Ethero

giovedì 27 febbraio 2014

Car Mechanic Simulator

  • Genere:Simulazione

  • Sviluppatore:RedDotGames

  • Data uscita:24 Gennaio 2014

     

    Chi non odia andare dal meccanico? Che sia un semplice tagliando, un cambio dell’olio o una riparazione complessa, chi varca la soglia di un’officina sa che ne uscirà con un portafoglio più leggero. In effetti, parte del fastidio fisico che si prova quando si va dal meccanico è dovuta al fatto che, a causa della nostra ignoranza, bisogna fidarsi di lui. Tutti abbiamo un amico, un parente o qualche conoscente che è stato fregato da un meccanico disonesto, e questi casi - spesso isolati - hanno inevitabilmente rovinato la reputazione a un’intera categoria.
    Ma in realtà, fare il meccanico non è poi così semplice: dietro alla sostituzione di un pezzo da quattro soldi può esserci un importante lavoro di manodopera e messa a punto, che va spesso a giustificare le cifre esorbitanti richieste nei preventivi. Un gioco come Car Mechanic Simulator 2014 cerca proprio di svelarci i retroscena di questo mestiere, mostrandoci come una soluzione apparentemente semplice può rivelarsi complessa, e viceversa.
    Il titolo è un gioco simulativo in prima persona, che ci mette nei panni di un meccanico alle prese con varie mansioni. Gli ordini dei clienti giungono uno in coda all’altro, e siamo chiamati a risolvere problemi di difficoltà crescente su macchine sempre più complesse. All’inizio, dunque, ci troveremo impegnati in compiti di routine, quali la sostituzione delle pastiglie dei freni o di un filtro dell’olio, mentre in seguito arriveremo a soddisfare delle richieste piuttosto specifiche, quali l’aumento delle prestazioni dell’auto o la risoluzione di misteriosi problemi meccanici.
    Talvolta il cliente ha le idee chiare, e ci chiede di intervenire su di una specifica componente. In questi casi, la sfida si riduce a individuare la posizione del pezzo e a cambiarlo. Se avete una minima conoscenza di come funzioni un’automobile, la sfida è di livello basso. Ma se non avete idea di dove si possa trovare il catalizzatore o la cinghia di trasmissione di un’auto, le cose potrebbero farsi davvero complesse. Come in ogni simulazione, il gioco si rivolge a chi ha una certa passione per la meccanica delle auto; per questo motivo, l’assenza di un tutorial dettagliato o di una guida all’ubicazione dei pezzi dell’auto è quantomeno perdonabile. 
    Il giocatore ha a disposizione alcuni strumenti per effettuare la diagnosi della vettura, a partire dal test drive. In questi casi, siamo chiamati a guidare l’auto in un percorso a birilli. In queste fasi i controlli sono semplicemente terribili, ed è evidente che Car Mechanic Simulator 2014 non nasce con l’intento di essere un gioco di corse automobilistiche. Purtroppo manca un qualsivoglia feedback dell’auto, che possa permettere al giocatore di capire il problema mentre si guida il mezzo. L’analisi dettagliata, dunque, si svolge in officina. Grazie al test drive, oltre che alla lettura di un tester dell’elettronica, possiamo evidenziare l’usura di alcuni pezzi con una comoda colorazione e un’indicatore percentuale, e quindi procedere alla sostituzione.
    Quando si individua l’origine di un problema e si smonta il pezzo, è possibile sostituirlo acquistandolo su di uno shop accessibile dal computer dell’officina. In alternativa, si può accedere a un mercatino dell’usato e comprare un pezzo per pochi soldi. In questo caso, i ricavi possono crescere a dismisura, ma il pezzo acquistato potrebbe rivelarsi troppo usurato, con conseguente necessità di acquistare un altro pezzo.
    Per alcuni pezzi è inoltre prevista la possibilità di aggiustarli da un apposito banco di lavoro. I costi di riparazione sono spesso elevati, ma possono rappresentare una valida alternativa all’acquisto di un nuovo pezzo, senza per questo deludere i clienti.
    Le procedure di smontaggio e rimontaggio richiedono di intervenire per ordine, e per raggiungere un pezzo interno è spesso necessario maneggiare parecchie viti e bulloni. Tutto si svolge con la semplice pressione del tasto sinistro del mouse, mentre il tasto destro permette di accedere a un menù che consente, ad esempio, di verificare i pezzi nel proprio inventario o di passare dalla procedura di smontaggio a quella di rimontaggio.
    Dal computer dell’officina, infine, è possibile acquistare vari upgrade, che permettono di agire in maniera più rapida ed efficace, di guadagnare più soldi per ogni lavoro e, infine, di acquistare un nuovo garage più moderno. L’aspetto economico di Car Mechanic Simulator 2014, per la verità, è abbastanza deludente: con un po’ di attenzione è praticamente impossibile andare in rosso, e il gioco non tiene in nessun modo conto del lavoro di manodopera. Alcune mansioni semplici sono strapagate, mentre alcune sostituzioni di pezzi particolarmente ostici da raggiungere coprono a malapena il costo del ricambio. E, al contempo, non vi è mai nessun cliente che si lamenta del lavoro svolto. Per un gioco che si autodichiara quale simulazione di officina meccanica, questo è un aspetto assolutamente poco realistico.

Plants vs Zombies:Garden Warfare


  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:PopCap

  • Data uscita:27 febbraio 2014

     

    Gli zombie sono come il prezzemolo: infilati a forza un po' ovunque, hanno invaso ogni media, trasformandosi in tutti i modi possibili et immaginabili. Zombie cyborg, zombie senzienti, zombie magici, zombie volanti, zombie esplosivi, zombie ballerina, zombie in bikini... le combinazioni sembravano finite. Invece Popcap, casa nota per la capacità di creare giochi paragonabili a droghe pesanti, se n'è uscita con l'accoppiata piante contro zombie, ed è stato un successo galattico.
    I Plants vs Zombies sono dei tower defense game di sorta, dalla formula tanto semplice quanto intelligente e funzionale. Divenuti in poco tempo un marchio di quelli davvero pesanti, era quindi prevedibile che un'iterazione della serie sarebbe arrivata anche sulle nuove console, ciò che però nessuno si aspettava era un repentino cambio di genere, da strategico a shooter.
    La reazione all'annuncio di Garden Warfare, tuttavia, non è stata negativa, l’esatto contrario. Per qualche motivo il pubblico ha accolto bene la novità, catturata anche dalla simpatia dei non morti di Popcap e dallo stile curato e coloratissimo della grafica. Incuriositi, siamo pertanto volati a Guildford, nella piovosa Inghilterra, per una lunga sessione review direttamente in casa di Electronic Arts. Pronti, padella in testa, e via si va!

