Ethero

martedì 29 ottobre 2013

Football Manager 2014


  • Genere:Gestionale

  • Sviluppatore:Sport Interactive

  • Data uscita:31 Ottobre 2013

     

    “FIFA ha il momentum”. “PES ha i binari”. “E' meglio FIFA”. “E' meglio PES”. Stanchi delle solite manfrine autunnali? Tranquilli, sta per tornare la panacea di tutti i mali. Sta per arrivare Football Manager 2014.
    Bando alle chiacchiere da salotto televisivo, veniamo immediatamente a ciò che più interessa l'appassionato della serie che è in voi: le novità di gameplay relative alle tattiche.
    Iniziando una nuova carriera in modalità standard e accedendo alle schermate di gestione della rosa, balza immediatamente all'occhio l'assenza delle slide presenti fino allo scorso anno. Ancora più effetto provoca la sostituzione delle stesse con due menù a selezione multipla tramite i quali scegliere la filosofia di gioco e il bilanciamento da applicare in campo.
    Non spaventatevi, in realtà non è stato tagliato nulla, semplicemente è stato modificato il modus operandi. Basta premere un tasto, infatti, per visualizzare un pop-up dedicato alle tattiche di squadra, diviso in cinque macro-sezioni: possesso palla, penetrazioni, difesa, generale e disposizioni in campo. Per ognuna di esse sono disponibili svariate istruzioni, ciascuna delle quali, se selezionata, ne esclude altre. Il risultato finale, intendiamoci, è praticamente lo stesso ottenibile con le slide, raggiunto però in questo caso con maggiore immediatezza.
    In funzione di questa piccola rivoluzione sono stati introdotti diversi nuovi ruoli per i singoli giocatori. Tra questi spicca, finalmente, il “Falso Nueve”, quel centrocampista offensivo tanto caro a Guardiola. Il “Falso Nueve” è un Cesc Fabregas, una sorta di trequartista (mezza bestemmia!) con ottime capacità di finalizzazione e in grado di infiltrarsi in area e creare il panico tra i difensori. Un ruolo indubbiamente molto specifico e poco democratico, interpretabile da pochi campioni nel mondo e molto difficile da inserire nelle proprie tattiche di squadra, ma allo stesso tempo una presenza indispensabile in un titolo che da sempre si prefigge di simulare ogni dettaglio del calcio moderno.
    Una comoda valutazione a stelline ci aiuta nell'assegnazione ruolo per ruolo, coadiuvante fondamentale soprattutto per quanto riguarda le punte. Balotelli è un esempio perfetto in tal senso (credeteci, ci abbiamo sbattuto la testa): chiedergli di focalizzarsi su un unico compito prestabilito ne limita drasticamente il potenziale e rischia di innervosirlo in campo, rendendolo presto un problema per la società.
    Naturalmente, imporre a Toni di tirare spesso da fuori area e, allo stesso tempo, chiedere alle ali di cercare il cross con frequenza fa di voi, oltre ad un pessimo allenatore per il Verona, anche un cattivo giocatore di Football Manager 2014. Le indicazioni generali agli undici in campo devono essere coerenti ed in armonia con quanto viene preteso dai singoli, pena una totale mancanza di intesa e, di conseguenza, di gioco.
    In definitiva ci è parso che Sports Interactive si sia focalizzata nell'enfatizzare il rapporto con il giocatore a leggero discapito delle tattiche di squadra, donando un lato più “umano” all'intera produzione. Una sensazione confermata d'altronde in altri settori, come ad esempio nei rapporti con presidente, dirigenti e collaboratori. A partire dal colloquio di lavoro fino alle riunioni tecniche, tutto va studiato nei minimi dettagli per impostare al meglio i propri obiettivi e godere della costante fiducia dell'intero staff.
    Sembra ormai quasi un cliché, ma ancora una volta è stato fatto un discreto lavoro di snellimento dell'interfaccia grafica. In questa edizione sono le news e le e-mail ad averne giovato maggiormente: in molti casi è infatti possibile rispondere direttamente all'interno del dettaglio della comunicazione, senza dover cambiare finestra.
    La semplificazione appena descritta si sposa alla perfezione con le trattative “live”: i contatti con società e procuratori possono trasformarsi in veri e propri botta e risposta, nell'intento di simulare colloqui telefonici e velocizzare le tempistiche dei trasferimenti. L'idea è buona e funziona egregiamente, permettendoci di aumentare il numero di trattative durante la stessa finestra di calciomercato. Completare un acquisto, inoltre, sembra un'operazione più semplice rispetto al passato. I giocatori (in particolare gli svincolati) hanno abbassato le richieste economiche e il Marotta che è in noi può affidarsi a qualche clausola inedita. Molto utile, ad esempio, la possibilità di acquistare un giovane promettente e lasciarlo in prestito alla sua vecchia squadra, per poi richiamarlo una volta maturato.
    E' probabile che tali facilitazioni siano state concepite pensando a quella modalità “Classica” che tanto fa storcere il naso ai puristi della serie. Confermatissimo dopo gli ottimi risultati di vendita dell'edizione 2013 (la prima a scommetterci sopra) e migliorato grazie alla possibilità di selezionare più nazioni in fase di setup, l'approccio light a Football Manager rimane, a nostro avviso, un'ottima alternativa alla modalità standard per chi non ha né la voglia né il tempo di imparare un nuovo mestiere. Perché, ancora una volta, Football Manager 2014, se vissuto nella sua interezza, è la solita simulazione complessa, puntigliosa, cattiva ed esigente, e lo si capisce dalla consueta mole di dettagli da considerare durante la stagione, dalla squadra riserve all'allenamento settimanale (rimasto sostanzialmente invariato), dalle conferenze stampa alle riunioni societarie.
    Un paio di novità interessanti arrivano anche dal comparto tecnico. Football Manager 2014 allarga il suo bacino d'utenza, abbracciando per la prima volta gli utilizzatori di Linux.
    Il supporto al nuovo sistema operativo porta con sé l'integrazione dei salvataggi cross-play, una sorta di “cloud” simpatica ma dall'utilità tutta da verificare. Molto più intrigante è il pieno supporto a Steam Workshop per la creazione di contenuti da parte della community. Nuovi loghi, orpelli grafici e, soprattutto, scenari personalizzati per la modalità “Sfida” (confermatissima dopo l'esordio nella scorsa stagione) invaderanno presto la piattaforma del buon Gabe Newell. Da tenere d'occhio.
    Chiudiamo con la solita nota dolente: la rappresentazione della partita in 3D. Siamo sinceri: apprezziamo gli sforzi ma ancora non ci siamo. Le tante nuove animazioni rendono i match leggermente più credibili ma, ancora una volta, abbiamo testato il gioco affidandoci ai vecchi cari pallini in due dimensioni. Riusciranno mai ad appendere le scarpette al chiodo anche loro?

venerdì 25 ottobre 2013

How To Survive

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:EKO Studios

  • Data uscita:24 Ottobre 2013 

     

    Ah, gli zombie. Amati, abusati zombie. Sono almeno un paio d’anni che i morti viventi sono sulla cresta dell’onda, tanto da diventare quasi un tormentone nel mondo dei media digitali. Naturalmente, i videogiochi sono stati dei precursori in questo senso, in quanto sono riusciti a trasformare in avventura interattiva tutte quelle storie che, un tempo, erano patrimonio esclusivo del cinema di George A. Romero.
    In realtà, lo zombie è una figura in parte diversa dal morto che cammina, e ha origine nei Caraibi. Di conseguenza, l’ambientazione di How To Survive non è poi così strana: un’isola caraibica su cui siamo naufragati, completamente invasa da creature assetate di sangue.
    Ma la cosa che colpisce, è che gli sviluppatori del gioco hanno preferito buttarla sull’ironia, cercando di spiegare al giocatore come si può sopravvivere su di un’isola nel bel mezzo di un’apocalisse zombie. E il risultato, per certi versi, è davvero buono.
    Il giocatore giunge sull’isola dopo un naufragio, e viene subito accolto da uno dei pochi superstiti presenti. Questi gli indica come costruirsi la prima arma rudimentale - un bastone - e come affrontare i primi morti viventi.
    Dopo le prime mazzate e le prime uccisioni, è possibile raccogliere il bottino dei nemici, i quali forniscono dei materiali necessari per costruire nuove armi. Il loot e il crafting sono infatti due elementi fondamentali di How To Survive, nonché due fra gli elementi più divertenti del gioco. In breve, attraverso la raccolta e la combinazione di oggetti, è possibile ottenere armi sempre più potenti. Queste si dividono in armi da mischia e armi a distanza, le quali sono caratterizzate da due sistemi di controllo molto diversi tra loro. Le armi da mischia, infatti, si controllano con la pressione di un semplice tasto. Dal momento in cui si preme il tasto al momento in cui la mossa viene eseguita passa qualche istante. In ultima analisi, non si tratta di un problema di latenza, ma di una scelta degli sviluppatori che obbligano il giocatore a calcolare il proprio tempismo nell’attacco. La cosa funziona abbastanza bene nel momento in cui ci si trova a fronteggiare uno zombie, ma mette in seria difficoltà in giocatore quando si viene completamente circondati. Non si può certo considerare un aspetto negativo, ma in alcuni casi la sensazione è che i comandi siano poco responsivi. Le armi a distanza, invece, implicano una configurazione dual-stick, in cui si prende la mira con l’analogico destro. Mantenendo la mira su di un nemico, il mirino si stringe fino a colorarsi di rosso: in quel momento si ha la garanzia di poter ottenere un danno critico. Poiché l’operazione di mira richiede del tempo, non è possibile ottenere sempre dei colpi critici nelle situazioni più concitate, ed è chiaro che gli sviluppatori hanno lavorato bene per bilanciare questo aspetto del gioco.
    How To Survive è intriso di elementi di ruolo piuttosto edulcorati. Ovvero: anche se le tre diverse classi di personaggio presente hanno un albero delle abilità per ciascuno, soltanto alcuni degli elementi presenti si differenziano. Di conseguenza, vi è un certo appiattimento nello sviluppo dei personaggi, e alcune abilità fondamentali sono comuni. La scelta del personaggio sembra dunque non avere un’influenza particolare sul gameplay, nonostante le statistiche di partenza siano molto diverse.
    Quello che, invece, fa davvero la differenza è dato dall’equipaggiamento. Anche le armature entrano nel sistema di crafting, ed è pertanto possibile ottenere vari capi di vestiario modificati attraverso l’acquisizione di oggetti sul campo. Si possono creare elmetti o armature davvero curiosi, ed è molto divertente scoprire cosa si può creare combinando gli oggetti più disparati tra loro.
    Il gioco è caratterizzato dall’alternanza di giorno e notte, mirata a rendere più vario il gameplay. Se di giorno, infatti, si affrontano i morti viventi (più o meno) standard, di notte si ha a che fare con dei gollum fotofobici, tendenzialmente sfuggenti e molto rapidi. Questi si aggiungono ai morti viventi standard, e rendono l’esperienza di gioco abbastanza diversa. Nonostante How To Survive non sia qualificabile come un gioco horror, la notte ci ha causato qualche momento di panico divertente, specie quando si cerca di liberare uno dei tanti rifugi presenti durante le ore notturne.
    I rifugi ci offrono il pretesto perfetto per parlare di un altro elemento importantissimo del gioco: la necessità di dormire, mangiare e bere. Poiché How To Survive pone l’accento sulla sopravvivenza, gli sviluppatori hanno pensato di introdurre tre diverse barre, ciascuna delle quali si riferisce alle tre diverse esigenze fisiologiche del nostro personaggio. Se non si dorme, beve o mangia si ottengono dei malus a diverse statistiche (attacco, resistenza, capacità di effettuare dei colpi critici), ed è dunque necessario mantenersi sempre “in forma” tramite l’acquisizione di cibo, la ricerca di pozze di acqua potabile e l’uso di rifugi dove riposare, i quali devono ovviamente essere liberati da un’orda di zombie che si attiva nel momento in cui cerchiamo di penetrare al suo interno.
    Infine, la mappa di gioco - suddivisa in diverse isole - offre diversi segreti e varie pagine sparse di uno strano manuale. How To Survive include infatti un un libro scritto dal misterioso Kovac, una personaggio abbastanza fuori di testa che ha fatto della sopravvivenza una sorta di hobby.
    Kovac a parte, nel gioco non vi sono personaggi memorabili. Ma dato che l’accento è posto sulla sopravvivenza e sullo sterminio di zombie (che si respawnano in continuazione), la cosa non è particolarmente significativa.

