Ethero

giovedì 26 dicembre 2013

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO VI AUGURIAMO BUONE FESTE E BUON DOWNLOAD A TUTTI LO STAFF SONOSOLOGAME 

The Last Express Gold Edition


  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Smoking Car Productions

  • Data uscita:24 Dicembre 

     

    Se ci si ferma un attimo a voltarsi indietro, pur rimanendo nel solo ambito videoludico, il 1997 sembra essere passato da un secolo: parole ed espressioni come Steam, DLC, microtransazioni, always online, season pass e compagnia bella non solo erano sconosciute, ma lontane dall’essere implementate sul mercato; in questo periodo, la scena era dominata da titoli come FIFA: Road to World Cup 98 e Oddworld: Abe's Oddysee, ma anche da quella che ancora oggi viene ritenuta una delle avventure grafiche più importanti di sempre: parliamo di The Last Express, che grazie a Dot Emu (già curatrice della versione per iOS) ritorna ora su Steam con una Gold Edition al prezzo di € 5,99 e qualche feature aggiuntiva. Andiamo allora ad analizzare il gioco e a parlare proprio di questi nuovi elementi.

    L’Europa del 1914 viveva una stagione decisamente complicata: nel giugno di quell’anno, infatti, l’uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo segnava l’inizio delle tensioni che portarono alla prima guerra mondiale.
    La narrazione di The Last Express parte proprio da una delle città simbolo del vecchio continente, Parigi, e proprio nel 1914: sull’Orient Express diretto a Costantinopoli Tyler Whitney aspetta il suo amico Robert Cath; questo, personaggio principale del gioco, è un dottore americano dal passato burrascoso, braccato dalla polizia francese. Una volta salito a bordo del treno, Cath scoprirà che la situazione è molto più complicata di come l'invito di Whitney ricevuto precedentemente lasciasse presagire.
    Sviluppata da Jordan Mechner, creatore della serie di Prince of Persia, The Last Express è un’avventura grafica bidimensionale che, è bene metterlo subito in chiaro, eccelle in numerosi campi, anche se tra tutti l’aspetto più meritevole sembra essere quello narrativo. Sono pochi i titoli che riescono così bene a trasmettere l’atmosfera del periodo storico in cui sono ambientati: in questo, il gioco a suo tempo sviluppato da Smoking Car Production riesce in pieno, capace com’è di restituire molte di quelle suggestioni che accompagnano le vicende di inizio secolo scorso. Tutto ciò è possibile anche grazie agli ottimi personaggi secondari presenti nel titolo: nella peregrinazione per i vagoni del treno (che costituiranno sostanzialmente larga parte dell’ambientazione esplorabile), Cath incontrerà personaggi capaci di stamparsi nella memoria; sebbene non sia possibile dilungarsi molto su questi particolari senza spoilerare, meritano una citazione miss Wolff, l’affascinante violinista austriaca, o herr Schmidt, sfuggente mercante d’armi tedesco. Anche i comprimari, in questa avventura, hanno il loro valore: il poter agire in un ambiente così ristretto farà sì che si possano apprezzare anche i personaggi all’apparenza meno importanti.
    Insomma, ci si ritroverà a vivere una vicenda fatta di figure misteriose e interessi contrastanti, il tutto ben collegato alla realtà storica del tempo; tralasciando il gameplay, che pur influenza fortemente lo svolgimento del titolo, The Last Express offre una storia interessante che riesce ad adattarsi non solo all’ambientazione, ma anche alle dinamiche tipiche dei lunghi viaggi in treno: a ogni fermata del viaggio, dunque, il titolo proporrà qualcosa di nuovo e, se non si starà attenti, la storia potrebbe finire sul più bello, visto che il gioco propone tanti finali quante sono le possibilità di avanzare. Spiegando meglio il tutto, dobbiamo dire che se il giocatore non riuscirà in tempo a svolgere una determinata attività, il viaggio potrebbe terminare anzitempo, e la spiegazione di quanto avvenuto sarà affidata alle pagine del diario di una delle viaggiatrici del treno. Una trovata, questa, che ancora oggi risulta essere raffinata e sorprendentemente efficace, capace com'è di restituire al tutto ancora più eleganza e spessore narrativo.

    Il gameplay di The Last Express è estremamente peculiare: l’azione, infatti, si svolgerà sul treno, e ciò farà sì che le attività in cui si verrà impegnati saranno per la maggior parte l’interazione con i viaggiatori e con vari oggetti. Una delle particolarità, conseguenza anch’essa del lungo viaggio raccontato dal titolo, è il ruolo cruciale del fattore tempo: ogni minuto passato nel gioco, infatti, corrisponde a sei minuti reali, e se si considera che a ogni stazione il titolo proporrà situazioni sempre nuove e differenti, si comprende come anche il solo semplice stare fermi per un certo tempo potrebbe far sì che la storia non vada nella direzione sperata.
    Sarà necessario, dunque, compiere determinate azioni al momento giusto, pena la possibile interruzione prematura della vicenda.
    Non sono state tantissime, dopo The Last Express, le avventure che hanno tentato l’impresa di implementare il tempo come fattore critico del gameplay: ci ha provato una decina di anni dopo Benoit Sokal, con Sinking Island, in cui i minuti e le ore passavano inesorabilmente mentre si cercava di far luce su un delitto, ma se nell’avventura del creatore di Syberia una volta scaduto il tempo si poteva fare ben poco (a meno di non scegliere la modalità di gioco classica, senza limiti), in The Last Express il flusso di minuti e ore potrà essere manovrato a proprio piacimento.
    Ogni volta che si compie una determinata azione, infatti, il gioco registrerà le mosse del giocatore e creerà dei checkpoint dai quali, una volta finita anzitempo la propria esperienza per via di qualche errore, si potrà riprendere l’avventura. Ciò significa ad esempio che sì, prima di arrivare a ogni stazione bisognerà compiere determinate azioni, ma che anche nel caso in cui non si riesca nell’impresa le lancette dell’orologio potranno sempre essere spostare indietro per riprendere dal punto più vicino.
    Un altro elemento interessantissimo di The Last Express, inoltre, è legato al fatto che l’azione del giocatore sarà molto libera: privo di paletti e percorsi predefiniti, il giocatore potrà compiere le azioni richieste in ordine vario e in differenti orari, purché si arrivi in determinati momenti narrativi avendo completato tutto quello che si deve fare. Anche qui, però, la particolarità del titolo è che spesso bisognerà ragionare per bene prima di agire: in questo senso si può apprezzare il primo cambiamento di questa Gold Edition rispetto alla versione precedente dell'avventura; laddove nell’originale il giocatore veniva tutto sommato lasciato solo con le proprie intuizioni, infatti, in questa nuova edizione (così come in quella per iPad) si è provveduto a inserire un sistema di aiuti che dirà cosa fare e con chi andare a parlare. I puristi potrebbero storcere il naso, ma tutto sommato si tratta di una feature sensata e che potrebbe aiutare a fruire del prodotto in modo migliore; va interpretato in questo senso anche la rivisitazione dell’interfaccia di gioco e dell’inventario, ora più intuitivo e ordinato.
    L’azione di gioco, dunque, è incentrata sull’agire di Cath a contatto con gli altri personaggi: sarà ascoltando le loro conversazioni, origliando le proprie reazioni alle nostre azioni, pensando a cosa sia più sensato fare, che i giocatori di The Last Express riusciranno ad arrivare alla fine delle circa venti ore di cui si compone l’avventura con un certo senso di soddisfazione, come quando si finisce di leggere un bel libro.

