il caro Kojima ha fatto una scelta strana, legando un’importante parte della narrativa a tali durissimi compiti invece di renderli facoltativi. Volete scoprire tutta la storia di The Phantom Pain? Completare almeno alcune delle missioni modificate che avete già visto vi toccherà, e c’è poco altro da dire. Valutando poi l’importanza della ricerca per facilitarsi le battaglie, si viene inoltre costretti a concentrarsi sullo sviluppo della base, che la cosa piaccia o meno. Una scelta di game design che un po’ cozza con l’idea di libertà assoluta che ci avevano dato le prime 30 ore di giocato.
    Leggermente da rivedere è anche l’intelligenza artificiale, che è migliorata e potenziata a dovere dal sistema di difficoltà descritto prima, ma è ancora facilmente exploitabile e reagisce un po’ troppo lentamente agli stimoli, dando spesso tutto il tempo di controbattere. La situazione nelle missioni Extreme è ben diversa, pur incrinandosi per il fatto che il trenino degli addormentati (o dei cadaveri) è ancora una triste realtà quando si usa un po’ di astuzia. 
    Addirittura le boss fight hanno sofferto per la necessità di adeguarsi al nuovo gameplay: cucite attorno alle mappe del gioco e non gestite come sequenze a parte, sono più sporadiche e meno originali degli eccezionali scontri dei predecessori, nonostante gli sviluppatori siano riusciti a renderle comunque esaltanti usando qualche artificio e memorabili quanto basta da spezzare il ritmo in modo positivo. Bello come siano comunque completabili con tattiche molto diverse tra loro, che alle volte le semplificano di brutto.
    La ferita più profonda, inaspettatamente, deriva da quel fattore che nei Metal Gear è sempre stato un punto di forza inattaccabile, forse escludendo solo il secondo capitolo prima che il cerchio si chiudesse e tutto acquistasse un senso. Questo taglio sanguinante è la narrativa, che dopo una partenza esplosiva e l’introduzione di tematiche di una profondità rara, scade nella pseudo fantascienza becera. Non è insalvabile, grazie anche ad alcuni momenti di assoluta potenza e crudezza, e rimane sempre radicata in minima parte alla realtà scientifica, perché Kojima non manca mai di fare i compiti a casa su certi argomenti, eppur non è minimamente all’altezza di quanto visto in Snake Eater, ancora forse il capitolo con i personaggi più memorabili in assoluto, o anche solo della coerenza di Metal Gear 4, capace di correlare l’impossibile con le sue lunghissime cutscene. The Phantom Pain è un capitolo ponte, e come tale appare alle volte un po’ debilitato, incapace di raggiungere le vette delle trame passate. 
    L’assurdità sta nel fatto che, sul finale, queste debolezze nella storia vanno rapidamente a farsi fottere. E scusate davvero il francesismo, ma stiamo comunque parlando di un gioco PEGI 18. Questo perché giocando normalmente, con il completamento delle missioni base, voi la conclusione non la vedrete. Sono serio. Kojima nel 2015, dopo aver sviluppato capitoli piuttosto chiari a livello narrativo, ha deciso di fare l’impensabile e di regalare una conclusione soddisfacente solo ai più tenaci. Non è la prima volta che Hideo va contro a tutto ciò che è la logica comune e abbraccia il pensiero laterale, perché credete che io abbia citato la boss fight con Psycho Mantis a inizio recensione? Avrei potuto anche semplicemente dire che in tal modo The Phantom Pain non fa altro che ribadire la sua vicinanza a Peace Walker, dotato di espedienti simili, ma non avrebbe avuto lo stesso impatto. Quello che voglio precisare è che una chiusura potente come una fucilata in faccia nel gioco c’è, ma non posso descrivervela, né dirvi come raggiungerla. Posso solo darvi i seguenti consigli: esplorate a dovere alcune parti della Mother Base, fate le secondarie più significative anche se non sono indicate in giallo, e ascoltate i nastri, possono nascondere indizi importanti. Non vi dirò altro, voglio solo chinare la testa davanti al coraggio di quest’uomo e del suo team, che in un’era dove i videogiochi prendono per la mano tutti e sospingono verso la fine a forza di pacche sul sedere, hanno deciso di intraprendere una via ormai ritenuta del tutto sbarrata dalla maggior parte dell’industria. Arrivate dove dovete arrivare e capirete perché si è sparsa la voce (inesatta) che il codice review fosse privo di finale.
    Il sottile confine tra follia e genio Kojima, con The Phantom Pain, se l’è proprio magnato. Dopo oltre 60 ore di giocato sarete lì a spulciare ogni dettaglio, a spremere le meningi come non mai e a cercare di calarvi nel suo labirintico cervello. La maggior parte di voi ne uscirà probabilmente molto turbata, vi ho avvertito.
    Poco da recriminare infine sull’impatto visivo del titolo. La regia di Kojima fa molto durante le cutscene, ma viene aiutata dal Fox Engine, che pur risultando ben meno eccezionale delle aspettative e mostrando una scalabilità secca in alcuni scorci, fa la sua porca figura in azione, specialmente quando si parla di vegetazione, luci e tessuti. The Phantom Pain guadagna in seguito altri punti grazie alle trovate autoreferenziali del suo regista, al taglio quasi televisivo dato dai credits alla fine di ogni missione, e dai dettagli infilati in tutte le scene, che alle volte vogliono dare un messaggio preciso e altre sono forse messi lì solo per stuzzicare i più attenti. Perfino la musica giova del misto di abilità e squilibrio dei Kojima Productions, un insieme di canzoni accuratamente selezionate e piazzate in rare radio sparse negli accampamenti, che fanno da contorno a un doppiaggio tra i migliori che abbiamo mai sentito in un videogioco. Sutherland è indubbiamente ottimo nei panni di Venom Snake, ma i suoi comprimari non sono da meno, e molto del pathos di alcune scene è merito della loro interpretazione.
    Siete ancora qui? Bravi, allora vi meritate anche di avere qualche informazione sulla longevità del gioco.
    Noi abbiamo giocato per circa 60 ore, e le abbiamo trovate a malapena sufficienti per capire come concludere il tutto. 70 o 80 ore di gioco sono sicuramente una cifra più realistica, a riprova di quanto mastodontica sia quest’opera, ma considerando l’elemento gestionale, gli attacchi online e il gameplay estremamente variabile del titolo, pensare a più di cento ore di longevità non è certo un’esagerazione.

mercoledì 19 agosto 2015

Call Of Duty Black Ops III Zombies

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Treyarch

  • Data uscita: 6 novembre 2015

     

     