giovedì 24 ottobre 2013

Deus Ex:Human Revolution Directors Cut

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Eidos

  • Data Uscita:25 Ottobre 2013

     

    Per quanto non si sia trattato di un enorme successo commerciale, per molti giocatori l’originale Deus Ex siede su una vetta mai più raggiunta: complice anche il recente decadimento della letteratura e del cinema cyberpunk in favore del fantasy - senza contare uno pseudo-sequel di cui non terremo nemmeno conto in questa trattazione - il capolavoro di Ion Storm non ha mai avuto un degno erede. Così, quando nel 2007 i ragazzi di Eidos Montreal annunciarono di essere al lavoro su un prequel, i fan si divisero tra la paura per il rischio di profanazione del “mostro sacro” e tenui speranze.
    A quattro anni di distanza i titoli di coda di Deus Ex Human Revolution scorrono sui nostri schermi dopo circa venti ore di intenso gameplay, e possiamo con tutta franchezza affermare che l’eredità lasciata dal capostipite è stata trattata con la massima cura dallo studio di sviluppo canadese. Il nuovo action GDR fantascientifico riprende alla perfezione le atmosfere ed i capisaldi del gameplay dell’originale, offrendo al contempo qualcosa di nuovo, differente ed a lungo desiderato dai fan del genere.
    2027, circa 25 anni prima degli eventi narrati nel capostipite. La nanotecnologia è ancora un lontano sogno sperimentale, ma gli innesti biomeccanici sono richiestissimi. Il protagonista Adam Jensen, ex SWAT, lavora come agente di sicurezza per le Sarif Industries, uno dei maggiori produttori di augmentation. La sua storia inizia con un sonoro fallimento: in una giornata già ricca di tensioni a causa di una eccezionale scoperta da parte della dottoressa Megan Reed, un gruppo di fondamentalisti contrari agli innesti assalta i laboratori di ricerca, rubando diversi prototipi, rapendo la scienziata e ferendo mortalmente Adam. Solo dopo una massiccia operazione chirurgica il protagonista si ritrova di nuovo sul campo, il corpo costellato di innesti ed una nuova missione da completare: scoprire chi e perché ha attaccato i laboratori, e ritrovare il prima possibile Megan.
    Il complesso plot di Deus Ex: Human Revolution riprende con successo i temi del capostipite: l’umanità si trova sconvolta ed incapace di reagire alle conquiste tecnologiche, fonte di incredibili ricchezze e pesanti dubbi morali, sullo sfondo di un vero e proprio neo-Rinascimento. Cospirazioni e complotti porteranno il protagonista in giro per il mondo, una corsa contro il tempo per cercare di fermare una catena di eventi che potrebbero gettare nel caos più totale l’intera specie umana, ormai in balia degli innesti, e di chi progetta di farne utilizzi illeciti. Tra bugie, tradimenti ed aiuti inaspettati Adam si confronterà con le nuove superpotenze mondiali, con l’unico scopo di riportare alla luce la verità e ridare nuovamente il potere della scelta al popolo.
    Per quanto, con l’unica eccezione del protagonista, la trama non presenti personaggi davvero memorabili, a farla da padrone sono invece i delicati temi trattati, tra cui il transumanismo e le sue conseguenze, i dilemmi legati alla tecnologia applicata alla vita ed i confini morali del progresso scientifico. La narrazione procede su molti binari paralleli, tra cut scene cinematografiche, sequenze “guidate” in prima persona, dialoghi e lettura a video del moltissimo materiale sparso per i livelli.
    La scelta è sempre stata l’arma più importante per ogni giocatore dell’originale Deus Ex. Ben consci di questo, i ragazzi di Eidos Montreal hanno costruito il gameplay della loro creatura lavorando attorno al libero arbitrio, proponendo sfide aperte ad un gran numero di soluzioni ed approcci. Per quanto la struttura sia essenzialmente lineare, fatta di missioni principali e secondarie come la tradizione GDR vuole, la libera esplorazione degli ambienti, l’adattabilità dell’intelligenza artificiale ed il grande numero di espedienti a disposizione del giocatore fanno sì che creatività ed improvvisazione si trasformino in due strumenti fondamentali per il successo. Un concetto da lungo tempo estraneo alla corrente generazione di videogiochi, ossessionata dall’accessibilità e dall’esaltazione della narrazione a scapito del puro gameplay: in questo senso, Human Revolution rema controcorrente, lasciando nelle mani dell'utente una libertà quasi spiazzante, soprattutto nelle prime ore di gioco.
    L’azione si divide tra la libera esplorazione delle tre città (Detroit, Shanghai e Montreal) e le missioni vere e proprie: le prime fanno da hub (molto più ampi e ricchi di quelli del predecessore), permettendo di trovare autonomamente quest secondarie, fare acquisti e dialogare con i moltissimi comprimari, mentre le seconde si svolgono all’interno di aree delimitate della mappa, spesso installazioni mediche ed industriali molto ben difese. Il compito di Adam sarà sempre quello di recuperare un brandello d’informazione utile a scoprire un nuovo pezzo del puzzle, che si tratti di una persona da interrogare piuttosto che di un file ben nascosto in un computer. Un mix di combattimento, stealth, hacking di computer e sistemi di sicurezza, esplorazione in cerca di percorsi alternativi e dialettica costituisce la ricchissima base di partenza, da utilizzarsi a totale discrezione del giocatore.
    Da questa formula scaturisce un gameplay in grado di adattarsi a continui aggiustamenti e modifiche: se una sessione di combattimento troppo prolungata dovesse annoiarvi, potreste semplicemente far perdere le vostre tracce e trovare un percorso alternativo, oppure cercare un computer e far rivoltare i sistemi di sicurezza contro le stesse guardie. Ci sono naturalmente delle regole e dei limiti, ma il pregio di Deus Ex: Human Revlution è quello di non “barare” mai: se un’azione è possibile e prevista, essa rimarrà tale per tutto il corso dell’avventura, a prescindere dalle circostanze.
    In questo senso, il lavoro dei ragazzi di Eidos Montreal si rivela eccezionale: un sistema delicato e complesso si regge su un set di regole essenziale e comprensibile, lasciando che siano i giocatori a sperimentare, scoprire, provare. Un videogame che si fa “giocare” nel vero senso della parola, esaltando il pensiero laterale e l’improvvisazione. Qualche crepa nel gioiello tuttavia c’è: la maggior parte delle situazioni potranno essere risolte più velocemente mettendo Adam in modalità “carro armato”, ovvero armi pesanti spianate e abilità da combattimento al massimo, semplicemente sterminando eserciti di guardie. Per quanto l’intelligenza artificiale faccia un discreto lavoro e poche raffiche bastino a mandare al tappeto il protagonista, la violenza si rivela spesso il modo più pratico per arrivare velocemente all’obbiettivo. Va anche detto che tutti gli approcci stealth e non letali premieranno sempre il giocatore con maggiori quantitativi di esperienza e più chance di rintracciare nuovo equipaggiamento sul territorio, testimoniando come gli sviluppatori abbiano cercato di mettere i player sulla giusta strada, spronandoli a rinfoderare l’arma ed a guardarsi intorno, cercando soluzioni non convenzionali.
    Non va inoltre sottovalutato il deterrente costituito dalla natura stessa del titolo: per quanto Human Revolution si sia rivelato divertente e fruibile anche come puro sparatutto, trascorrere le molte ore di gioco solo con il fucile imbracciato significherebbe perdersi una grossa fetta dell’offerta ludica e delle moltissime possibilità, andando incontro alla ripetitività. Forse qualche ulteriore freno inibitorio all’approccio action avrebbe giovato, magari limitandone gli evidenti vantaggi in termini di praticità.
    Un ulteriore critica può essere mossa alle scelte, in alcuni frangenti piuttosto limitate, spiccando in un contesto generalmente apertissimo, ed all’estensione alterna di alcune location delle missioni: talune saranno ampissime, costellate di percorsi secondari, stanze segrete e materiale informativo extra, altre invece meno complesse e curate. Non si tratta di un difetto ricorrente, ma talvolta è impossibile non notare la cura altalenante di questo importante aspetto.
    Il neo più grosso della produzione rimangono comunque le boss fight, in tutto quattro: fuori contesto, regolate da meccaniche poco credibili e soprattutto inevitabili, questi scontri lasciano davvero il tempo che trovano.
    Le augmentation a disposizione di Adam Jensen giocano un ruolo importantissimo all’interno della formula, amalgamandosi con le meccaniche tipiche del GDR (ovvero accumulo di punti da spendere nelle diverse abilità) e proponendo soluzioni non convenzionali. A fianco delle ovvie abilità dedicate al combattimento, alla pirateria informatica ed allo stealth, il menu dedicato propone infatti molte skill puramente informative, le quali permetteranno al giocatore di percepire la direzione dello sguardo dei nemici, segnata sulla minimappa, piuttosto che di vedere attraverso muri, o ancora porre un marker sulle guardie così da seguirne meglio i percorsi di pattuglia. Così facendo gli sviluppatori incoraggiano ulteriormente un approccio più tattico e ragionato alle diverse sfide, peraltro bilanciato dall’ampia disponibilità di abilità dedicate all’offesa, all’hacking ed al puro stealth.
    Dato che il modo migliore di fruire di Human Revolution è cambiare continuamente approccio, la spesa dei punti abilità rappresenta un esercizio spesso difficile: potenziare tutti gli aspetti non sarà praticamente possibile, e talvolta sacrificare un aspetto in favore di un altro porterà a lunghe attese di fronte allo schermo, cercando di bilanciare al meglio le attitudini del proprio personaggio. Un buon segno, che testimonia l’ottima profondità raggiunta dagli sviluppatori anche nelle meccaniche più affini al GDR classico.
    Come già accennato in precedenza, Human Revolution si rivela divertente anche quando giocato come puro sparatutto, seppur a discapito della sua eccezionale profondità. A contribuire alla bontà dell’azione sono principalmente due fattori: la grande varietà offerta dall’arsenale, diviso tra armi letali e non, ed il buon funzionamento del sistema di coperture. Soprattutto quest’ultimo, che vede la telecamera passare dalla prima alla terza persona quando ci si pone al riparo, si è rivelato molto fluido ed efficace da utilizzare sul campo. I ferri del mestiere sono davvero molti, una varietà ulteriormente arricchita dalla possibilità di migliorarne diverse caratteristiche tramite appositi upgrade: silenziatori, mirini laser, sistemi di raffreddamento e caricatori aumentati potranno essere montati sulle armi, migliorandone le caratteristiche e cambiandone l’aspetto. Per quanto gli strumenti letali siano la maggioranza, le soluzioni più pacifiche si rivelano comunque divertenti da utilizzare, e si presentano anch’esse in una varietà sufficiente per far fronte alle diverse situazioni di gioco.
    Agli strumenti di offesa tradizionale si affiancano delle finisher da distanza ravvicinata, anch’esse letali e non, da attivare alla semplice pressione di un tasto nei pressi di un nemico, conscio della nostra presenza o meno. Cruente e spettacolari, si configurano come un gustoso diversivo nei combattimenti più concitati oppure un ottimo strumento per procedere silenziosamente, confermando ancora una volta come la varietà di approcci sia un elemento fondamentale della formula.
    Tornando al funzionale sistema di coperture, anch’esso si rivela molto versatile: oltre ad offrire un necessario riparo dal fuoco nemico, esso si trasforma ben presto in uno strumento fondamentale anche quando si decide di procedere in puro stealth. Grazie ai movimenti contestuali, passare silenziosamente da un riparo all’altro evitando i percorsi delle guardie sarà sempre un esercizio d’abilità molto accessibile e fluido.
    Oltre a sfruttare i ripari offerti dagli sviluppatori, già in buon numero, il giocatore potrà spostare a piacimento molti elementi dello scenario (per i più pesanti occorrerà tuttavia la spesa di un punto abilità), da utilizzare come coperture improvvisate, basi per raggiungere luoghi elevati o addirittura oggetti da lancio.
    Da sottolineare infine la presenza di una forma di “combattimento” non convenzionale, ricorrente in alcune delle missioni principali: la dialettica. Se infatti i dialoghi a scelta multipla costituiscono l’ossatura di ogni comunicazione con i personaggi non giocanti, vi saranno momenti in cui ci si troverà ad affrontare delle vere e proprie “battaglie verbali” con alcuni personaggi chiave: in questi casi il giocatore potrà di volta in volta scegliere uno tra tre comportamenti prefissati, andando quindi a miscelare diversi atteggiamenti nel tentativo di volgere a proprio favore le sorti dello scambio. La meccanica funziona in maniera fluida, e, per quanto non troppo complessa, riserva alcuni dei migliori momenti dedicati al dialogo.
    Vale la pena dedicare qualche parola all’hacking, un tema fondamentale in Human Revolution, che prende le forme di un vero e proprio “gioco nel gioco”. Accedere ai terminali protetti richiederà innanzitutto un certo numero di punti abilità spesi nelle apposite skill a seconda del livello di sicurezza. Una volta tentato l’accesso non autorizzato ci si troverà ad affrontare un percorso costellato di nodi di dati, tramite i quali giungere al controllo completo della macchina. Ogni nodo potrà essere conquistato, difeso, oppure sfruttato per impiantare un virus che renda irrintracciabili gli spostamenti del giocatore, o rallenti la ricerca dell’intrusione da parte del firewall. Oltre ad ottenere accesso a dati ed all’eventuale controllo di telecamere, robot e torrette di sicurezza, la meccanica potrà essere utilizzata anche per piccoli bonus di denaro e punti esperienza, nascosti tra i nodi. Per quanto il suo utilizzo frequente e le opzioni ad esso legate richiedano la spesa di un buon numero di punti abilità, soprattutto da metà gioco in avanti, l’hacking si configura come un’attività divertente da padroneggiare e remunerativa, ottima per spezzare il ritmo ed aggirare molti ostacoli posti dalle varie missioni.