    Accanto a un comparto narrativo di prim’ordine, e a un gameplay originale e che ben si adatta alla storia proposta, ai suoi tempi The Last Express ha saputo regalare anche spunti di riflessione in ambito tecnico. La grafica del titolo, bidimensionale, può pregiarsi della presenza di personaggi realizzati in rotostcope; degli attori in carne e ossa, in buona sostanza, hanno cioè recitato le varie scene del gioco, e dopo ciò una selezione di frame colta da queste performance è stata ulteriormente lavorata e sviluppata di modo da ottenere la grafica che offre il titolo. Tutto ciò ha permesso di ottenere movimenti volutamente a volte molto fluidi, e in altri tratti poveri di dinamicità. La scelta si scontrava con le limitazioni del tempo, ma a suo modo riesce a dare al titolo un aspetto sempre attuale, grazie anche alla cura elevata nello stile di personaggi e ambientazioni. In questa nuova versione proposta su Steam, per la verità, in un primo tempo questa fluidità si era persa a causa di problematiche tecniche: nel momento in cui scriviamo, però, un'importante patch risolutrice ha eliminato queste problematiche, e la resa visiva del titolo propone la stessa qualità dell’originale.
    C’è da parlare poi di un altro grande punto a favore del titolo, ovvero il doppiaggio: la già citata atmosfera europea, oltre che dai modi e dagli abiti dei personaggi, viene data anche e soprattutto dalla recitazione dei vari personaggi. In un gioco in cui si scontrano culture e linguaggi differenti, la scelta degli sviluppatori originali è stata quella di far parlare i personaggi sostanzialmente in due lingue: i dialoghi meno importanti, o comunque quelli in cui non si viene coinvolti in prima persona, sono dunque recitati nell'idioma proprio di ogni protagonista (si potrà dunque sentire parlare, tra le altre, in tedesco, francese, serbo e via di questo passo), mentre quelli più importanti saranno nella lingua principale scelta a inizio partita (è presente, così come nella versione originale, la localizzazione italiana).
    Questa scelta se si vuole sensata ha però una conseguenza un po’ negativa, che purtroppo in questa nuova edizione non viene rivista: i dialoghi che si svolgeranno nella lingua principale, infatti, non sono corredati da sottotitoli, al contrario della maggioranza di quelli doppiati in lingue più “esotiche”. La conseguenza di ciò è che chi volesse godere dell’avventura in inglese, ma magari non comprende benissimo la lingua di Albione, vedrà gli spezzoni parlati in questo idioma privi di sottotitoli, mentre tutti gli altri, in cui si parla francese o tedesco, avranno il conforto della traduzione via testo.
    Merita una citazione, completando l’analisi del comparto audio, la recitazione di tutti i vari attori, che riescono a risultare credibili anche nella versione italiana, oltre che nei dialoghi nelle varie lingue straniere che si incontreranno durante il gioco. Non si può non sottolineare poi la colonna sonora, interamente originale e riproposta integralmente, che riesce sempre a fornire il giusto supporto.
    Concludiamo questa lunga recensione, infine, con qualche appunto sul versante tecnico: il titolo consente di giocare a risoluzioni più “moderne” di quelle proposte nella versione originale, sebbene alcuni utenti abbiano segnalato problemi di visualizzazioni con le combinazioni widescreen (non è stato il nostro caso). Alcuni bug segnalati nella prima versione del titolo, infine, sembrano siano stati risolti per la maggioranza dei casi con l’update di cui abbiamo parlato in precedenza. 

giovedì 19 dicembre 2013

The Walking Dead:Season Two

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Telltale Games

  • Data uscita:17 dicembre 2013

     

    Lo scorso anno Telltale Games è riuscita a regalare al popolo videoludico una perla narrativa di rara bellezza, un gioco capace di suscitare forti emozioni e di trascinare il giocatore in una storia capace di ancorarsi saldamente alla memoria.
    Lee, la piccola Clementine, Duck e tutta una serie di personaggi secondari sono entrati in scena e scomparsi altrettanto velocemente, ma ognuno di loro è stato capace di lasciare qualcosa di davvero unico nella storia di The Walking Dead, donando alla trama una quantità di sfaccettature ed emozioni davvero impareggiabile.
    A poco meno di due settimane dal Natale, ecco arrivare sui principali store digitali il primo capitolo della seconda stagione di The Walking Dead, con l'arduo compito di confermare le ottime sensazioni avute con i precedenti episodi. Come cantava Caparezza "il secondo album è sempre il più difficile”, e noi ci siamo gettati in una tesissima sessione di gioco tra gli zombie per scoprire se Telltale è davvero riuscita a ripetersi.