    Mendel sarebbe fiero
    La base è semplice, Garden Warfare è uno sparatutto in terza persona principalmente cooperativo, che offre modalità classiche ed è strutturato su un gameplay class based. Cerchiamo di essere un po' più chiari, per class based si intende uno shooter dove la diversificazione tra le specializzazioni selezionabili non è solo legata alle armi o a cambiamenti marginali, ma a un gran numero di abilità e caratteristiche differenziate che rendono l'esperienza estremamente unica di scelta in scelta.
    Per tirare in ballo un titolo noto, Team Fortress è uno sparatutto basato sulle classi e questo lavoro dei Popcap gli assomiglia in molti aspetti, pur presentando un gameplay nettamente più asimmetrico. Già, perché qua non si scontrano due team con a disposizione le stesse professioni, ma squadre di piante e zombie con poteri unici. Ci sono chiaramente in ogni schieramento classi pensate per ricoprire certi ruoli, ma non vanno di certo giocate allo stesso modo.
    Ad esempio, nei panni degli zombie potrete impersonare l'All-Star, un grosso giocatore di football armato di gatling, e capace di caricare il nemico, piazzare protezioni e calciare mini zombie esplosivi, mentre il “tank” vegetale sarà il Chomper, una poderosa pianta carnivora in grado di combattere solo dalla corta distanza, che può eliminare all'istante qualunque avversario arrivandogli sotto dopo aver scavato nel terreno per qualche metro o colpendono alle spalle. Tenete a mente quanto queste due classi dal compito comune siano dissimili, e fate lo stesso conto mentale per tutte le altre sei specializzazioni. 
    Non c'è dubbio che il bilanciamento sia stato calcolato più sul gioco di squadra che sulle singole classi: senza teamwork elementi come il già citato Chomper o il professore zombie sono difficilissimi da arginare e possono fare disastri in pochissimo tempo, così come su certe mappe i vantaggi dati dai balzi speciali del Peashooter o del soldato semplice zombie risultano enormi. Nel complesso, comunque, ci siamo divertiti, e ad ogni partita è stata quasi sempre l'abilità dei giocatori a decidere il vincitore, più che l'abuso dei personaggi.

    La struttura asimmetrica del gioco va a influenzare anche le modalità disponibili, che in verità non presentano la stessa originalità di questa trovata. Le scelte dei Popcap sono state tutte abbastanza classiche, e si avranno a disposizione un Deathmatch a squadre, una cooperativa, e un misto tra il Conquest e il Rush mode chiamato Gardens and Graveyards, che rappresenta il fulcro dell’esperienza.
    Durante le partite a Gardens and Graveyards, infatti, non solo avrete a disposizione dei vasi e delle piazzole di terra da cui evocare piante statiche difensive e zombie controllati dall’IA, ma dovrete conquistare una serie di obiettivi a tempo, avanzando verso quello finale. Non è cosa facile, richiede coordinazione e un pizzico di tattica, e valorizza alla grande il gameplay del titolo. In particolare noi abbiamo apprezzato la struttura delle mappe, che pur essendo facili da ricordare presentano passaggi multipli per evitare un’eccessiva stasi della situazione, oltre che importantissimi teletrasporti fissi costruibili dall’ingegnere zombie.
    Anche la cooperativa è abbastanza interessante, se non altro per la larghezza delle locazioni, che si trasformano in grosse piazze dove scegliere uno tra vari giardini da difendere da più ondate di zombie una volta selezionate. Dopo un tot di assalti, avrete poi a che fare con speciali ondate boss, dove vi troverete a dover sconfiggere zombie yeti con poteri congelanti o a fermare l’avanzata di giganteschi non morti armati di bombe.
    Da elogiare senza dubbio la presenza di una modalità cooperativa locale a due giocatori in split screen, cosa sempre più rara oggigiorno. L’abbiamo provata e ci è sembrata piuttosto stabile, senza eccessivi cali nel dettaglio grafico o problemi di sorta. Ok, è bene o male sempre un survival mode, ma fa lo stesso piacere vederla.
    Il gioco è chiaramente pensato per essere estremamente accessibile, ma non è privo di profondità. Completando i match guadagnerete un gran numero di punti spendibili per ottenere pacchetti di carte virtuali, contenenti personalizzazioni, piante e zombie evocabili, bonus passivi, e persino varianti delle classi (di solito dotate di proiettili con effetti extra). Lo stesso sistema di controllo, pur non vantando un gran numero di abilità da assorbire o manovre di movimento complesse, vanta uno shooting cucito attorno all’abilità del giocatore, con proiettili che il più delle volte non sono facilissimi da mandare a segno. Non è il miglior feeling che abbiamo mai provato durante una sparatoria, ma le meccaniche svolgono bene il loro lavoro.
    Tecnicamente il titolo ha ben pochi problemi, a dimostrazione dell’abilità degli sviluppatori Popcap nonostante il passaggio a un genere poco consono alla casa. La grafica è vibrante, piacevolissima e ricca di carisma, le animazioni azzeccate, e le mappe molto ispirate e gradevoli nonostante un conteggio poligonale non esagerato. Noi abbiamo testato la versione Xbox One e, a parte qualche problemino alla telecamera apparso utilizzando certe modifiche estetiche, non abbiamo notato bug o difetti grafici di sorta.
    Pur avendo provato il titolo negli studi di EA, peraltro, abbiamo usato i server Origin, senza giocare in un ambiente chiuso, e tutto ci è sembrato funzionare a meraviglia. Chiaramente questo non significa che questi reggeranno alla massa iniziale di connessioni, ma è un buon inizio. Siamo più dubbiosi per il matchmaking, visto che ancora non ci è chiaro quali fattori prende in considerazione, e la sua validità la si potrà osservare soltanto dopo qualche mese.
    Infine, ci sentiamo di appoggiare Popcap nella scelta di non inserire microtransazioni nel gioco. L’elemento delle carte potrebbe far pensare a un sistema facilmente contaminabile da dlc e acquisti con moneta reale, eppure non abbiamo trovato opzioni per spendere soldi durante la nostra prova e i punti per acquistare le buste ci sono sembrati tutt’altro che lenti a salire. 
    Arriveranno contenuti a pagamento e store interni in futuro? Possibile, ma per ora il gioco brilla per la loro assenza, e i Popcap hanno persino promesso che arriveranno nuove mappe e modalità completamente gratuite nel prossimo futuro. Speriamo si mantengano fedeli a questa filosofia, visto che il gioco costicchia più di quanto ci si aspetterebbe da uno shooter digitale di questo tipo.