    Comparto tecnico
    L’aspetto più interessante del comparto visivo di Deus Ex Human Revolution è il complesso design, tramite il quale gli sviluppatori hanno scelto di rispecchiare i temi trattati nella narrazione. Il neo-Rinascimento di Eidos Montreal si divide tra elaborati costumi e lussuose abitazioni dal sapore vittoriano per i transumanisti, mentre i puristi appaiono adottare uno stile più contemporaneo e sportivo. Grandissima cura è stata riposta nell’elaborazione delle due differenti correnti di pensiero, tra arredamento d’interni, abbigliamento e strutture architettoniche. Il notevole sforzo si traduce in un’ambientazione credibile e viva, ottima per ambientare una storia complessa, ricca di risvolti filosofici e d’attualità. La qualità del concept si riflette anche sui menu, tutti curatissimi quanto ad aspetto e funzionalità, tra cui citiamo l’anacronistico – ma gradito – inventario a griglia. Peccato che all’ottimo lavoro di concettualizzazione corrisponda un comparto tecnico buono ma non eccezionale: modellazione e texture riescono a non sfigurare, ma gli altissimi valori produttivi avrebbero meritato un motore più al passo con i tempi. Fortunatamente gli sviluppatori si sono concentrati sugli aspetti più congeniali al massiccio comparto narrativo, ponendo ad esempio particolare cura nelle animazioni facciali, sempre convincenti. Tra le note negative ci sono da segnalare i lunghi tempi di caricamento, nei quali purtroppo si incorre al passaggio tra aree aperte e chiuse, e di salvataggio, sui quali sarebbe stata gradita un’ottimizzazione, data anche la frequenza con la quale si presentano. Durante la nostra sessione abbiamo anche incontrato qualche bug grafico ed un dialogo senza linee audio, piccoli difetti che speriamo possano trovare soluzione già al lancio.
    Eccezionale l’accompagnamento musicale, caratterizzato da tracce originali dal sapore orchestrare e drammatico, che sapranno sottolineare ogni momento dell’azione con grande enfasi.
    A fronte di un buon doppiaggio in inglese, la versione italiana risulta purtroppo molto poco curata: il labiale si rivela spesso totalmente fuori sincrono e la scelta delle voci non è sempre azzeccata.



giovedì 17 ottobre 2013

The Wolf Among Us

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Telltale Games

  • Data uscita:11 ottobre 2013

     

    Lo scorso anno Telltale Games ha regalato ai videogiocatori una vera e propria perla. Con The Walking Dead i ragazzi californiani hanno portato nuova linfa alle avventure grafiche, uscendo indubbiamente dai canoni del genere, semplificandolo per molti versi, ma concentrandosi principalmente su una trama matura capace di rapire completamente l'utente finale, inchiodandolo allo schermo per tutti e cinque gli episodi.
    E' lecito dunque aspettarsi tantissimo da questi sviluppatori, i quali, dopo 400 Days, prendono una strada completamente inedita gettandosi a capofitto su una nuova IP, ma mantenendo al contempo tantissimi punti di contatto con la serie precedente.
    A fare da sfondo alle avventure di quest'anno ci saranno le fiabe, e più precisamente quelle Fables di Bill Willingham che dal 2002, data della loro prima pubblicazione, hanno conquistato migliaia di appassionati.
    Telltale calca le orme lasciate da The Walking Dead, mettendo mano ad una serie già di successo e dandole il suo personalissimo punto di vista. Ci troviamo per le mani un prequel a tutti gli effetti dei racconti narrati nei fumetti, un'avventura che può essere fruita sia da chi i personaggi li conosce a menadito sia da chi si avvicina all'opera proprio con questo nuovo racconto per la prima volta.
    Le creature delle fiabe sono state costrette ad abbandonare i loro regni incantati e ora vivono in un quartiere di New York, nascosto e protetto dagli interventi esterni dal grande lupo cattivo, agente investigativo e uomo di legge Bigby Wolf. E' proprio colui che andremo a impersonare in The Wolf Among Us e ben presto impareremo a conoscerlo meglio, a capire come ragiona e ad allinearci ai suoi pensieri e modi di agire. 
    Telltale Games come sempre ha dato grande importanza alla caratterizzazione dei personaggi e la scelta di gettare il giocatore in una scena d'azione appena superati i menù iniziali riesce a dare un'idea ben precisa di con chi abbiamo davvero a che fare. Bigby è un duro e il fatto di essere immortale, esattamente come gli altri personaggi delle fiabe, lo rende sprezzante del pericolo, e ha permesso ai designer di lanciarlo in scontri spettacolari e violentissimi contro numerosi nemici. Il primo di questi e principale nemesi del protagonista è ovviamente il cacciatore, dipinto questa volta non come eroe ma come violento sbandato.
    Altri personaggi incredibili incroceranno la nostra strada in questo primo capitolo e, in sole due ore di gioco, riusciranno a far nascere in noi simpatie e antipatie, veri punti di forza delle produzioni Telltale e indispensabili per instillare la voglia nel giocatore di proseguire nella storia attendendo scalpitante i capitoli successivi.
    Se quindi tutti i personaggi con cui interagiremo in questo primo episodio riescono a coinvolgere emotivamente il giocatore, non scendiamo nel dettaglio appositamente per non rovinarvi la sorpresa, altrettanta cura non è stata dedicata alla spiegazione delle loro origini e molte, forse troppe, sono le domande senza risposta che assilleranno la vostra mente. Non basta un libro che racchiude maggiori dettagli sulle personalità più importanti: questo si sbloccherà gradualmente durante il gioco e solo alla fine dell'avventura potrete avere più indicazioni. Avremmo preferito qualche approfondimento in più in questo inizio, proprio per riuscire a catturare meglio tutte le nostre attenzioni.
    Il primo capitolo di The Wolf Among Us cerca invece di stupire con buoni colpi di scena e momenti di azione ottimamente diretti, ai quali purtroppo si alternano momenti investigativi lenti e piuttosto noiosi, soprattutto nella prima metà della storia.
    Le fasi di ricerca indizi e di risoluzione degli enigmi erano presenti e realizzate nella stessa identica maniera anche in The Walking Dead, ma lì la minaccia tangibile degli zombie era sempre ben presente.
    I rumori e i suoni ci continuavano a far sentire non morti che graffiavano le pareti cercando di entrare, rumori e cigolii che lasciavano intendere l'infiltrazione di qualche zombie affamato in cerca di cibo e altri escamotage per tenere sempre altissima l'attenzione del giocatore. Con questa serie invece la sensazione di essere braccati non esiste minimamente, perlomeno fino ad ora, e le sezioni di investigazione scorrono debolmente su percorsi guidati che poco lasciano all'immaginazione del giocatore, sbattendogli invece davanti indizi facilmente visibili e momenti piatti e senza alcuno sbalzo emotivo.
    Il sistema di gioco si presenta tale e quale alle altre opere Telltale, gli oggetti sono sempre ben segnalati nelle diverse location e il giocatore potrà osservarli o interagire con essi attraverso pochi e semplici click. Se volete rendere un po' più difficile l'avanzare del gioco, potrete tuttavia disattivare tutti gli hint dal menù principale e procedere per tentativi.
    Il motore grafico, ereditato da The Walking Dead, torna rivisitato sotto molti aspetti. Gli effetti di luce sono stati nettamente migliorati e anche le tinte hanno assunto colori più vivi e brillanti che vanno in netto contrasto con i neri e grigi che accompagnano le ombre posizionate con sapienza, capaci di dare un eccellente senso di profondità.
    Anche per le animazioni facciali si registrano notevoli passi avanti, soprattutto per il protagonista, capace di far trasparire tutte le sue emozioni anche senza parlare.
    Tentennano e zoppicano invece ancora una volta le animazioni, soprattutto durante i movimenti liberi. Il controllo tramite tastiera risulta legnoso e la telecamera fissa non riesce sempre a seguire perfettamente il giocatore, inquadrature più ampie avrebbero sicuramente risolto il problema.
    The Wolf Among Us riesce a migliorare insomma alcuni punti claudicanti di The Walking Dead e porta ancora una volta su schermo dialoghi eccellenti, semplici e a scelte multiple, doppiati come sempre in maniera più che eccellente. 
    Da segnalare purtroppo ancora una volta la completa mancanza di qualsivoglia localizzazione in italiano sia per il parlato che, cosa ancor più grave, i sottotitoli. Sarà possibile a breve fare affidamento sui progetti fan made già in corso d'opera, ma da Telltale ci aspettavamo questa volta un piccolo passo avanti.