    Vi vogliamo subito tranquillizzare, questa nostra recensione, al contrario del Play Night dell'altra sera, non conterrà alcuno spoiler di sorta, ma si limiterà ad analizzare nel dettaglio quanto il gioco è riuscito a proporci, senza ovviamente andare a toccare i punti chiave della trama.
    Partiamo quindi dal principio, o meglio dal passato, visto che questo primo capitolo è il seguito diretto delle avventure di Lee e Clementine vissute lo scorso anno sui nostri monitor.
    Dagli accadimenti della prima stagione sono passati ormai più di sedici mesi, e tra una disavventura e l'altra la piccola Clem si trova a dover vagare per il paese, senza una meta precisa, e con il peso di un'apocalisse zombie che sembra non volerle proprio dare tregua.
    A differenza della scorsa stagione, la mancanza di una presenza protettrice per la piccola mette sotto una luce completamente diversa la storia e ovviamente influisce anche sul nostro modo di approcciare l'avventura.
    Non sarà infatti semplice comportarsi in maniera sgarbata o da veri egoisti una volta immedesimati nel personaggio. Tutti coloro che hanno vissuto l'esperienza della prima stagione sanno quello che Clem ha passato e ora che possiamo influenzare in maniera diretta le sue azioni, tramite le consuete scelte multiple durante i dialoghi, optare per quelle più aride di sentimenti, almeno inizialmente, risulterà praticamente impossibile.
    È bastato poco a Telltale ad ogni modo per farci cambiare prospettiva, giusto una manciata di minuti nei quali succede davvero di tutto e la storia ci trascina nuovamente nell'universo crudo, violento e senza scrupoli di The Walking Dead.
    È la stessa Clem, con i suoi sguardi più carichi di rabbia che di paura, a farci capire che non è più la bambina impaurita che avevamo amato, ma che ora è cresciuta, forse in modo sbagliato e troppo velocemente per la sua età. Ci troviamo per le mani un personaggio giovane, nel senso stretto del termine, ma che come esperienze di vita non ha nulla da invidiare agli "adulti" che si incontreranno nel gioco. Clementine ne ha subite veramente di ogni e ha perso affetti, persone care, è stata tradita e usata, eppure è ancora qui in piedi a lottare per la sua sopravvivenza.
    Se con Lee incontrare uno zombie singolo si traduceva spesso in uno scontro di forza, utilizzando Clem non avremo ovviamente le stesse capacità offensive ed ecco allora che l'agilità, la fuga e più in generale l'ingegno saranno essenziali per riuscire a sfuggire dai lenti camminatori.
    In questo primo capitolo i momenti in cui ci troveremo messi alle strette o dovremo affrontare gli zombie non scarseggeranno minimamente e Clem dimostrerà ancora una volta di aver imparato a fronteggiare la minaccia solo grazie alle capacità maturate negli ultimi mesi, mettendola definitivamente sotto un punto di vista completamente nuovo per il giocatore.
    All That Remains parte fortissimo, con buoni colpi di scena e una trama che sembra poter reggere il confronto con la prima, epica, stagione. L'ottimo feeling e le buone sensazioni ispirate da una scena iniziale davvero incredibile perdono però purtroppo di spessore mano a mano che la narrazione avanza. La fase centrale è piuttosto lenta e si trascina tra colpi di scena prevedibili e incontri piuttosto scontati. Clem verrà in contatto con tanti nuovi personaggi e, sebbene le personalità non siano state approfondite a dovere in questo primo capitolo, una bruttissima sensazione di "già visto" e di prevedibilità, sfortunatamente ci ha colpito.
    Ad eccezione di qualche colpo di coda, tutta la parte finale della storia ci ha dato l'impressione di appoggiarsi ai soliti forti cliché di The Walking Dead, con i nuovi comprimari che davvero non riescono ad uscire dai loro comportamenti egoistici a volte eccessivamente sopra le righe. Speriamo che nel prossimo appuntamento la situazione migliori e si evolva in maniera inaspettata, perdere lentamente uno alla volta i nostri nuovi compagni saprebbe davvero troppo di semplice remake della prima stagione e rischierebbe, a nostro modo di vedere, di appiattire eccessivamente la trama.
    Dal punto di vista ludico nulla è cambiato. Permangono le scene infarcite di QTE durante le quali sfuggire a mille pericoli, piccole fasi di esplorazione e semplici puzzle da risolvere che rallenteranno solo temporaneamente il nostro cammino.
    Rimangono piuttosto deludenti le animazioni dei diversi personaggi, soprattutto durante il controllo del giocatore, e il comparto tecnico leggermente migliorato, con effetti luce e texture più curate, non riesce a mascherare completamente le tante magagne grafiche che la produzione si trascina dietro dallo scorso anno.
    Ottimi invece i dialoghi e il doppiaggio, ed eccezionale la colonna sonora, curata ed emozionante come sempre.

martedì 17 dicembre 2013

Broken Sword:The Serpent's Curse

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Revolution Software Inc.

  • Data uscita:4 Dicembre 2013 (PC) - Fine 2013 (iOS-Android)

     

    Agli appassionati di avventure grafiche, specie se di lunga data, alcuni nomi riescono subito a evocare ricordi piacevoli: quelli di George Stobbart e Nicole Collard, ad esempio, sono legati indissolubilmente alle avventure della saga di Broken Sword. Tra alti e bassi, e pause più o meno lunghe, la serie ha saputo rappresentare per molto tempo un esempio di avventura grafica di qualità e capace di rinnovarsi, pur rimanendo in qualche modo sempre fedele alle proprie tematiche narrative. Grazie a Kickstarter, ora gli avventurieri possono tornare a godere delle peripezie della coppia in questione attraverso il primo episodio dell'ultimo capitolo della saga, ovvero Broken Sword 5 – La maledizione del serpente, disponibile a € 22,99, e sviluppato dalla software house che da sempre ha affiancato il proprio nome a questa serie, ovvero Revolution. Vediamo se è l’attesa è stata ripagata da un titolo all’altezza.

