Ethero

sabato 27 dicembre 2014

Metal Gear Solid V Ground Zero


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Kojima Productions

  • Data uscita:18 Dicembre 2014 (PC)

     

     

    Sono trascorsi nove mesi dall’uscita di Metal Gear Solid V: Ground Zeroes su console e l’accoglienza a Naked Snake non è stata delle migliori, o almeno non come è quasi sempre capitato con ogni nuovo capitolo della serie di Hideo Kojima. In effetti la longevità limitata, l’unica location disponibile (una base militare) e l’IA nemica non eccezionale non erano limiti da poco, ma a favore del gioco nella nostra recensione di marzo avevamo segnalato l’indubbio impatto grafico dato dal Fox Engine, la struttura di gioco più+ aperta e libera rispetto al passato e l’eccelsa qualità dei filmati di intermezzo. Troppo poco per un Metal Gear Solid? Difficile a dirsi considerando anche che il gioco rimane comunque un’anteprima di quello che sarà Metal Gear Solid V: Phantom Pain. Ora però vogliamo concentrarci sulla versione del gioco per PC da poco approdata su Steam a un prezzo tra l’altro molto più basso della controparte console, ovvero 19,99 euro (per ora scontati a 16,99 euro) contro i 39,99 euro del day one su Xbox One e PlayStation 4. D’altronde il nostro 7.0 di marzo era dipeso anche dal rapporto prezzo-longevità, mentre su PC questo fattore si fa sentire meno e inoltre si ha la possibilità di ammirare il Fox Engine al massimo della sua resa, sebbene già su console current-gen l’impatto grafico fosse di altissimo livello.
    Bisogna subito ammettere che il team di Kojima Productions ha fatto un ottimo lavoro nel portare su PC Metal Gear Solid V: Ground Zeroes, presentando fin dal day one un gioco ben ottimizzato, non pesante come un macigno e soprattutto privo di bug, glitch o difetti davvero gravi. Un avvenimento quasi insperato di questi tempi che lascia ben sperare per lo stato dei lavori su Phantom Pain e sulla sua piena riuscita in ambito PC, ma che permette soprattutto di godersi il gioco in Full HD con tutti i dettagli al massimo anche senza avere una macchina da gioco corazzata. Nel nostro caso infatti ci siamo tenuti su una media di 50 fps con una GeForce GTX 770, un processore Intel Core i7-960, 6 GB di RAM e un SSD Kingston da 128 GB. A tratti abbiamo toccato anche i 60 fps, mentre in altri momenti siamo scesi di poco sotto i 40. Questo frame-rate così vario è dato soprattutto dall’impostazione della qualità dell’illuminazione, che su Molto Alto (il livello massimo) impatta fortemente sulla fluidità, ma se appena potete tenete questo parametro al massimo visto che i giochi di luce, i riflessi e la gestione della luminosità sono tra gli elementi più belli e spettacolari del Fox Engine. Per il resto non abbiamo riscontrato fenomeni di stuttering, crash o blocchi improvvisi; solo il tearing ci ha dato qualche problema nonostante il VSync attivato, ma forzandolo direttamente dal pannello di controllo di Nvidia siamo riusciti a risolvere. 
    Con tutto al massimo, e pur mancando le impostazioni per l’anti-aliasing (pecca piuttosto grave a dire il vero), il gioco è davvero un gran bel vedere. La missione principale ambientata di notte con una pioggia incessante è il banco di prova migliore per saggiare le qualità del Fox Engine. Riflessi, effetti volumetrici, superfici bagnate, il vento che muove le tende e le mantelline dei nemici, il dettaglio dei volti, le straordinarie cut-scene. Solo alcune texture nei pochi interni non sono all’altezza del resto e la resa dei capelli di Snake non è certo quella di Lara nell’ultimo Tomb Raider con il TressFX attivato, ma per il resto nulla da ridire. Il fatto poi che anche a livello Alto il gioco offra un impatto visivo notevole e giri ancora meglio su PC meno potenti del nostro è un ulteriore tassello positivo. Poi è vero che la location scelta tra tende, edifici piuttosto anonimi, baracche e gabbie, non sia il massimo a livello di design e di ambientazione, senza contare che l’interazione con l’ambiente rimane ancora limitata (ottima però la fisica delle esplosioni). Per godere insomma del Fox Engine nel suo vero splendore, non rimane che attendere Phantom Pain e vedere come il motore grafico di Kojima and company se la caverà con ambientazioni (almeno speriamo) molto più ampie, ispirate e varie.      
    Per conoscere tutti gli altri dettagli del gioco, vi rimandiamo alla già citata recensione di marzo, anche perché bisogna ammettere che dopo nove mesi le sensazioni di fronte a questa mini avventura di Naked Snake non sono per nulla cambiate. Metal Gear Solid V: Ground Zeroes continua infatti a essere una semplice anteprima di quello ci aspetta in Phantom Pain, con una missione principale breve e non troppo ispirata e missioni secondarie piacevoli che aiutano a raggiungere una longevità decente, sempre che vogliate esplorare il più possibile, raccogliere tutte le toppe XOF, scoprire tutti i punti nevralgici della mappa interrogando i nemici e optare per un approccio stealth al 100%, nonostante il tutto si lasci giocare senza problemi anche scegliendo uno stile più action e sbrigativo. L’IA nemica continua invece a soffrire di coerenza e accortezza, con troppi assalti suicidi delle guardie, una prontezza di riflessi non impeccabile e altri problemi che speriamo vengano risolti e superati in Phantom Pain. Il 7,5 di questa recensione, confronto al 7 di marzo, non tiene quindi conto di una rivalutazione più positiva del gameplay o della struttura del gioco, quanto più dell’ottimo lavoro di conversione, dell’impatto grafico ancora più incisivo rispetto a quanto visto su Xbox One e PlayStation 4 e del

martedì 23 dicembre 2014

Saints Row Gat Out Of Hell

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Data uscita:23 gennaio 2015

     

     

    Bisogna dare merito a Volition di essere riusciti a portare nel mondo del gaming qualcosa di davvero unico. Con la quantità immensa di open world che in questi anni hanno imperversato sui nostri pc e sulle nostre console, la serie di Saints Row è una delle pochissime ad essersi differenziata dal resto della massa, e non tanto grazie a innovative meccaniche di gameplay quanto invece a situazioni fuori di testa e a una volgarità al limite dell’accettabile.
    Detto questo, la serie continua comunque a divertire e il suo successo, con relative nuove produzioni al seguito, non vuole proprio cessare di scemare. Sfruttando questa scia a Gennaio arriverà un nuovo capitolo, previsto originariamente come DLC ma diventato, visti i contenuti corposi, un’espansione stand alone. Saint’s Row: Gat Out of Hell giungerà su tutte le piattaforme da gioco casalinghe (old gen inclusa) il prossimo 20 gennaio, sia in versione digitale che pacchettizzata ad un prezzo di circa venti euro.
    La scorsa settimana abbiamo dato un assaggio in anteprima a quello che ci aspetta e il progetto sembra essere riuscito a centrare l’obiettivo.

    La trama è una delle più assurde viste ultimamente e vuole i nostri Saints festeggiare in allegria il compleanno della attraente Kinzie. Tra i mille regali ricevuti, Kinzie trova anche una misteriosa tavoletta Ouija, un prezioso manufatto che impegna il nostro gruppo in una seduta spiritica. Purtroppo le cose per i Saints si mettono davvero male quando il rituale funziona e alle loro spalle si apre un portale per l’inferno.
    In men che non si dica Johnny prende in mano la situazione e decide di gettarsi all’avventura per chiudere il canale tra i due mondi e recuperare il capo dei Saints risucchiato nel frattempo da alcune forze sovrannaturali. La brutta sorpresa? All’inferno tutti i vecchi cattivoni della serie hanno trovato il loro ruolo nella società gestita da Satana, in particolar modo il nostro caro Vogel, a capo di una succursale della Ultor Corporation.
    In questo speciale inferno ideato da Volition, infatti, tutto gira intorno ai soldi e ogni attività sembra essere collegata al vile denaro, denaro che Satana brama quasi più delle anime malvagie. Con quel pizzico di follia che caratterizza i giochi sui Saints, Johnny impugnerà l’aureola di Lucifero assorbendone alcune proprietà magiche, deciso a prendere a calci il super malvagio di turno.

    Il titolo si presenta con la classica struttura free roaming in un open world infarcito come sempre di missioni secondarie, quest principali e attività marginali che potranno tenere impegnato il giocatore in ore e ore di divertimento. Steelport, che abbiamo imparato a conoscere in Saints Row 4, viene ora rimpiazzata da una nuova città infernale, ridotta come dimensione e agghindata di anime non morte che gironzolano per le strade a bordo di moto o tentano di guadagnarsi soldi onestamente facendo i tassisti. Ad ogni modo il suolo lo toccherete davvero poco, visto che uno dei nuovi poteri acquisiti da Gat, proprio grazie all’aureola, consiste in un paio d’ali attaccate sulla schiena che gli permettono in qualsiasi momento di volare sopra i diversi quartieri, caratterizzati da fiamme e lava in ogni dove. Il colpo d’occhio di certo non esalta e texture ed edifici risultano piuttosto sottotono, ma in questa espansione stand alone Volition sembra aver puntato decisamente ad altro.
    Per poter avere un'udienza con il supremo signore del male il giocatore dovrà letteralmente “Far girare le palle a satana” scendendo a patti con alcuni dei personaggi più malvagi della storia dell’umanità. Un compito che si risolve nel più classico dei modi: prendendo cioè le diverse missioni principali in successione e aiutando pirati e serial killer, facendo saltare in aria qualsiasi cosa si muova a schermo. Ecco allora che, ad esempio, dovremo collaborare con Barbanera per difendere la sua imbarcazione incagliata tra i sulfurei scogli dell’inferno dall’assalto di piccoli demonietti famelici.
    Il gioco si struttura quindi come un open world classicissimo con i collezionabili da trovare, sotto forma di tomi, missioni a punteggio e anime sparse in ogni dove da raccogliere per potenziare la nostra aureola. Gat Out of Hell ci porta infatti anche un sistema di crescita davvero elementare ma efficace, dove spendere anime per acquisire nuove capacità e diventare mano a mano più forti mentre corriamo verso lo scontro finale.
    Difficile al momento quantificare per quante ore di gioco Gat Out of Hell potrà tenerci impegnati ma una cosa è certa: se amate la serie questa espansione sembra avere tutte le carte in regola per divertirvi, con nuovi poteri fuori di testa e armi ancora più folli della dubstep gun.
    Nella nostra oretta di gioco abbiamo infatti sperimentato un poderoso martello a due mani, spara paletti e mitragliatrici pesanti ma anche ovviamente immensi lanciarazzi grazie ai quali fare a brandelli anche gli arcidemoni più massicci. Gira voce inoltre di una sedia dotata di gatling gun, da trovare e provare assolutamente non appena ne avremo modo.
    Completa il pacchetto la possibilità, forse scontata per la serie ma non per il genere di gioco, di giocare l’intera campagna in cooperativa, fattore che dovrebbe andare a moltiplicare esponenzialmente longevità e caos a schermo. 