Wolfstein The New Order


  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:MachineGames

  • Data uscita: 23 maggio 2014

     

     

    Quando si parla di “nostalgismo” ci si riferisce a quella nostalgia morbosa nei confronti del passato. Neofascisti, neonazisti, neostalinisti hanno spesso cercato di operare un profondo revisionismo storico, trovando il buono nelle dittature dello scorso secolo e arrivando persino a negare i fatti raccontati dai libri di storia e confermati da milioni di testimoni oculari. Essere nostagici porta spesso ad essere estremisti, e ogni forma di estremismo - come ben sappiamo - sfocia nell’odio e nella violenza.
    Non potevamo fare a meno di pensare alla definizione di nostalgismo quando, qualche giorno fa, ci siamo trovati al cospetto di Wolfenstein: The New Order, titolo che riporta sui nostri schermi un marchio classico e che, appunto, lo fa in una maniera alquanto nostalgica.
    Wolfenstein: The New Order è uno sparatutto in prima persona in via d’estinzione. Parliamo di un gioco caratterizzato da un gameplay che fa leva su alcune meccaniche vetuste, ma non per questo malfunzionanti. Nello specifico, il gioco include un HUD con energia e scudi, bisogna lesinare sui proiettili, medkit, giubbotti antiproiettile e caricatori galleggiano a mezz’aria ed è necessario premere un tasto per ottenere munizioni e scudi. Allo stesso modo, le mappe risultano più labirintiche e meno guidate di quelle degli sparatutto contemporanei, e non è raro perdersi nei meandri di qualche luogo infestato dai nemici.
    Questi ultimi sono caratterizzati da un’intelligenza artificiale abbastanza basilare: si dirigono verso di noi ad armi spianate, talvolta ripiegano in copertura e la loro tattica si basa quasi esclusivamente sul fatto di essere sempre in sovrannumero. Sono carne da cannone, ma possono risultare davvero pericolosi.
    Come avviene in ogni corrente nostalgica, anche in Wolfenstein: The New Order troviamo alcuni elementi che attingono dalla modernità: è presente un sistema di perk suddiviso in vari rami, i quali incarnano un diverso stile di combattimento. Tali abilità si attivano in maniera automatica completando determinate azioni in gioco. Si tratta di un sistema che abbiamo già visto - seppur in misura infinitamente più ampia - in The Elder Scrolls V: Skyrim. Un giocatore incline alle azioni furtive, ad esempio, vedrà il suo albero delle abilità dedicate allo stealth espandersi maggiormente. Anche se nelle tre ore a nostra disposizione non siamo riusciti a sbloccare che una manciata di perk, la sensazione è positiva e siamo convinti che il gameplay si possa differenziare parecchio a seconda della tipologia di giocatore. Il solo fatto che, come detto, sia anche possibile affrontare il gioco in maniera furtiva, ci lascia immaginare quanto sia diverso il gioco rispetto ai capitoli originali della saga. Ma non aspettatevi un Metal Gear Solid al sapore di crauti: in Wolfenstein il sangue scorre sempre a fiumi, e le parti stealth tornano utili soltanto in alcune particolari situazioni.
    A parte questi sprazzi moderni, The New Order è un gioco che sembra voler omaggiare una tipologia di FPS ormai scomparsa. Forse non sarà facile da digerire, visto anche il cambiamento dei gusti nei giocatori contemporanei e l’assenza di elementi grafici che fanno gridare al miracolo, ma siamo felici della scelta degli sviluppatori di restare fedeli alla linea del grande classico che sono stati chiamati a reinterpretare. Un vero e proprio trionfo della volontà, per citare un capolavoro del cinema nazista.
    Uno dei pregi di Wolfenstein: The New Order, già chiaro in questa fase di preview, si riscontra nella storia. La vicenda si svolge nel 1960, in una realtà alternativa nella quale i Nazisti hanno scoperto la bomba atomica prima degli americani, l’hanno lanciata su Washington DC e hanno vinto la guerra. Il mondo è diventato una grande colonia tedesca, e gli orrori del partito di Adolf Hitler sono diventati parte della quotidianità.
    Questo scenario, in una parola, è terribile. Occorrono appena pochi secondi per capire quanto l’odio abbia pervaso la quotidianità: il mondo di Wolfenstein: The New Order è a dir poco inospitale, un vero e proprio inferno in terra. Il giocatore è letteralmente sopraffatto dalle immagini violente, dalla deturpazione di uomini e luoghi, che finisce per identificare nei nazisti un nemico vero. Capita raramente di provare un tale sentimento verso i propri avversari in un videogioco, un aspetto che ci ha indubbiamente colpiti anche in questa sessione di gameplay relativamente breve.
    Il gioco si apre nel 44, dove i nostro eroe B.J. Blaskowicz è impegnato su di un B29 che vola sopra l’Oceano. Passano pochi minuti, e la fortezza volante viene attaccata da alcuni aerei capaci di raggiungere velocità mai viste prima: un chiaro segno che i Nazisti hanno una tecnologia di rara potenza. L’aereo viene abbattuto, e dopo alcune sequenze alquanto rocambolesche, ci ritroviamo intenti a infiltrarci in un complesso fortificato che pullula di soldati tedeschi. Qui facciamo la conoscenza di alcune SS potenziate, avvolte in una maschera antigas e assolutamente incuranti della propria vita.
    Giunti all’interno di un castello che sovrasta l’intero complesso, cadiamo nella trappola del generale Deathshead, una sorta di dottor Mengele che compie esperimenti sui soldati nemici. Siamo costretti ad assistere a una scena agghiacciante, nella quale uno dei nostri commilitoni viene vivisezionato dal folle generale, che gli cava gli occhi poco prima di salutarci chiudendoci in un inceneritore. Riusciamo a fuggire, e veniamo salvati da una nave polacca di passaggio. Passeremo i quattordici anni successivi in un manicomio in uno stato semi-vegetativo, accuditi dall’infermiera Anya.
    La pulizia genetica nazista, tuttavia, spinge il governo ad eliminare tutti gli infermi mentali. Un drappello di soldati fa irruzione nel nostro ospedale, uccide tutti i pazienti e rapisce Anya. La vista di tanta violenza sembra risvegliarci dal torpore: piantiamo un bisturi nel collo di una guardia e siamo di nuovo liberi. Liberi in un mondo prigioniero.
    La premessa è elettrizzante. La realtà alternativa raccontata da Wolfenstein: The New Order è oltremodo affascinante, e siamo convinti che vi sia ampio spazio per colpi di scena, storie di vendetta e, perché no, di un’avventura romantica con la bella Anya. Elementi che rendono il gioco interessante anche da un punto di vista narrativo e che, di fatto, lo rendono ancora una volta moderno nella sua fedeltà alle origini.