    La campagna di crowdfunding relativa a Broken Sword 5 – La maledizione del serpente si è conclusa con una raccolta di poco vicina agli $ 800.000; la cifra in questione, in ogni caso, non sembra abbia permesso agli sviluppatori di rientrare nei limiti temporali (e forse qualitativi) previsti, tanto è vero che il titolo giunge sul mercato in ritardo rispetto al termine inizialmente calcolato e, soprattutto, diviso in due episodi: una scelta, questa, che potrebbe non trovare d’accordo più di qualche giocatore.
    In ogni caso, conviene procedere con criterio: dopo una cutscene iniziale ambientata negli anni ’30 in Spagna, buona per comprendere il pretesto che fa da sfondo all’intera narrazione, ci ritroveremo nella Parigi dei giorni nostri; sullo sfondo della Torre Eiffel, ritroveremo la coppia che da sempre ha recitato la parte da protagonista in Broken Sword, ovvero George e Nico. L’incipit della storia, in verità, sembra essere forse un po’ forzato: i due, infatti, si incontrano in una piccola galleria d’arte parigina per motivi di lavoro; l’americano guascone, da par suo, è l’assicuratore della mostra in corso, mentre la fascinosa giornalista francese è incaricata di seguire l’evento. La piccola galleria d’arte, dopo pochi secondi, diventerà però teatro del furto di un misterioso dipinto che rappresenterà il fulcro dell'intera vicenda. Partirà da qui la storia vera e propria di questo primo episodio che, tra intrighi internazionali e misteriosi riti eretici, farà sentire gli amanti dei primi capitoli della serie (e delle avventure grafiche in generale) subito a casa; dinamiche classiche ed enigmi piacevoli, infatti, saranno la struttura portante di questo primo episodio di Broken Sword 5 – La maledizione del serpente, che dal punto di vista narrativo propone una storia tutto sommato interessante. In merito al plot, dobbiamo dire che il ritmo della storia è, soprattutto durante la prima metà delle circa sei, sette ore di gioco, un po’ lento e compassato. La trama che si dipana attraverso l’indagine dei due personaggi acquista interesse soprattutto nelle ultimissime fasi di gioco, e forse la prima volta in cui ci si ritroverà a voler veramente sapere come va a finire il tutto la vicenda si interromperà sul più bello, non mancando però di regalare un discreto colpo di scena. Insomma, la scelta di voler tagliare in due il progetto porta inevitabilmente con sé delle conseguenze, spezzando il ritmo che si era finalmente venuto a creare. C’è da dire, però, che arrivati alla fine dell’episodio la volontà di vedere come continuerà la storia sarà di sicuro presente, e questo è un merito della produzione Revolution.
    Ci troviamo davanti, dunque, a una storia piacevole, narrata in modo semplice e con pochi fronzoli, con sole tre cutscene in circa sei ore di gioco, e un ritmo lento che tende ad aumentare nel finale; una delle cause principali di questa lentezza è da ricercare nella grande presenza di dialoghi, per fortuna skippabili grazie all’azione del mouse. Broken Sword 5 – La maledizione del serpente difatti è un titolo molto verboso, che però riuscirà a risultare sempre abbastanza gradevole grazie alla caratterizzazione di alcuni personaggi, sempre molto inquadrati in un preciso ruolo, e soprattutto grazie all’alchimia tra i due personaggi principali: saranno proprio le sequenze in cui George e Nico saranno presenti contemporaneamente, infatti, a regalare le soddisfazioni e i momenti migliori.
    Ritorno a casa
    Il primo aggettivo che salta in mente per poter descrivere il gameplay del titolo è: classico. Partendo dalle attività principali da svolgere, fino alla gestione dell’inventario, l’intero titolo trasuda di quelle dinamiche tradizionali che faranno sì che gli avventurieri più esperti si ritrovino nel loro ambiente più congeniale. La sfida proposta dal titolo Revolution, permettendo di controllare sia George che Nico, prevede la risoluzione di enigmi di stampo logico e ben calati nello sviluppo della trama, la raccolta di oggetti, l’interazione con personaggi secondari e l’esplorazione di differenti ambientazioni. Si tratta, dunque, di un gameplay punta e clicca eseguito con certezza e che non lascia spazio a sorprese: non crediamo di sbagliare, dunque, nel momento in cui affermiamo che Broken Sword 5 – La maledizione del serpente riesca riprendere il filo del discorso iniziato con i primi due capitoli bidimensionali della serie.
    Scendendo nel dettaglio c’è da dire che gli enigmi proposti, dal livello medio e spesso di stampo logico, richiederanno per la maggior parte delle volte un po’ di raziocinio: si tratterà di comprendere quale sia l’obiettivo e come raggiungerlo con gli oggetti a nostra disposizione e le informazioni ricevute dai personaggi con i quali abbiamo interagito. La sfida è complessivamente piacevole, sebbene alcune volte il ragionamento che si cela dietro alla risoluzione di alcuni puzzle sia un po’ fantasioso: questa evenienza, in ogni caso, non eccede mai limiti evidenti, e tutto sommato rappresenta uno dei quei tratti riscontrabili anche in altre avventure grafiche in circolazione.