Batman Arkham Knight


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Rocksteady

  • Data uscita:2 giugno 2015

     

     

    I ragazzi londinesi di Rocksteady ci hanno abituato bene, forse pure un po' troppo. Partendo praticamente dal nulla hanno tirato fuori dal cilindro dei piccoli miracoli moderni, al punto tale da riportare in grande la figura videoludica del Cavaliere Oscuro che, negli anni, si era persa un po' dovunque tra la mediocrità dei titoli a lui dedicati. Piccolo studio nato nel 2004 in una fumosa Londra, i Rocksteady Studios si son fatti valere fin da subito, arrivando ad essere acquisiti nel 2009 dalla gigantesca Warner Bros. Un successo più che meritato, passato attraverso l'ottimo Arkham Asylum e confermato poi dall'indimenticabile Arkham City. Dunque, le nostre aspettative non possono che rasentare l'incommensurabile ogni volta che ci troviamo di fronte un nuovo trailer o un nuovo video di gameplay. Ed è quello che è successo alla Playstation Experience dove i ragazzi di Rocksteady hanno pubblicato il nuovo trailer di Batman: Arkham Knight e a stupirci, per una volta, non è stato l'Uomo Pipistrello ma il suo fedele scudiero: una Batmobile completamente corazzata.
    Il trailer mostrato è la parte conclusiva dei tre filmati di gameplay per quello che riguarda la missione di infiltrazione nelle Ace Industries. Il Cavaliere Oscuro si trova alle prese con una letale bomba chimica innestata in una grande fabbrica di Gotham. Lottando disperatamente contro il tempo, sarà suo compito portare in salvo tutti i dipendenti della fabbrica, ripulire la stessa dagli scagnozzi dell'Arkham Knight e cercare di disinnescarla. Un trailer che in poco più di tre minuti di ritmo infernale, conferma tutto ciò che già sapevamo sul gameplay aprendo ulteriormente verso scenari possibili futuri. Piacevole sorpresa in chiusura, la presentazione dello Scarecrow Nightmare Pack in esclusiva PS4. Un importante DLC che vedrà protagonista, appunto, lo Spaventapasseri e contro il quale dovremmo misurarci.
    A farla da regina è sicuramente la Batmobile, innovazione fondamentale nel sistema di gioco e di spostamento. Ingrandita ancora di più la mappa di Arkham City, in Arkham Knight la vettura del Cavaliere Oscuro non risulterà solo un semplice veicolo di trasporto ma sarà profondamente implementata nel gameplay. Telecomandabile a distanza dal giocatore, essa verrà utilizzata per espellere il Crociato Incappucciato a grande velocità, permettendogli di librarsi e planare un po' ovunque nella gigantesca mappa grazie alle sue ali-deltaplano nere. Trasformabile da vettura a piccolo tank corazzato (dal quale i più attenti hanno notato la somiglianza con il nuovo costume di Batman), essa verrà utilizzata sia all'esterno che all'interno anche nelle fasi di scontro. Al momento, abbiamo visto diverse armi attivabili sulla stessa: dai missili a ricerca alla torretta sul tettuccio, passando per una sorta di impulso elettromagnetico che mette a tacere qualunque computer di bordo nemico nelle vicinanze rendendolo inutilizzabile. All'ultimo, ma non ultimo, la funzionalità di poter far salire dei passeggeri a bordo, in un particolare vano nel posteriore, che diversificherà ancora di più il gameplay se si pensa alle missioni di recupero, come quella delle Ace Industries, dove sarà necessario evacuare tutti gli ostaggi presenti all'interno della struttura.
    In pratica, un Batman ancora più impreziosito dalla sua fedele compagna che verrà utilizzata frequentemente persino negli scontri corpo a corpo come supporto. Non lasciando nulla al caso Rocksteady ha annunciato grosse novità anche in questo frangente: nuova IA dei nemici, ora più dinamici e meglio organizzati, e nuovissime animazioni, che rendono gli scontri più fluidi e reali. 
    Nei video mostrati non abbiamo realmente capito la qualità di questa nuova IA, ma da quello che abbiamo potuto vedere i movimenti di Batman hanno raggiunto un nuovo grado evolutivo. Grazie alla potenza di calcolo della current gen e un lavoro approfondito sui modelli poligonali, le azioni e le reazioni durante gli scontri, soprattutto in caso di contrattacco, sembrano quanto mai naturali e dinamiche. Aumentando il numero di animazioni dei modelli e limando le collisioni tra di essi, il salto qualitativo pare notevole. Di certo, bisognerà vedere la reale qualità degli scontri in-game e del loro miglioramento rispetto alle precedenti battaglie nella serie. In aiuto di ciò, elementi dello scenario e nuovi bat-gadget potranno essere usati negli scontri, facilitando il KO degli avversari e diversificando l'esperienza.  
    Spira finalmente il vento della current generation
    Oltre alla Batmobile, quello che ha stupito profondamente è stata la realizzazione tecnica. Anche se è ancora presto per gridare al miracolo, i presupposti per un salto generazionale ci sono tutti. Merito dell'engine che, a quanto visto, riesce a gestire senza intoppi le fasi di gioco e le cutscene, senza interruzioni di sorta tra le due. Bisognerà vedere se ci saranno problematiche legate al frame rate o alla gestione poligonale dei modelli, ma al momento la qualità delle texture e il numero di poligoni a schermo sembrano venire direttamente dal futuro. La fluidità delle scene è disarmante, come è disarmante il fatto di non riuscire ad accorgersi quando da sequenza di gameplay si passa ad una cutscene precedentemente scriptata. Di tutto ciò beneficerà di certo la narrazione, che, senza tagli repentini, darà sicuramente lustro alla regia.  
    Dunque, l'ottimo lavoro di Rocksteady si respira in ogni sequenza, sia per la realizzazione tecnica, sia per quella scenica, sia per le scelte di gameplay. Ora la problematica sarà quella di andare a capire se Arkham Knight riuscirà ad offrire anche una valida interazione con la città di Gotham. Apparentemente estesissima, sembra di voler puntare tutto sul free roaming, soprattutto quando si è al volante della Batmobile. Un minimo di interattività è stata già mostrata, con la possibilità di distruggere alcuni elementi architettonici presenti sulla strada. Barricate, muri e spartitraffico sembrano andare giù in modo del tutto naturale quando la Batmobile ci sbatte contro, rendendoci ancora più curiosi sull'effettiva interattività offerta da tutta l'area cittadina.

Blackguards 2

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Daedalic Entertainment

  • Data uscita:Marzo 2015

     

     

    Dopo anni di avventure grafiche molto apprezzate da pubblico e critica, i tedeschi di Daedelic, circa dodici mesi fa, ci hanno deliziato con la loro prima sortita nel campo dei giochi di ruolo strategici con Blackguards, che il nostro buon Pregianza premiò con un 7,5, evidenziandone i pregi ma anche sottolineando come fosse evidente l'inesperienza del team di sviluppo nel campo specifico.
    Oggi, dopo diverse ore passate con una build discretamente avanzata di Blackguards 2 vogliamo condividere con voi le nostre prime impressioni, in attesa della release, fissata per il 20 gennaio prossimo.