mercoledì 16 ottobre 2013

Guida Per Installare I File Apk Android

Semplice guida per installare i file APK Android

Ciao a tutti,dopo aver scaricato il file torrent di android sul vostro hard disk vi ritroverete tale file nella vostra cartella (download) a questo punto bastera aprire il file con un semplice porgramma tipo winrar e/o winzip .... ed estrarre tutti i file in una vostra cartella a piacimento,dopodiche basterà copiare sul vostro smartphone il file android che vorrete installare.
Avviate dal vostro telefono il setup cliccando sul file che avete copiato,prima di fare cio verificare dal menu
  • impostazioni del telefono
  • impostazioni applicazioni 
  • abilita origini sconosciute
fatto cio' vi ritroverete sul vosto smartphone il nuovo programma installato.
 buon download a tutti             
 lo staff             SONOSOLOGAME

Warface

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Crytek Seoul

  • Data uscita:21 Ottobre 2013

     

    Prima di partire nella nostra prova di gioco abbiamo scelto una delle quattro classi disponibili tra cecchino, ingegnere, assalitore e medico, insomma la classica base di ogni modalità online che si rispetti. Una volta scesi dal velivolo ci siamo ritrovati in una sorta di favelas brasiliana dove catapecchie, lamiere e sacchi ammassati con noncuranza la fanno da padroni.
    La cooperativa contro l'intelligenza artificiale si svolge a spezzoni in ognuno dei quali dovremo portare a termine un compito come per esempio difendere un avamposto o resistere alla carica dei nemici fino all'arrivo dei soccorsi.
    Purtroppo l'intelligenza artificiale nemica non ha mostrato grande lungimiranza negli attacchi, molte volte si lanciavano a viso scoperto verso le nostre bocche di fuoco, col risultato di farsi trucidare non appena visibili. Dal canto nostro abbiamo vita facile col cecchino, sono state pochissime le volte in cui  siamo morti, ed è nel momento in cui si perde che succede un cambiamento importante: per respawnare bisogna pagare, una sorta di mini transazione con le monete del gioco ottenute uccidendo più nemici possibili.
    Una piccola novità che mette il sale sulla coda ai vari camper degli sparatutto moderni, se non si rischia, se non si uccide il nemico non si guadagna e di conseguenza non si torna in vita.
    Interessante anche la possibilità di fare da ponte per i proprio compagni e aiutarli a raggiungere livelli altrimenti inaccessibili col semplice salto, unito al fatto di avere quattro classi molto diverse tra loro e con un'abilità secondaria ben specifica, abbiamo tutti gli ingredienti per partite in PvP davvero entusiasmanti.
    Gli sviluppatori non si sono fermati al solo gameplay ma hanno pensato di ingolosire i propri utenti aggiornando quotidianamente il gioco con nuove missioni, utili sia a differenziare sempre l'esperienza ludica e in aggiunta diventa una continua espansione dell'universo di Warface. L'unica preoccupazione che abbiamo è incentrata sulla varietà di queste missioni, il vero problema potrebbe essere rappresentato da un'estrema ripetitività dei compiti da svolgere.

    A supportare tecnicamente il titolo ci pensa il nuovo motore grafico dei ragazzi di Crytek. Prima di stracciarvi le vesti o piangere per le specifiche non esaltanti del vostro pc, sappiate che la versione adottata per Warface sarà molto leggera e verrà incontro alla stragrande maggioranza di utenti. Ovviamente da un free to play non ci si poteva aspettare uno sfarzo grafico che l'engine dello studio tedesco ha fatto intravedere, tuttavia il risultato a schermo è davvero godibile, l'azione di gioco è fluida e il framerate stabile. La pecca in realtà che affligge il comparto tecnico, e di conseguenza tutto il gioco, è il design, piuttosto anonimo, la sensazione di già visto o déjà vu come preferite, è molto forte.
    Il rischio è quello di confondersi tra le decine e decine di sparatutto usciti e in uscita quest'anno e che neanche l'appeal del free to play possa in qualche modo gareggiare con i colossi di Activision o EA. 

Spelunky

  • Genere:Platform

  • Sviluppatore:Mossmouth

  • Data uscita:23 Ottobre 2013

     

    Sony a quanto pare ha capito che il mercato degli indie e dei titoli concettualmente semplici può portare ottimi risultati in un ambiente saturo di giochi tripla A. Non solo quindi sia su Playstation 3 che su Playstation 4 vedremo spopolare prodotti di questo tipo, ma anche su Playstation Vita il genere sta lentamente prendendo possesso della console, spesso con ottimi risultati.
    Abbiamo giocato a lungo il remake HD di quello Spelunky che giusto qualche anno fa fece letteralmente impazzire il pubblico PC, e che oggi ritroviamo migliorato dal punto di vista grafico e carico della stessa identica giocabilità di una volta.
    Il nostro minatore sconosciuto si trova disperso in una grotta, di fronte a lui solo due porte sembrano poterlo guidare da qualche parte. Quella più lontana, più piccola e con un volto familiare ci introdurrà alle meccaniche di gioco.
    Il diario lasciato da mr. Yang narra la storia di un avventuriero, che da tempo esplora le profondità in cerca di tesori e ricchezze straordinarie. Dalle pagine del libro veniamo a sapere che gli anfratti rocciosi che andremo ad esplorare sono posti misteriosi e terribili, mossi da un potere segreto che ne deforma continuamente la struttura: impossibile quindi orientarsi e trovare la giusta via per fuggire. E' la maledizione degli Olmechi a gravare su questo territorio e a imprigionare ogni avventuriero al suo interno per l'eternità.
    Con questa premessa Spelunky ci introduce brevemente alle meccaniche di gameplay, semplicissime ma in grado di dare vita a un gioco dalla longevità infinita.
    La struttura base della creazione BlitWorks ci vuole impegnati a saltare da una piattaforma all'altra in un ambiente completamente bidimensionale, scendendo sempre di più verso gli abissi oscuri, nel vano tentativo di trovare uno spiraglio di luce e incappare magari in preziosi di vario genere.
    Il concetto dunque è tanto semplice quanto coinvolgente: scegliete il vostro personaggio preferito tra una decina di scelte disponibili, alcune delle quali da sbloccare portando a termine il gioco (cosa però incredibilmente difficile), e arrivate al tesoro finale.
    Spelunky è uno di quei titoli che si diverte a far morire il giocatore, un gioco senza scrupoli e senza pietà che vi punirà al vostro minimo errore ma che vi piacerà per lo stesso identico motivo.
    Perché, sebbene un salto nel vuoto possa causare una morte istantanea, il titolo vi darà tutti i mezzi possibili per evitare che ciò accada, la casualità è infatti un elemento completamente assente in Spelunky e tutto si riduce ad un'analisi attenta dell'ambiente che ci circonda e ad uno studio accurato su come riuscire ad arrivare alla fine del livello sani e salvi.
    Oltre a dover saltare a destra e a sinistra ed evitare gli strapiombi, dovremo prestare attenzione a tutta una serie di trappole sparse qua e là per gli stage, dalle semplicissime punte posizionate sul terreno a bocche spara dardi incastrate nelle pareti pronte a scagliare frecce a qualsiasi cosa gli passi davanti, nemici inclusi.
    Non saremo infatti gli unici esseri viventi nelle grotte, in quanto serpenti, ragni, pipistrelli e tutta una serie di creature mistiche tenteranno in ogni modo di ostacolarci il cammino. Ovviamente più si scenderà in profondità e più questi esseri diverranno temibili, ma anche quelli ai primissimi livelli, se sottovalutati, saranno capaci di ucciderci. Aspettatevi di incontrare demoni e non morti, ma anche rane giganti, piranha e persino l'immancabile tristo mietitore, che vi darà la caccia nel malaugurato caso in cui steste trascorrendo troppo tempo nello stesso livello a bighellonare.
    Spelunky non vuole premiarvi però solo per la vostra velocità di discesa, benché questo rimanga uno dei punti cardine del gioco, ma vi “consiglierà” anche di esplorare in lungo e in largo le grotte in cerca di pepite d'oro e gemme di vario tipo. Questi preziosi, oltre a rappresentare il vostro punteggio, vi torneranno utili quando nel vostro peregrinare verrete in contatto con i vari mercanti desiderosi di vendervi gli oggetti più disparati.
    Senza un'evoluzione del proprio personaggio, l'unico modo per aumentare le vostre abilità è quello infatti di raccogliere suddetti equipaggiamenti, che vi consentiranno di saltare più in alto, scalare più velocemente le pareti o, perché no, aprire interi varchi nei muri o sfondare pavimenti e soffitti grazie all'utilizzo delle pericolosissime bombe. Il numero estremamente limitato di queste vi obbligherà a ponderare con cura il loro utilizzo e scegliere se sfruttarle per sconfiggere i nemici più forti o per l'appunto farvi strada verso la fine del livello.
    E' un peccato quindi che ad ogni nostra morte ci sia la necessità di ricominciare completamente da zero, non tanto per i livelli, una scelta che comprendiamo appieno, quanto piuttosto per un'evoluzione del personaggio che così risulta essere totalmente assente. Il piccolo alter ego non ha alcuna crescita, ma al suo posto sarà proprio il giocatore ad acquisire esperienza, reale in questo caso, che gli consentirà di conoscere al meglio i pattern nemici e di scoprire come affrontare ognuno degli ostacoli che lo separano dal portare a termine i quattro mondi presenti nel gioco.