    Come accade ogni volta che Treyarch sforna un nuovo capitolo del celebre brand di Call of Duty, occorre soffermarsi e dedicare qualche riga non solo alle modalità single-player e multiplayer, ma anche a quella che è diventata una vera e propria saga a se stante, dove si affrontano ondate su ondate di non morti. Questo è Call of Duty Zombies, che ha emozionato moltissimi giocatori nel corso degli anni con le sue trame misteriose, gli easter egg a profusione e i personaggi dotati di caratteristiche uniche ed inconfondibili.
    Anche quest’anno ne vedremo sicuramente delle belle. Per la modalità zombies di Black Ops III è stata scelta un’ambientazione del tutto inusuale. Abituati agli ambienti desolati, spogli e carichi di morte dei capitoli precedenti, in questo nuovo episodio, invece, ci ritroveremo in una città degli anni ’40, ricca di neon dai mille colori, di detective con l’inconfondibile impermeabile e l'aria da gangster.
    Le novità introdotte sembrano davvero essere moltissime, a partire proprio dai quattro protagonisti della nostra avventura. Spazieremo dal lanciatore di coltelli, passando per la femme-fatale la cui principale dote risulta essere quella del ballo, il pugile (o probabile ex) che riesce a staccare la testa agli zombies con un solo colpo del suo tirapugni, per giungere infine al misterioso investigatore. Questi personaggi saranno in grado di maneggiare armi che varieranno dai classici armamenti stile anni ’40, fino a spade letali e scudi dotati di reattori per sbaragliare file intere di nemici.
    Ognuno di essi sarà in grado di ottenere un’abilità speciale tramite alcune novità: dei distributori di caramelle sferiche, ognuna delle quali - caratterizzata da un colore e gusto diversi - riuscirà in alcuni casi a far trasformare il nostro personaggio in un mostro tentacolare capace di sbarazzarsi di intere ondate di non-morti. Non si ha ancora la certezza se queste sostituiranno i famosi distributori di bevande-perks, ma lo scopriremo presto.
    Se avevate dubbi che gli zombies fossero le sole creature contro cui ci troveremo a combattere, vi sbagliavate di grosso: come se non bastasse, Treyarch, quasi a voler richiamare il lavoro svolto in Ghosts con Extinction, ha inserito anche bell’alieno enorme a tre teste, in grado di scatenare degli insetti volanti abbastanza fastidiosi per il giocatore. Resta ancora il dubbio se questo mostro sarà un boss di fine round (vedi il Big Daddy in Origins su Black Ops 2), oppure se apparirà saltuariamente nel corso delle nostre avventure giusto per complicare ancor di più la nostra partita.
    Sappiate che Treyarch non ha buttato alle ortiche tutto il lavoro svolto nei capitoli passati, anzi. Poco dopo l’uscita del trailer per Shadow of Evil (sì, si chiama così l’avventura nella ridente e luminosa cittadina ricca di luci abbaglianti e sigari fumanti), è stato pubblicato sui social anche un altro filmato-reveal per una seconda mappa zombie, denominata “The Giant”.
    Ed immaginate un po’ chi sono i protagonisti di questa storia?  Ma sì, li conoscete tutti se avete giocato almeno un’avventura zombie nei capitoli passati. Stiamo parlando di Dempsey, Nikolai, Richtofen e Takeo! Anzi, per la precisione, due Richtofen, di cui uno proveniente dal periodo della prima Guerra Mondiale.
    Purtroppo per questa storia si sa ancora poco o nulla, ma, alla sua uscita, il trailer ha scatenato la gioia di tutti, anche alla sola semplice visione di quegli idoli del passato con cui si sono combattute battaglie interminabili conto i non-morti già a partire da World at War. A voler essere precisi, qualcosa della mappa, in realtà, la conosciamo. Questa è la rivisitazione di Der Riese, reskinnata e tirata a lucido per l’occasione. Insomma, una vera chicca per i veterani di Zombies su Call of Duty.
    Ciò che fa storcere il naso a molti risulta essere, però, l’esclusività di The Giant limitata alle sole Collector’s Editions. Molto probabilmente questa esclusiva potrebbe essere temporale, così come successe inizialmente per Nuketown 2025 Zombies su Black Ops 2, successivamente estesa gratuitamente a tutti i giocatori.
    Questi trailer fin qui mostrati, fanno ben capire come Treyarch  abbia davvero lavorato sodo per rendere gli Zombies di quest’anno unici sotto ogni aspetto. L’aggiungere elementi completamente nuovi ai pilastri fondanti della saga, come i classici perks, non può fare altro che aumentare la rigiocabilità delle partite, sfruttando magari questa o quella caramella power-up per sfuggire a determinate situazioni e tentare di approcciare gli undead in una maniera ogni volta differente.
    I passi dimostrati fino qui sembrano portare verso la giusta direzione, e ci auguriamo che tutta la struttura dedicata ai morti viventi non sia limitata in forma di DLC, come successe in Advanced Warfare, il che potrebbe diminuire parecchio l’entusiasmo di chi acquisterà il titolo per vivere appieno le avventure contro i non morti.

Nom Nom Galaxi

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Q Games

  • Data uscita:13 marzo 2014 (Early Access), 12 maggio 2015 PS4

     

     

    Sempre più spesso ci troviamo davanti titoli che difficilmente sapremo inquadrare in un unico genere. In passato i videogiochi concretizzavano la loro identità in una e una sola categoria ben specifica, che ne esemplificava immediatamente le caratteristiche. Allora innovare era molto più semplice di adesso, soprattutto considerando il limitato numero di produzioni videoludiche e, di conseguenza, l'elevato numero di vie ancora inesplorate. Saper innovare oggi è molto più complesso: pochissimi sono quei titoli che possono fregiarsi di aver effettivamente portato una vera e propria ventata di aria fresca nel mondo videoludico. Se l'innovazione risulta già essere un compito arduo, la creazione di nuovi generi va ancora oltre, diventando cosa assai rara al giorno d'oggi. Tuttavia molti sviluppatori sono riusciti a superare quest'ostacolo con una trovata tanto semplice quanto efficace: la commistione di generi. Questo espediente comporta l'implementazione di elementi da due o più generi, spesso molto diversi fra loro, che vanno ad amalgamarsi in modo da rendere il risultato finale inedito, assumendo un'identità differente dai propri progenitori. Il nuovo titolo della collana Pixeljunk, sviluppato dai Q-Games, è certamente da imputare come uno degli esempi più emblematici di questa tendenza. Prendete un sistema di gioco simile al celebre Terraria, aggiungente meccaniche ed elementi tipici di gestionali e Tower Defense, ed otterrete Nom Nom Galaxy, il titolo definitivo per gli amanti delle zuppe. 
    Il mondo degli affari è un luogo spietato, colmo di individui senza scrupoli che farebbero di tutto per assicurarsi un maggior guadagno. Esiste però un settore dove la competizione raggiunge livelli astronomici, in cui il business si tramuta in una vera e propria guerra di logoramento. Stiamo parlando della famigerata vendita delle zuppe, il settore più remunerativo della galassia, ma anche il più pericoloso. La zuppa è l'alimento cardine della dieta di tutte le popolazione galattiche, cosa che la rende la risorsa più richiesta in assoluto. Tantissime sono le corporazione e le industrie sorte per accaparrarsi la più ampia fetta di mercato, combattendo una lotta apparentemente senza fine. Nostro compito sarà quello di farci largo in questa realtà spietata, conquistando di pianeta in pianeta la maggioranza del mercato, arrivando a costruire un impero fatto di innumerevoli barattoli di latta.
    Questo è il bizzarro, ma oltremodo divertente, concept sulla quale si costruisce l'intera esperienza di gioco offerta da Nom Nom Galaxy. Come avrete capito la produzione di zuppe sarà l'obiettivo principale da perseguire, ma per farlo correttamente occorrerà saper gestire  con efficienza i diversi aspetti che caratterizzano la produzione di tali alimenti. Noi impersoneremo i panni di un astroperaio, coraggiosi individui che sbarcano sui vari pianeti per avviare le remunerative imprese. Ogni volta che si raggiunge un nuovo pianeta si dovranno affrontare diverse fasi che porteranno in fine all'avvio stabile dell'attività. La prima fase prevede la raccolta di materiali e la costruzione della propria base operativa, dove avverrà la produzione e la spedizione delle zuppe. Per raccogliere i materiali necessari per la costruzione delle infrastrutture atte alla produzione del prezioso alimento, dovremo dunque esplorare il pianeta in cui ci troviamo, con delle modalità che ricalcano molto da vicino il già citato Terraria. L'aspetto con cui si presenta il titolo infatti è pressoché identico alla produzione dei Re-Logic, mostrandosi con una grafica in due dimensioni piuttosto cubettosa, soprattutto nella conformazione del terreno. Potremmo dunque esplorare la superficie o inoltrarci nelle profondità del pianeta, grazie ad una comoda sega circolare che permette di scavare e abbattere ostacoli in ogni direzione. Trovare le risorse è piuttosto semplice e ruberà solo una minima frazione del vostro tempo, in quanto la vera componente esplorativa sarà necessaria solo con le fasi più avanzate. Successivamente dovrete scegliere il luogo in cui far sorgere la vostra attività. Questa scelta è senza ombra di dubbio una delle più importanti per la buona riuscita della propria impresa, poiché edificare in zone ricche di ingredienti (soprattutto rari) permetterà una loro più rapida appropriazione, consentendo di arricchirvi in maniera rapida ed efficace. Generalmente è consigliabile costruire in una zona pianeggiante piuttosto che scoscesa, nonostante sia effettivamente possibile realizzare una base su più livelli. Il requisito davvero fondamentale per ottenere una centrale funzionante sarà quello di collegarla direttamente alla superficie, poiché la spedizione delle zuppe avviene tramite razzi, che necessitano uno spazio aereo libero per decollare.
    Dopo aver valutato tutti questi elementi e costruito il nucleo energetico dell'attività, vi ritroverete nella fase cardine di Nom Nom Galaxy, in cui dovrete espandervi, raccogliere ingredienti e difendere la vostra base. Le prime infrastrutture necessarie ad avviare l'attività sono le Zuppatrici, vere e proprie macchine automatizzate che producono zuppa da una base di due ingredienti. Grazie all'elevato numero di ingredienti reperibili nei vari mondi, le combinazioni di ricette sono veramente tante, e trovarle tutte non sarà per niente semplice. Alcune ricette sono più remunerative di altre, soprattutto quelle contenenti alimenti di difficile reperibilità, ottenibili, per fare un esempio, tramite l'uccisione della fauna locale, oltremodo aggressiva. Una delle strategie più efficaci per ottenere del cibo è quella di piantare una buona varietà di esponenti della flora locale in prossimità della vostra attività, in modo da avere sempre una buona scorta di ingredienti a portata di mano, che difficilmente termineranno se ben gestita.
    Occasionalmente la concorrenza invierà contro di voi truppe ben pagate che cercheranno di radere al suolo la vostra fabbrica. Questi eventi, notificati da un segnale di allarme, vi costringeranno ad interrompere le vostre attività per scongiurare la minaccia, affrontabile anche attraverso la costruzione di torrette di diversa tipologia che potranno darvi manforte. Il superamento effettivo del livello sarà raggiungibile solo tramite l'acquisizione del 100% del mercato planetario, ottenibile con un'intensa produzione di zuppa. Solitamente ogni confezione spedita vi farà guadagnare un 5%, ma esistono delle variabili identificate come dei veri e propri trend di mercato, che altereranno il risultato di certe tipologie di zuppa in positivo o in negativo. Sarà dunque estremamente importante produrre l'alimento più richiesto del momento, essendo questi in grado di contribuire sensibilmente ad una rapida scalata del mercato. A rendere le cose più complesse è la concorrenza, la quale arriverà ad entrare in contrasto con il giocatore stesso, dando vita ad una lotta all'accaparramento delle fette di mercato. Nonostante ogni pianeta preveda il rifacimento ex novo della propria attività (esistono delle eccezioni), il senso di progressione è presente, concretizzandosi nelle numerose abilità sbloccabili al superamento di ogni livello, le quali si riveleranno indispensabili per affrontare speditamente le parti più avanzate dell'esperienza.
    Gli sviluppatori di Nom Nom Galaxy sono riusciti a creare un equilibrio ben strutturato, inserendo elementi e meccaniche appartenenti a molti generi diversi, ottenendo così un risultato finale sorprendentemente funzionante. Nonostante l'adempimento contemporaneo di attività diverse richieda una certa dose di abilità organizzativa, far funzionare e gestire la fabbrica non è un'impresa ostica o eccessivamente complessa. Tuttavia l'inserimento di così tante meccaniche differenti, ha fatto sì che nessuna di esse fosse particolarmente rifinita ed approfondita. La componente esplorativa pecca principalmente nella reattività del personaggio, mentre quella deputata alla costruzione della propria fabbrica vanta un numero  piuttosto ridotto di strutture edificabili.
    Graficamente il titolo, nonostante la pronunciata semplicità tipica di molte produzioni indipendenti, risulta godibile, grazie ad un design a metà tra il buffo e il bizzarro e una palette di colori estremamente vivida. Dal lato delle prestazioni non possiamo considerarci del tutto soddisfatti, dato che su sistemi di fascia medio-bassa è possibile assistere a rallentamenti piuttosto pronunciati. Sul fronte delle longevità invece Nom Nom Galaxy eccelle, grazie ad un numero di livelli molto elevato, la presenza della modalità challenge, che permette di affrontare particolari sfide, e la componente multiplayer. Proprio quest'ultima risulta il vero tallone d'achille del titolo, in quanto la cooperativa online soffre di gravi problemi di input lag, che rendono impossibile giocare. E' un vero peccato dal momento che la controporte in locale, che non presenta nessuna problematica, risulta estremamente divertente e funzionale. Concludiamo dicendo che Nom Nom Galaxy è tradotto interamente in italiano, e che è possibile giocare perfettamente sia con gamepad che con l'accoppiata mouse
    e tastiera.        