    La fase di raccolta oggetti, presenti in numero discreto (e anche questi, a volte dalla natura fantasiosa e stravagante), ci consente poi di parlare dell’inventario, gestito anch’esso in modo molto semplice. Questo elemento, infatti, posto a mo' di barra sulla parte bassa dello schermo, riunisce le cianfrusaglie raccolte durante le nostre peregrinazioni. C’è da dire che il numero di elementi, saltuariamente combinabili tra di loro, sarà discretamente alto, e che più di una volta sarà la giusta interazione tra un oggetto e un determinato personaggio a far proseguire nell’avventura; tutto ciò è reso più intuitivo dal fatto che gli oggetti raccolti, una volta iniziata una discussione con un personaggio, compariranno tra le possibili opzioni di dialogo, generando a volte situazioni umoristiche (come l’andare in giro a offrire a chiunque biscottini per il te, gomitoli di lana o una scatola di fiammiferi con dentro uno scarafaggio).
    Per quanto riguarda la fase di esplorazione e raccolta oggetti, la variabile principale sembra essere quella legata alla numerosità delle ambientazioni, non proprio così altissima; soprattutto nella prima metà dell’avventura, infatti, si ritornerà spesse volte nelle stesse location, esplorabili anche grazie a una mappa che, comunque, non si rivelerà mai così indispensabile, visto che la linearità della storia suggerirà sempre il luogo corretto da scegliere. Sebbene questo numero esiguo sia tutto sommato giustificabile dallo sviluppo del plot, questa scelta farà sì che in alcune occasioni si saprà già, all’interno di una location, dove andare a cercare ciò che manca alla risoluzione di un enigma. Anche per questo, la fase di ricerca vera e propria presenta poche difficoltà di sorta, e tutto ciò farà sì che l’attenzione del giocatore sarà tutta rivolta a come utilizzare gli oggetti una volta trovati, e a come adoperare gli stessi con i personaggi con cui si verrà a contatto. Concludiamo la riflessione sul gameplay con qualche accenno al sistema di aiuti: abbiamo detto che Broken Sword 5 – La maledizione del serpente propone una sfida che risulterà piacevole agli amanti del genere, ma nel momento in cui ci si ritroverà bloccati da qualche enigma particolare il titolo verrà incontro al giocatore; gli aiuti non consistono nel classico tasto che va ad evidenziare gli hot spot presenti su schermo (un po’ come ci ha abituato, tra gli altri, Daedalic Entertainment), ma in un sistema di suggerimenti (per la verità abbastanza profondo) che andrà a suggerire cosa fare.
    La direzione artistica dello storico fondatore di Revolution, Charles Cecil, regala sotto il profilo grafico una rappresentazione bidimensionale decisamente positiva, forse più vicina alle avventure Pendulo che a quelle Daedalic, e certamente godibile e molto bella da guardare nella quasi totalità delle ambientazioni. Qualche appunto potrebbe essere mosso alla legnosità dei protagonisti, fatto questo che determina una lentezza di fondo negli spostamenti verso gli oggetti da raccogliere.
    Risulta gradita poi la possibilità di poter scegliere tra uno stile moderno e uno più classico relativamente all'aspetto dell’inventario e dei sottotitoli: a questo proposito, segnaliamo che durante le nostre prove siamo stati testimoni di alcuni crash dovuti, per quanto è stato possibile capire, a un problema proprio della versione “moderna” dell’inventario. Il problema, presentatosi proprio alla fine dell’avventura, è risolvibile al momento cambiando la lingua dei testi o, alternativamente, tornando proprio alla versione classica dell’inventario, meno gradevole esteticamente ma senza dubbio funzionale.
    Per quanto riguarda il comparto audio, l’impressione è che si sarebbe potuto fare qualcosa in più nella recitazione in inglese di alcuni personaggi: a questo proposito, c’è da segnalare che i dialoghi si svolgeranno sempre in modo abbastanza lento, con un distacco tra una battuta e l’altra a volte fastidioso e che spesso romperà il ritmo; questo, nel lungo tempo, potrebbe far sì che si inizi a skippare battute senza pietà appena letti i sottotitoli, ma in questo caso, è bene dirlo, le animazioni non seguiranno il salto delle battute, per cui bisognerà attendere che i personaggi finiscano di muoversi per poi poter proseguire.
    Al momento non è disponibile il doppiaggio italiano, ma sembra che lo sviluppatore abbia garantito che la localizzazione nella nostra lingua arriverà col secondo episodio dell’avventura; in attesa di riscontri, cogliamo l’occasione per concludere ricordando che con l’acquisto di questo primo episodio di Broken Sword 5 – La maledizione del serpente si otterrà il secondo capitolo sotto forma di aggiornamento gratuito. 