    Ad un anno esatto dall'uscita del primo episodio, e con somiglianze molto marcate tanto a livello di comparto tecnico quanto di gameplay, appare evidente già dalle prime ore di gioco che questo secondo capitolo sia in realtà una versione 1.5 dell'originale Blackguards, figlia dei feedback della community e della reazione della critica specializzata, cui Daedelic ha sempre prestato orecchio.
    L'abbozzo della componente narrativa di questo secondo capitolo conferma questa impressione, riprendendo gli eventi da dove li si era lasciati, alla fine del capostipite: protagonisti del passato, come Zurbaran, Naurim e Takate, torneranno, appesantiti dagli anni e dal fardello delle preoccupazioni che la vita ha imposto loro, ma il focus sembra stavolta concentrato sulla principessa Cassia, una donna dal grande temperamento, ingiustamente imprigionata e decisa a vendicarsi dei suoi aguzzini, che ne hanno anche orribilmente deturpato il viso.
    Come nella migliore tradizione Bethesda, l'incipit delle avventure avrà luogo in un dungeon sinistro e ci vedrà impegnati ad evadere con lei di prigione, e l'obiettivo finale sembra duplice: regnare, anche per un solo giorno, sull'intera Mengbilla, e avere la testa di Marwen infilzata su una picca.
    Troppi dettagli ci sono preclusi in questa preview, e quindi è forse troppo presto per pronunciarsi sulla bontà del sostrato narrativo, ma appare abbastanza chiaro che solo coloro che si siano già cimentati con il primo Blackguards potranno godersi al meglio ogni risvolto della trame e il ritorno di facce note.Tra le critiche mosse al pur promettente titolo d'esordio nel campo dei SRPG c'era l'eccessiva fedeltà al set di regole base di The Dark Eye, gioco di ruolo che gode di grande seguito soprattutto in Germania, patria del team di sviluppo: l'innaturale frequenza nel mancare colpi apparentemente semplici, la nebulosa distribuzione degli Adventure Points (i punti abilità) e la mancanza di un indicatore della fatica attenevano tutte a questa scelta di game design.
    Su ognuno di questi tre punti gli sviluppatori hanno lavorato alacremente: le probabilità di colpire un avversario sono aumentate di molto in battaglia, come anche quelle che un incantesimo riesca; mancare è ancora possibile, ma l'incidenza di questa evenienza è ridotta drasticamente rispetto soprattutto alle fasi iniziali del gioco dell'anno scorso.
    Sono stati poi rimossi i maestri, che erano precedentemente necessari per progredire nella build del personaggio ed imparare nuove abilità ed incantesimi, e al loro posto c'è un sistema di crescita tutto nuovo, che, nella nostra prova, si è dimostrato decisamente più immediato, soprattutto per quanto concerne le weapon proficiencies: certo, il tutto andrà testato nuovamente a tre quarti dell'avventura, quando il numero di abilità e di possibilità decuplicherà, ma la sensazione è che l'incedere sia meno farraginoso che in passato.
    Quasi a voler bilanciare la suddetta maggiore precisione dei nostri attacchi, è stato poi introdotto il valore della fatica, da tenere in conto soprattutto durante gli scontri più lunghi, quando la stanchezza potrebbe fiaccare i nostri combattenti corpo a corpo, che rappresentavano invece la soluzione più “economica” nello scorso capitolo.
    Questa introduzione, peraltro, potrebbe premiare un atteggiamento più aggressivo da parte del giocatore, cui potrebbe convenire chiudere uno scontro nel minor numero di turni possibili invece che starsene sulla difensiva e rischiare di vedere le sue possibilità di vittoria intaccate dal sopraggiungere della fatica.
    Sebbene il lavoro del team di sviluppo sia incessante (nella settimana circa di test la nostra build è stata aggiornata per ben tre volte) e manchino ancora quattro settimane all'uscita, non possiamo non segnalare una serie di bug, che vanno da quelli innocui, come l'audio che ci abbandona durante una cutscene senza un perché, a quelli che minano la godibilità del titolo, tra cui freeze totali e subitanei crash to desktop.

    Lo stile teutonico della direzione artistica, con una prevalenza di marroni e grigi, richiama da vicinissimo quello del primo Blackguards, del quale è stato riutilizzato anche il motore tridimensionale, opportunamente imbellettato e svecchiato: esattamente come per il precedente capitolo, Blackguards 2 non stupirà nessuno per le sue texture o per un set animazioni particolarmente brillante, ma punterà piuttosto su una grande quantità di contenuti ed un sistema di combattimento rifinito e perfezionato rispetto al passato.
    Personalmente ero rimasto colpito dal doppiaggio dell'originale, e sotto questo punto di vista, almeno da quello che si è potuto sentire, la qualità è rimasta immutata, e questo rappresenta già un buon punto di partenza.
    Non guasta nemmeno il prezzo di lancio ribassato di dieci euro rispetto al primo episodio (39,99 contro 29.99 euro): probabilmente, con grande onestà intellettuale, i ragazzi di Daedelic si rendono conto che Blackguards 2 è più la versione definitiva del loro strategico che non un gioco del tutto nuovo, e come tale lo propongono ad una fascia di prezzo adeguata. 

martedì 16 dicembre 2014

Total War Arena

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Creative Assembly

     

     

    Non è un MOBA con i più noti generali della storia come protagonisti, e non è nemmeno uno strategico free to play comune. Siamo infatti davanti a un’idea curiosa e piuttosto interessante, che potrebbe effettivamente conquistare una discreta nicchia di giocatori se gestita a dovere. 
    Tante piccole armate fanno una grande armata
    Arena, come detto nell’intro, non è il solito competitivo online free to play. Arrivato alla postazione dedicata alla prova mi sono trovato davanti a una selezione del personaggio inizialmente simile a quella vista nei dota-like, ma accompagnata da numerose altre opzioni che dimostrano immediatamente l’unicità del lavoro di Creative Assembly. Prima, e più importante di queste, la selezione delle truppe, che permette di scegliere tra varie unità di guerrieri in gruppi di tre. Già, perché Arena non vi dà il controllo di un eroe, ma di tre squadre di unità supportate da una serie di abilità attive e passive proprie del generale selezionato all’inizio. 
    Questo chiaramente implica che il generale non è un contorno, bensì un elemento importantissimo della partita che può cambiare sensibilmente il ruolo del proprio esercito in miniatura. Selezionate un support come Giulio Cesare e avrete a disposizione abilità che migliorano il morale delle truppe o permettono di scattare senza affaticamento, mentre la scelta di un comandante difensivo offrirà bonus contro gli attacchi diretti e altre sorprese in grado di favorire la sopravvivenza dei soldati. 
    Detta così può apparire piuttosto complicata, eppure il gameplay di Arena è estremamente intuitivo: le tre truppe sono già divise in sottoinsiemi e selezionabili al volo con il numero corrispondente, le formazioni base non possono venir modificate, e tutto ruota attorno al posizionamento, all’uso intelligente delle abilità attive sopracitate, alla gestione del territorio, e al solito sistema sasso/carta/forbice che rende certe truppe particolarmente efficaci contro altre. Non disperate, la semplicità è solo di facciata ed è obbligatoria per evitare una confusione eccessiva nelle battaglie. Questo perché il gioco vede scontrarsi 20 giocatori in due team da 10 utenti ciascuno, per un totale di 60 truppe in campo. Conflitti di scala epica, che richiedono grande coordinazione e una lodevole capacità di comportarsi al meglio nel proprio ruolo. La specializzazione dei generali aiuta in ciò, e potrebbe portare certi giocatori ad abbandonare del tutto le unità dalla distanza in favore di truppe rapide o della cavalleria, oppure a puntare tutto sullo sfinimento ed entrare in campo con tre gruppi di arcieri per puntellare il nemico da lontano.  
    Inizialmente le vostre scelte saranno limitate, ma come di norma avanzando salirete di livello, e otterrete punti che vi garantiranno di potenziare le truppe base fino ad acquistarne di nuove. Il generale crescerà chiaramente a sua volta, assicurando nuove unità e poteri sempre più utili.
    Il gameplay fondamentale, in effetti, non richiede una maestria totale degli rts, visto che nelle mie partite ho fatto uno sfacelo semplicemente nascondendo arcieri nelle zone boschive e fiancheggiando i nemici già impegnati in battaglia, ma immagino che Arena possa dare davvero il meglio di sé solo a livelli avanzati, dove le unità iniziano a diventare molto più specializzate, i poteri più devastanti e gli eserciti da dieci giocatori molto più ardui da arginare. La divisione delle truppe dopotutto è strutturata a tier, in modo simile a quanto visto nei giochi Wargaming, ed è plausibile che una volta passate le prime barriere i confronti sulle mappe possano farsi nettamente più brutali e imprevedibili. 
    La presenza di sottosistemi legati al terreno e alla posizione delle unità, e il complesso sistema di sviluppo di soldati e generale mi hanno stuzzicato, lasciandomi un certo languorino e invogliandomi a scoprire il gameplay di alto livello. Qualche dubbio legato alla natura free to play del titolo tuttavia è rimasto, e ho pensato bene di chiarirlo facendo una chiacchierata con gli sviluppatori.
    Il più lancinante era quello delle microtransazioni, a loro volta vicine ai titoli di Wargaming in quanto in grado di velocizzare il passaggio ai Tier superiori. La preoccupazione primaria, però, era legata alle unità acquistabili con i soldi reali: c’erano da aspettarsi truppe premium di rara infamia o un sistema ponderato? La risposta giusta pare essere la seconda, poiché sì, ci sono delle truppe speciali acquistabili a forza di moneta sonante e non sbloccabili in altro modo, ma pare non siano più forti delle altre, e pensate esclusivamente per dare a un generale accesso a tipologie di soldato per lui normalmente inutilizzabili (esempio, cavalleria a un comandante che normalmente non può farne uso). La cosa può sembrare sbilanciatissima, ma valutata nel contesto di una battaglia 10 contro 10 con sole tre truppe conta pochino, anche perché la maggior parte dei giocatori vorranno probabilmente utilizzare unità vicine alla specializzazione del proprio generale, e non aggiunte lontane dal loro ruolo. Sulla questione dei Tier, invece, tutto dipende dal matchmaking. Il team assicura di aver lavorato a lungo in modo da assicurare un certo equilibrio in battaglia, ma è chiaro che all’inizio chi spenderà uno sfacelo si ritroverà in netto vantaggio rispetto ai novellini, e il sistema potrebbe non riuscire a equilibrare ogni scontro. Tutto dovrebbe risolversi nel giro di qualche settimana, con la crescita della community.
    Ultime buone notizie, pare che nel gioco ci sarà un sistema di arbitri per evitare il cheating, e che la beta arriverà all’inizio del 2015, dopo una fase di closed alpha che ha coinvolto alcuni membri storici della community di Total War.