Prison Architect

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Simulazione

  • Sviluppatore:Introversion Software

  • Data uscita:Ottobre 2015

     

     

    La nascita di Prison Architect arriva dopo il periodo più buio di Introversion Software. Con due titoli fallimentari alle spalle e l'ombra della bancarotta che prendeva sempre più forma, non era rimasto spazio per altri errori. C'era bisogno di un'idea forte, vincente, immediata. Alcune devono essere nutrite col tempo, curate e lasciate crescere; altre ancora giungono con la velocità di una saetta e la prorompenza di una bomba. Per Chris Delay si è trattata di una grandissima intuizione, che col tempo ha trasformato Prison Architect in un titolo giocato su PC da oltre un milione di persone.
    Il gioco è in sviluppo da tanti anni ed è in early access da settembre del 2012. Da allora è stato aggiornato mensilmente e si prepara adesso alla sua prima fase di uscita, programmata il prossimo 6 ottobre. Si parla di "prima fase" perché gli sviluppatori ritengono che i tempi siano ormai maturi per far uscire il titolo dall'accesso anticipato, ma intendono comunque aggiornarlo di continuo fino a quando il mercato di Prison Architect sarà florido. Ci hanno tuttavia assicurato che si tratterà di una versione molto avanzata, che avrà aggiornamenti, migliorie e anche contenuti che arriveranno in un secondo momento. 
    L'idea di Introversion è stata quella di sviluppare un gestionale in cui bisogna costruire, amministrare e dirigere un carcere americano di massima sicurezza. Si comincia con un piccolo stabile da fabbricare prima che un manipolo di prigionieri giunga alla nuova destinazione, e si arriva nelle fasi più avanzate a sperimentare con la creazione di strutture di enorme complessità, dove bisogna gestire una gran quantità di mansioni, tenere d'occhio i bisogni di tutti e controllare che ogni cosa proceda senza intoppi o imprevisti di grave entità.
    Quando durante la presentazione ci hanno mostrato una struttura carceraria gigantesca, abbiamo capito che la percentuale di casini che sarebbero potuti accadere lì dentro avrebbe avuto una generosa impennata. "So che sembra enorme e tutto molto complicato da tenere sotto controllo, ma questo è in realtà un carcere di medie dimensioni", mi ha spiegato Chris Delay, orgoglioso della creazione di uno degli utenti. "Online abbiamo trovato costruzioni migliori di quanto persino noi saremmo stati in grado di sviluppare, e siamo certi che col tempo ognuno rimarrà stupito da ciò che Prison Architect permette di fare, anche con le mod". Non pensiate però che si tratti di un gestionale arduo da padroneggiare, perché nonostante la sua grande complessità va ammesso che è tutto molto intuitivo e chiaro. E anche piuttosto piacevole da giocare.
    Come dicevamo poc'anzi, la gestione della prigione diverrà via via sempre più complessa e ricca di variabili. Non solo vi ritroverete a costruire celle, strutture carcerarie tutt'altro che semplici, impianti idrici ed elettrici e tutta una serie di aree che possano soddisfare i bisogni vostri, dei carcerati e dello staff, ma dovrete monitorare i movimenti di chi in quel luogo ci vive tutti i giorni. Per evitare che la situazione degeneri o diventi ingestibile, è necessario assumere il personale per la sicurezza e gli agenti; allo stesso modo, non si può fare a meno di un'infermeria né tanto meno di un refettorio con tanto di cuochi. E questi sono solo un paio di esempi che dicono pochissimo di tutto ciò che potrete e dovrete fare per avere a disposizione la prigione più efficiente di sempre. Naturalmente assumere personale vi costerà del denaro, ma è vero anche che senza di loro è praticamente impossibile riuscire ad avere un mantenimento delle condizioni adeguato alle esigenze. Considerate inoltre che si tratta di operazioni necessarie per sbloccare ulteriori posizioni lavorative ancora più specializzate, che possono fare la differenza quando i carcerati vanno in escandescenza o si ribellano alla prigionia o architettano piani per creare caos e tentare la fuga. 
    Anche i carcerati avranno i loro bisogni, e non solo fisiologici. Bisogna costantemente tenere alto il loro morale, evitare che i malcontenti si tramutino in atti di rivolta e che ci si siano adeguati spazi ricreativi. Non solo: i detenuti possono essere reinseriti socialmente, è bene occupare il loro tempo con dei lavori, dar loro modo di poter vedere i familiari e assecondare le loro vocazioni spirituali. C'è anche chi ha problemi di dipendenza dalla droga e deve vedersela con gravi crisi d'astinenza; starà dunque a voi decidere se fargli arrivare una dose o ridurlo alla depressione più nera. C'è insomma un grado di profondità elevatissimo in Prison Architect, ossia tutto ciò che serve a un gestionale ambizioso, che vuole puntare in alto.
    La sua visuale a volo d'uccello e la sua realizzazione in 2D sono scelte artistiche azzeccate, che rendono il titolo immediatamente riconoscibile a una prima occhiata; l'interfaccia utente è molto intuitiva e difficilmente vi metterà in confusione. Se ha avuto così tanto successo fino a ora, non abbiamo motivo di dubitare che continuerà sulla stessa strada: Prison Architect ci ha sorpreso sul serio. 

venerdì 14 agosto 2015

Anno 2205

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Blue Byte

  • Data uscita:3 novembre 2015

     

     