Reus


  • Genere:Gestionale

  • Data uscita:Disponibile

     

    Alcuni generi resistono strenuamente al passare del tempo, come montagne inamovibili e mai toccate dal vento e dalla pioggia. Altri, vengono spazzati via, o si trasformano in collinette rappresentate da pochissimi progetti, tenuti d’occhio da pochi appassionati speranzosi. Una di queste collinette sono i god game, in passato attesi con trepidazione dai giocatori e ora quasi dimenticati, relegati ai progetti indipendenti di alcuni noti sviluppatori e alle opere di team più piccoli.
    Abbey Games fa parte del gruppetto delle software house minute che ancora ci crede, a quanto pare, perché tempo fa i suoi ragazzi (tutti studenti universitari) hanno sfornato Reus, un curioso titolo dove al giocatore è dato ancora una volta il ruolo di una divinità. Sbagliereste però a ritenere il progetto di questa squadra un god game comune. Reus è un'opera dalle molte peculiarità, che riesce a distinguersi dalla massa anche in una tipologia di giochi sempre meno popolosa (o Populousa, ahahahah… ok mi sferro un ceffone da solo, ho capito nd. Pregianza). 
    In principio c’erano… i giganti
    Reus significa gigante, nome quanto mai azzeccato visto il gameplay dell’opera Abbey Games. Pur vestendo i panni di un dio, infatti, agirete sul mondo per mezzo di quattro giganti elementali, dotati di molteplici abilità. Contrariamente a quanto potreste pensare, il titolo sarà bidimensionale, e la superficie del mondo andrà ruotata manualmente, in modo da gestire al meglio il territorio. Questo perché l’azione combinata dei giganti darà modo all’utente di creare oceani, deserti, paludi e foreste, che potranno in seguito venir riempite di risorse variabili per supportare al meglio una colonia di esseri umani. 
    Fin qui potrebbe sembrare un sistema simile a quello di titoli del genere visti in passato come i Black and White, con una centralità maggiore dei giganti nella gestione delle meccaniche di gioco. Non è così. Reus è una sorta di puzzle game matematico più che un vero “simulatore di entità superiore”, dove è fondamentale capire al meglio come gestire le risorse, e utilizzare i poteri dei giganti in modo da far aumentare a dismisura queste ultime e il benessere dei villaggi nati negli ecosistemi creati. 
    Cerchiamo di spiegarci meglio: le abilità degli enormi bestioni mistici al vostro comando consistono principalmente nella creazione di piante, animali e/o minerali di qualche tipologia. A seconda del tipo di zona formato le risorse inserite varieranno, e offriranno quantitativi variabili di ricchezza, cibarie, o punti ricerca alle colonie umane vicine. Queste colonie nascono e prosperano peraltro proprio grazie alle risorse offerte, e si evolvono costruendo progetti randomici, che richiedono specifici quantitativi delle sopracitate risorse per essere completati. Lo scopo del gioco, prima della fine di un’era, è far prosperare un tot di villaggi in varie zone, e ottenere una serie di obiettivi legati agli insediamenti e alla loro crescita.
    Il tutto appare piuttosto semplice, spiegato così, ma man mano che i progetti si ampliano diventa sempre più arduo ottenere le risorse necessarie negli appezzamenti di terreno disponibili. Per farlo è necessario sfruttare le simbiosi delle varie piante, pietre o animali, caratteristiche che portano a una crescita esponenziale delle risorse ottenibili da ognuno di questi elementi, a patto di avere nelle vicinanze altre creazioni specifiche dei giganti. Per farvi un esempio più concreto, determinati minerali offriranno più punti ricchezza se vicini a una tana di animali, mentre certe erbe medicinali prospereranno maggiormente se a fianco di una pianta ricca di frutti, e così via. Questo porta a dover calcolare attentamente come muovere e utilizzare i giganti e le loro capacità magiche per evolvere al meglio un villaggio, cosa che può rapidamente farsi impegnativa.
    Lo scheletro portante del gioco, peraltro, non si limita certo a questo. I giganti saranno infatti inizialmente limitati, e dovranno sbloccare nuovi poteri raccogliendo “ambasciatori” dai villaggi, non appena completato un progetto. Raccogliete abbastanza di questi sciamani di sorta, e potrete modificare le vostre creazioni in tanti modi diversi, ottenendo una pletora di alberi, bestiole e minerali, ognuno con una sinergia unica. 
    Ci sarà infine anche da tenere d’occhio l’aggressività delle popolazioni, visto che i giganti non sono immortali, e i villaggi possono divenire facilmente guerreschi, costringendovi a dimostrazioni di forza per proteggere popolazioni vicine, o pacificare un gruppo di individui particolarmente inalberato.
    Complicato, non c’è che dire, ma appagante e funzionale, anche in virtù di una comoda pausa dell’azione con cui è possibile dare comandi ai titani senza perdere tempo. L’unico problema sta nella ripetitività della formula dopo un po’, visto che il gioco offre inizialmente solo una modalità libera (senza avanzamento e obiettivi) e un’era principale della durata di mezz’ora, nella quale si dovranno completare più obiettivi possibile. Sbloccate abbastanza di questi traguardi, e otterrete ere allungate, che vi permetteranno di riempire il pianeta di villaggi e di gestire intere civiltà. 
    Tecnicamente il titolo è molto semplice, ma ha uno stile molto particolare e azzeccato, oltre che un gameplay ben studiato. Da una parte gli amanti dei god game classici potrebbero venir alienati dalla struttura del gioco di Abbey Games, ma gli amanti del gameplay ponderato verranno di certo almeno in parte catturati dalle idee di questa talentuosa software house.
    Siamo rimasti curiosamente colpiti dall’interfaccia di gioco, che ben si sposa con i comandi da tastiera, ma sembra inizialmente congegnata per un dispositivo mobile. Di certo, comunque, Reus sembra prestarsi bene ai dispositivi portatili dotati di touchscreen, e quanto a prezzo siamo già a quei livelli, visto che nei negozi digitali si può trovare il titolo a costi davvero ridicoli.

venerdì 13 dicembre 2013

Yaiba Ninja Gaiden Z


  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Team Ninja

  • Data uscita:28 febbraio 2014

     