Company Of Heroes 2 ardennes Assault

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Relic Entertainment

     

     

    Quella di Company of Heroes è ormai rimasta l’unica serie di un certo spessore produttivo a fare la gioia degli amanti degli RTS ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale. Pubblicato nel giugno del 2013, Company of Heroes 2 ha venduto circa un milione di copie, è stato ben accolto dalla stampa specializzata e ha già dato vita a diversi DLC ed espansioni tra cui The Western Front Armies, incentrata prevalentemente sulle aggiunte multiplayer. Oggi, a oltre diciotto mesi di distanza dall'uscita del gioco principale, torniamo a parlare della serie di Company of Heroes 2 grazie alla nuova espansione stand-alone Ardennes Assault, rivolta invece solo al gioco in singolo e disponibile da alcuni giorni su Steam a 39,99 euro, più altri 4 euro se si vuole sbloccare la compagnia dei Ranger che si aggiunge alle tre già presenti (Aviazione, Fanteria meccanizzata, Unità di supporto).
    Qualcosa vi sarà già risuonato in testa e in effetti 40 euro per un’espansione, seppur dotata di una buona longevità, sono sinceramente troppi, soprattutto considerando la mole di materiali in-game non certo pari a quella di Company of Heroes 2 e l’impossibilità di giocare almeno qualche missione nei panni dell’esercito tedesco. Le missioni che ci aspettano in questa espansione sono infatti viste solo attraverso la compagine americana, che dal dicembre del ’44 fino al gennaio del ’45 affrontò nello scenario invernale delle Ardenne una Wehrmacht ormai sull’orlo della resa. Come da tradizione della serie, anche qui Relic Entertainment mischia missioni immaginarie con operazioni militari realmente accadute, ma a differenza del passato non siamo di fronte a una classica Campagna lineare con le solite missioni da completare una dopo l’altra nell’ordine richiesto dal gioco. Sulla mappa divisa in stile Risiko, possiamo infatti muovere le nostre truppe liberamente per conquistare le aree in mano ai tedeschi, pur tenendo bene a mente le conseguenze dei nostri attacchi. In Ardennes Assault infatti non basta vincere una battaglia, ma bisogna considerare anche le conseguenze che ciò avrà in futuro. Perdiamo troppi uomini in uno scontro? Meglio pianificare bene quello successivo in modo da non fiaccare troppo il morale dei nostri soldati, o, in altri casi, conviene sempre considerare dove le truppe nemiche sconfitte si stanno ritirando.
    Insomma, l’aggiunta di questo ulteriore substrato tattico è davvero piacevole e profonda e si sposa all’ormai abituale struttura strategico della serie. Ogni compagnia ha caratteristiche proprie e, con i Punti Requisizione che si ottengono in battaglia, è possibile modificare e sviluppare ognuna delle tre “fazioni” con un classico sistema ad albero per un totale di oltre 70 livelli di potenziamento. Ce n’è davvero per tutti i gusti e scegliere attentamente quale skill potenziare a seconda della situazione è un ennesimo tassello che solidifica ulteriormente l’impatto tattico-strategico dell’espansione. La varietà delle missioni non riserva invece particolari scossoni rispetto al passato della serie, ma sinceramente non ci aspettavamo il contrario, mentre abbiamo accolto con favore la caratterizzazione dei tre Comandanti che andremo a impersonare nel corso del gioco. Nulla di eccezionale sia ben chiaro, ma nonostante qualche stereotipo di troppo fa comunque piacere essere nei panni di personaggi finalmente non del tutto anonimi, ma con un passato alle spalle e sufficientemente carismatici.
    Considerando che già a livello medio vi serviranno 15-20 ore per portare a casa la vittoria finale contro la Wehrmacht, possiamo di fatto premiare Ardennes Assault con un voto più che positivo, anche se i difetti non mancano. Abbiamo già detto del prezzo e della decisione di relegare i Ranger a un DLC a pagamento, ma non dimentichiamo l’assenza del salvataggio libero (che in certe occasioni può portarvi a infinite sequele di imprecazioni) e la mancanza di un vero e proprio tutorial approfondito, cosa che getterà i neofiti della serie in una serie di scenari e battaglie dalla difficoltà molto elevata. Un po’ per la velocità con cui si svolgono gli scontri e si evolvono i vari fronti della mappa, un po’ per la facilità con cui si perdono soldati, Ardennes Asssault non è certo un RTS per tutti e certe meccaniche potevano essere semplificate proprio per venire incontro ai giocatori meno esperti, lasciando comunque la possibilità agli hardcore gamer di scegliere un livello di difficoltà più elevato per godersi il gioco in tutta la sua complessità. Già si sapeva comunque che Company of Heroes non è mai stata una serie casual e questa nuova espansione lo dimostra ancora una volta. Pensateci bene quindi prima di procedere all’acquisto.

Total War Battles Kingdom


  • Piattaforme:iPhone, PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Creative Assembly

     

     

    Più una software house cresce e si sviluppa, maggiori sono le possibilità che decida di esplorare nuovi lidi, nuove forme di videogioco. Di solito tali sperimentazioni sono strettamente legate al passato della casa, ma nel caso dei Creative Assembly, ormai, non è più una pratica certezza. Il team britannico ha dimostrato ampiamente di sapersela cavare non solo negli strategici, con la storica serie Total War, ma anche in generi completamenti diversi come l’horror, e l’unico motivo per cui siamo volati a Londra con una certa consapevolezza di ciò che avremmo visto era il nome stampato sull’invito, proprio quello della notevole serie di rts appena citata. Questo non vuol dire che le sorprese siano mancate, tuttavia: è evidente che i Creative stiano puntando molto in alto, e per farlo abbiano deciso di muoversi in campi toccati solo marginalmente in passato, anche magari percepiti come più casual e commerciali rispetto al solito. Il gaming mobile è chiaramente una di queste zone franche, dove il gruppo sta approdando ancora una volta con Total War Battles: KINGDOM, sviluppato dallo stesso team di Total War Battles: Shogun. Ci sarà da aspettarsi qualità anche su mobile?
    KINGDOM, in tutto lo splendore del maiuscolo, è uno strategico free to play pensato principalmente per mobile. Tenete bene a mente quel “principalmente” perché in realtà il gioco sarà disponibile su svariate piattaforme, come pc e mac, e il motivo per cui teniamo a precisare la sua stretta correlazione al mondo del gaming da tablet è strutturale. Si tratta di un gioco server based e crossplay tra le piattaforme, con un gameplay sensibilmente semplificato rispetto a quanto ci si aspetta solitamente da un Total War duro e puro, e ovviamente pensato per essere fruibile anche da giocatori con poco tempo a disposizione. Ogni cosa gira attorno alla creazione di un regno persistente, con una limitata personalizzazione del regnante e dello stendardo. A quel punto KINGDOM cerca di distaccarsi con leggerezza dal titolo gestionale mobile medio, offrendo non solo la possibilità di costruire edifici dalle svariate funzionalità e di gestire la raccolta delle risorse, ma anche un po’ di sana personalizzazione del territorio, con tanto di terreno modificabile per mutare il corso di ruscelli e fiumiciattoli in modo da facilitare i raccolti e favorire determinate produzioni. La situazione può inoltre complicarsi ulteriormente, poiché in KINGDOM le stagioni cambiano e le condizioni climatiche avverse possono creare seri problemi alla popolazione, al punto da costringere a un cambio di rotta produttivo totale per mantenere l’ordine.
    Una direzione promettente, che però rappresenta comunque un antipasto per le battaglie attorno a cui ruota buona parte del prodotto, in linea con il marchio che rappresenta. Ecco, da questo punto di vista la semplificazione forse è divenuta leggermente eccessiva. Non per quanto riguarda la gestione delle truppe in sé, ci teniamo a precisarlo, poiché le unità possono venir acquistate e potenziate nel dettaglio, con tanto di statistiche e tratti dedicati che ne modificano sensibilmente le capacità. Il problema riguarda proprio gli scontri, dove le truppe si sfidano a testa bassa in un sistema alla sasso carta forbice, dove l’unica cosa importante è il posizionamento iniziale. 
    Un po’ di tattica permane anche in questi brevissimi scontri, con la possibilità di eseguire azioni perfette con un certo tempismo e interventi marginali, ma avremmo voluto vedere comunque qualcosa di più elaborato vista la carenza di strategici degni su tali piattaforme. Come detto in precedenza, ad ogni modo, è evidente che la strada seguita dai Creative in questo caso è quella dell’intuitività e del gameplay da viaggio, e non si può fargliene una colpa.
    Più preoccupante la gestione delle microtransazioni, assenti non a caso nella build di prova. Non sappiamo bene cosa aspettarci per quanto riguarda l’acquisto truppe, ma molti meccanismi dei free to play mobile si sono insinuati con prepotenza anche in KINGDOM, andando a impattare sulle tempistiche di gioco. Per la raccolta risorse e la costruzione di edifici, infatti, bisogna attendere anche tempi molto lunghi, e ci aspettiamo dunque un boost non indifferente per chi usa soldi reali, mentre l’esperienza potrebbe risultare forzosa o noiosetta per tutti gli altri. Per fortuna pare che la parte più importante sia l’end game, per il momento non testato, dove i vari giocatori si potranno affrontare in pvp e un sistema di matchmaking dovrebbe bilanciare degnamente ogni conflitto. È chiaro però che, con la necessità di mantenere l'impero facilitata grazie al denaro, potrebbero comunque crearsi degli sbalzi e sarà necessario pertanto valutare attentamente la situazione a gioco uscito. Per ora possiamo solo dirvi che KINGDOM pare un titolo con delle buone potenzialità per i possessori di tablet e i fan della strategia veloce.