    Nel corso della Gamescom di Colonia abbiamo avuto modo di vedere da vicino anche Anno 2205, la nuova iterazione della nota serie, che dopo il gradimento ottenuto dal precedente Anno 2070 continua ad investire sull'ambientazione futuristica, portandovi ancora più in là nel tempo – alla conquista della Luna – in una direzione sci-fi che sembra avere qualcosa da interessante da dire.
    I ragazzi di Blue Byte vogliono fare in modo che Anno 2205 abbia qualcosa di unico da offrire ai fan della longeva saga. Per questo motivo, durante la presentazione del gioco (che non abbiamo però potuto provare), ci sono state sottolineate alcune importanti meccaniche che faranno da spina dorsale al prodotto. Innanzitutto, potrete ancora una volta edificare e costruire la vostra città, preoccupandovi delle risorse necessarie non solo alla sua sopravvivenza, ma al benessere dei suoi abitanti. Per rendere più interessante questo aspetto, si ha la possibilità di gestire più città contemporaneamente (un po' in stile SimCity), intessendo così delle relazioni commerciali fruttuose per entrambe le parti. In questo modo, insomma, potrete scambiare le risorse di ciascun centro abitato, riuscendo magari a farli fiorire entrambi. A proposito di risorse, il team ha voluto sottolineare che è stato esteticamente rivisitato il modo in cui i cantieri e le fabbriche vengono rappresentati, divenuto ora sicuramente più immersivo: come esempio, ci è stato mostrato il fatto che, eseguendo lo zoom sugli impianti di scavo è possibile vedere le macchine all'opera, o avvicinandosi alle fabbriche di robot è possibile assistere alla catena di montaggio eseguita dalle macchine. L'idea, insomma, è quella di creare un universo sì futuristico, ma che risulti credibile ed il più possibile ricco di particolari che possano aiutare il giocatore a sentirsi coinvolto in un mondo che vive e pulsa come fosse reale.
    Non è tutto: dal momento che, come ci è stato spiegato dagli sviluppatori, i fan avrebbero trovato interessante ma non abbastanza approfondita la svolta nel futuro di Anno 2070, si è ora deciso di puntare maggiormente anche su ulteriori dettagli: in particolare, potrete ora partire alla conquista della Luna, andando ad edificare sul satellite della Terra con ben chiaro in mente che, in un ambiente simile, sarebbe impossibile costruire così come accade sul nostro pianeta. Così, il team si è preoccupato di differenziare le vostre possibilità, ed in buona sostanza sulla Luna costruirete prevalentemente strutture per l'estrazione di risorse e per la produzione. Qui, ad esempio, troverete componenti indispensabili per lo sviluppo elettronico della vostra civiltà, ma potreste rischiare di perdere i vostri progressi a causa delle spietate piogge di meteoriti, che devasterebbero i vostri edifici: per questo, dovrete quindi preoccuparvi di costruire appositi scudi, che chiederanno dispendio di energie, ma che metteranno in salvo il frutto del vostro sudore digitale.
    L'idea, in parole povere, è quella di consentire un'espansione impari – non solo nello spazio, ma anche sul nostro amato pianeta: le aree edificabili saranno infatti cinque volte più ampie rispetto ai vecchi episodi, e ci è stata mostrata anche la nuova area artica. Anche qui, similmente alla Luna, sarà difficile far stabilire degli abitanti, ma sarà importante costruire dei macchinari per ottenere delle risorse utili a proseguire il proprio sviluppo. Ci è stato anche anticipato che, sia qui che sulla Luna, potremmo trovare dei locali ostili non proprio felici delle nostre mire espansionistiche, anche se non sono stati precisati ulteriori dettagli in merito.
    Un'altra novità vista durante la presentazione è la nuova modalità militare, che trasforma di fatto il gioco in uno strategico in tempo reale: grazie a quest'ultima, potrete affrontare delle spedizioni a caccia del nemico, scacciandolo dai vostri territori o invadendo i suoi. Nel caso della demo che ci è stata mostrata, abbiamo visto una piccola mappa marittima (ma ci è stato assicurato che quelle del gioco saranno molto più grandi di così), dove il giocatore controllava una flotta di navi militari, cliccando per portare avanti gli attacchi. Via via che combatterete, guadagnerete dei punti per migliorare la vostra truppa, ed avrete anche power up ed abilità speciali. È stato precisato che otterrete anche delle quest secondarie nel corso delle vostre spedizioni, e che completare questo tipo di incarichi consentirà di avere ulteriori ed utili risorse. Conscia però che non tutti potrebbero voler giocare una sorta di RTS, la software house ha comunque deciso di consentire di ottenere queste risorse anche mediante altre meccaniche più tradizionali, e di fatto coloro che non lo gradiscono potranno ignorare del tutto il nuovo sistema di offesa/difesa militare sul campo. Visto in azione, quest'ultimo non ci ha scosso particolarmente, ma non abbiamo potuto approfondirne la conoscenza, né vederlo dettagliatamente all'opera. Attendiamo quindi di saperne di più per esprimerci con più argomentazioni in merito.

War Thunder

  • Piattaforme:PC, PS4

  • Genere:Simulazione volo

  • Sviluppatore:Gaijin Entertainment

  • Data uscita:Disponibile

     

     

    Il mondo dei giochi free-to-play è fatto di gioie e dolori. Ma soprattutto di dolori. Dobbiamo ammetterlo: oggigiorno, quando sentiamo parlare di free-to-play, iniziamo a storcere il naso e a procedere con molta, moltissima cautela. Perché se, da un lato, è vero che sotto questo particolare modello economico si nascondono delle vere e proprie gemme videoludiche, è anche vero che il mare dei free-to-play è denso di prodotti scadenti e pensati per mungere i portafogli dei giocatori.
    Oggi, per nostra fortuna, vi parliamo di una delle poche gemme: War Thunder. Questo gioco uscì a Ferragosto di due anni fa, determinato a inseguire il successo di Word of Tanks ma spostando l’attenzione sugli aerei della seconda Guerra Mondiale. Ai comandi dello sviluppo del gioco, infatti, ci sono i Gaijin, studio di Mosca che ha portato sui nostri schermi alcuni fra i giochi di volo semi-arcade più apprezzati degli ultimi tempi, tra cui l’eccellente IL-2 Sturmovik: Birds of Prey. Gaijin, nel corso degli ultimi due anni, ha trasformato in maniera radicale il proprio gioco arrivando ad includere i carri armati e una modalità simulativa, fornendo al giocatore un’esperienza a tutto tondo che, a due anni di distanza dal lancio, continua a sorprenderci.
    Il segreto del successo di War Thunder, come detto, risiede nell’enorme varietà di contenuti offerta al giocatore. Due diverse modalità di gioco - carri e aerei - così differenti tra loro da rappresentare quasi due giochi a se stanti, le quali si diramano a loro volta in battaglie realistiche e battaglie arcade, con regole e comportamento dei mezzi che cambiano in maniera radicale. E poi ancora, tornei, battaglie storiche, battaglie personalizzate, eventi. War Thunder è un gioco completo, un titolo così denso di contenuti da tenere testa ai normali giochi retail.
    Iniziamo dagli aerei, vero fiore all’occhiello dell’esperienza e terreno in cui i Gaijin sanno mettere in mostra i propri punti di forza. La modalità arcade, la più giocata, consente di entrare in battaglie mordi e fuggi della durata media inferiore ai 10 minuti, con obiettivi che variano di partita in partita. Il deathmatch tra aerei, modalità su cui la concorrenza a marchio Wargaming.net ha puntato per il suo World of Warplanes, viene qui ridotta a una delle tante partite disponibili, ed è per la verità piuttosto rara. War Thunder è infatti un gioco estremamente tattico, in cui - spesso - l’obiettivo riguarda la conquista di una porzione di spazio aereo, di uno o più campi di aviazione o la distruzione delle forze nemiche terrestri. Avete capito bene: distruggere gli altri aerei non è teoricamente necessario per vincere la partita, ma il dogfighting nasce spontaneo nei cieli in prossimità degli obiettivi. La presenza di caccia e bombardieri modifica l’assetto delle partite, obbligando di fatto i giocatori ad assumere dei ruoli di attacco e di difesa. Anche in modalità arcade, nonostante un po’ di caos fisiologico e un certo numero di giocatori che si limita a sparare a tutto quello che si muove, si possono mettere in pratica vere e proprie tattiche che, spesso, pagano con ottimi risultati in classifica. In modalità arcade, inoltre, il giocatore ha la possibilità di utilizzare più di un equipaggio: in caso di abbattimento del proprio velivolo, infatti, il giocatore può rientrare in battaglia con un altro aereo e continuare a giocare. Non vi è il rischio, dunque, di partite della durata di pochi secondi a causa di un impatto in volo o di uno scontro particolarmente sfortunato.
    In modalità realistica, invece, le cose cambiano profondamente. In primo luogo, il gioco fa uso di un modello di volo semi-realistico, che costringe il giocatore a prestare più attenzione alle proprie manovre e lo mette faccia a faccia con i limiti fisici dell’aeromobile, obbligandolo inoltre a decollare dal campo di volo all’inizio di ogni partita. In secondo luogo, tutte le assistenze allo sparo tipiche della modalità arcade - come l’hud e il calcolo della deflessione del tiro - spariscono. Il velivolo, inoltre, resiste a un numero infinitamente più basso di colpi, aumentando in maniera sensibile la difficoltà di gioco e costringendo il giocatore ad atterrare alla base per riparare gli eventuali danni. Inoltre, non vi è la possibilità di respawnare. Purtroppo gli sviluppatori non hanno voluto andare fino in fondo con la simulazione, introducendo molti compromessi che impediscono ai maniaci dell’aviazione di godersi appieno il controllo del proprio aeromobile. Anche se tutte le strumentazioni interne all’abitacolo funzionano, mancano diverse opzioni che, tuttavia, saranno notate solo dai veri maniaci del volo.