    L'idea degli sviluppatori di generare livelli randomici ad ogni nuova partita è funzionale e dà praticamente una longevità illimitata a Spelunky, l'abbiamo già precisato. Quello che ci ha sorpreso realmente è l'incredibile intelligenza con la quale questi dungeon prendono vita: ogni livello ha un inizio e una fine sempre collegate tra loro da un tracciato percorribile senza alcun power up e in tutto questo si inseriscono misteri, segreti e percorsi alternativi che rendono ogni nuova partita un'esperienza completamente diversa.
    Abbiamo apprezzato tantissimo il design di creature e personaggi e i colori accesi entrano in contrasto in maniera eccezionale con le ambientazioni tetre e cupe del gioco. Da segnalare purtroppo qualche lieve calo di framerate in alcune specifiche location, quando neve e nebbia entrano nel campo visivo.
    Per quanto riguarda le modalità Spelunky offre, oltre alla campagna principale con tanto di classifiche online, anche un deathmatch fino a quattro giocatori in locale, multiplayer supportato anche per la storia, ma mancano le daily viste su Steam.
    Ottimo infine anche il sonoro, con musiche semplici e di atmosfera, corredate da effetti audio di buona fattura e in linea con lo stile retrò della produzione Mossmouth. 

martedì 15 ottobre 2013

Magicka Wizard Wars


  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Paradox NORTH

  • Data uscita:15 Ottobre 2013

     

    Paradox ha sempre avuto un occhio di riguardo per le sue creature. Titoli di nicchia solitamente molto curati dal punto di vista del gameplay, le produzioni della casa nordica hanno sempre brillato per originalità e tra queste, senza ombra di dubbio alcuno, svetta un progetto dal concept tanto semplice quanto intrigante, capace di conquistare migliaia di player con personaggi completamente folli e quel pizzico di caos su schermo che non guasta mai.
    Stiamo ovviamente parlando di Magicka, gioco nel quale quattro piccoli maghi davano vita ad uno spettacolo pirotecnico senza eguali, dando fondo a tutti i loro poteri elementali per fare a brandelli i nemici e, a volte, anche gli amici.
    Era giocando in quattro infatti che si poteva ottenere il massimo dal titolo, un divertimento unico scaturito dalla possibilità di combinare tra loro i diversi poteri a disposizione e fonderli con quelli dei nostri compagni per creare magie ancora più devastanti. Da qui prende vita l'idea geniale: sviluppare uno spin-off dal quale fare emergere l'anima più cattiva del titolo e inserirla in un contesto competitivo.

    Tale è l'essenza di Magicka Wizard Wars, progetto che ci vedrà impersonare proprio uno dei manipolatori elementali in questione, impegnato a scalare la vetta delle classifiche mondiali per divenire il più potente mago di tutti i tempi.
    Praticamente tutto viene quindi basato sul PvP e sulla necessità in partita di sconfiggere i nostri acerrimi nemici, nient'altro che altri stregoni impegnati a raggiungere il nostro stesso identico obiettivo.
    Prima di buttarsi nella mischia, però, il nostro personaggio potrà essere agghindato con diversi equipaggiamenti. Potremo cambiare la tipologia di staffa, l'arma per il combattimento corpo a corpo, la tunica e un anello, ognuno con caratteristiche passive uniche grazie alle quali modificare le capacità offensive, o ancora potenziare salute e velocità di movimento. Quest'ultima caratteristica non è da sottovalutare data la natura competitiva del gioco. Essere più rapidi significa poter schivare più agilmente le magie avversarie, praticamente tutte basate sulla direzionalità, e soprattutto raggiungere prima degli altri i tre punti di controllo posti sulla mappa, indispensabili per vincere la partita.
    La modalità principale di Wizard Wars, l'unica attualmente presente sui server beta, metterà infatti a disposizione del giocatore due obiettivi differenti per portare a casa la vittoria. Il primo, quello più semplice e immediato, richiede solo di ridurre a zero i ticket avversari, uccidendo gli ostili e consumandone uno per ogni respawn nemico; il secondo invece, che necessita di un po' più di gioco di squadra e strategia, ci vedrà impegnati nella conquista di tre checkpoint sparsi per la mappa ed equidistanti l'uno dall'altro.
    Posizionandosi su uno di questi obiettivi il cerchio inizierà a illuminarsi del colore del proprio team e permetterà, una volta catturato, di risorgere da una posizione avanzata, mettendo così ancora più pressione sugli avversari. La partita terminerà quando tutti e tre i punti saranno sotto il controllo di una delle due squadre e i componenti dell'altro team saranno completamente eliminati.
    Non potevano mancare anche i classici NPC a difesa dei punti di controllo, anche se di potenza infima e utili solo a ritardare di qualche secondo l'avanzata nemica. Inutili, insomma, nell'ottica complessiva della partita.

    L'impatto grafico di Magicka Wizard Wars è eccezionale. Spell e effetti di luce sono vivi e brillanti, ed esaltano in maniera sublime gli scontri contemporanei tra otto giocatori. In un caos totale di laser, fiamme e tempeste, non sarà facile cavarsela e i giocatori dovranno attingere a tutta la loro abilità per uscire vincitori dai match. Il gameplay si basa fortemente su quello del capitolo originario, con la possibilità quindi di miscelare i vari poteri elementali tra loro per originare una quantità stupefacente di incantesimi dannosi, ma anche scudi, barriere di pietra e magie curative per soccorrere i propri compagni in difficoltà o curarsi nel momento più propizio.
    Altra introduzione interessante è rappresentata da speciali perk ottenuti con le uccisioni. Piuttosto che avere gli score streak distinti per ogni singolo giocatore, il titolo presenta una barra comune per l'intero team, rendendo il caricamento della stessa una responsabilità paritaria per tutta la squadra. Divisa in quattro sezioni, ad ogni step questa barra speciale darà accesso a una magia differente e dal potere unico: alla prima attivazione avremo un boost alla velocità, alla seconda la possibilità di effettuare una cura ad area, alla terza evocheremo Il tristo mietitore per uccidere istantaneamente i nemici in un raggio d'azione limitato e alla quarta volta potremo richiamare sul terreno una tempesta di meteoriti, incantesimi essenziali in grado di cambiare veramente il volto alle partite, per match sempre estremamente dinamici e divertenti. 

Space Hulk

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Full Control

  • Data uscita:15 agosto 2013

     

    Durante la corrente generazione abbiamo davvero apprezzato quasi tutti i prodotti su licenza Games Workshop giunti sui nostri PC. Non neghiamo ovviamente che, in buona parte, il fatto di amare il marchio e la sua storia ci ha aiutato non poco nel compito, ma resta comunque indubbio che una serie come Dawn of War sia comunque riuscita a portare tanta qualità nel campo degli strategici in tempo reale, grazie in primis alle sapienti mani di Relic, capace di plasmare un titolo particolarmente divertente e supportarlo sempre in maniera egregia. Una piccola lacrimuccia ci è quindi scesa dopo il fallimento di THQ, e la paura di tornare ai vecchi tempi con titoli su licenza piuttosto mediocri sembrava uno spettro quanto mai reale. Ci siamo voluti avvicinare con dovuta cautela a questo Space Hulk, azzerando le nostre aspettative e dando il tempo agli sviluppatori di limare il prodotto e sistemare qualche bug successivamente alla sua uscita. Saranno riusciti i ragazzi di Full Control Studios a conquistarci?
    Space Hulk riprende fedelmente il vecchio gioco da tavolo omonimo della Games Workshop e vede ancora una volta contrapposti i temibili Terminator dei Blood Angels contro i feroci Tiranidi, qui rappresentati unicamente da Genestealers e Broodlord. La trama è piuttosto standardizzata e vede i nostri amati marine spediti su un relitto spaziale abbandonato per bonificare l'intera area, recuperare dati e annientare completamente la minaccia aliena presente.
    Da un'evoluzione narrativa praticamente nulla è normale quindi non trovare spunti interessanti per le missioni, che si presentano senza particolari schemi originali e in linea generale hanno un retrogusto di già visto e già giocato che farà storcere il naso a più di un appassionato.
    Prima di gettarci in battaglia, un breve briefing fortunatamente ci darà una panoramica della missione e indicherà sulla mappa tattica i punti di rientro dei Terminator e i nostri obiettivi principali. Il teletrasporto delle unità ci permette di schierarli infatti solo in determinate zone precise, poste solitamente al limitare dell'area di gioco, e prima di arrivare a poter anche solo vedere i vari punti di interesse saremo costretti a farci lentamente strada tra corridoi strettissimi e decine di angoli ciechi, perfetti per le imboscate dei Tiranidi. I Genestealer comandati dall'IA, risultano piuttosto aggressivi e intelligenti, tendendo ad accerchiare il giocatore e ad entrare nella sua linea di tiro solo se sicuri di poter arrivare in corpo a corpo e colpirlo con i loro affilati artigli. Motivo in più per muoversi cautamente, con circospezione, e tenere sempre sotto tiro con almeno uno dei nostri soldati ogni possibile via d'accesso.
    I Genestealer verranno rilevati solo una volta vicini alle unità e il loro numero preciso si paleserà solo quando questi saranno ben visibili al giocatore. Il radar quindi, capace di leggere i segnali di movimento in maniera piuttosto grossolana, servirà solo per stabilire una strategia di massima, dato che ogni scontro potrebbe riservare un numero di ostili inaspettato, costringendoci a cambiare totalmente la linea difensiva, cosa non particolarmente semplice da mettere in atto.
    La mappa di gioco è difatti divisa in caselle e in ognuna di queste potrà essere posizionato un solo Terminator, bloccando eventuali linee di tiro o passaggi. Sarà fondamentale posizionare i sergenti in prima fila ad esempio, per poter usufruire dei bonus in corpo a corpo, e far camminare all'indietro l'ultimo nostro soldato per coprire le spalle. Gli scontri sono interessanti, ma la campagna non riesce comunque ad entusiasmare e ci riserba una durata piuttosto scarsa con solo dodici missioni disponibili. Oltre a queste si possono affrontare tre missioni supplementari dedicate al tutorial, nel quale impareremo ad utilizzare anche le armi speciali come lanciafiamme e cannoni d'assalto, e una campagna inedita aggiunta di recente con una patch gratuita che ci metterà ancora una volta nei panni della squadra Lorenzo in altre tre spedizioni punitive.
    Il sistema a turni alla base del gioco permette ai marine di eseguire tutta una serie di azioni ogni turno sfruttando i punti RP: sparare e muoversi ne utilizzeranno uno, mentre operazioni più complesse come entrare in fase difensiva o presidiare un corridoio sparando a qualsiasi cosa si muova andranno a consumare questi punti molto più velocemente. La strategia nella pianificazione torna quindi importantissima visto che le cose da fare ogni turno si presenteranno in gran quantità e si dovrà accedere spesso ad una speciale scorta comune alla squadra, che si ricaricherà in maniera limitata con l'avanzare delle varie fasi di gioco. Abbiamo trovato il tutto semplice da imparare, ma purtroppo fin troppo lineare, e una volta capite le meccaniche il sistema di avanzamento nei vari relitti spaziali si ripeterà identico per ogni missione. Qualche problema inoltre si verifica quando ci saranno da difendere stanze spaziose, visto che in mancanza del movimento i marine potranno sparare davvero una quantità di colpi sovraumana.
    Dal punto di vista tecnico non possiamo promuovere Space Hulk, le texture sono povere, i modelli poligonali poco convincenti e le animazioni, sia dei marines che degli agili Genestealer troppo meccaniche e lente. Inutile il punto di vista in prima persona piazzato durante le uccisioni per dare un po' di spolvero, il risultato non è per nulla soddisfacente. Tante inoltre le imperfezioni, i colpi che vanno oltre le pareti o i cadaveri che esplodono sotto i passi dei Terminator per poi scomparire come se nulla fosse nel terreno. 
    Interessante e apprezzabile invece una mini telecamera posizionata sulle spalle dei Terminator che in ogni momento vi Farà vedere l'azione dal loro punto di vista. Troppo poco però per sollevare la produzione, che non riesce a distinguersi nemmeno grazie alla presenza del multiplayer online, tramite il quale disputare match competitivi in tempo reale o in maniera asincrona, e offline con modalità hotseat.
    Chiara e precisa invece l'interfaccia, accompagnata da una colonna sonora poco intensa e che non rimane impressa: in poche parole la fiera della mediocrità.