Rambo

  • Genere:Azione

  • Data uscita:21 febbraio 2014

     

    Icona degli anni 80 e 90, John Rambo ha sempre rappresentato lo stereotipo americano perfetto: un soldato invischiato in una guerra che non gli apparteneva, tradito dal suo stesso paese e in cerca perennemente di giustizia e libertà. Interpretato da Sylvester Stallone, Rambo ha letteralmente fatto esplodere i botteghini al lancio e, come prevedibile, non sono mancati diversi tie in ad accompagnarne il successo. Con il passare del tempo tuttavia, sebbene l'icona americana non ne volesse proprio sapere di farsi dimenticare, con un improbabile quarto episodio apparso sul grande schermo nel 2008, dal lato videoludico John scomparì quasi completamente dalla scena, almeno fino al luglio dello scorso anno quando Teyon e Reef Entertaiment annunciarono RAMBO The Videogame. L'hype schizzò nuovamente alle stelle e non nascondiamo che anche sulle nostre pagine notizie e trailer del berretto verde più famoso del mondo non facevano altro che far impennare vertiginosamente il counter delle visualizzazioni. Purtroppo però le occasioni per vedere il gioco dal vivo scarseggiavano e sia sviluppatori che publisher si guardavano bene dal rilasciare più informazioni dello stretto necessario, segno che qualche cosa nello sviluppo non stava funzionando a dovere. Dopo aver messo le mani su una copia retail del gioco siamo finalmente pronti a dirvi se le nostre paure avevano ragione d'essere o erano del tutto infondate...
    RAMBO The Videogame, almeno dagli annunci iniziali dava l'impressione di voler fare un sacco di cose insieme. Sezioni stealth nella giungla, momenti di pura azione a mitra spianato ed ovviamente combattimenti a bordo di veicoli e momenti di tensione dove le frecce del nostro arco dovevano essere messe a segno silenziosamente. Feature insomma che potevano appartenere solo a due generi ben distinti, a un action in terza persona alla metal gear o a un fps senza cervello dove esplosioni e sangue l'avrebbero fatta da padrone. In entrambi i casi il titolo avrebbe indubbiamente avuto pro e contro ma quando abbiamo realizzato che il gioco non sarebbe stato null'altro che uno shooter su binari, infarcito ovviamente di QTE, la nostra mascella ha colpito rumorosamente il pavimento, e non con accezione positiva. Pad alla mano John si muoverà in maniera autonoma attraverso i livelli e come nel miglior Time Crisis si fermerà quando la situazione diverrà abbastanza calda da permetterci di scaricare piombo a volontà su tutti i nemici che compariranno a schermo. Le somiglianze con il titolo Namco tuttavia si fermano qua e ci sentiamo quasi in colpa ad aver nominato quel capolavoro in questa recensione: l'accostamento tra i due titoli potrebbe far rivoltare lo stomaco a più di un giocatore vecchia scuola. Il sistema di copertura infatti è qualcosa di completamente nuovo e non sempre queste saranno disponibili, cosa che mette in rilievo il primo dei molteplici difetti di questo assurdo shooter. Proseguire nei livelli comporta la conoscenza perfetta dei respawn nemici e soprattutto delle zone successive così da poter decidere anticipatamente quando perdere del prezioso tempo per effettuare la ricarica dell'arma. Inserire i proiettili nel caricatore risulta infatti di una lentezza quasi disarmante e la meccanica della ricarica attiva, presa di peso da gears of War richiede riflessi pronti e una velocità di esecuzione certosina. Sbagliate il tempismo e la vostra arma si incepperà impedendovi di fare fuoco, cosa che se per l'appunto accadrà nel momento sbagliato potrà significare per voi unicamente la morte. 
    Nel caso azzeccaste la ricarica invece non avrete bonus istantanei di alcun tipo ma solo un numero aggiuntivo di proiettili nel caricatore e la possibilità di ritornare a sputare piombo in un minor lasso di tempo. Potrete tentare di optare per un cambio rapido dell'arma, saltando da un mitragliatore alla pistola, con l'unico risultato di trovarvi per le mani un ferro ancora meno efficace. Nel nostro playthrough ci siamo semplicemente limitati ad utilizzare l'arma primaria e non abbiamo mai sentito la necessità di sostituire la bocca da fuoco o passare addirittura all'arco, quando disponibile. L'arco ha dalla sua la silenziosità, utile a dire il vero solo in pochissime missioni guidate, e la capacità di generare furia più rapidamente, la seconda delle meccaniche “innovative” di questo Rambo.
    La modalità furia si potrà attivare dopo un numero determinato di uccisioni e vi mostrerà a schermo i nemici in maniera chiara tramite una visuale simile alla ricerca di calore di un predator. Ogni kill ottenuta in questa modalità vi garantirà una piccola percentuale di energia extra, unico modo di risanare la vostra barra di salute durante le sparatorie a meno di non aver equipaggiato perk passivi nella personalizzazione del vostro personaggio.
    Al termine di ogni stage, quindici in tutto per una durata di circa quattro ore complessive che ci porteranno a rivivere le scene clou viste nella trilogia originale, vi verranno assegnate esperienza e punteggio in base alle vostre prestazioni, utili per salire di livello e confrontarvi con gli altri coraggiosi berretti verdi che hanno acquistato il titolo nel resto del mondo. Ogni livello sbloccherà dei punti da assegnare ad abilità passive dedicate all'aumento del danno, alla resistenza o alla furia e anche altri piccoli bonus che miglioreranno le vostri doti guerresche. Il tutto potrebbe anche avere un vago senso logico se non fosse che le fasi di shooting semplicemente non funzionano. L'arma impugnata da rambo coprirà spessissimo i nemici a cui dovrete sparare, impedendovi di centrare correttamente il bersaglio e il movimento libero del mirino risulta particolarmente impreciso e poco responsivo, soprattutto visto che non seguirà automaticamente i movimenti del personaggio rimanendo al di fuori della schermata e richiedendo al giocatore uno sforzo sovrumano per rimetterlo nel campo visivo in tempi utili. Una grave mancanza in fase di programmazione che rovina pesantemente l'esperienza, rendendola frustrante e assolutamente poco divertente.
    Tecnicamente RAMBO è un disastro da qualsiasi parte lo si guardi. I modelli poligonali sono tra i più brutti che Playstation 3 e Xbox 360 abbiano mai presentato, con continui pop up della vegetazione e degli elementi dello scenario. Ci sono altresì grossissimi problemi con l'illuminazione e con le texture, continuamente sporcate da ombre sconnesse e un aliasing spinto ai massimi livelli. Se dovessimo dare un punteggio solo al lato tecnico, uno zero secco in pagella non sarebbe eccessivamente punitivo. Chiudiamo il cerchio con il rumore dell armi, presi probabilmente direttamente dagli altoparlanti di una televisione degli anni '80 e con un ragdoll dei nemici completamente immune alle leggi della gravità e della fisica.
    Non serve il multiplayer a raddrizzare la situazione. Il secondo giocatore gestirà semplicemente un mirino extra a schermo ma completamente slegato dall'arma del player one, rendendo il tutto ridicolmente complicato e ancor più confusionario. Le icone della ricarica attiva si sovrapporranno di continuo, rendendo praticamente impossibile azzeccare il tempismo giusto e ridicolizzando alcuni schemi, come ad esempio una missione di cecchinaggio dove presenzieranno due mirini ma un solo visore (il secondo player in parole povere sparerà alla cieca o dovrà restare confinato dai movimenti del primo) e le missioni con arco e lanciarazzi dove si potranno sparare due colpi alla volta. Non mancano infine nemmeno interi livelli dedicati ai QTE dove dovremo semplicemente premere il tasto al momento giusto per proseguire e, in caso di una cooperativa potremo addirittura permetterci che solo uno dei due giocatori azzecchi la combinazione visto che il gioco prenderà in esame solo il migliore.