mercoledì 12 agosto 2015

Naruto Ultimate Ninja Storm 4

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:CyberConnect2

  • Data uscita:4 febbraio 2016 (JAP)

     

     

    Lo sapete ormai tutti, Naruto Ultimate Ninja Storm 4 è stato rimandato all'inizio del 2016, un ritardo che non è nelle corde di Cyberconnect, che i giochi li ha sempre fatti uscire a cadenza regolare e senza troppi problemi.
    La Gamescom 2015 si è rivelata essere un'occasione perfetta per andare a fare quattro chiacchiere direttamente con Hiroshi Matsuyama, provare il gioco e scoprire un sacco di novità interessanti.
    Partiamo dalle basi: Naruto Ultimate Ninja Storm 4 è uno di quei titoli da farvi cadere la mascella graficamente. Negli anni Cyberconnect ha saputo modellare e limare tutte le imperfezioni del motore grafico, fino ad arrivare alla stato attuale con un titolo capace di far tremare le gambe a qualsiasi altra produzione Tripla A. La mole poligonale, in realtà, non sorprende più di tanto, ma le animazioni, le mosse speciali, gli effetti grafici e in generale il feeling che si respira tenendo il pad in mano e muovendo a schermo i nostri personaggi preferiti sono qualcosa di davvero unico ed eccezionale.
    Bello come il manga vi starete chiedendo? Beh, noi vi diciamo che Naruto ci è parso diversi scalini sopra, sia come resa sia come realizzazione e il salto su next gen ha giovato davvero tantissimo alla produzione, che si discosta dalle sue versioni old gen, in modo particolare per la resa.
    Potersi concentrare sulla next gen ha permesso a Cyberconnect di ravvivare e migliorare tutte le espressioni facciali dei personaggi, che ora rifletteranno l'andamento dello scontro e faranno smorfie di dolore per ogni colpo subito, ma questi dettagli sono solo la punta dell'iceberg di un titolo che sembra essere davvero incredibile visivamente.
    Nuovo elemento sono le armature e i vestiti ora distruttibili, e non come semplice orpello grafico ma come vero e proprio elemento di gameplay. Subite colpi e le vostre corazze si romperanno: i vestiti si strapperanno rendendovi più vulnerabili e abbassando la difesa ma al contempo aumentando agilità e velocità di movimento, per scontri che sembrano poter mutare in corsa continuamente.
    Se pensate che tale gargantuesco lavoro è stato svolto per gli oltre cento personaggi inclusi, il problema del ritardo si palesa chiaramente, ma queste non sono le uniche novità in arrivo quest'anno.

    I combattimenti sono ora basati su scontri tre contro tre, con i personaggi costretti a condividere la stessa barra di energia, e il giocatore che potrà alternarli a proprio piacimento per sfruttare al meglio gli elementi delle arene e le debolezze dell'avversario. Mentre si combatte bisognerà infatti prestare sempre molta attenzione a dove si mettono i piedi: finite su una superficie acquatica e i Justu basati sull'acqua o sull'elettricità diventeranno molto più efficaci, non solo aumentando il proprio danno o la propria area d'effetto ma con modifiche grafiche di rilievo che ne metteranno in risalto l'effettiva potenza superiore, e questo avviene per ogni singola abilità del gioco. La velocità viene portata all'estremo poi da effetti particellari e tecniche di motion blur che portano a far svanire i pixel verso i bordi, quasi a rendere invisibili le parti dei personaggi, una tecnica che dona un senso di estrema rapidità ai combattimenti e che davvero non può lasciare indifferenti i giocatori così come gli spettatori.
    Vi parlavamo prima dei differenti elementi e dei loro effetti sul gameplay, a dare maggior profondità al sistema di combattimento ora ci si mettono anche gli effetti collaterali dei jutsu utilizzati: colpite un avversario con un jutsu incendiario e i suoi vestiti inizieranno a prendere fuoco, che non smetterà di ardere finché il bersaglio non si getterà in acqua, non chiederà il cambio in battaglia o non si rotolerà per terra, tecniche che aprono finestre molto interessanti per entrare in combo con mosse e colpi aggiuntivi.
    Chiude il cerchio di questa promettente produzione l'arrivo di tutta una nuova serie di personaggi. Si parte dai piccoli Boruto Uzumaki e Sarada Uchiha visti nella pellicola Boruto – The Last, ottenibili tramite preorder o come DLC successivo all'uscita, presumibilmente, fino ad arrivare a Kaguya Otsutsuki, un nuovo personaggio dal moveset incredibilmente potente, capace addirittura di cambiare in toto il terreno dello scontro.
    Per tutti gli amanti della modalità storia infine si perderanno le missioni di esplorazione in favore di scontri più serrati e combattimenti con boss tramite QTE in versione migliorata, stando alle parole del buon Matsuyama.  

martedì 11 agosto 2015

Mad Max


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Avalanche Software

  • Data uscita:4 settembre 2015

     

     

    Mancano pochi giorni all’arrivo di Mad Max nei negozi e alla Gamescom è stato il momento di mettere le mani su quella che - con ogni probabilità - è la versione definitiva del gioco. Non c’è infatti più tempo per le modifiche al codice prima del lancio, e quanto stiamo per descrivervi è, molto probabilmente, analogo a quello che vedrete fra qualche settimana. Ma partiamo dal principio.
    Warner Bros. sa come trattare i tie-in. I giochi tratti dai film sono spesso delle mezze schifezze, ma la multinazionale videoludico-cinematografica ha preso a cuore questo genere di produzione, investendo il proprio denaro in prodotti che hanno saputo ribaltare questo pregiudizio. Il merito di avere creduto nella serie Arkham - in realtà condiviso con Square-Enix - ha fatto da anticamera a Shadow of Mordor, titolo basato sul franchise del Signore degli Anelli che si è rivelato essere una delle migliori sorprese dello scorso anno. Ecco, con Mad Max stanno cercando di fare lo stesso, pur senza avere a disposizione le medesime risorse e un marchio altrettanto forte. Con questo non stiamo dicendo che Mad Max non sia una serie amata e riconosciuta, ma che il pubblico delle pellicole di George Miller non sia numericamente paragonabile a quello delle pellicole di Peter Jackson e, soprattutto, dei libri di Tolkien.
    Ciononostante, Warner Bros. ha affidato la realizzazione del gioco ad alcuni fra i migliori interpreti del genere “tamarraction” nel mondo dei videogiochi, quegli stessi Avalanche che ci hanno portato la serie Just Cause. Le premesse, dunque, sono molto incoraggianti e il rischio del prodotto-schifezza sembra scongiurato già in partenza.
    La demo della Gamescom 2015 era ambientata a un buon 50% dell’avventura, una scelta compiuta dagli sviluppatori per consentirci di apprezzare sia alcuni elementi della storia che alcune sezioni di combattimento avanzato.
    La sceneggiatura è originale, e totalmente slegata dai film di Miller, pur condividendone numerosi elementi visivi - dalla Wasteland del film più recente fino alla somiglianza di Max con l’attore Tom Hardy rispetto ai classici interpretati da Mel Gibson. In questo gioco, tuttavia, i panni di Mad Max saranno vestiti dall’attore Kym Bradley. Un altro aspetto che distanzia questa produzione dai film di Miller è l’assoluta preponderanza del personaggio di Max, in Fury Road ridotto a una sorta di co-protagonista e qui costantemente al centro dell’attenzione. Il ruolo dell’immancabile spalla è qui assegnato a uno strano figuro chiamato Chum Bucket, un uomo gobbo dal volto deforme ma, al contempo, un abile meccanico che segue Max nel suo viaggio.
    Come intuibile data la struttura open world del gioco e i grandi spazi aperti, i motori hanno un ruolo particolare in Mad Max, e vengono utilizzati per più della metà del tempo. Nella nostra demo siamo stati chiamati a mettere fuori uso alcune catapulte, utilizzando una combinazione di cavi da traino e armi per distruggerle. Ogni volta che si utilizza un’arma mentre ci si trova a bordo di un veicolo il gioco entra in una sorta di bullet-time, e concede al giocatore la possibilità di prendere la mira con efficacia. Sarebbe stato pressoché impossibile pensare ad un sistema di mira realmente funzionante con le auto lanciate a tutta velocità e i terreni scoscesi e polverosi della Wasteland, e pertanto si è optato per questa soluzione che, tuttavia, crediamo non mancherà di fare discutere. Alcune armi hanno un tempo di cooldown, ed ogni volta che un colpo non va a segno non è possibile riprendere immediatamente il bullet time per ripetere l’operazione. In questo modo si è spesso costretti a proseguire la propria corsa ed effettuare un altro tentativo, rendendo il combattimento veicolare più bilanciato ed entusiasmante del previsto. Nel corso dei nostri viaggi incontreremo numerosi predoni lungo la strada, che cercheranno in tutti i modi di mandarci fuori strada anche saltandoci sul parabrezza. Non sappiamo, al momento, se questa formula riuscirà a reggere per tanto tempo, ma nel corso della mezz’ora a nostra disposizione ci siamo divertiti, complici anche le numerose esplosioni a cui gli Avalanche ci hanno abituati in passato. Inoltre, bisogna considerare che i numerosi veicoli presenti nel gioco si possono modificare in ogni aspetto, aggiungendo nuove componenti con l'aiuto di Chum Bucket che cambiano l'aspetto e le caratteristiche dell'auto, trasformando scarsissime dune buggy in veicoli sputafuoco che possono speronare gli avversari e fare letteralmente a pezzi i predoni.
    Quando si scende dalle auto per entrare nelle fortezze e nei luoghi non esplorabili attraverso i propri veicoli, le cose cambiano radicalmente. Il gioco si trasforma in un action con una certa attenzione verso il combattimento ravvicinato, un numero ridotto di proiettili e la ricerca spasmodica di risorse da raccogliere. I proiettili sono pochi, e si è dunque spesso chiamati a combattere con le proprie mani nude, o con qualche oggetto di fortuna raccolto sul campo di battaglia: qua il gioco rivela l’utilizzo del free-flow-system di memoria batmaniana, che - senza troppe novità - rende il combattimento frenetico ma un po’ meccanico. Non aspettiamoci grandi innovazioni, dunque: come avvenuto in Shadow of Mordor gli sviluppatori hanno optato per la strada più semplice.
    Come detto in apertura, il gioco è ormai pronto e quanto abbiamo visto è - probabilmente - identico a quello che vedremo nei negozi. Ebbene, abbiamo notato qualche screzio nella grafica che ci ha mostrato alcune texture che si caricavano in ritardo e qualche problema vistoso nelle animazioni durante le cut scene. Il gioco è stato rimandato numerose volte, e oggi comprendiamo il perché: nonostante il tempo extra per lo sviluppo, Mad Max sembra soffrire di alcuni problemini tecnici. Nulla di cui preoccuparsi, sia chiaro, ma crediamo che gli Avalanche - concentratissimi su Just Cause 3 - abbiano dedicato meno risorse del solito a questo progetto.