     

lunedì 14 ottobre 2013

Lego Marvel Super Heroes

  • Genere:Platform

  • Sviluppatore:Travellers Tales

  • Data uscita:15 novembre 2013

     

    Nel mondo dei videogiochi contemporanei, sempre più spesso critici e giocatori si lamentano dell’eccessivo riciclaggio degli stessi brand. Così, non è raro leggere sui blog, sulle riviste specializzate, sui forum di giochi troppo uguali a loro stessi, incapaci di evolversi, pretenziosi. E, diavolo, chi si lamenta ha ragione. Perché la pratica del versioning feroce e della conseguente spremitura dei franchise videoludici è un’amara realtà.
    Ma c’è una serie che, pur facendo parte di questo gioco perverso, non ha mai fatto incavolare nessuno. Parliamo della serie di giochi Lego sviluppata da TT Games, che dal 2005 ha introdotto ben 19 prodotti con questo marchio. Diciannove giochi in otto anni si traducono in una media di quasi 2 giochi e mezzo all’anno; il versioning, in questo caso, non è solo evidente: è spudorato. Ciononostante, grazie a una qualità dei prodotti sempre molto alta e a un fattore-divertimento non indifferente, TT Games ha sempre portato nei negozi lavori di buona fattura, quasi sempre inattaccabili dal lato dei contenuti e apprezzati dal pubblico e dalla critica. 
    Così, con Lego Marvel Super Heroes, ci prepariamo all’avvento del ventesimo gioco di questa serie. In un evento tenutosi qualche settimana fa a Milano abbiamo potuto vedere e provare questo gioco, scoprendo tante conferme e qualche bella sorpresa.
    Ormai i giochi Lego hanno abbandonato il sistema ad hub ristretto per abbracciare un concetto più simile al free roaming, che con Lego City Undercover ha certamente raggiunto delle solide conferme. Non sorprende, dunque, che anche Lego Marvel Super Heroes abbia optato per una città da esplorare, all’interno della quale si celano le missioni legate alla storia e delle missioni secondarie, più simili a mini-quest.
    Le missioni principali sembrano ricalcare quanto visto negli altri giochi della saga, con strutture a livello infarcite di puzzle ambientali risolvibili sia adoperando un po’ di sale in zucca che facendo uso dei poteri dei personaggi selezionati. Lego Marvel Super Heroes introduce infatti un impressionante varietà di supereroi (oltre 150), ognuno con caratteristiche uniche. Pertanto, possiamo avere a che fare con puzzle che richiedono la presenza di un personaggio dotato di forza bruta, e grazie a un rapido menù possiamo selezionare – ad esempio – scegliere Hulk e scatenare la potenza dell’omaccio verde. Oppure potremmo avere bisogno degli artigli di Wolverine, o della capacità di lanciare ragnatele di SpiderMan. O, magari, di qualche arma esagerata a marchio Deadpool.
    Ancora una volta i livelli sembrano nascondere ogni sorta di segreto, ed è evidente che il giocatore è spinto a ricercare ogni possibile soluzione anche rigiocando le varie missioni dopo avere ottenuto nuovi personaggi. Potenzialmente, Lego Marvel Super Heroes potrebbe garantire decine e decine di ore di gioco per essere completato al 100%, una caratteristica che i fan della saga conoscono bene.
    New York è stata costruita tenendo conto sia delle location reali che di quelle a marchio Marvel. Pertanto, possiamo trovare edifici come l’Empire State Building o il Baxter Building dei Fantastici 4. La nostra gita nella Grande Mela è iniziata in volo, e abbiamo potuto apprezzare uno scaler grafico davvero impressionante: dal cielo siamo infatti piombati a Times Square, in una picchiata che ci ha ricordato alcuni scorci di Los Santos in GTA V. Giunti a terra la città ci è parsa completamente vuota, ma nel giro di qualche secondo (e senza fastidiosi popup) si è popolata di auto e passanti, divenendo improvvisamente viva. Insomma, non possiamo certo dire che la New York di questo gioco sia una Los Santos a mattoncini (le dimensioni sono infatti infinitamente più ridotte), ma TT Games ha davvero compiuto un lavoro egregio nel plasmare la città.
    Uno degli aspetti più amati della serie Lego è dato dalla sua capacità di fare della buona parodia. Ci riuscivano molto bene quando la serie non aveva dialoghi, e ora che i giochi sono completamente doppiati la cosa si fa ancora più interessante. Per la verità, Lego Marvel Super Heroes è una parodia generalizzata del mondo Marvel, giacché si tratta di un gioco con una trama originale, sviluppata in collaborazione con la celebre casa di fumetti americani. Ma abbiamo ritrovato al suo interno alcuni elementi della comicità tipica dei giochi a marchio Lego, tra cui una simpatica cut scene in cui si scopre che Abominio non può fare a meno di dormire con un orsacchiotto. Anche se alcune battute faranno fatica a strapparci un sorriso, se siete dell’umore adatto vi ritroverete a fare qualche sana risata di fronte alle assurdità introdotte nel gioco dagli sviluppatori.
    Inoltre – e questo è un aspetto molto importante – chi ha creato il gioco ha cercato di rendere credibili le parodie dei personaggi. Così, il buon Deadpool fa esattamente quello che ci si aspetterebbe da lui: sfonda la quarta parete senza ritegno e si lamenta del fatto che le sue spade a marchio Lego sono di plastica.
    Oltre ai personaggi più noti del mondo Marvel, il gioco includerà anche i personaggi che vedremo prossimamente sul grande schermo. Confermata, ad esempio, la presenza di Rocket Raccoon, protagonista di un film in uscita nell’estate del 2014.
    Non poteva mancare, infine, la parodia dello stesso Stan Lee, presente nel gioco come personaggio giocabile e dotato anch’egli di super poteri. E, naturalmente, doppiato da se stesso.

giovedì 10 ottobre 2013

Outlast


  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Red Barrels

  • Data uscita:4 Settembre 2013

     

    Recensire un gioco che si pone come obiettivo quello di spaventare, terrorizzare e angosciare il giocatore non è mai facile. Perciò facciamo così: se cercate un videogioco horror (horror vero, non una rivisitazione di Rambo che combatte con gli zombie) capace di tenervi sotto tensione per almeno il 90% della durata del titolo, allora smettete di leggere immediatamente. Outlast è esattamente quello che cercate.
    Per tutti gli altri giocatori esigenti, di quelli con il bisogno di esaminare il titolo da veri esperti fino all'ultimo pixel, iniziamo a parlare di questo particolare lavoro.
    Un horror che fa paura
    Ci troviamo ad analizzare un gioco che punta subito al nocciolo. Niente obiettivi extra, nessun "contenuti aggiuntivi" sul menu principale né tantomeno una interfaccia ingame (il mirino è un puntino minuscolo di una inutilità imbarazzante, che va disattivato quanto prima dalle opzioni). Gli sviluppatori della Red Barrels in questo caso hanno rischiato tutto su un unico aspetto. La paura.
    La trama è di quelle a prova di scimmia: investigatore che indaga in un ex manicomio, pazzi ancora in libertà, multinazionale oscura con un sacco di soldi da investire in progetti segreti, stregoneria nazista... e poi tanto sangue, of course.
    Per tutto il gioco non toccheremo (né vedremo) una sola arma, a parte quelle bianche di quei maniaci fuori controllo che cercheranno di farci fuori. Il nostro inventario sarà composto solamente da una videocamera, con l'obbiettivo acceso per quasi tutto il tempo, e un massimo di dieci batterie utilizzate per evitare che la visione notturna si esaurisca lasciandoci completamente al buio. E, fidatevi, non vorrete MAI che questo succeda.
    Tecnicamente l'Unreal Engine è stato modellato egregiamente per disegnare un'atmosfera cupa e di abbandono in ambienti sia interni (molti) che esterni (molto pochi e un pelo sottotono). Alcuni modelli sono ripetitivi e per giunta collocati a due metri gli uni dagli altri, facendo abbassare un po' l'asticella del coinvolgimento che resta divinamente alta per la maggior parte del tempo. Tuttavia saremo così impegnati a nasconderci o a correre guardandoci le spalle (si può fare, basta premere E o Q) che spesso neanche ci faremo caso.
    Il comparto sonoro è ai livelli di gran parte delle pellicole horror dei nostri tempi; il respiro del protagonista, i rumori della pioggia sul vetro, l'accompagnamento dei violini e gli stridìi angoscianti saranno un contorno terribilmente perfetto per ognuna delle fasi di gioco, che saranno principalmente tre: esplorare, fuggire, nascondersi nell'ombra.
    In un prodotto che vuole far "paura" l'IA dei nemici è fondamentale per non far calare la tensione nei momenti cruciali. Sotto questo punto di vista il lavoro è stato sufficiente. I matti non saranno mai stupidi a tal punto da non notarvi a pochi centimetri di distanza (sebbene sia capitato un paio di volte in tutta la durata del gioco di scattare da una porta all'altra a luci accese esattamente nel raggio visivo del nemico senza che questi facesse una piega), ma non avranno mai l'intelligenza di cogliervi in trappola in un angolo o di girare la maniglia di una porta invece di perdere secondi preziosi a sfondarla; d'altro canto sono dei pazzi giusto? Insomma, sarebbe stato uno scandalo se ci fosse stato un marine americano al posto dei mutanti con il cervello fritto.
    Ottima anche la traduzione in italiano dei testi, siamo ben lontani dal Google Translate usato dai traduttori di Amnesia e i sottotitoli dei dialoghi sono quasi sempre in sincrono. Una buona notizia anche per chi non riesce a stare sempre dietro la lingua anglosassone.