venerdì 21 febbraio 2014

Lords Of The Fallen


  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Deck13

  • Data uscita: Maggio 2014

     

    In un mondo dove gli uomini sono riusciti a sconfiggere in battaglia il loro dio e intrappolarlo con il suo esercito sotto terra, i demoni, scomparsi ormai da quasi duemila anni, stanno ricomparendo senza un apparente motivo. All'interno di questo universo, seguiremo la storia di Harkyn, l'unico uomo capace di respingere i Lords, comandanti dei demoni. È vero, non sono molti i dettagli trapelati riguardo la storia dietro questo nuovo, ambizioso progetto, ma quel poco che si sa potrebbe essere alla base di una trama interessantissima.
    Lords Of The Fallen si presenta come un action RPG basato moltissimo su combattimenti uno contro uno a suon di spade, martelli ed incantesimi. All'interno dei combattimenti saranno fondamentali tattica e prontezza di riflessi, e ogni minimo errore potrebbe essere punito con una morte prematura. Sotto questo aspetto, il nuovo titolo targato CI Games, ricorda molto Dark Souls. A differenza dell'amato e odiato titolo a marchio From Software, tuttavia, Lords Of The Fallen sarà caratterizzato da una maggiore velocità degli scontri, che richiederà al giocatore una maggiore prontezza di riflessi e la capacità di prevedere gli attacchi avversari in maniera più rapida. Durante le battaglie, a patto di concatenare i vari attacchi con il giusto tempismo, potremo assistere a fulminee combinazioni di colpi, che andranno ad aumentare enormemente il tasso di spettacolarità del titolo.
    Questa capacità di schivare, parare ed effettuare contrattacchi sarà fondamentale quando ci troveremo impegnati negli scontri contro i Lords. Questi pericolosi nemici sono a capo dei demoni che affronteremo nel corso del gioco e rappresentano una minaccia non indifferente. Sebbene il livello di difficoltà dell'intero titolo dovrebbe essere già piuttosto alto, i combattimenti contro questi pericolosissimi nemici saranno ancora più ardui, dato che spesso saranno in grado di ucciderci con un singolo colpo. I duelli contro i Lords saranno divisi in fasi, che renderanno le battaglie più variegate, e tutti i cambiamenti che deriveranno dal passaggio di fase, come per esempio la rottura dell'armatura o la perdita di uno scudo, contribuiranno a cambiare i pattern di attacco o l'aggressività dei nemici e renderanno le boss fight ancora più complesse.
    Come praticamente accade in ogni titolo di questo genere, il giocatore sarà tenuto a scegliere la classe del proprio combattente, avendone a disposizione tre tipi differenti. La prima tipologia, quella del ladro, si baserà principalmente sulla destrezza e permetterà di sferrare rapide successioni di attacchi. La classe del guerriero si farà strada tra le schiere di nemici usando la forza bruta, sacrificando però la sua agilità. Ultima classe disponibile sarà quella dello stregone, un combattente che avrà a sua disposizione potenti incantesimi in grado di mettere in difficoltà anche i nemici più imponenti.
    Nonostante la scelta della specializzazione leghi permanentemente il giocatore ad un singolo albero delle abilità, impedendogli di creare dei combattenti ibridi, questo genere di restrizione non si applica all'equipaggiamento. Nulla vi vieterà, infatti, di impugnare un possente spadone a due mani nel caso abbiate scelto di utilizzare la classe del ladro, così come non sarà proibito utilizzare daghe e pugnali per uno stregone.
    Nel corso della nostra avventura visiteremo numerosi luoghi e l'esplorazione permetterà di sbloccare percorsi alternativi e nuove zone. Con il proseguimento della storia, il giocatore sarà libero di tornare nelle aree precedentemente esplorate e avrà l'opportunità di accedere a intere sezioni prima inaccessibili. In ogni caso, gli sviluppatori hanno tenuto a precisare che ci sarà modo di ricompensare quei tipi di giocatore che amano esplorare a fondo le varie località in cerca di segreti od oggetti nascosti.
    Dal punto di vista grafico il gioco è decisamente buono e, considerato che la sezione mostrata si basava su una versione pre-alpha del titolo, il lavoro fatto fino ad ora sembra davvero ottimo, soprattutto per quanto riguarda illuminazione ed effetti particellari. L'interazione con l'ambiente che ci circonda non è eccessiva, ma vedere panche che si frantumano quando un demone di tre o quattro metri le travolge fa sempre piacere, anche se la sensazione è che queste si sbriciolino un po' troppo facilmente.
    Il design dei vari personaggi è particolarmente interessante, con nemici demoniaci di vario tipo, equipaggiati in modo diverso. Ci troveremo davanti i tipici soldati armati di spada e scudo, nemici specializzati nel combattimento a distanza armati di balestra e demoni giganteschi che impugnano un'enorme ascia. Sia i demoni che i loro equipaggiamenti sono caratterizzati da un design curato, che farà intendere subito al giocatore la differenza tra un nemico comune ed un soldato di alto rango.
    Stesso discorso vale per le ambientazioni, caratterizzate, così come i personaggi, da uno stile fantasy-dark decisamente molto azzeccato, che riesce a lasciare a bocca aperta nel momento in cui ci fermiamo ad osservare il paesaggio che ci circonda.

Strider


  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Double Helix Games

  • Data uscita:19 febbraio 2014

     