Rainbow Six Siege


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:13 ottobre 2015

     

     

    La serie Rainbow Six, fin dalle origini, ha tentato di coinvolgere i suoi giocatori in un approccio tattico – nella pianificazione della propria strategia prima di agire – e alla Gamescom abbiamo avuto modo di notare in prima persona che Rainbow Six: Siege vuole seguire la medesima filosofia. Questa volta, Ubisoft ci ha dato la possibilità di giocare un 5v5 contro altri colleghi dell'informazione arrivati un po' da tutto il pianeta, lasciandoci immergere in una modalità competitiva che ha svelato diverse meccaniche degne della vostra attenzione.
    Una volta lanciata la partita, abbiamo potuto scegliere quale degli operatori impersonare, con la consapevolezza che quello selezionato da un compagno non poteva essere utilizzato da nessun altro. Ognuno dei soldati vanta degli equipaggiamenti unici e delle specialità, ed è quindi possibile sceglierli sia in base al modo in cui possono incastrarsi con gli alleati, sia fondandosi sulle proprie abilità come giocatori: se siete votati all'assalto meglio optare per un soldato pesantemente armato, mentre se ad esempio la vostra mira è poco lodabile potete sempre rendervi utili per la squadra alzando lo scudo e proteggendo i tiratori dal fuoco avversario.
    Fatte le dovute considerazioni, mentre venivamo guidati in cuffia da Ubisoft, abbiamo appreso lo svolgimento della modalità: saremmo stati divisi in due squadre, una d'attacco e una di difesa. Quest'ultima avrebbe avuto il compito di barricarsi e difendere un'area fino alla fine del round, sopravvivendo con almeno un elemento, mentre l'altra doveva ovviamente raggiungere l'obiettivo opposto, sfondando le barriere e sterminando gli avversari.
    Il match si è svolto al meglio dei tre round (anche se per la caduta della connessione non è stato purtroppo possibile completare l'ultimo), e nel primo abbiamo vestito i panni della squadra d'assalto. Prima di dare il via ai combattimenti, abbiamo così avuto a disposizione qualcosa in più di trenta secondi per guidare dei droni, e farli andare in giro per la nuova mappa mostrata in cerca dell'ubicazione del team avversario. Riuscendo a scovarli, avremmo avuto ovviamente un vantaggio tattico nel momento dell'assalto. Di contro, quando si vestono i panni della squadra in difesa, si può sfruttare quel tempo per fortificare l'area di presidio, sbarrando le finestre, rafforzando i muri che potevano essere distrutti e disseminando l'ambientazione di filo spinato e – se in dotazione al personaggio scelto – di trappole esplosive.
    La mappa si chiama Hereford, ed è un capannone/armeria su più livelli in cui l'azione è persino più tesa rispetto a quanto visto in House e Plane, in virtù del numero impressionante di finestre da cui entrare, di passaggi e stretti corridoi. Attenzione però, perché anche questa mappa varia parecchio di piano in piano, e una volta arrivati nel sotterraneo si apre sensibilmente, portando i giocatori a dover cambiare seccamente strategia d'attacco.
    Scaduto il tempo, è venuto il momento di avviare il round, e sempre sotto la voce guida della software house francese ci siamo trovati a collaborare strettamente per raggiungere il nostro scopo, in questo caso dividendoci in due mini-team per tentare di prendere in una morsa a tenaglia i terroristi interpretati dagli altri giocatori. L'approccio è insomma estremamente tattico, e la corsa a perdifiato verso l'avversario in cerca dell'headshot o della raffica letale non solo è sconsigliata e inefficace, ma non viene neanche perdonata: Siege sposa infatti il realismo, e prendere fucilate dal nemico non solo vi manderà al tappeto, ma vi escluderà dal resto del round, dal momento che non è previsto il respawn. Durante la nostra prova gli avversari non sono riusciti ad ucciderci, ma ci è stato spiegato che, in caso di morte, si possono osservare i compagni per tentare di dare loro indicazioni utili. Così – sfondando pareti e superando le fortificazioni, in un gameplay elettrizzante di pochi ma intensi minuti, che sale rapidamente di ritmo nel momento in cui c'è l'impatto tra i due team – abbiamo portato a casa l'1-0. 
    È stato divertente e forse ancora più interessante mettersi poi in difesa, dal momento che ci siamo ritrovati a collaborare in modo ancora più stretto con i compagni: dividendoci le aree della struttura, abbiamo fortificato tutto ciò che si poteva, spargendo anche del filo spinato, ed abbiamo poi atteso pazientemente il loro inevitabile arrivo, acquattandoci negli angoli per sorprenderli nel momento in cui le nostre barriere sarebbero state forzate. Anche in questo caso, l'approccio si è rivelato vincente, e l'intero team è effettivamente riuscito a collaborare per il raggiungimento dello scopo.
    Ci sono insomma bastati due round per comprendere che ciò che conta in Rainbow Six: Siege è davvero la tattica. Ubisoft ne è pienamente consapevole, e per questo motivo ci ha presentato in alpha la Spectator Cam: grazie ad essa, un undicesimo giocatore può unirsi alle partite e semplicemente assistere al match o vagando in prima persona, o utilizzando la visuale tattica che gli consente di vedere l'ambientazione dall'alto o di seguire i soldati in campo, apprendendo le loro strategie e i trucchi dei più esperti. In questo modo, insomma, si favorisce ulteriormente una rincorsa alla pianificazione, dal momento che anche chi ancora non è riuscito ad elaborare un suo piano su una mappa o a prendere confidenza con le strutture in essa presenti, può seguire agevolmente l'esempio degli altri, facendosi magari venire qualche buona idea.