    Libertà di scelta, o anche no?
    Gli ambienti sono stati disegnati egregiamente e l'aria rimane intrisa di follia per tutti i livelli del gioco.
    Entrare in una stanza con un televisore fermo su un'immagine statica e vedere gente immobile a guardare il monitor mentre pezzi di budella e sangue sono sparsi ovunque è roba che lascia di stucco chiunque; così come passare a pochi metri di fianco ad un uomo che continua a sbattere il suo cranio contro un muro, mentre preghiamo che lo sviluppatore non abbia avuto la brillante idea di mettere uno script in quel punto che porti il folle a lanciarsi addosso a noi non appena avremo voltato le spalle.
    A volte queste cose succederanno, a volte no, e questa caratteristica fa parte dell'essenza dell'orrore (quante volte ci siamo trovati di fronte a giochi troppo prevedibili, o peggio, dove sembra che debba succedere qualcosa da un momento all'altro e invece non capita mai niente?); un equilibrio che difficilmente raggiungono altri titoli tripla A che si autodefiniscono survival-horror.
    Tornando alla nostra analisi, non possiamo tralasciare la giocabilità poiché, nonostante tutto, stiamo comunque parlando di un videogioco. Le fasi più importanti si svolgeranno nella semioscurità, se non nel buio più totale, con la nostra videocamera accesa in modalità notturna. Gireremo per tutto il tempo alla ricerca della chiave che apre quella porta e a raccogliere documenti che ci permettano di capire quello che è successo e cosa ancora sta succedendo attorno a noi (scoprendo tra l'altro che la trama, pur non essendo propriamente una sceneggiatura originalissima, risulta molto più articolata di come inizialmente appare). Inoltre, riprendere talune scene o altri ambienti permetterà di sbloccare certe note scritte dal protagonista.
    Il gioco diverte, anche perché le fasi di fuga sono ben realizzate, dovremmo stare ben attenti nel superare gli ostacoli in corsa e soprattutto evitare di finire in vicoli ciechi; i nemici sono molto veloci e due o tre colpi bastano per metterci ko.
    I checkpoint sono collocati bene sulla unica grande mappa e la linearità la fa da padrona. Niente giri a vuoto in lungo e in largo alla ricerca di indizi, niente decisioni da prendere, si va avanti e si sceglie al massimo in quale stanza entrare prima.
    Ovviamente questo approccio dei ragazzi della Red Barrels permette maggiore coinvolgimento a dispetto della longevità; praticamente non c'è alcun motivo per rigiocare l'avventura (che dura in tutto tra le 5 e le 8 ore) a meno che non si voglia essere sicuri di aver preso tutti i documenti in giro e ripreso tutto ciò che c'era da riprendere. Ma poca cosa, insomma.
    Alla fine si tratterà di dare fiducia o no al classico gioco "breve ma intenso".

Lone Wolf

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore: Forge Reply

  • Data uscita:Novembre 2013

     

    Non giriamoci troppo attorno, il mercato videoludico mobile di strada deve farne ancora tanta, tantissima, per avvicinarsi qualitativamente a quello console e pc. Non mancano i titoli ispirati, o i passatempi brillanti, ma si tende principalmente a puntare sulla diffusione massima di un prodotto, su meccaniche semplici e calcolate per un utenza casual, e su formule facilmente ampliabili e ripetibili. Vedere un lavoro un po’ più approfondito e calcolato nel panorama è una rarità, figuriamoci poi proveniente da una casa con sede nel nostro bel paese, dove gli sviluppatori sono più rari dei tartufi buoni. Immaginate quindi il nostro stupore quando abbiamo visto un gioco degno e discretamente complesso dedicato alle piattaforme mobile, basato su un brand molto amato e ricco di potenziale e, per giunta, sviluppato da italiani. Parliamo di Lone Wolf, videogame per dispositivi portatili creato da Forge Reply e basato sulla storica serie di libri dello scrittore inglese Joe Dever. L’abbiamo provato direttamente nella sede della software house, e la sua qualità ci è parsa così inconsueta nel genere che finita la prova volevamo quasi portarcelo a casa. Peccato che i tablet costano, e quindi ci hanno fermato prima. 
    La saga di Lupo Solitario non è un normale insieme di libri, chi è cresciuto negli anni ’90 l’ha sicuramente affrontata armato di matita o pennino, trattandosi di una serie di librigame a scelte multiple. Nel periodo del boom degli scritti di questa tipologia, quelli di Joe Dever in Italia erano considerati il massimo, i più cool, appassionanti e divertenti da “giocare”. Un passaggio al mondo dei videogiochi era pertanto prevedibile, prestandosi sia il protagonista che le situazioni all’interattività.
    I ragazzi di Forge Reply sono ormai a un punto molto avanzato dello sviluppo, e invece di creare un titolo eccessivamente semplificato, o il solito clone di Infinity Blade, hanno voluto dare sfogo alla loro creatività e puntare su una formula che riesce ad essere piuttosto unica, ma al contempo vicina al materiale originale.
    A introdurci all’avventura è stato Alessandro Mazzega, che ci ha svelato qualche informazione sulla trama del titolo e ha spiegato dove si pone cronologicamente nella storia del Lupo Solitario.
    Non si inizia dalle origini del personaggio, né dalle fasi avanzate della sua vita, dove già Lone Wolf è una sorta di intoccabile semidio capace di fare a brandelli qualunque nemico. La scelta del team è stata quella di porsi nel mezzo, dopo la distruzione del monastero Ramas, quando il protagonista è già un possente guerriero, ma ancora in crescita nella sua lunga lotta contro le forze del male. Si segue la timeline originale, eppure la storia è completamente nuova, scritta da Joe Dever in persona. L’autore ha peraltro collaborato attivamente con il team e si è detto molto felice del lavoro svolto in una breve intervista video (cosa piuttosto rara, visto che gli autori tendono spesso e volentieri ad attaccare senza pietà i derivati del loro lavoro). Il fatto di avere a disposizione Dever ha permesso alla squadra di inserire alcune chicche, tra cui il linguaggio Giak, nei testi.
    Noi abbiamo potuto osservare e provare la prima fase dell’avventura, nella quale il nostro eroe è impegnato ad indagare sull’improvviso blocco delle notizie provenienti da un villaggio sotto la sua protezione. Chiaramente se ogni comunicazione si spegne, i Darklord sono in agguato, e non c’è infatti voluto molto per incontrare dei pericolosi nemici da riempire bellamente di mazzate. 
    Sbagliereste però a pensare che Lone Wolf si limiti a una semplice serie di cutscene narrate intervallate da scontri. Il sistema riprende in parte quello dei librigame, offrendo scelte multiple al giocatore basate anche in parte su una comoda creazione iniziale del personaggio. Al principio sceglierete se impersonare un guerriero impulsivo, un agile esperto di arti marziali o uno stratega che pondera ogni mossa, per poi passare a una serie di utili abilità. Ad ogni capitoletto vi troverete quindi a dover sfruttare tali abilità o, nel caso vi siate specializzati in modo diverso da quello richiesto, a fare scelte base che influenzeranno lo svolgersi della scena successiva. 
    Le scelte iniziali condizionano anche i combattimenti, che sono il fulcro della produzione Reply. Appena partita una battaglia avrete a disposizione vari tipi di attacchi: i colpi diretti consumeranno la barra della stamina, mentre i poteri Kai andranno a erodere una barra blu dell’energia spirituale. Il tutto andrà eseguito rapidamente, perché i turni offensivi verranno decisi da un’ulteriore indicatore laterale, che una volta arrivato a zero segnerà l’inizio del turno nemico. Si tratta di un combat system molto vicino a quello dei jrpg, anche se leggermente modificato per sfruttare le forze di un dispositivo mobile. Gli attacchi più potenti, infatti, vi richiederanno degli swipe o una serie di tocchi sullo schermo per eseguire combinazioni aggiuntive, e la maggior parte delle manovre difensive richiederanno un certo tempismo per una risposta impeccabile. 
    Se pensate si tratti di una passeggiata dovrete presto ricredervi. Seppur non particolarmente arduo e punitivo, Lone Wolf richiede un minimo di planning per avanzare, e mette il giocatore di fronte a un gran numero di avversari agguerriti. Perderete punti vita con frequenza, e sarà pertanto indispensabile equipaggiare pozioni per recuperare rapidamente salute, mana e stamina in battaglia, ed essere pronti per un eventuale scontro successivo. Diciamo “eventuale” perché stiamo ovviamente parlando di un gioco derivante da un librogame, che vi costringerà a selezionare più vie anche durante la semplice esplorazione delle mappe all’aperto e delle cittadine. Scegliete un vicolo tranquillo e vedrete semplicemente nuove pagine del libro, ma beccate la via sbagliata e sarete in men che non si dica circondati da bestioni infuriati. 
    Gli sviluppatori hanno ottenuto notevole libertà creativa da Joe, e hanno deciso di implementare il sistema odierno dopo aver inizialmente provato a mantenere una fedeltà totale ai libri e alla tabella del destino. La soluzione si è presto rivelata troppo limitata, quindi si è passati a una struttura più adeguata alla piattaforma. Dopo aver testato la prima parte del gioco, la scelta fatta ci è sembrata vincente. 
    L’unico obbligo imposto da Joe Dever è stata la presenza della spada del sole. La poderosa arma, completamente rimodellata dalla software house, rappresenta una sorta di “attacco ammazzatutto” che consuma potere Kai e devasta in un fendente qualunque malcapitato, a patto di superare un impegnativo QTE. Non è però particolarmente sbilanciata, avendo un cooldown notevole e richiedendo un bel po’ di energia per l’utilizzo. Non è nemmeno l’unica arma alternativa a disposizione di Lupo Solitario, poiché il nostro può contare anche su coltelli da lancio numerati, e sui succitati poteri Kai, che vanno dalla cura alla telecinesi e spesso possono risultare decisivi. 
    Per il resto lo scrittore non ha voluto forzare la mano, anzi, ha lasciato grande libertà creativa ai ragazzi di Forge Reply. E’ stata una mossa furba, perché artisticamente il gioco vanta artwork molto ispirati, che ingioiellano i capitoli dopo un tot di pagine sfogliate. Persino la grafica non sfigura: il titolo è sviluppato in Unity, un motore a dir poco flessibile che qui mostra discretamente i muscoli. I modelli 3D sono piuttosto dettagliati, le texture definite e le animazioni di buona qualità. Estremamente curate anche le pagine del libro, che possono venir girate in modo classico o con un semplice doppio tap, e vantano pure font alternativi. Indubbiamente siamo di fronte a un prodotto mobile di alto livello anche tecnicamente. 
    Gli unici interrogativi rimasti riguardano la curva di difficoltà effettiva, ovvero la capacità degli sviluppatori di mantenere divertente e impegnativa la campagna da inizio a fine, e la longevità dell’avventura, trattandosi solo del primo atto. I successivi arriveranno nel 2014.

mercoledì 9 ottobre 2013

Shadow Warrior


  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Flying Wild Hog

  • Data uscita:26 settembre 2013

     