    Da quando la next gen è arrivata sul mercato sono stati davvero pochi i titoli in grado di suscitare interesse e stupore. Incredibilmente le soddisfazioni maggiori sono giunte proprio dai progetti Arcade, con un Resogun capace di tenere testa da solo ai titoli tripla A presenti su PS4 e un Max and the Curse of Brotherhood in grado di appassionare tutti gli amanti dei platform su Xbox One. Non ci stupisce quindi che proprio dagli store digitali arrivi come un falco in picchiata un nuovo gioco dalle buone qualità, quello stesso Strider che nei primi anni ’90 fece innamorare più di un amante dei ninja grazie al suo gameplay e a una difficoltà particolarmente elevata.
    Hiryu torna dunque sulla nostre console dopo più di vent’anni, in quello che è per Double Helix un ultimo saluto all’indipendenza prima di passare definitivamente sotto l’ala protettrice di Amazon.
    In onore dei vecchi cabinati, questo remake ne ricalca fedelmente la storia. Voi sarete uno Strider, un ninja addestrato al combattimento corpo a corpo e dotato di incredibili poteri, con il compito unico di mettere la parola fine allo strapotere di Grand Master Meio, uno spregevole tiranno dai poteri smisurati e deciso a mantenere ben salda la sua posizione di dominio sull’intero pianeta.
    Anche il gameplay, ovviamente, ricorda a grandi linee quello del capitolo principale, ma ci vuole ben poco a scoprire che Strider è mutato profondamente, abbandonando il semplice 2D side scrolling lineare per abbracciare una forma decisamente più complessa di esplorazione, cosa che ci permetterà di vagare in lungo e in largo per Kazakh City.
    In puro stile Metroidvania, quindi, le diverse mappe che compongono i livelli diverranno dei veri e propri labirinti, e non solo dovremo saltare ed evitare i diversi ostacoli posti sul nostro cammino, ma per trovare i potenziamenti indispensabili per proseguire sarà necessario altresì arrampicarci in cima ai tetti e alle varie strutture grazie ai rampini in dotazione.
    L’esplorazione è solo uno dei tasselli che compongono il titolo Double Helix, il resto, il vero cuore della produzione, è completamente incentrato sul combattimento.
    Hiryu è uno Strider e come tale è rapido e letale, oltre che in grado di utilizzare il suo Cypher, una lama al plasma speciale, con grandissima abilità. Il gameplay è quindi velocissimo, le animazioni di salto, dash e schivata sottolineano alla perfezione tutta l’agilità del protagonista e ricalcano le stesse movenze viste sui vecchi cabinati, ovviamente arricchite e perfezionate per sposarsi con le esigenze dei giocatori più moderni.
    Il combat system si basa principalmente su meccaniche hack ’n’ slash basilari e ci troveremo il più delle volte a lanciare fendenti in rapida successione premendo come ossessi sui tasti. La maggior parte dei nemici infatti non rappresenta un grosso problema e correre per i livelli facendo a fette semplicemente qualsiasi cosa si frapponga al nostro obiettivo non è poi così impossibile. E’ una riduzione della difficoltà che i puristi probabilmente non apprezzeranno, ma che in qualche modo si è resa necessaria per far divenire il titolo più appetibile alle nuove generazioni. La domanda che dovete porvi è dunque la solita: quanto influisce la sfida sul valore generale di un gioco per voi? Purtroppo anche settando la difficoltà su Hardcore le cose non cambiano poi di molto e a eccezione di alcuni punti davvero ostici sul finire della nostra avventura, morire sarà una possibilità assai remota.

    Strider mostra un’interfaccia basilare, con colori al neon e icone computerizzate così da sottolineare lo status cibernetico di tutto quello che ci circonda. Una barra della vita divisa in dieci settori si sovrappone a quella energetica, indispensabile per lanciare le abilità speciali del nostro ninja e ovviamente sfruttare anche i Kunai. Il problema principale di quest’ultima capacità è la completa mancanza di cooldown o di limitazione nel numero dei proiettili disponibili, cosa che vi consentirà di far piovere letteralmente una pioggia di pugnali sui nemici. Se contro gli sgherri più deboli questa capacità non risulta poi così comoda, vista la necessità di muovessi continuamente, quando arriveremo a combattere contro i boss le cose cambieranno in maniera sostanziale e rimanendo praticamente fermi, evitando solo i pattern di attacco nemici, potremo semplicemente obliterare dalla distanza gli avversari, in maniera spesso troppo semplice ed elementare. Anche il combattimento finale in questo modo risulta particolarmente deludente, un vero peccato dato che le fasi di esplorazione invece funzionano davvero alla grandissima e una cura maggiore sul bilanciamento avrebbe reso il titolo eccezionale sotto ogni punto di vista.
    La maggior semplicità deriva anche da una minimappa sempre presente dalla facile lettura e dall’indicazione su schermo di tutti i power up, porte segrete e bonus sparsi per i livelli. Completare il titolo al 100% non è un’opzione così improbabile già dalla prima run e non richiederà più di sei o sette ore di media. Con una speed run il gioco è facilmente completabile sotto le quattro ore e le classifiche online per decretare il ninja più veloce indicano come l’interesse degli sviluppatori fosse quello di dare un senso di rigiocabilità al titolo, impreziosito anche da due modalità speciali ulteriori di sopravvivenza e velocità, secondo noi non del tutto riuscite. Difficilmente infatti tenterete di cimentarvi in queste competizioni più di una volta dopo aver spolpato Strider in ogni suo dettaglio. Se deciderete di ricominciare una nuova partita inoltre, il titolo vi cancellerà tutti i bonus acquisiti in precedenza, in maniera anche comprensibile, ma persino tutti i costumi sbloccati raccogliendo i vari collezionabili, una scelta che non abbiamo apprezzato per nulla.

    Per dare maggior profondità al sistema di combattimento, Double Helix ha inserito power up per l’arma capaci di modificare in maniera sostanziale le tipologie di attacco di Hiryu. Quattro le modalità principali, selezionabili attraverso la croce direzionale e ognuna necessaria ad aprire una determina porta o sezione del gioco. Con il Cypher magnetico ad esempio potremo aprire le porte viola, con la lama infuocata fondere quelle blindate e così via. Strider propone anche altre abilità speciali chiamate Option, da utilizzare sfruttando la stessa barra energetica utile per lanciare Kunai, mosse segrete dal potere devastante che richiameranno uno scudo in grado di deviare proiettili, un falco di fuoco e una pantera per colpire i personaggi sul terreno, e risultano indispensabili anche per superare diversi puzzle ambientali dalla semplicissima risoluzione. Ancora una volta, con la rigenerazione così veloce della barra energetica, potrete davvero abusare di suddette abilità, cosa che faciliterà ulteriormente la vostra avanzata. A differenza dei capitoli originari, Hiryu ora può colpire in otto direzioni ed eseguire launcher per far partire brevi juggle. Sono meccaniche poco utili ai fini del gioco tuttavia, dato che come accennato prima salti e slash basilari saranno più che sufficienti per avere la meglio sulla stragrande maggioranza dei nemici. A poco serve l’introduzione di soldati corazzati ai quali bisognerà rompere lo scudo caricando un colpo potenziato, è una meccanica talmente superficiale che non riesce a influire in maniera significativa sul gameplay.
    Il nuovo look di Strider invece ci ha colpito, il modello poligonale del protagonista è eccellente e anche nemici e boss non deludono da questo punto di vista. Un peccato solo che la varietà degli ostili sia davvero risibile e che questi si ripresentino uguali per tutti i livelli con semplici ricolorazioni, un omaggio al passato sicuramente gradito dai superfan, ma fuori luogo in una produzione di questo livello. Per quanto riguarda le ambientazioni, invece, l’enorme Kazakh City non colpisce particolarmente per varietà (dov’è il livello della giungla!!), ma gli eventi atmosferici e il look dark riescono ugualmente a donarle un aspetto perfettamente in linea con il nostro protagonista. Per quanto riguarda gli effetti infine, luci al neon ed esplosioni in simil cel shading si sprecano, coronate da una sciarpina digitale di Hiryu davvero ben fatta, in grado di cambiar colore a seconda dei potenziamenti attivi e capace di dare un tocco di luce anche nei più tetri cunicoli di questa nuova avventura. 