Submerged

 
  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Uppercut Games

  • Data uscita:5 agosto 2015 (PS4-PC) - 7 agosto 2015 (Xbox One)

 
 
 
 
 
Una città parzialmente sommersa accoglie una minuscola barca da pesca alla deriva. A bordo, una ragazzina stremata da un viaggio verso l'ignoto che sembra interminabile; accanto a lei, giace suo fratello gravemente ferito, immobile, in lotta tra la vita e la morte. Quando la prua cozza contro il basso muricciolo di un'antica costruzione, Miku prende in braccio l'esanime Taku, mette i piedi sulla terraferma e si dirige verso un rudere. Lo adagia su un letto di pietra e si imbarca nuovamente alla ricerca di cure mediche che possano salvargli la vita. In Submerged però non è rimasto più nulla: l'acqua ha quasi inghiottito ogni cosa, dal mare fanno capolino animali che sembrano avvolti da una mucillagine verdastra e nessun uomo abita più quel luogo abbandonato da tempo immemore. 
La solennità della presentazione vorrebbe in qualche modo ricordare titoli come Shadow of the Colossus, ma si tratta di un tentativo goffo e infelice di allinearsi a un filone in cui Submerged vorrebbe far parte senza tuttavia riuscirci, soprattutto per via di una evidente mancanza di sensibilità artistica. È in particolar modo il deficit tecnico a svilire la potenza comunicativa dell'opera, che fa timidamente capolino solo nel prologo, andando via via scemando fino a sfumare nell'anonimato. La storia dei due è molto semplice ma sin troppo sibillina, e viene narrata esclusivamente da poche immagini stilizzate e non sempre chiare; a differenza di quella dedicata alla memoria del luogo, tenuta separata dal menù e forse fin troppo sfilacciata e confusionaria, si riesce comunque a comprendere. 
Le immagini capaci di ricostruire il passato della città sommersa sono in realtà dei collezionabili, e perderne qualcuno significa avere un quadro talmente provvisorio da non permettere neanche di azzardare un paio di ipotesi valide. Evidentemente gli sviluppatori volevano fornire un motivo in più per trattenere i giocatori all'interno del mondo diSubmerged, ma la sostanziale ripetitività delle azioni è in realtà un deterrente che lascia desiderare a tutti una rapida conclusione, che arriva al massimo in tre ore. 
L'idea di lasciare scoprire all'utente ciò che il mondo di gioco ha da offrire è certamente buona, ma considerando che la mappa (di dimensioni modeste) ha un insufficiente numero di attrattive, si tratta di un'iniziativa tutto sommato sprecata. Per tutto l'arco dell'avventura vi ritroverete infatti a fare la spola dal giaciglio di Taku agli edifici principali in cui si trovano i kit di primo soccorso, perdendo rapidamente interesse per tutto il resto. Mentre vi spostate con la barca, userete un cannocchiale per individuare le scorte mediche, i potenziamenti per aumentare la velocità di spostamento e i disegni "tribali" che danno una'idea abbozzata del passato della città; tuttavia gli unici oggetti veramente utili, quelli che fanno progredire il gioco, sono per l'appunto gli unici da portare a Taku. Ce ne sono pochi e sono tutti disposti con criterio lungo la mappa, che viene mostrata gradualmente al vostro passaggio senza presentare mai autentiche sorprese o zone che premiano in qualche modo le ricerche più meticolose.
Gli edifici che emergono parzialmente dalle acque sono sostanzialmente tutti uguali. Il loro design non dimostra alcun tipo di sforzo creativo e sottolinea al contrario un lavoro neghittoso, rilassato e privo di ambizione. Considerando che non è possibile entrare in nessuna di queste costruzioni e che tutta l'azione si basa su semplici scalate che portano fino al tetto, avere come segno distintivo il solo nome sulle diverse insegne è semplicemente inaccettabile. Una libreria, un paio di alberghi, una banca e altri stabili hanno variazioni minime della medesima struttura di base, che consiste in qualche balconata, piante rampicanti sulle facciate, tubi e cornicioni. Questi pochi elementi sono continuamente rimescolati per dare un'impressione di diversità che di fatto non esiste, visto che si tratta sempre di un impasto poco variegato che riduce ai minimi termini il level design. Dopo aver reperito le prime scorte, capirete qual è l'andazzo e di conseguenza saprete già cosa aspettarvi dal resto del gioco, che ha poco da dire anche per quanto riguarda gli elementi di contorno. Il senso di scoperta dei ruderi della città si limita a uno sparuto gruppo di attrazioni, come statue antiche o una ruota panoramica. I cosiddetti "completisti" tenderanno forse a cercarle tutte, ma tutti gli altri si limiteranno allo stretto indispensabile, che rappresenta in verità la maggior percentuale di ciò che Submerged offre. 
Tecnicamente l'uso dell'Unreal Engine 4 non ha dato grandi frutti: va segnalata una modellazione poligonale appena nella media e una qualità delle texture piuttosto bassa, con elementi dello scenario che sembrano incollati alle pareti. C'è anche qualche glitch visivo e appaiono degli sfarfallii sulla superficie dell'acqua quando la telecamera ruota d'improvviso e si ferma là dove acqua e rocce si uniscono. Non bastano nemmeno il meteo dinamico e il ciclo giorno/notte a dare credibilità alla città che fu: è tutto troppo smorto, le creature umanoidi che vi osservano da sopra le rocce sono anonime e la navigazione in mezzo ai soliti oggetti non è esattamente così rilassante e piacevole come dovrebbe. La colonna sonora è buona ma poco varia, e raramente riesce a comunicare la drammaticità di ciò che accade. Considerando poi il pessimo e sbrigativo finale, è veramente difficile dare la sufficienza all'opera di Uppercut Games, che voleva mettere in scena una storia di sacrificio, redenzione e determinazione, ma ha finito col vanificare tutto per via della troppa fretta.

venerdì 7 agosto 2015

Homefront The Revolution

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Deep Silver Dambuster Studios

  • Data uscita:Maggio 2016



    Homefront: The Revolution è un titolo dalla genesi molto travagliata. Non bastassero già i molti anni di sviluppo prima di presentarsi in forma giocabile, gli sviluppatori hanno dovuto assistere (e subire) il destino infausto di THQ prima, e di Crytek poi, che si è trovata in una situazione economica infelice proprio quando era entrata in possesso dell'IP. Eppure Homefront: The Revolution ce l'ha fatta: alla fiera di Colonia era in forma giocabile e arriverà – imprevisti permettendo – nel corso del 2016.
    Nonostante sia presente qualche punto di contatto, è bene che non pensiate al nuovo Homefront come al seguito diretto del titolo che uscì qualche anno fa con risultati non troppo lusinghieri. Quella di The Revolution è un'America ormai devastata, decadente, sul punto di entrare in possesso dei cittadini che vogliono riprendersi la propria libertà e impadronirsi con la forza dei diritti che spettano loro. Eccoli, gli sciagurati: giunti ormai ben oltre il confine che delimita la volontà riottosa dalle azioni selvagge, il popolo si è spinto al di là della barricata e attacca a viso aperto gli oppressori. E lo fa senza pensarci troppo, con gli oggetti che si trovano sul campo, e con mine che vengono piazzate su mini trabiccoli a quattro ruote che vengono telecomandati fino all'obiettivo per poi esplodere d'improvviso.
    Nella Philadelphia del 2029 è un'assoluta normalità che la guerriglia urbana sia fortemente influenzata dalla corposa presenza dei droni, che vegliano sulle strade, inseguono i rivoluzionari e radunano immediatamente le pattuglie. I rivoluzionari vanno fermati in ogni modo, anche coi carri armati. Eppure la città è grande, le strade sono parecchie e la libertà di movimento è molto accentuata, al punto che è possibile usare dei veicoli a due ruote per velocizzare gli spostamenti. Vi diciamo però sin da subito che la manovrabilità non è esattamente delle migliori e che è anzi piuttosto rozza e poco credibile; il giocatore è infatti costretto a curvare grossolanamente e a sbattere molto spesso contro i muri divisori, talvolta anche incastrandosi con lo scenario. Se è vero insomma che le rampe e la maggiore velocità rendono più piacevoli gli spostamenti, è vero anche che ci si trova a sbattere continuamente con innumerevoli ostacoli, facendo perdere immediatamente all'utente l'eccitazione iniziale.
    Buona la customizzazione delle armi, che possono trasformarsi anche radicalmente a seconda delle situazioni: ecco che per esempio un fucile mitragliatore può essere utilizzato come un fucile da cecchino rudimentale grazie al mirino di precisione, o addirittura come lanciagranate.
    La missione che abbiamo provato per l'occasione era ricca di checkpoint, zone da scoprire e obiettivi da raggiungere, ma la presenza di alcuni escamotage di programmazione impedivano la corretta conduzione di gioco. Qualche esempio? Ci è capitato di arrivare casualmente in un punto da cui le truppe nemiche continuavano ad apparire (sempre in single player, sia chiaro) e di morire proprio perché sorpresi dagli attacchi improvvisi. La loro intelligenza artificiale, poi, è sembrata davvero poco reattiva e assolutamente deficitaria, con routine comportamentali quasi mai all'altezza della situazione e momenti in cui riuscivamo ad appostarci alle loro spalle senza che si accorgessero della nostra presenza. C'è la possibilità di accovacciarsi e muoversi di soppiatto, ma la verità è che difficilmente sarete portati ad avere questo tipo di approccio.
    Il problema più grande di Homefront: The Revolution è però il comparto tecnico, davvero arretrato e poco rifinito. Il frame rate è ben lontano dai 30 FPS stabili che gli sviluppatori vorrebbero raggiungere, e capita spesso che il titolo scatti anche in zone non troppo affollate. Il labiale è fuori sincrono, la modellazione poligonale è in alcuni punti approssimativa e in generale lo scenario che ci è stato mostrato nella demo è apparso anonimo e poco ispirato. Il gioco arriverà nel corso del 2016 e c'è tutto il tempo per lavorare a dovere per sistemare tutto ciò che non va, ma bisogna comunque ammettere che il gap rispetto alle ultime produzioni è evidente: ci vorrebbe un miracolo affinché il nuovo Homefront riesca a stupire per la sua resa visiva.