    Quando nel 1997, anno destinato a regalare al mondo alcuni tra i videogames più importanti della storia videoludica, il team di sviluppo di 3D Realms decise di dare vita a Shadow Warrior, una sorta di avventura parallela a quella del più celebre Duke Nukem ambientata in oriente, gioimmo all'idea di avere tra le mani un qualcosa di simile ma con elementi tipici della cultura giapponese, e l'aspettativa non venne tradita.
    Il 2013 sembra un anno particolarmente florido di remake e reboot, e a confermare la tesi ecco il ritorno proprio di Shadow Warrior, dove riprendiamo i panni del letale Lo Wang, in quello che è a tutti gli effetti un reboot, in quanto conserva gli elementi del titolo originale, pur variandone di molto ambientazione e narrazione. Un'avventura puramente a singolo giocatore, che farà saltare di gioia i fan dell'originale, ma che potrebbe colpire al cuore, e allo stomaco, anche molti nuovi giocatori.
    Flying Wild Hog è una realtà piuttosto recente, nata nel 2009 e formata da un un team di 60 persone che, sicuramente, deve aver sentito un po' di pressione nell'avere per le mani una licenza come quella di Shadow Warrior, non certamente tra i titoli più chiaccherati degli ultimi dieci anni, ma a modo suo parte dell'evoluzione videoludica tanto quanto altri classici degli anni '90. Chi vi scrive ricorda con particolare affetto l'originale Shadow Warrior, preferito al più importante Duke Nukem, e con estremo scetticismo ha affrontato il reboot, dubbioso sul fatto che, a distanza di sedici anni, il particolare bilanciamento tra azione, splatter ed umorismo del titolo originale sarebbe potuto essere degnamente mantenuto, anche in considerazione della delusione rappresentata dall'attesissimo e deludente Duke Nukem Forever. Senza troppi giri di parole, dopo circa 12 ore giocate con una media di 40 minuti a capitolo a difficoltà normale, passate a dissezionare demoni con l'affilata Katana, cercare citazioni sparse qua e la per le mappe del gioco e a potenziare quasi del tutto le abilità a disposizione del protagonista, possiamo dire che, questa volta, siamo davanti ad uno dei pochi reboot capaci di migliorare l'originale, e non di farne rimpiangere la memoria.
    Il team di sviluppo ha iniziato a lavorare sul progetto con un concetto in mente: l'iconica spada dei Samurai doveva essere protagonista del titolo e non solo un'opzione da utilizzare quando le bocche da fuoco fossero rimaste a secco. Per raggiungere questo risultato, è stata rivolta particolare attenzione al bilanciamento di tutte le armi, un bilanciamento che rende l'affilata lama senza dubbio la risorsa migliore a disposizione del protagonista. Sebbene, infatti, sia possibile uccidere umani e demoni anche con le armi da fuoco da distanze ragguardevoli, realizzando perfetti headshot, in generale la grande quantità di nemici che attacca contemporaneamente e la loro natura perlopiù soprannaturale fanno sì che armi meccaniche necessitino di molteplici colpi per risolvere situazioni affollate, risultando inutili una volta circondati e messi alle corde. La Katana, all'opposto, risulta indispensabile in mischie ad alta velocità, consentendo di recidere arti ai nemici inabilitandoli, o addirittura di decapitarli o dividerli a metà con colpi meglio assestati, imbrattando di sangue e organi gli elementi dello scenario. Possiamo affermare senza dubbio di essere davanti ad uno dei titoli più gore, splatter e violenti dai tempi del primissimo Soldier of Fortune. Ottimo.

    Ad affiancare le due forze offensive composte da proiettili e lama, è presente anche la magia, elemento solo accennato nel titolo originale e che ha invece un ruolo fondamentale nel reboot. Durante l'arco dell'avventura è possibile reperire cristalli tramite i quali acquisire e potenziare la capacità magica di Lo Wang. A disposizione del guerriero sono presenti sia tecniche difensive, come uno scudo in grado di bloccare parte degli attacchi subiti o l'indispensabile cura in grado di rigenerare sino al 65% l'energia totale, che tecniche offensive, alcune delle quali consentono di dare vita a fendenti più potenti, ad ampio raggio, o addirittura in grado di affettare i nemici dalla distanza con la sola onda d'urto. La possibilità di bloccare i nemici sollevandoli da terra con una ulteriore tecnica a caricamento, completa il quadro di un elemento divertente da utilizzare e da vedere.
    Le tecniche a disposizione sono state intelligentemente attribuite a semplici combinazioni di due tasti direzionali e uno d'attacco, piuttosto che a specifici menù. La scelta rende l'esecuzione delle varie arti assai divertente, ispirandosi in qualche modo ai gesti visti in manga e anime, oltre che estremamente immediata anche nelle fasi concitate di combattimento. Peraltro, tutte le magie che non richiedano l'uso diretto della Katana sono realizzabili anche impugnando differenti armi da fuoco, pertanto è possibile, per esempio, curarsi o contrastare magie e proiettili avversari usando il proprio scudo magico, e rispondere al fuoco contemporaneamente.
    Se a questo punto della lettura vi siete fatti l'idea che per contrastare le forze nemiche sia sufficiente gettarsi in mischia e cliccare come forsennati sul tasto attacco e su combinazioni di movimenti per effettuare le magie, è bene rassicurarvi. L'utilizzo della Katana si rivela sufficientemente tecnico, giacché se è vero che l'attacco base si concretizza in un fendente standard dallo scarso apporto in termini di danni, l'utilizzo del tasto destro del mouse carica il colpo di spada, lasciando al giocatore la scelta della traiettoria del colpo, e consentendo quindi di mirare facilmente e in piena autonomia a specifiche parti dei corpi avversari, spesso con l'esito di reciderli di netto. L'utilizzo delle differenti tecniche è inoltre incentivato dalla presenza di un sistema di Karma che premia il giocatore dallo stile di gioco più vario e fantasioso, punti con i quali effettuare upgrades del  personaggio.
    Considerando tutti questi elementi, Flying Wild Hog sembra non essersi ispirata al solo Shadow Warrior, ma a tutta la storia di 3D Realms e alla cinematografia più cruda, inserendo anche peculiarità che sembrano ereditate dall'ottimo ma poco considerato Prey, e scene riprese pari pari da film cult come Kill Bill o Grindhouse.
    Nonostante il tempo passato, abbiamo ancora quasi esattamente alla memoria buona parte dei livelli dell'originale Shadow Warrior o quantomeno abbastanza da poter affermare che il reboot traccia, di per sé, una storia indipendente dal predecessore pur rispettandone alcuni elementi chiave, in location affini alle originali ma non direttamente rielaborate. Al di là della storia, che non fu tra le più originali e memorabili del genere già negli anni '90, quello che ambivamo a veder mantenuto è proprio l'incredibile ed assurdo umorismo tipico dei prodotti 3D Realms di quegli anni. L'odierno Shadow Warrior riesce a non deludere, rendendo persino più divertenti gli easter egg presenti di quanto non lo fossero sedici anni fa. Alcuni di questi vengono infatti riproposti in grafica 2D e con i suoni originali proprio a ricordare i tempi che furono, mentre altri sono più demenziali (attenzione se decidete di uccidere troppi coniglietti... vi abbiamo avvertiti) o raffinati. Alcune aree completamente opzionali nel gioco originale erano nascoste da muri distruttibili o da eventi conseguenti ad interazioni sulla mappa: dopo aver notato un barile rosso appoggiato ad una porta in maniera sospetta, consci di quanto accadesse in passato, abbiamo fatto fuoco scoprendo un'intera area in grafica bidimensionale altrimenti nascosta. Non vi anticiperemo altro, ma l'esempio era dovuto per spiegare al meglio la cura con la quale la miriade di segreti e citazioni presenti sono stati realizzati, tante occasioni nelle quali il giocatore legato alla storica incarnazione di Shadow Warrior riceverà, in cambio di qualche mezz'ora di esplorazione in più, dei regali “emozionali” graditissimi. 
    Quando il reboot di un titolo prevede il suo passaggio da sprites bidimensionali a poligoni solidi, parte del rifacimento consiste anche nel ricostruire visivamente ciò che la fantasia poteva allora solo immaginare. Il rifacimento estetico di Shadow Warrior, è d'eccezione, e per quanto nel complesso la resa visiva non sia quella realistica e con textures iper-dettagliate apprezzate in altre produzioni tripla A per PC, ci troviamo comunque davanti ad un comparto tecnico ben realizzato, in grado soprattutto di regalare una buona resa artistica, sempre coerente allo stile equamente moderno e tradizionale dell'originale, farcito di una punta di tecnologia anacronistica. Ogni area è curata nei dettagli, dai giardini orientali ricchi di laghetti con pesci sguazzanti, sino a ponti, edifici, foreste di bamboo, città o grotte. L'effettistica curata regala piccole fotografie nelle quali apprezzerete il fumo di una candela o il bagliore dell'acqua che riflette su una parete umida, ed è proprio a dettagli come questi che contrasta la realizzazione generale approssimativa dei nemici, soprattutto quelli di dimensioni meno generose, non particolarmente differenti tra loro e dotati di modelli tridimensionali fin troppo semplici. Con la giusta cadenza vengono introdotte poche ma valide varianti al tema, come avversari dotati di scudo, altri particolarmente irascibili o in grado di volare e usare magie. Non mancano boss sparsi qua e la, che richiedono l'utilizzo di tutte le magie sbloccate, i migliori potenziamenti applicabili alle armi e l'acquisizione delle tecniche avanzate di schivata, difesa, cura e attacco per essere abbattuti. Il level design è composto perlopiù da corridoi e percorsi forzati che non lasciano troppo spazio all'esplorazione, pur fornendo vie alternative in rari casi, soprattutto per nascondere interruttori e easter egg, o zone aperte che si dimostrano nella maggior parte dei casi delle arene dove affrontare i gruppi più copiosi di mostri e demoni.
    Buona la scelta della colonna sonora, orientaleggiante ma che si affianca a brani originali di vario genere e reminiscenze anni '90, e divertente il doppiaggio in inglese, ricco di scambi di battute tra il protagonista e lo spirito che gli fa da guida per buona parte dell'avventura, per comprendere il quale è possibile abilitare sottotitoli in una decina di lingue che non comprendono l'italiano.
    In generale, la necessità di un PC abbastanza attrezzato si fa sentire, soprattutto a causa della grande quantità di nemici che attacca contemporaneamente, talvolta in aree strette e ricche di effettistica quali fuochi e liquidi. In ogni caso, un i5 con 4 GB di ram e una scheda video serie Radeon HD 4890 o Nvidia GeForce GTX 460 e superiori, dovrebbe bastare ad alzare abbondantemente i dettagli. Con un i7 a 8 GB e scheda video GTX 660 Ti siamo riusciti a giocare senza rallentamenti evidenti ad impostazioni Ultra, potendo apprezzare il netto miglioramento grafico, che regala scenari ed effettistica particellare davvero notevoli, mentre con un ulteriore test su un sistema rispettante i requisiti minimi consigliati, ci siamo trovati a scegliere se tirare la coperta, corta, dal lato dei dettagli o della fluidità. Attendiamo con curiosità di riprovarlo su console next-gen, per le quali il futuro rilascio è già confermato. In chiusura, si segnala assenza di comparto multigiocatore. Non ne abbiamo sentito la mancanza considerando la buona offerta ludica del single player e tenendo a mente che, trattandosi di un prodotto realizzato con budget limitato, tale implementazione avrebbe gravato molto probabilmente sulla qualità del comparto singolo giocatore, che siamo invece felicissimi di gustarci cosi com'è.