    Dimenticando per un attimo il pessimismo cosmico che distingue certi individui (ogni riferimento a cose e persone note col nome di Pregianza è puramente casuale), noi giornalisti videoludici tendiamo ad essere positivi in fase di preview. E' naturale, dopotutto, aspettarsi una netta evoluzione da un prodotto provato quando ancora è incompleto, specialmente quando si ha modo di dare feedback diretto agli sviluppatori. 
    A volte però le critiche vengono bellamente ignorate, e il prodotto finale mostra tutte le problematiche analizzate nella prova parziale, cosa che, oltre a crearci un certo sconforto, ci porta ad andarci giù pesante in sede di review per via delle aspettative infrante.
    Ecco, fatta questa doverosa premessa, vogliamo precisare che il gioco da noi osservato stavolta, Yaiba: Ninja Gaiden Z, è davvero promettente, ma che si tratta anche di un prodotto che necessita di limature pesantissime e di una revisione notevole del comparto tecnico per convincerci del tutto. Non lo sottolineiamo in modo così diretto per esser cattivi o altro, ma solo perché questo strambo titolo nato da una collaborazione tra i Comcept, il Team Ninja, e gli Spark, ci ha sorpreso molto più di quanto ci saremmo aspettati, e vedere tutto buttato a mare ci dispiacerebbe parecchio. 
    Grazie a una gita nella sede milanese di Halifax abbiamo potuto provare i primi tre livelli del gioco e, udite udite, intervistare Hayashi e Inafune in persona. Ora vi racconteremo cosa abbiamo scoperto, e perché desideriamo ardentemente di veder spuntar fuori un buon action game completo da questo grezzo codice preview.
    Un ninja cattivissimo
    Se avete seguito lo sviluppo di Yaiba, sapete già come si connette alla serie Ninja Gaiden. Il nostro eroe è un ninja di quelli con pochi scrupoli, che non ha grandi problemi a massacrare innocenti e lavora principalmente per soldi e alcool. Uno stile di vita che lo porta a cozzare con il super ninja Ryu Hayabusa in uno spettacolare filmato introduttivo. Solo un piccolo problema, Hayabusa non è definito “super ninja” per caso, e alla fine di una dura battaglia Yaiba si ritrova... morto, con un braccio e un bel pezzo di cranio mozzati.
    A riportarlo tra i viventi ci pensa un misterioso benefattore, che comunica inizialmente con il ninja tramite una sexy segretaria chiamata Miss Monday. Trasformato in un cyborg, ma sempre strafottente come non mai, Kamikaze (sì, il nome di Yaiba è davvero Kamikaze...) si ritrova in Russia a dover combattere contro delle orde di zombie spuntate non si sa bene da dove. La cosa migliore? Hayabusa è da quelle parti! Due piccioni con una fava assassina insomma. 
    La premessa, come prevedibile, è assurda, ma ben si sposa con lo stile over the top del Team Ninja. Considerando che la casa nipponica non ha mai sfornato una trama decente in tutta la sua esistenza, abbandonare qualunque velleità seriosa e puntare tutto sulla demenzialità delle vicende e sull'umorismo nerissimo e rozzo del protagonista è forse la cosa migliore. Allo sviluppo, comunque, ci sono principalmente gli Spark, un team tutt'altro che superlativo, ma forse dotato di scrittori migliori di quelli a disposizione di Hayashi e compagnia. 
    Poco importa tuttavia della trama, il punto forte del gioco è il gameplay, ed è forte per davvero. Il sistema di Yaiba si rifà in parte a quello dell'ultimo Ninja Gaiden, ma elimina del tutto l'inerzia dei colpi, puntando su scontri velocissimi e meccaniche classiche ma solide. In pratica Kamikaze ha a disposizione tre tipi di attacchi, che possono venir fusi in combinazioni variabili. Le combo non sono messe lì solo per fare numero, hanno realmente effetti diversificati, anche perché gli attacchi di Yaiba non sono semplici colpi leggeri e potenti, bensì armi a parte: usando il pugno bionico si sferrano colpi potenti e capaci di spezzare la guardia nemica, la catena permetterà di utilizzare attacchi ad area utili per sfoltire le masse di zombie, e la spada invece sarà indicata per fare danni su avversari singoli con gran velocità. Vi troverete a unire tali colpi in serie molteplici, che aumenteranno peraltro con il potenziarsi del vostro ninja a forza di uccisioni. Le meccaniche offensive ci sono parse calcolate in modo ottimo, in virtù del gran numero di nemici e della necessità di diversificare gli attacchi in base alla loro tipologia. Potrete abusare della catena solo fino a un certo punto, perché porterà all'aumento di torsi striscianti sul campo di battaglia (varianti fastidiose degli zombie che vi si incolleranno addosso e andranno scrollati a forza di pugni e schivate), il pugno bionico sarà utile contro bestioni corazzati, ma la sua lentezza vi lascerà leggermente scoperti, mentre usare solo la spada porterà i nemici a sfoltirsi troppo lentamente. Già nei primi livelli abbiamo notato una mescolanza di zombie tale da costringerci a utilizzare buona parte dei nostri mezzi offensivi, e ciò è cosa buona e giusta. Aggiungete a tutto quanto una parata che interrompe all'istante qualunque mossa, una buona schivata senza tempi di recupero, un livello di difficoltà superiore alla media, e persino delle contromosse istantanee, e otterrete un ottimo sistema di combattimento, che ci ha divertito da matti nel breve tempo concessoci.
    Non mancano nemmeno le unicità, poi. Ammazzati abbastanza zombie, sarà infatti possibile attivare una modalità furia, che renderà Yaiba in grado di fare a pezzi senza pietà tutti i nemici circostanti in pochi secondi. Le parti di zombie eliminati, inoltre, potranno essere usate a mò di armi improvvisate, quindi un non morto catturato con la catena diventerà facilmente una sorta di mazza, mentre pezzi di nemici speciali, come una sposa zombie elettrizzata vista nel secondo stage, fungeranno da armi elementali con effetti aggiuntivi. Difficile dire quanta varietà queste trovate aggiungeranno alla campagna, ma è un buon inizio. Meno bene le fasi platform, sezioni lineari e facilotte che richiedono di usare un'alternanza di balzi e catena. Sono brevi, ma non offrono nulla di rilevante all'interno del sistema di gioco.
    Ora, arrivati qui potreste iniziare ad essere esaltati per il gioco, e fareste pure bene, perché il combat system effettivamente può fare meraviglie se inserito in una campagna capace di valorizzarlo. Non è ad ogni modo tutto rose e fiori, perché la versione da noi provata era tecnicamente ATROCE. Premesso e concesso che si trattava di una alpha molto arretrata, cosa confermata dagli sviluppatori, il titolo che ci siamo trovati davanti era completamente privo di anti aliasing, sgranato come poche cose al mondo, presentava cali di frame rate, e vantava bug grandi come un dirigibile. Abbiamo visto poligoni deformarsi come melma, nemici sparire e riapparire all'improvviso seppur privi di teletrasporto, zombie infilarsi nei muri come se fossero portali per un'altra dimensione, e tante altre chicche orribili. C'è davvero tanto da fare per coprire tali bruttezze e affinare il prodotto, ma se si valuta che Spark di solito le debolezze le dimostra sul gameplay, e stavolta pare averci visto giusto, è probabile che la maggior parte di queste magagne verrà risolta nel prodotto finito. 
    Durante la presentazione è stata pure svelata una curiosa modalità "retro", ispirata ai vecchi titoli per NES e con tanto di traduzione in Engrish alla Zero Wing. Un extra divertente con telecamera modificata, che potrebbe offrire qualche ora di svago in più.
    Dimenticate le brutture tecniche, e ancora stuzzicati dalla giocabilità promettente, ci siamo messi a fare domande ad Hayashi e Inafune, stanchetti per il viaggio ma ben disposti. Nonostante le barriere linguistiche legate alla traduzione, siamo riusciti a tirargli fuori qualche informazione extra. 