A-Men


  • Genere:Action-Adventure

  • Data uscita:10 Febbraio 2014

     

    Se state cercando qualcosa che vi riporti indietro nel tempo, in anni in cui i giochi erano davvero difficili, A-men è ciò che state cercando. Questo titolo, sviluppato da Bloober Team, presenta un classico gameplay da puzzle-game che vi metterà alla prova con ben 40 scenari ed enigmi complessi, mescolati in uno stile di gioco che ricorda il buon vecchio Lemmigs.
    Una narrazione allegra e caricaturale
    Il gioco ha una trama molto semplice e lo stile narrativo è scherzoso e divertente. Cinque dipendenti di una fabbrica di soldati-robot sognano di diventare dei veri combattenti, di notte formano dunque gli A-men: un gruppo dalle mille risorse che si allena usando come bersagli le povere macchine. Un giorno, però, combinano un guaio più grosso del previsto e mandano in tilt la produzione: l’area circostante si ritrova sommersa da soldati-robot e loro ne sono responsabili. Decidono, quindi, di mettere le cose apposto e così comincia la loro avventura.
    Il gioco è suddiviso in 40 livelli, organizzati in 4 differenti ambientazioni. In queste mappe 2D avremo gradualmente a disposizione 5 personaggi con diverse caratteristiche e abilità (costruire oggetti, piazzare esplosivi, planare con un paracadute, ecc..), combinando questi elementi e sfruttando l’ambiente circostante potremo superare il livello. In ogni scenario sono presenti alcuni nemici, per procedere è necessario eliminarne un numero indicato (solitamente la metà) e raggiungere il punto di controllo in cui uno degli A-men ci preleverà con un elicottero. Un aspetto notevole e apprezzabile del gioco è che ogni livello può essere superato in diversi modi, alcuni semplici e altri notevolmente più complessi. Il giocatore dovrà dunque agire d’astuzia se non vuole perdere la testa, la logica è sicuramente al centro della scena; spesso certe azioni che possono sembrare più intuitive sono invece molto più complesse da attuare. Per analizzare meglio la situazione possiamo in qualunque momento spostare la visuale su tutta la mappa per studiare l’ambiente e capire bene cosa ci aspetta o come coordinare i personaggi, i quali, essendo complementari, dovranno aiutarsi a vicenda.  Solitamente il livello prevede bottoni che attivano trappole, ponti levatoi, buchi nel terreno o zone fragili da poter far saltare con dell’esplosivo, ma anche barili infiammabili e massi giganti pronti a piombare sui nemici. Oltre a questi elementi ve ne sono molti ancora e il loro uso contemporaneo porta davvero a complesse combinazioni. Lungo il gioco, soprattutto all’inizio, avremo a disposizione dei piccoli tutorial sotto forma di brevi caselle di testo, queste spiegheranno i fondamentali del gioco senza però rovinare o dare la soluzione degli scenari. Queste istruzioni, infatti, danno al giocatore alcune nozioni che poi dovrà comunque elaborare e completare con un pizzico di intuito se vorrà proseguire. Questo è forse uno degli aspetti più belli del gioco. In sostanza, completare un livello dà sicuramente una certa soddisfazione. 
    La curva di difficoltà è severa ma sensata, ci troveremo davanti ad enigmi molto complessi ma niente che ci sembri impossibile o rovini il piacere del gioco. Tuttavia a volte potrebbe essere frustrante, come se fossimo bloccati in un qualsiasi punta e clicca, oppure quando saremo costretti a ripetere la stessa azione, dopo aver capito come procedere, perché il sistema di controllo non è perfettamente affidabile: come già anticipato, anche il fattore movimento non è da trascurare (ma è il minore dei problemi). Il titolo, dunque, potrebbe essere soggetto ad alcuni “ragequit” e se non siete proprio degli appassionati di puzzle game potreste preferire prenderlo a piccole dosi, non superando l’ora di gioco. In ogni livello è comunque presente un save-point per i meno hardcore: il giocatore potrà salvare i progressi fatti nel livello (nemici uccisi, elementi attivati ecc..) al costo di alcuni crediti e il salvataggio avrà un prezzo incrementale fino al terzo utilizzo. Questi crediti possono anche essere usati per comprare nuove vesti per i nostri eroi, spesso ridicole e fantasiose (per esempio un costume da mucca) e vengono acquisiti alla fine di ogni livello in base al punteggio ottenuto. A-Men vanta da 8  a 10 ore di gioco ed è piuttosto rigiocabile grazie alla presenza di 4 obiettivi facoltativi in ogni livello, che rendono la sfida ancora più impegnativa. 
    La grafica è in stile cartoon, con colori saturi e contorni definiti. Gli scenari sono molto ben curati e relativamente ricchi di dettagli. Il gioco, in sostanza, presenta una grafica piacevole e varia. Per quanto riguarda il comparto sonoro, invece, non possiamo dire lo stesso: le musiche sono abbastanza ripetitive e gli effetti sonori non sono molto vari. Questo potrebbe accentuare quella sensazione di alienazione tipica di chi è al decimo tentativo nello stesso livello,  tutto ciò è sicuramente a sfavore del gioco. Tuttavia la musica, sebbene non sia molto varia, è piacevole e richiama un motivetto militare perfettamente in linea con il contesto. Infine, a dare un tocco di colore in più vi sono alcune frasi ad effetto dette dai personaggi, che vi strapperanno un sorriso anche nei momenti più difficili.

     

sabato 15 febbraio 2014

Titanfall


  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Respawn Entertainment

  • Data uscita:13 marzo 2014

     