Warhammer 40000 Armageddon

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Slitherine Strategies

  • Data uscita:26 novembre 2014

     

     

    È dal 2002 che Slitherine produce giochi strategici. Alla software house inglese certo non manca l'esperienza: il suo primo titolo su licenza Games Workshop dovrebbe quindi essere un must buy per tutti gli amanti della celeberrima saga di Warhammer 40K appassionati di wargame a turni.
    Parlando di questa saga descriviamo praticamente la storia stessa dei giochi da tavolo: ben sette le edizioni sin qui pubblicate dal 1987, e i videogiochi basati su di essa ormai si fa decisamente fatica a contarli tutti. Diciamo che, limitandoci al PC,  sono sicuramente oltre una ventina e dal lontano Space Crusade del 1992 si sono ormai affacciati su tantissimi generi: dai più tradizionali strategici a turni come in questo caso a quelli in tempo reale, come il primo e secondo Dawn of War, sino all'apprezzato titolo d'azione Space Marine, canto del cigno di THQ prima di fallire miseramente. Questo fa capire quanto sia apprezzata e giocata questa serie nata in Inghilterra e oggi conosciuta a livello mondiale, tanto che chi non possiede almeno una miniatura di Warhammer in casa non può quasi definirsi un reale adepto del GdR. Stiamo quindi parlando di un licenziatario inglese che cede una sua famosissima licenza a una softco che ha la sua sede a poco più di un centinaio di miglia, con un esperienza decennale nel genere di cui questo prodotto fa parte e che ha un logo che ricorda tanto quello della mai abbastanza compianta Bullfrog. Cosa poteva andare storto? Troppe serate al pub? 
    Beh non è esattamente così, perché sotto diversi aspetti Warhammer 40,000 Armageddon è un titolo realizzato con tutti i crismi. Partiamo proprio dal lore, che non è per niente secondario se non l'aveste colto dal preambolo. Armageddon è il pianeta ribollente che fa da ambientazione, vicinissimo alla sua stella e quindi smaccatamente inospitale, però anche ricco di preziosi minerali che sono ciò che causa i sanguinosi conflitti da cui ha preso il nome. Dopo un periodo di prosperità durante il quale l'Impero ha costruito imponenti insediamenti e industrie è infatti arrivata l'immancabile Waagh! degli orchi (orki, pardon), decisi a prendersi il pianeta e le sue ricchezze rifilando pugni in faccia chiunque si metta sul loro cammino. Starà naturalmente a noi rispedirli da dove sono venuti a suon di vittorie sul campo. Si tratta, in particolare, della Seconda Guerra di Armageddon: nel gioco compaiono tutti i personaggi iconici di questo conflitto, come il Governatore Von Strab e il Commissario Yarrick, nella forma di protagonisti delle finestre di dialogo che introducono le diverse missioni della campagna singlepayer. Parlando delle modalità disponibili, oltre a quella appena citata sono anche presenti gli scenari che consentono di giocare in solo ogni singola mappa con entrambe le fazioni. Quella orkeska viene sbloccata una volta conclusa la campagna, dando dunque la possibilità di affrontare ogni missione a ruoli invertiti. Non manca poi il multiplayer che offre la possibilità a due giocatori di affrontarsi, fornendo dunque un ulteriore livello di giocabilità alle trenta mappe presenti. Come in ogni wargame che si rispetti queste, pur condividendo tutte la medesima ambientazione desertica, offrono una buona varietà tattica comprendendo sia ostacoli come montagne e fiumi sia installazioni e insediamenti di varia estensione.
     Ogni casella dispone di caratteristiche proprie che influenzano non solo potenza di attacco e difesa delle unità, ma anche i loro movimenti e la possibilità di essere colpite o meno. È indubbiamente la buona profondità strategica il punto forte di questo titolo. Ogni mossa richiede astuzia e sapiente pianificazione, soprattutto i due livelli più difficili (cinque quelli disponibili) offrono una notevole sfida anche ai giocatori più esperti, ed è sicuramente in quest'ambito che viene fuori tutta l'esperienza di Slitherine nei prodotti di questo genere. Non solo sono presenti centinaia di unità, ognuna con le sue virtù, debolezze e peculiarità che le rendono utilissime in certi casi e senza speranza alcuna in altri (c'è veramente tutto: dalla carne da macello armata di sparachiodi a tank e unità aeree di ogni tipo, sino agli orki sui chopper e i titani), ma è tutto l'insieme delle opportunità fornite dalle battaglie che farà la gioia dei guerrafondai più esigenti. Sin dall'iniziale fase di dispiegamento il più piccolo errore farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta e bisognerà essere assoluti conoscitori delle caratteristiche di ogni unità per ottenere risultati che non siano atroci per le sorti del proprio schieramento. Ruolo fondamentale lo giocano inoltre le risorse e i turni: le prime consentono di rifornire le truppe e impiegarne di nuove, mentre i secondi sono sempre limitati e dettano il ritmo con cui vanno condotte le battaglie, non dando possibilità di temporeggiare o compiere manovre evasive. Insomma: la miglior difesa è sempre l'attacco.
    Dunque come mai un voto appena sopra la sufficienza? È presto detto: se le basi del titolo sono oltremodo solide per tutto quello che concerne il gameplay, è altrettanto vero che qui siamo di fronte a un comparto tecnico d'insieme assolutamente minimale, per non dire tragicamente povero. Mappe e briefing di missione fanno quel che devono, ma non possono certo dirsi al passo con i tempi. Il gioco utilizza il medesimo engine di Panzer Corps, titolo di quasi una decina di anni fa che si rifà a Panzer General di SSI, uscito nel 1994. In altre parole a livello grafico e sonoro siamo a vent'anni fa. Se indubbiamente ai fan del genere nulla o quasi gliene frega di questi aspetti, purché il gioco sia valido dove deve esserlo, è pur vero che siamo nel 2014 e qualche animazione decente o un maggior dettaglio per mappe e unità sono cose che oramai dovrebbero essere acquisite. Si può dire che ormai i titoli come questo hanno raggiunto la piena maturità e ci si aspetterebbe che, volendo puntare su un concept ormai vetusto almeno per la stragrande maggioranza dei gamer, si puntasse quantomeno a svecchiarlo offrendo qualcosa di un po' più fresco rispetto ai venerandi capostipiti del genere, specie per quanto riguarda l'UI (migliorabile in molteplici aspetti). Il riferimento va soprattutto alla condizione di vittoria, che tranne scarsissime eccezioni è sempre quella di occupare tutti gli esagoni chiave per un turno, senza contare la succitata campagna, piuttosto debole in generale.

martedì 9 dicembre 2014

Street Fighter V

  • Piattaforme:PC, PS4

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:Capcom

  • Data uscita:Febbraio 2015



    In occasione dell’evento PlayStation Experience tenutosi lo scorso weekend a Las Vegas, Capcom ha finalmente rivelato alcune interessantissime informazioni sull’ultima incarnazione videoludica di uno dei suoi franchise più famosi ed amati. Ebbene si, la software house nipponica ha annunciato che Street Fighter V è finalmente una realtà, e per farlo si è servita di un trailer davvero atipico: ha cercato, infatti, di far leva sui sentimenti del pubblico, proponendo un paragone tra la storia della serie e le vite di ognuno di noi e ponendo come comune denominatore il sentimento della passione. Essa è infatti il motore che permette a chiunque di continuare ad andare avanti, di raggiungere i propri limiti e di superarli. Non importa chi siamo o come siamo, nulla ci è precluso. Bisogna ammetterlo, questa volta Capcom è riuscita a coinvolgerci, e lo ha fatto grazie ad un’ottima regia, alla voce intonata e suadente dello speaker e all’uso di immagini iconiche della serie, come la famosissima schermata principale di Street Fighter II o la straordinaria performance di Daigo Umehara all’Evo 2004. Il messaggio è chiaro e deciso, e si inserisce in un contesto di lotta e rinascita che permea tutto il filmato. Non a caso lo slogan è proprio “Rise Up” . 
    Il video termina con il nuovo logo di Street Fighter V e con un “inquietante” avvertimento, che ha fatto non poco discutere: “Exclusively on PS4 and PC”. Il produttore della serie Yoshinori Ono ha infatti dichiarato che la console Sony è proprio ciò che si è immaginato quando ha pensato al futuro di Street Fighter. “È stato chiaro fin da subito” ha continuato, “che per venire incontro alla passione dimostrata dai fan di Street Fighter di tutto il mondo, avremmo avuto bisogno degli sforzi congiunti di Capcom e Sony. Ed è per questo motivo che sono felice di annunciare che Street Fighter V è in lavorazione e che si tratterà di un’esclusiva per PlayStation 4 e PC”. Dichiarazioni come queste lasciano ben poco all’immaginazione, anche se l’industria videoludica non è nuova al fenomeno delle esclusive temporanee, ovvero i casi in cui un titolo esca con ampio anticipo per una console rispetto alla concorrenza (un po’ come è successo con Rise of the Tomb Raider su Xbox 360 e Xbox One). Purtroppo non possiamo affermare che anche in questo caso avverrà così, dato che l'esclusività pare confermata dalle parole di Adam Boyes, responsabile delle relazioni di Sony con i publisher. Si tratta sicuramente di un duro colpo per Xbox e per l'intera Fighting Game Community americana, che in questo modo perde un marchio di grande richiamo per il pubblico, nonchè un prodotto di sicura qualità. Il titolo sarà comunque disponibile per computer ed è stata confermata la volontà di introdurre un sistema di cross play tra piattaforme, che permetterà sia agli utenti console che PC di sfidarsi online tra di loro liberamente.
    Capcom, con il trailer di cui vi abbiamo appena parlato, ha certamente voluto creare una forte empatia nei confronti del proprio pubblico, cercando di raggiungere i cuori ancor prima che le menti: tuttavia non ci aspettavamo certo che l’occasione del PlayStation Experience non venisse sfruttata per mostrare ben altro, e così infatti è stato. Oltre al filmato in questione, infatti, abbiamo potuto assistere anche ad un breve esempio di gameplay del gioco, con Ryu e Chun-Li come protagonisti. A dire il vero alcuni fotogrammi di questo secondo trailer erano visibili anche nel primo, ma si trattava di spezzoni così ridotti che venivano decisamente sovrastati dal messaggio. Adesso invece la vera protagonista è la lotta e, nonostante lo spettacolo duri meno di un minuto e mezzo, tanto è bastato a farci un’idea di quanto ci aspetta. Attraverso questo combattimento, Capcom ha sapientemente introdotto molte delle caratteristiche che ritroveremo nel gioco. Innanzitutto la grafica di Street Fighter V ricorda quella vista nel capitolo precedente ma, a differenza di quest’ultima, appare molto più realistica e meno cartoonesca. È stata inoltre aggiunta la possibilità di cambiare stage sfondando le pareti: difficile dire quali ripercussioni si avranno sul gameplay in assenza di barre della vita visibili ma verosimilmente si tratta di una semplice, per quanto apprezzata, feature di tipo estetico. 
    Per quanto riguarda il combattimento, invece, abbiamo notato la presenza di un sistema di potenziamento che permette ai personaggi di effettuare mosse più efficaci. Durante la sfida si vede Chun-li caricarsi fino ad essere contornata da un’aura azzurra molto simile agli schizzi di “inchiostro” presenti in Street Fighter 4. Allo stesso modo le mosse che porta a termine da quel momento in poi posseggono la stessa particolarità e sembrano molto più potenti, tanto che il suo Kikoken permette di lanciare due fireball dopo il buff. Anche Ryu è in grado di accedere a questo potenziamento, ma la sua aura è di colore nero. Secondo il nostro parare si tratta di una sorta di “modalità” nella quale i personaggi possono entrare in determinati momenti del combattimento, ad esempio dopo aver riempito una barra dedicata, subendo o portando a termine un certo numero di attacchi.
    Il sistema di combo basato sui link pare tornare anche in questo capitolo ma sensibilmente potenziato per quanto riguarda il juggling aereo: Chun-Li, dopo aver colpito Ryu, lo scaraventa  in aria, continua a concatenare colpi, e termina la sua tecnica con un calcio che lo colpisce una volta ricaduto a terra. Quest'ultimo attacco non sembra però un colpo off the ground, ovvero attuabile con il nemico a terra, bensì eseguibile grazie un rimbalzo simile a quelli ottenibili in Street Fighter X Tekken. Per finire abbiamo notato la presenza di un sistema di guardia che consente di parare solo un numero limitato di colpi consecutivi: arrivati ad un certo punto, infatti, i colpi di Ryu hanno penetrato la guardia di Chun-Li e un effetto grafico accompagnato da un sordo rumore di vetri infranti ci ha fatto capire che l’eroina è diventata vulnerabile agli attacchi avversari. Forse un leggero avvicinamento alle meccaniche di Street Fighter Alpha 3? Il trailer si conclude con un Hadoken di cui non vediamo effettivamente il lancio, in quanto l’immagine sfuma in uno sfondo bianco, ma il nome pronunciato da Ryu è chiaro, "Denjin Hadoken", una mossa che il nostro possedeva solo in Street Fighter III. Forse cronologicamente siamo davanti al seguito diretto tanto atteso dai fan?
    Entrambi i filmati hanno sicuramente destato moltissima curiosità all’interno della community dei videogiocatori  e anche noi non vediamo l’ora di saperne di più, a partire dal roster dei personaggi che ci auguriamo comprenda un buon numero di new entries. Nessuna notizia nemmeno riguardo alla trama (ma, come detto sopra, potrebbe continuare le vicende del III) o ad una possibile data di uscita. Difficile inoltre prevedere i risvolti economici e di immagine per quanto riguarda la tanto decantata esclusività. Come si suol dire in questi casi, non mancheremo di darvi ulteriori informazioni non appena ne verremo a conoscenza. Alla Capcom Cup dopotutto dovrebbe venir mostrato un gameplay più sostanzioso. Recuperate i vostri arcade stick e ricominciate ad allenare i riflessi. Street Fighter è tornato!  