Assassin's Creed Syndicate

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:23 ottobre 2015 (PS4, XONE) - Autunno 2015 (PC)

 
 
 
 
Lo scenario della demo è stata la suggestiva Tower of London, che Ubisoft ha voluto riprodurre nel modo più vicino possibile alla realtà – anche nei suoi interni. Durante la nostra prova, quindi, l'area – per quanto corposa – si limitava alla sola zona circoscritta del castello londinese, nella quale siamo stati introdotti con un brevissimo video. Una volta preso il controllo di Evie, abbiamo notato immediatamente il ritorno della classica scalata e delle meccaniche da parkour, che non rappresentano però la caratteristica principale dell'esperienza: sebbene anche con lei sia lecito tentare un approccio offensivo e spregiudicato, attaccando i nemici sfruttando le sue abilità con i coltelli o brandendo semplicemente la sua pistola, le cose si fanno molto più interessanti quando sposate lo stealth. Evie, infatti – come ci è stato spiegato dalla stessa software house transalpina – dà il meglio di sé quando può agire nell'ombra ed avvicinarsi silenziosamente al suo obiettivo. Se, insomma, con Jacob potremo darci allo scontro duro e puro, con le scazzottate già viste in precedenza, sua sorella è più votata alla pianificazione
Nonostante l'area, come anticipato, fosse ristretta e non consentisse quindi di vagare liberamente per Londra, abbiamo gradito la possibilità che ci è stata data di scegliere comunque diverse vie per proseguire: il nostro obiettivo finale era eliminare una donna dei Templari, che si trovava all'interno della Tower of London. Abbiamo quindi potuto scegliere se mantenerci furtivi e cercare l'aiuto di qualche alleato, o se provare ad ottenere la chiave del castello per introdurci al suo interno a modo nostro. Abbiamo optato per il primo approccio, completando via via alcuni obiettivi che ci hanno portato sempre più vicino alla nostra vittima. Interessante, nello svolgimento di queste mansioni, il fatto che potrete utilizzare le vostre armi per interagire con l'ambiente (laddove previsto), un po' in stile Hitman: nel nostro caso, abbiamo lanciato un coltello per recidere la corda di una struttura sospesa che reggeva delle casse, facendo crollare il peso su un malcapitato nemico. Alla fine, il nostro alleato ci ha proposto l'utilizzo di una meccanica nuova, battezzata letteralmente "finto rapimento": essendo gradito al nostro bersaglio, infatti, il nostro complice ha finto di averci arrestato, e di volerci quindi consegnare al nemico. In questo modo, siamo andati passo passo con lui in mezzo ai soldati ostili, facendo bene attenzione ad evitare che questi si avvicinassero troppo e notassero (non abbiamo capito bene secondo quale logica) la messa in scena. Per semplificarvi questo intento, Ubisoft ha piazzato per questa fase un indicatore circolare, visualizzato ai piedi di Evie, che indica la prossimità massima dal nemico: se doveste farvi insomma troppo vicini a lui, potrete dire addio alla vostra copertura. Mediante questo stratagemma, siamo riusciti ad infiltrarci all'interno della struttura, e ad assassinare il bersaglio.
Un'altra meccanica interessante che abbiamo visto nella demo è l'utilizzo del rampino, che diventerà veramente fondamentale nelle vostre scorribande: nella versione PS4 che abbiamo provato (la sola disponibile), abbiamo utilizzato più volte la feature per scalare dei palazzi, semplicemente puntando verso la direzione e premendo il tasto L1. Abbiamo anche notato che la meccanica si presta bene non solo alla verticalità, ma anche all'orizzontalità, risultando comoda per coprire medie distanze tra differenti edifici. Capite da voi che la cosa si lega alla grande alle caratteristiche di Evie, che può così far perdere rapidamente le sue tracce in caso i nemici stiano ingaggiando il combattimento in massa.
Interessante poi la presenza dei dardi avvelenati, con i quali potete colpire i vostri avversari, destinandoli poi ad una morte inevitabile nel giro di circa un minuto – il che vi da tutto il tempo di allontanarvi e mettervi al sicuro.
Dal punto di vista tecnico, non abbiamo notato grossi difetti e il gioco scorreva bene (ricordiamo però che l'area era grande ma limitata), il che non può che fare felici i fan della serie. La speranza è che le cose si confermino poi anche nella versione finale.

Mafia III

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:2K Czech

  • Data uscita:TBA 2016

     

     

    Il protagonista di Mafia III è Lincoln Clay, un ragazzo afroamericano rimasto orfano da bambino, che ha trovato la sua nuova famiglia nel mondo della mafia nera di New Orleans. Clay è anche un reduce del Vietnam privato dei propri diritti, deciso a vendicare i suoi cari adottivi sterminati dalla mafia italiana. Starà a noi decidere in che modo vorremo gestire l'impero criminale che col tempo ci costruiremo: astuzia e arguzia, o violenza pura e metodi tutt'altro che ortodossi.
    Successivamente alla presentazione video, ci è stata mostrata una sezione provata in tempo reale dagli sviluppatori, che vedeva Lincoln muoversi lungo le pericolose strade di New Orleans. Dopo una rapida camminata spavalda dell'antieroe, utile per dare un'idea della bontà delle dimensioni della città, abbiamo finalmente visto un po' di azione, particolarmente incentrata sulle sparatorie. In questo senso, le similitudini con gli altri capitoli sono piuttosto evidenti: anziché approfittare delle maggiori disponibilità tecniche per concentrarsi sul free roaming più selvaggio, Mafia III manterrà delle solidissime sezioni di shooting, che anche stavolta costituiranno un'ampia percentuale dell'avventura. Vi basti considerare oltretutto che sarà possibile conquistare dei rifugi, ma solo dopo averli ripuliti da cima a fondo da tutta la mala organizzata che ci si è insediata, portando avanti traffici illeciti e affari loschi. Dopo aver preso possesso degli stabili, potrete decidere se affidare la gestione ad alcuni vostri compagni. Non è ancora chiaro in che modo verrà sviluppata questa meccanica e che impatto avrà sulla crescita dell'attività mafiosa di Clay, ma nel corso delle prossime settimane dovrebbero arrivare ulteriori informazioni su questa e altre nuove caratteristiche.
    Rimanendo in tema di fidi bracci destri, 2K ci ha confermato un gradito ritorno: Vito Scaletta. Sarà per l'appunto uno dei vostri partner, che assieme agli altri due vi aiuterà nei momenti più complicati. Ci è stata mostrata a tal proposito una sezione con Lincoln che doveva interrogare un sospettato, spaventandolo con una guida pericolosa a base di salti su rampe, virate improvvise e incidenti mancati per un pelo. Dopo aver ottenuto le informazioni, era possibile giustiziare l'obiettivo o risparmiarlo. Gli sviluppatori lo hanno ucciso a sangue freddo con una pallottola in testa, ma subito dopo venivano inseguiti dalla polizia, giunta nei dintorni in un attimo. Dopo una concitata fuga – che ha creato una discreta distanza dagli agenti ma non è bastata per seminarli del tutto– Lincoln si fermava presso una cabina telefonica. Era possibile a quel punto scegliere da chi dei tre volevamo farci aiutare, creando utili diversivi, mandando degli scagnozzi armati di tutto punto o agendo per vie traverse. Naturalmente anche questa è una meccanica che verrà approfondita più in là, ed è lecito aspettarsi aiuti sempre più decisivi quando aumenterà la confidenza con gli altri personaggi. 
    Graficamente Mafia III si difendeva bene, ma ha indubbiamente bisogno di una maggiore ottimizzazione del motore grafico, che è apparso un po' in difficoltà in alcune zone caratterizzate da una forte densità. Il frame rate, in questi casi, calava vistosamente, così come la risoluzione di alcuni elementi di contorno. Abbiamo infine qualche perplessità sul modello di guida, che sembra esser stato spettacolarizzato e avvicinato a quello di altre produzioni. Naturalmente si tratta ancora di una versione preliminare, e visto che il titolo arriverà in un periodo imprecisato del 2016, c'è ancora molto tempo per sistemare i punti deboli e svelare le feature ancora avvolte nel mistero.