martedì 3 dicembre 2013

Diablo III:Reaper Of Souls

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Blizzard

  • Data uscita:Febbraio 2014


    Grandi errori sono stati fatti da Blizzard con Diablo III e nonostante il titolo fosse piacevolissimo da giocare e di buona qualità è innegabile che alcune feature come l'auction house, l'always online o il pvp promesso e mai arrivato, abbiano di fatto segnato duramente la community, che da subito ha iniziato a criticare pesantemente l'operato di Jay Wilson.
    Ammettendo le proprie colpe, Wilson ha poi scoperto le carte, confermando di aver compiuto valutazioni errate sull'asta in game, ed è proprio partendo da questo punto che il nuovo team di sviluppo capitanato da Josh Mosqueira ha deciso di rivedere completamente l'intero sistema di gioco, andando a ritoccare davvero tantissimi parametri.
    Iniziamo quindi da quello più scontato, ovvero la completa rimozione della casa d'aste, sia per quanto riguarda quella con valuta reale sia quella con moneta virtuale. Avere la possibilità di comprare oggetti senza faticare ad uccidere demoni e mostri aveva completamente stravolto il concept originale di Diablo, mettendo sotto i riflettori la necessità di fare soldi piuttosto che la volontà di mettersi alla prova per uccidere il primo maligno. Con Reaper of Souls il focus sarà ripristinato e sconfiggere la nuova minaccia che incombe su Sanctuary tornerà ad essere la preoccupazione principale dei giocatori, anche se ad attendervi questa volta non ci sarà più Diablo ma il tristo mietitore. Non vogliamo rivelarvi troppo del background del nuovo antagonista principale, ma sappiate comunque che lui e i suoi alleati vi daranno davvero del filo da torcere.
    Abbiamo giocato una manciata di ore alla nuova espansione e l'impressione generale che abbiamo avuto è che la resistenza dei nemici si sia amplificata notevolmente, questo molto probabilmente anche in virtù del nuovo sistema di loot che ora dovrebbe permettervi di avere personaggi decisamente più in forma di prima.
    Il loot 2.0 serve a tamponare la mancanza dell'action house dove recuperare i pezzi di equip mancanti e soprattutto va a sistemare un'altra grossa lacuna di Diablo III, proprio quel sistema di distribuzione oggetti completamente randomico che portava i giocatori a dover farmare ore su ore per ottenere un misero oggetto utile. Ora i nemici, a partire dal più piccolo scheletro fino ad arrivare ai boss di fine atto, lasceranno cadere come ricompensa item sensibilmente migliori e con statistiche adatte alla classe che si sta utilizzando in quel preciso istante. State girando con un barbaro sventrando qualsiasi cosa si muova? Bene, otterrete oggetti ed armature con forza, vitalità o critico. Ci possiamo quindi dimenticare intere run atte ad arricchire i vendor, ora ogni drop potrebbe tornare utile e buttare un occhio sugli unici raccolti diventerà una piacevolissima abitudine. Anche il crafting è stato revisionato e oltre a offrire un sacco di recipe aggiuntive vede l'arrivo di un nuovo mercante, che potrà riplasmare le statistiche degli oggetti ottenuti per permettervi di avere il PG esattamente come lo volete, anche esteticamente grazie alla trasmogrificazione, skill che permette di portare le statistiche di un oggetto su un altro per avere un look davvero cattivo a prescindere dell'equip indossato.
    Reaper of Souls insomma si sta muovendo nella direzione che tutti volevamo, oggetti interessanti ottenibili più facilmente, l'aumento della difficoltà e una personalizzazione del personaggio aumentata rispetto al passato.
    A rimarcare quest'ultimo dettaglio ci si mettono i Paragon, i livelli di esperienza speciali che vi verranno assegnati una volta raggiunto il cap, ora spostato al 70.
    I Paragon sono ora infiniti e ad ogni livello i giocatori potranno distribuire punteggi extra per le statistiche, andando a rifinire così le caratteristiche principali, i bonus di combattimento o le resistenze. Attualmente il respec è assolutamente gratuito e illimitato, e speriamo fortemente che questo resti anche nella release finale per una personalizzazione mutevole e completa esattamente come accade con le abilità.
    Quasi tutte le classi sono state rimaneggiate, con nuove abilità in arrivo per i dieci livelli extra che ci attendono e un rework parziale delle vecchie spell di combattimento. Il mago è quello che più di tutti dovrà adattarsi alla nuova espansione, visto che le magie che lo rendevano prima un tank davvero eccellente sono state modificate e molte altre ne sono state aggiunte per farlo virare verso il ruolo di damage dealer puro originario. Potrete sempre armarvi di scudo, corazze di vario tipo e teletrasporto, ma l'idea che ci siamo fatti in questa prima prova è che Blizzard abbia tentato di riportare la classe a damage dealer per eccellenza, con tanto di arconte praticamente illimitato, build che anche in Reaper of Souls sembra poter funzionare alla grandissima, affiancata dalla nuova spell Blackhole e da passive capaci di aumentare l'output di danno. La più grossa novità comunque consiste nel Crusader la nuova classe in arrivo con la nuova espansione.
    Il Crociato è chiaramente strutturato per divenire il tank di riferimento, con danni aumentati dall'armatura dello scudo, capacità di caricare i nemici e di causare danni aumentati ad ogni blocco effettuato con successo e ovviamente l'immancabile taunt, utile per rigenerare parte della Wrath consumata con l'utilizzo delle abilità speciali.
    La rabbia del crociato si ricarica esattamente come la furia del Barbaro, restando in combat, parando e sferrando colpi, sistema che permette alla nuova classe di prendere anche una piega da damage dealer con arma a due mani. Non sono poche infatti le abilità che permettono di sferrare potenti sferzate ad area, acquisite peraltro già nei primi livelli, e il loro output di danni ci è sembrato davvero esagerato. Il crociato è sicuramente una classe forte al momento, probabilmente la più solida, e non dubitiamo che qualche ritocchino prima delle release venga fatto per ribilanciarlo correttamente.
    La nuova classe dovrà essere ovviamente livellata da zero, dovrà superare i quattro atti classici e raggiungere il nuovo atto per poter affrontare Malthael. L'impresa, assicurano gli sviluppatori Blizzard, non sarà affatto semplice e per gettare ulteriore carne al fuoco arriverà l'Adventure Mode, che aprirà le porte alla rigiocabilità totale grazie a una nuova serie di quest, di missioni e ovviamente di drop, così da ampliare a trecentossessanta gradi l'esperienza offerta da Diablo III.