Lara Croft e Il Tempio di Osiride

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Crystal Dynamics

  • Data uscita:9 dicembre 2014

     

     

    Tomb Raider è una serie che ha sempre saputo creare uno straordinario bilanciamento tra puzzle solving, combattimento ed esplorazione. Prima dei fasti di Nathan Drake, l’Indiana Jones dei videogiochi era solo lei, un’eroina carismatica, affascinante e capace di incantare intere generazioni di videogiocatori. Nel corso degli anni questo marchio ha vissuto momenti di gloria e di sostanziale declino, fino al rilancio totale avvenuto qualche tempo fa sotto la guida dei Crystal Dynamics. La svolta di Tomb Raider data 2013, però, era stata preceduta da un altro titolo sviluppato dallo studio di Redwood, distante anni luce dalle altre produzioni: Lara Croft and the Guardian of Light fu il primo spin-off di questa saga, un dual stick shooter con vista isometrica pensato per essere giocato in multiplayer. E, nonostante la premessa abbia fatto storcere il naso praticamente a tutti, il titolo riuscì bene.
    Così, dopo quattro anni e un reboot nel mezzo, eccoci al cospetto del secondo spin-off, che questa volta ci porta in Egitto alle prese con una maledizione che ha risvegliato qualche divinità incavolata nera. E, esattamente come il titolo del 2010, Lara Croft e il Tempio di Osiride (o, se preferite, Lara Croft and the Temple of Osiris) è un prodotto che ha saputo riservarci qualche bella sorpresa.
    Come The Guardian of Light, anche Lara Croft e il Tempio di Osiride è un gioco pensato per essere giocato in multiplayer, questa volta fino a un massimo di quattro giocatori. Sia chiaro: il titolo può essere completato da un solo giocatore, e non vi sono elementi aggiuntivi che si sbloccano grazie alla presenza di uno o più compagni; più semplicemente, il titolo è molto ma molto più piacevole se giocato in compagnia.
    L’aspetto più interessante del gioco si riscontra nella capacità di sapersi adattare al numero di giocatori presenti. Se giocato in single player, i tre compagni di Lara Croft non vengono controllati dall’intelligenza artificiale, e le loro voci nei dialoghi che accompagnano l’esplorazione risuonano nella tomba come un’eco proveniente dall’aldilà. I puzzle, il numero dei nemici e le boss fight si adattano alla presenza di un solo giocatore, e la difficoltà viene modificata in modo tale da risultare perfetta per l’esperienza in single player. Quando si aggiunge un giocatore, tutto cambia: i puzzle richiedono più passaggi, i nemici aumentano e, in alcuni casi, viene modificata persino la logica di risoluzione dei problemi. Da questo punto d vista, i Crystal Dynamics hanno compiuto un lavoro meritevole di plauso: è straordinario come il titolo cambi la propria anima a seconda del numero di giocatori presenti, e in alcuni particolari livelli sembra di giocare a un titolo completamente diverso se ci si accompagna ad un amico. In questo senso, la longevità del gioco potrebbe aumentare in maniera notevole, se non fosse che il titolo in single player non offre neanche la metà del divertimento in multiplayer, specie se in locale.
    I quattro personaggi presenti nell’avventura si dividono in due gruppi distinti. Da un lato abbiamo Lara e Carter, i due archeologi amici/nemici, mentre dall’altro abbiamo Iside e Horus, due divinità egizie risvegliate dall’antica maledizione attivata dai due esploratori. Il gioco ha luogo nell’Egitto contemporaneo, dove il malvagio dio Seth è determinato a soverchiare l’equilibrio divino. Iside e Horus, accompagnati da Lara e Carter, si mettono sulle tracce dei manufatti di Osiride, capaci di risvegliare il re di tutti gli dei, sconfiggere Seth e interrompere la maledizione.
    Lara, Carter, Iside e Horus non sono soltano separati da quattromila anni di storia: le loro differenze sono piuttosto incisive anche a livello di gameplay. Lara e Carter dispongono di una doppia pistola, hanno la possibilità di utilizzare un rampino per scalare pareti o per tendere funi da funambolo e possono dare fuoco a delle torce per illuminare la via. Iside e Horus, invece, dispongono di un bastone magico che può aprire particolari passaggi, possono avvolgersi in una sfera sulla quale gli altri personaggi possono salire per raggiungere luoghi posti più in alto e hanno la capacità di muovere alcuni blocchi incantati. La differenza tra le due tipologie di personaggio è molto importante a livello di gameplay, e in definitiva a seconda del personaggio scelto è necessario compiere dei ragionamenti differenti per superare gli enigmi.
    Oltre alle armi standard, nel gioco è possibile disporre di diversi aggiornamenti che si ottengono nel corso dell’avventura. Vi sono anelli e amuleti che cambiano le statistiche di ciascun personaggio (spesso offrendo un bonus in cambio di un malus), oltre ad alcuni copricapi, vestiti e un vero e proprio arsenale. Armi come mitragliatori e fucili a pompa - ciascuno con proiettili limitati - sono certamente divertenti da utilizzare, ma decisamente poco in linea con l’ambientazione. Nella tomba sigillata di un dio egizio, infatti, ci saremmo aspettati tutto fuorché una doppia mitraglietta calibro 9, peraltro utilizzabile senza difficoltà alcuna anche dai nostri alter-ego egizi. Tutti i personaggi, infine, hanno la possibilità di posare delle bombe che esplodono a comando, infliggendo un danno ad area che si rivela provvidenziale quando ci si trova inseguiti da numerosi nemici, ma che possono colpire sia noi che i nostri alleati se detonate nel momento sbagliato.
    Tutte le abilità vengono utilizzate nel corso dell’avventura per risolvere i numerosi puzzle che accompagnano ciascun livello, ai quali si accede attraverso un hub centrale. Da qui è possibile accedere inoltre a una particolare stanza che modifica il ciclo giorno/notte e il tempo atmosferico, e che aggiunge un ulteriore tassello capace di rendere l’avventura piuttosto variegata in questi frangenti. In generale, però, l’esperienza offerta da Lara Croft e il Tempio di Osiride è piuttosto lineare, in particolare nei livelli dove l’intera esperienza si potrebbe riassumere nella reiterazione della sequenza sconfiggi i nemici - risolvi il puzzle - sconfiggi altri nemici. Piacevoli le boss fight, in particolare per quanto concerne i main villain del gioco che offrono alcuni spunti interessanti, con la classica struttura in tre fasi di scuola Nintendo. Infine, meritevoli di menzione i cinque puzzle dungeon inclusi nel gioco, che offrono una difficoltà piuttosto elevata rispetto ai normali puzzle presenti all’interno dei livelli e che, se giocati in compagnia, spremono a fondo le nostre meningi.
    In definitiva, è un peccato che vi siano solo cinque dungeon di questo tipo, ai quali si aggiungono altri dieci dungeon standard e tre boss fight principali. Il gioco si può concludere in circa sei ore, che possono diventare otto se ci si cimenta nei dungeon secondari e si cercano di scoprire i collezionabili sparsi nei livelli e nell’hub principale. In generale, la quantità di contenuti offerta non è insufficiente, ma - nonostante il prezzo ridotto rispetto alle normali uscite retail - ci saremmo aspettati qualcosa in più.
    In generale, Lara Croft e il Tempio di Osiride è un gioco che avrebbe meritato un po’ più di cura. Fermate i forconi: non stiamo parlando di un titolo realizzato male o trascurato, ma in generale abbiamo notato qualche screzio che ci ha lasciato l’amaro in bocca. Oltre a qualche saltuario calo di frame rate - fortunatamente in luoghi non compromettenti - ci siamo trovati costretti a ricaricare dall’ultimo checkpoint in almeno un paio di occasioni a causa dei punti di respawn generati in luoghi che un evento scriptato aveva già distrutto, bloccando i nostri personaggi in un’area senza via di uscita. A questo si aggiungono alcuni dettagli di pessima qualità, tra cui le ombre dei personaggi il cui aliasing urla “vecchia generazione” da ogni pixel. Evidentemente il motore grafico di questo gioco è pensato per la vista isometrica, e quando la telecamera si avvicina ai personaggi tutto crolla come un castello di sabbia. O come una piramide egizia maledetta, se preferite. Buono il doppiaggio in italiano (a parte la voce di Seth, decisamente poco “cattiva”) e più che buone le musiche, in grado di contribuire alla riuscita dell’atmosfera egizia in cui è avvolto il gioco.

sabato 6 dicembre 2014

Geometry Wars 3 Dimensions

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Azione

  • Data uscita:26 novembre 2014

     

     

    Il mercato console è attualmente dominato dai titoli tripla A. Alla fine dell’anno fiscale infatti, dati alla mano, sono sempre i giochi più conosciuti ad avere riscontrato il maggio numero di vendite e di introiti, relegando per forza di cose progetti originali o meno pubblicizzati a divenire un triste fanalino di coda. Su PC, Steam e indie games cercano con tutte le loro forze di dimostrare invece che c’è un ricco sottobosco di produzioni estremamente meritevoli di attenzioni e che, con un po’ di pazienza, è possibile trovare e giocare veri e propri capolavori, ovviamente senza spendere poi molto.
    Ubisoft negli ultimi anni sembra aver recepito il messaggio e sotto l’ala protettrice della compagnia francese sono nati progetti incredibilmente interessanti come Valiant Hearts o Child of Light, senza dimenticarci ovviamene di Trials. Prodotti che non solo hanno venduto bene ma, soprattutto, hanno ricevuto un responso dal pubblico incredibilmente positivo e che, di riflesso, è andato ad accrescere e migliorare l’immagine della compagnia. Il successo dell’iniziativa non è passato inosservato e non ci è voluto molto prima che anche altri grossi publisher iniziassero a seguire le impronte lasciate da Ubi. Activision ha quindi deciso anch’essa di aprire le porte a tutta una serie di prodotti digital e Geometry Wars 3 della rediviva Sierra è il primo grosso esperimento ad arrivare sulle nostre piattaforme di gioco preferite. Siamo di fronte ad una nuova era?

    Per chi non conoscesse la serie di Geometry Wars stiamo parlando di alcuni tra i Twin Stick Shooters più riusciti degli ultimi anni e questo terzo capitolo ne è la naturale evoluzione. Evoluzione che tuttavia non passa dai controlli estremamente basilari che da sempre ne caratterizzano il genere. Con uno stick si muoverà la navicella mente con l’altro faremo fuoco a trecentosessanta gradi attorno al nostro velivolo. Unico obiettivo del gioco è ovviamente quello di sopravvivere il più a lungo possibile in arene di diversa forma e dimensione, tentando di realizzare il punteggio più alto possibile, distruggendo nemici e raccogliendo bonus per lo schermo. Ed è proprio qua che Geometry Wars 3 tenta di colpire nel segno.
    La prima cosa che balza all’occhio della produzione è la volontà degli sviluppatori di dare maggiore profondità ai livelli, finora strutturati su mappe completamente 2D, aggiungendo questa volta arene poligonali capaci di ruotare su loro stesse creando una sorta di effetto 3D davvero riuscito.
    Non possiamo tuttavia ancora parlare di vero e proprio distacco perché in fin dei conti il gameplay di Geometry Wars 3 ruota tutto ancora alle due dimensioni ma la possibilità di correre attorno ad una sfera o di ruotare cilindri e poligoni di varia natura e far girare gli angoli ai nostri proiettili avvicina il gioco a quella spinta originale tanto richiesta.
    Sarà possibile ad esempio sparare da un lato di un cubo e vedere i nostri colpi correre lungo tutta l’area fino ad arrivare a colpire i nemici sul lato opposto, solo per poi lanciarci all’inseguimento dei piccoli cristalli verdi rilasciati dalle esplosioni. Questi cristalli sono chiamati Geom e a seconda della loro dimensione garantiranno moltiplicatori di punteggio indispensabili per raggiungere i primi posti in classifica. Il movimento diventa quindi il secondo elemento fondamentale tanto che una buona strategia, non solo per far esplodere i nemici, ma anche per distruggerli con criterio in modo da non farli disperdere risulta estremamente importante. E’ così che ogni livello diventa unico, anche grazie al respawn variabile degli avversari, rendendo ogni nostra mossa importantissima a raggiungere le tre ambite stelle di ricompensa. Ogni stella andrà conquistata con le unghie e con i denti, non solo vista la necessità di scalare le classifiche online, unico stimolo per la rigiocabilità, ma anche perché il gioco risulta ostico e duro sin dalle prime partite. Proseguendo nella modalità campagna e diventando via via più abili si entrerà fortunatamente in possesso di alcuni potenziatori per la navicella e piccoli droni intelligenti che ci aiuteranno nella raccolta dei moltiplicatori o aggiungeranno potenza offensiva alla nostra astronave. A questi si aggiunge poi la possibilità di sganciare una bomba in grado di pulire completamente l’area di gioco o di attivare uno sparo speciale limitato dal grande potere distruttivo, meccaniche indispensabili ad aggiungere un po’ di profondità al sistema di gioco altrimenti troppo piatto e utilissime per guadagnare qualche secondo in più di vita.
    Come tutti i titoli di questo genere ogni livello della campagna, estremamente longeva e difficile tra le altre cose, avrà tre traguardi da raggiungere, ognuno dei quali per l’appunto ci ricompenserà con una stellina. Raccogliendone un numero sufficiente si potrà avanzare di livello e raggiungere anche il boss di fine area, solitamente un poligono enorme di cristallo da distruggere con qualche tattica basilare, o più semplicemente facendo esplodere tutto il nostro arsenale durante i momenti di vulnerabilità. Se dovessimo fare un paragone con Resogun, con il quale Geometry ne condivide solo le atmosfere luminescenti al neon potremmo dire che i boss non sono altrettanto ricercati, ancora una volta puntando tutto sulla strategia per ottenere un punteggio altissimo piuttosto che cercare un metodo efficace per distruggerli.
    Attraverso il menu principale potremo altresì scegliere di giocare alcuni livelli extra, a una modalità classica dove prendere parte a competizioni specifiche di cinque tipologie diverse e una singolare campagna co-op fino a quattro giocatori.
    La cooperativa purtroppo risulta estremamente caotica e di difficile lettura, vuoi per la scelta di colorare le astronavi dei nostri compagni con le stesse tinte dei nemici o anche per la scelta indispensabile di eliminare completamente la rotazione dalle mappe, facendo regredire il gioco al vecchio e classico 2D a cui eravamo già abituati.
    Le modalità extra non finisco qui e Geometry Wars 3 mette a disposizione anche due tipologie di pvp fino a otto giocatori: Riserva ed Evocatore.
    Riserva richiederà di totalizzare più punti del team avversario in un livello randomico con un boss che infesta lo schermo, con la complicanza di non avere un numero illimitato di colpi come accade normalmente ma di doverli piuttosto recuperare dalle icone che compariranno sullo schermo. Una modalità di movimento e astuzia, chiara nelle meccaniche e semplice da interpretare. Più complessa e anche dal maggior quantitativo di gioco di squadra richiesto per uscirne vincitori è Evocatore dove i due team si affronteranno per il controllo di tutta una serie di torri sparsi per il livello. Colpendo le torri queste si attiveranno creando dei nemici che potranno essere uccisi per accumulare punti bonus ma bisognerà fare molta attenzione al team nemico che cercherà di conquistare le altre torri sparse per la mappa e di riprendere persino quelle in nostro possesso in una vera e propria battaglia tra astronavi. Nota particolare è che in nessuna di queste modalità i giocatori potranno colpirsi tra loro ne tantomeno vedere i proiettili degli avversari, un peccato visto che probabilmente era una della modalità più semplici da inserire. Purtroppo da segnalare l’impossibilità di giocare in coop online e una particolare difficoltà a trovare altri giocatori per le partite competitive.

    Solo qualche anno fa, lo stile al neon psichedelico di Geometry Wars era originale e ricercato ma dopo tutti questi anni e un abuso davvero eccessivo, la magia si è andata un po’ perdendo, lasciandoci quasi indifferenti a cotante esplosioni su schermo viste identiche in mille altri giochi.
    La produzione tuttavia riesce comunque a colpire, con particelle luminose che intasano lo schermo, tantissimi nemici che gironzolano per la mappa, ognuno con le sue caratteristiche speciali, e ovviamente livelli tanto strambi quanto originali. Non possiamo non citare ad esempio il livello nocciolina o i vari cubi rossi che dal nulla si materializzano sulle mappe nere creando ostacoli e richiedendo al giocatore una doppia attenzione. Chiudiamo infine con la colonna sonora elettronica, esaltante e in perfetta linea con la frenesia del titolo. 

Alone In the Dark Illumination

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Pure FPS

  • Data uscita:Novembre 2014

     

     

    Allora, dove eravamo rimasti con Edward Carnby? Era il 2008 e Atari se ne usciva con un quinto e omonimo episodio di Alone in the Dark affidandosi alle cure di Eden Games e Hydravision Entertainment, con il risultato però di scontentare un po’ tutti. In effetti quella nuova incarnazione del capolavoro Infogrames del ’92 aveva ben poco a che spartire con il modello originale, tant’è che nonostante vendite non proprio disastrose la serie è finita subito dopo nel dimenticatoio. Eppure non è ancora arrivato il momento di dire per sempre addio a questa storica serie. A dicembre Atari pubblicherà infatti su Steam (e solo in versione PC) Alone in the Dark: Illumination, il sesto capitolo della saga survival-horror che porta la firma di Pure FPS (un team al suo esordio) e che potete già prenotare.
    Che cosa si sono inventati questa volta gli sviluppatori per far tornare in auge la serie? Semplicemente hanno introdotto il co-op online a quattro giocatori e ripreso da Alan Wake la meccanica della luce come arma fondamentale per indebolire i nemici. Ma andiamo con ordine. Anche se Illumination si potrà affrontare in solitudine scegliendo uno tra i quattro personaggi disponibili, la vera natura del gioco rimane appunto il co-op, che segna ufficialmente l’ingresso del multiplayer in 22 anni di storia di Alone in the Dark. A ogni personaggio corrisponde infatti una specie di “classe” con poteri e armi uniche ed è per questo che la collaborazione tra i giocatori svolge un ruolo pressoché fondamentale per godersi appieno il gioco. Hunter (discendente di Edward Carnby) è la classe più equilibrata e basica, mentre Witch è in grado di eseguire incantesimi e di prendere possesso dei nemici. Engineer può invece usare armi pesanti e rimettere in funzione le fonti di luce distrutte (ne parleremo più avanti), mentre Priest ha il potere di creare luce dal nulla. 
    L’accento sull’illuminazione, evidente fin dal titolo stesso del gioco, non è messo lì a casaccio. Semplicemente, senza l’aiuto di una qualsiasi fonte luminosa, è impossibile sconfiggere le creature mostruose e lovecraftiane che infestano la città abbandonata di Lorwich, in Virginia. Come Alan Wake infatti, anche in Alone in the Dark: Illumination si dovrà ricorrere alla luce per indebolire i mostri e per poi finirli con le classiche armi. Ecco allora l'importanza della torcia elettrica, di un flash e persino di un lanciafiamme, anche se in questo caso si potranno colpire non più di due-tre nemici per volta. Se invece siamo attaccati da molte più creature, l’unico modo per sopravvivere è far esplodere qualcosa o ricorrere a fonti di luce fisse come lampioni e riflettori, che però possono essere distrutti dai mostri costringendoci a rimetterli in funzione in modo molto rischioso e per nulla semplice. Ecco perché ad esempio giocare con un Engineer può risolvere più agevolmente questi problemi, o perché il potere del Priest di creare una sorta di luce mistica è altrettanto utile, se non fondamentale.
    Se dovete ancora riprendervi dalla notizia di un Alone in the Dark fortemente improntato a un modello co-op, sarete contenti di sapere che in questo nuovo capitolo c’è anche molta attinenza con il passato della serie. Abbiamo già citato l’ispirazione di H.P. Lovecraft come tratto fondante a livello di ambientazione e narrazione, ma ritroveremo anche puzzle ed enigmi, le munizioni saranno poche in pieno stile survival e dietro al personaggio di Witch si nasconde la pronipote della Emily Hartwood del primo episodio. Insomma, quello di Pure FPS non sarà affatto un Alone in the Dark irriconoscibile (torna anche la visuale in terza persona) e altre novità, come la scelta di creare livelli procedurali sempre diversi a ogni partita a livello di enigmi, oggetti e fonti di luce, fa ben sperare in una giusta via di mezzo tra innovazione e tradizione. Se poi aggiungiamo l’Unreal Engine 4 come motore grafico e un’atmosfera decisamente creepy e horror intravista nei primi screenshot, Alone in the Dark: Illumination potrebbe davvero rivelarsi una bella sorpresa per chi ormai non sperava più in un ritorno della serie. 

martedì 2 dicembre 2014

Far Cry 4


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Distributore:Ubisoft

  • Data uscita:18 novembre 2014

     

     

    Ormai bisogna stare attenti a ogni nuova uscita su PC e il timore che il gioco tanto atteso si riveli un coacervo di bug, fluidità precaria e crash a tutto spiano fa capolino ormai sempre più spesso. Non bastassero gli esempi recenti di The Evil Within e in parte anche di Lords of the Fallen, che con l’ultima patch è peggiorato invece di migliorare, andando un po’ indietro nel tempo è impossibile dimenticarsi dell’esordio disastroso di Watch Dogs su PC, che solo oggi, tra aggiornamenti, patch e mod della community, può finalmente essere giocato come si deve anche senza avere un PC da migliaia di euro. Oggi parliamo della versione per PC di Far Cry 4, il primo episodio della serie ad approdare anche su Xbox One e PlayStyation 4 e quindi interessante anche per un paragone grafico più diretto e veritiero tra PC e console. 
    Se volete sapere tutto su gameplay, trama, meccaniche di gioco e multiplayer vi rimandiamo all’esauriente analisi del nostro FireZdragon, mentre qui parleremo più dell’aspetto tecnico e dell’ottimizzazione del Dunia Engine 2, lo stesso motore grafico di Far Cry 3 che è però andato incontro a diverse modifiche negli ultimi due anni. Iniziamo col dire che dopo le aspre e meritate critiche al lancio di Assassin’s Creed Unity (sempre su PC), con Far Cry 4 la situazione è decisamente migliore, anche perché la pesantezza di certi effetti, i filtri e le strade parigine ricolme di PNG sono molto più complesse da gestire rispetto al pur vasto e dettagliato mondo di Kyrat di Far Cry4. Mondo che nel suo complesso non ha messo in mostro chissà quale passaggio generazionale rispetto a Far Cry 3, del quale tra l’altro ricicla diversi asset soprattutto a livello di fogliame, alberi e vegetazione. Non si può comunque negare che effetti dinamici come le fiamme che bruciano le sterpaglie, la polvere lasciata dai veicoli visibile anche in lontananza e altre piccole chicche rendano il gioco molto bello da vedere e per fortuna non particolarmente pesante da gestire con un hardware medio.
    Nel nostro caso abbiamo provato Far Cry 4 su un PC con processore Intel Core i7-970, 16 GB di RAM, due HD Seagate da 7200 rpm in modalità RAID 0 e una GeForce GTX 770 di MSI con 2 GB di VRAM. Sotto Windows 8.1, con i driver di Nvidia aggiornati alla versione 344.75 e il gioco patchato all’ultima release disponibile (la 1.4), a 1920x1200 pixel con Vsync attivato e qualità generale Alta abbiamo ottenuto un frame-rate attorno ai 55-60 fps. Alzando tutto su Ultra, la fluidità e calata attorno ai 35-40 fps, mentre in modalità Nvidia (la più “sparata” e pesante in assoluto), il gioco è diventato praticamente ingestibile, con cali anche sotto i 10 fps. In tutti i casi abbiamo mantenuto la qualità delle texture su Alta per non andare a pesare troppo sulla VRAM, ma se avete una GPU con 3 o 4 GB di VRAM non dovreste avere problemi in questo senso. A livello di antialiasing, escludendo il TXAA per ovvie ragioni e l’MSAA, abbiamo trovato il miglior compromesso tra resa e prestazioni con l’SMAA. Le opzioni grafiche sono comunque numerose e si può scegliere anche se intervenire sulla vegetazione, se attivare i godrays, le ombre e il tipo di occlusione ambientale.
    Nel nostro caso il problema di Far Cry 4, almeno di non giocare con tutto a livello basso o senza nessun tipo di AA (ma sarebbe un vero peccato), è lo stuttering. Nonostante Fraps segnali un frame-rate piuttosto costante e senza cali vertiginosi, molto spesso il gioco va incontro a micro-scatti senza un apparente motivo, che si palesano soprattutto quando siamo alla guida o quando giriamo di 180 gradi il mitragliatore a bordo di una camionetta. Un difetto riscontrato da moltissimi giocatori che pare essere ancora più vistoso con schede grafiche AMD. Non si tratta in realtà di qualcosa di insopportabile, ma la sua presenza anche con tutti i dettagli grafici impostati a livello Medio lo rende davvero fastidioso, oltreché continuo e apparentemente privo di una vera e propria soluzione (speriamo in una patch 1.5 che risolva definitivamente il problema). Anche la gestione della fisica poteva essere implementata meglio. Se infatti la distruzione dei veicoli e delle parti vicine ai classici barili esplosivi non manca di stupire, quasi tutte le coperture (rocce comprese), gli edifici e le strutture di legno non vengono minimamente scalfite da proiettili o peggio ancora da esplosivi e granate. Spiace poi vedere così poca varietà nel design di nemici, alleati e semplici cittadini di Kyrat, i cui corpi tra l’altro rimangono intatti anche di fronte a un’esplosione devastante. 
    Di contro il fogliame, gli alberi, i riflessi dei raggi di sole e le ombre creano un colpo d’occhio innegabile (soprattutto con l’HBAO+ attivato) e la distanza di visione già a livello Alto è notevole quando si è in volo o si raggiungono punti particolarmente elevati. Si ha la sensazione comunque che le differenze visive tra Alto e Ultra non siano così lampanti e che il miglioramento rispetto a Far Cry 3 “maxato” sia visibile solo in certi aspetti. Per il resto, a parte qualche rarissimo crash improvviso con tanto di black screen e rari glitch in cui un soldato nemico si sposta alla velocità della luce o rimane incastrato nello scenario, non abbiamo riscontrato gravi bug e la patch 1.4 ha risolto il problema del mancato avvio con alcune periferiche USB collegate al PC. Il bello di Far Cry 4 è poi la sua ottima scalabilità. Stuttering a parte, si può infatti giocare senza rinunciare a troppi dettagli visivi anche su PC di livello medio basso godendosi comunque un titolo bello e avvincente. Anche l’accesso ai server di Ubisoft per il co-op e per il matchmaking per le sfide multiplayer è immediato e i caricamenti dei salvataggi, sicuramente più rapidi con un SSD, anche nel nostro caso non sono mai risultati eccessivi. Peccato infine per le bande nere se si opta per il formato 16:10… ce ne faremo una ragione.