    Prima di buttarci nella mischia più furiosa abbiamo saggiamente intrapreso il lungo tutorial iniziale che, in assenza di una reale campagna singleplayer, sarà indispensabile per conoscere alla perfezione la moltitudine di meccaniche presenti in Titanfall. Si inizia quindi con le basi, calibrando la visuale e impratichendosi con le prime funzioni di movimento. Salto, scatto e scivolata ci sembrano familiari ma è quando si arriva a dover superare enormi baratri che le cose si fanno interessanti. La corsa può tranquillamente essere continuata sui muri laterali per brevi tratti e nulla ci vieta di compiere walljump continuativi, così da evitare di dover ridurre la nostra velocità. Doppio salto e arrampicata ci permettono poi di raggiungere nuove mete e sfruttare la completa verticalità delle mappe, elemento che, come vedremo più avanti, non sarà esattamente semplicissimo da assimilare.
    La fase di shooting invece si rivela grossomodo in linea con quanto visto nel colosso di Activision, con un sistema di mira e fuoco decisamente puntato sull'arcade, ma anche capace di dare il tempo ai giocatori di reagire ai colpi subiti. Per quanto visto, infatti, prima di uccidere un bersaglio saranno diversi i proiettili da dover mettere a segno e, complice la velocità di movimento della fanteria, i combattimenti all'aperto potrebbero protrarsi più a lungo del solito. Discorso decisamente diverso all'interno delle strutture, dove gli spazi limitati e l'impossibilità di effettuare acrobazie porteranno ad avere scontri a fuoco rapidi e frenetici, e un paio di colpi ben piazzati potrebbero davvero fare la differenza.
    Questa comunque è solo una panoramica generale, perchè Titanfall è capace di offrire tanto di più, ed è proprio per tale motivo che siamo usciti entusiasti dal test.
    Prima di entrare in partita potremo scegliere tra diversi loadout, studiati banalmente per coprire i ruoli classici degli FPS, ma nulla vi vieterà, dopo aver acquisito livelli ed esperienza sul campo, di modificare completamente il vostro setup. La personalizzazione è più che discreta e oltre ovviamente alle armi primarie e secondarie potremmo andare a modificare visori, caricatori ed equipaggiamento, il tutto senza limitazioni di sorta. Se dovessimo fare un paragone diretto, il pick ten di Black Ops 2 riesce ad offrire maggior varietà sulla fanteria, ma Titanfall ha dalla sua ovviamente anche i Titani. Questi immensi colossi d'acciaio possono anch'essi venir modificati a piacimento, andando ad intervenire oltre che sugli armamenti anche sulle abilità secondarie, che permettono ad esempio di rigenerare gli scudi più velocemente o di generare un'esplosione nucleare una volta distrutti. Oltre a tutto ciò la versione finale avrà anche diversi modelli di Titan tra i quali scegliere, dirigendosi così in maniera brutale verso la velocità o basando tutto su resistenza e forza bruta. Purtroppo in questa versione avevamo a disposizione unicamente l'Atlas e quindi per una disamina del bilanciamento ci sarà da attendere la release, dove Ogre e Stryder andranno ad aggiungersi al nostro garage.
    Si è discusso molto sulla scelta di Respawn di inserire unicamente sei giocatori per squadra. Il timore principale era che con le mappe di media grandezza ci fosse poca azione e che il livello generale dell'adrenalina si abbassasse pericolosamente. Dopo aver analizzato a fondo la questione, possiamo sinceramente tranquillizzarvi. L'inserimento nel gioco di intere squadre di NPC fa sì che il giocatore abbia sempre qualcuno a cui sparare, un movimento continuo a schermo che non solo amplifica la spettacolarità delle azioni ma assume un ruolo importante nell'ecosistema della partita. I Titan saranno disponibili solo dopo quattro minuti dall'inizio del match e un comodo counter nella parte inferiore dell'interfaccia ci terrà informati costantemente sulle tempistiche. Ad ogni uccisione nemica, questo counter otterrà un'accelerazione, di una decina di secondi in caso di kill di un altro giocatore o di tre in caso di NPC. Arrivati allo zero potremo quindi indicare il punto di schieramento del Titan e richiamarlo sul campo di battaglia, magari schiacciando gli ignari avversari presenti nella zona.
    Un'apoteosi di fuoco, missili e proiettili si scatenerà una volta saliti sul colosso. Laddove palazzi e case offrivano zone da esplorare, ora ci troveremo ad utilizzare quelle stesse costruzioni come ripari, dando un twist alla lettura della mappa. Un cambio nel gameplay radicale, già analizzato in precedenza e che con questa prova approfondita si dimostra ancor più solido. All'interno del mech tutto cambia, l'attenzione a non farsi colpire si riduce vista la possibilità del colosso di resistere ad un grandissimo quantitativo di danni e, come succede in HALO, uno scudo protettivo auto rigenerante dovrà essere abbattuto prima di poter arrivare a danneggiare in maniera permanente il mech. Niente ripristino della vita, solo lo scudo potrà ricaricarsi restando fuori dal combattimento, opzione comunque non esattamente semplice da mettere in atto visto il caos su schermo. I colossi di metallo pilotati possono andare in corpo a corpo e terminare direttamente i Titan con poca vita, sfondando le casse toraciche di metallo ed estraendone direttamente il pilota. Per evitare di subire la finisher, i giocatori potranno quindi decidere di abbandonare il robot anticipatamente tramite eject e autodistruggerlo, magari con un'esplosione nucleare in grado di spazzare via i nemici circostanti utilizzando l'abilità apposità. Una volta dentro questi carri armati bipedi le minacce arriveranno da ogni parte vista la nostra pericolosità e dovremo stare attenti tanto ai Titan avversari quanto alla fanteria, difficile da colpire e altrettanto pericolosa. Ogni soldato infatti sarà dotato di un'arma anti corazza capace di infliggere gravi danni, per un ciclo molto veloce di richiamo e distruzione dei Titani grazie al quale mantenere sempre vive le partite. La stessa meccanica di cooldown per il richiamo del Titan la troviamo anche una volta a bordo, questa volta però dedicata all'attivazione di una speciale abilità overboost che aumenterà in maniera significativa il nostro output di danno. L'incapacità di saltare è compensata dai booster posteriori, che permettono di effettuare strafe e scatti in velocità, e da uno scudo speciale attivabile con la semplice pressione di un grilletto, che fermerà in puro stile Matrix i proiettili in arrivo, dandoci inoltre la possibilità di rispedirli al mittente. In questa specifica situazione il duello tra abilità dei giocatorì consisterà nel valutare con attenzione la carica dello scudo dell'avversario, visto che a sua volta potrebbe attivare l'abilità e rimbalzarceli nuovamente contro o, peggio ancora, girarli verso la fanteria facendo un massacro.
    Solo tre le modalità di gioco che abbiamo visto e provato, tutte abbastanza classiche, dal team deathmatch alla modalità conquista, fino ad arrivare al last titan standing dove l'obiettivo ultimo era eliminare ogni singolo titano nemico, ovviamente il tutto senza respawn. Respawn Entertainment è andata sul sicuro in questo caso, sollevando il velo solo su capisaldi del genere e senza sbilanciarsi in maniera eccessiva, ma ci aspettiamo davvero qualcosa in più da questo punto di vista per la release.
    Veniamo dunque alla parte più zoppicante della produzione, quella tecnica. Purtroppo da questa versione beta non usciamo del tutto contenti. Qualche sporadico calo di frame rate quando oltre a fanteria e mech ci si mettono effetti particellari, fumo ed esplosioni, modelli delle vetture per strada tutti identici con le medesime ammaccature, e texture che nel complesso non rendono assolutamente male ma che, se viste da vicino, mostrano un aliasing piuttosto pesante e una risoluzione non all'altezza della next gen. Questo vale ovviamente solo per la versione per Xbox One, dotata attualmente di una risoluzione inferiore a 1080p, quella PC invece sembra quasi un altro gioco, con una definizione incredibile e una fluidità senza pari. Respawn ha specificato più volte che le texture saranno riviste in fase finale, noi speriamo vivamente che sia così.

Mx Gp The Official Motocross

  • Genere:Sportivo

  • Sviluppatore:Milestone

  • Data uscita:28 marzo 2014

     

    Nei giochi dedicati ai motori ci vuole “manico”. Perché non è per niente facile riuscire a deficrare un videogioco di corse fintantoché si finisce costantemente fuoristrada. Quando il titolo racing si sposta nel territorio dell’arcade, è una passeggiata. Ma quando il titolo effettua una curva stretta nella direzione opposta, le cose si fanno davvero complesse.
    MXGP, titolo imminente a marchio Milestone e dedicato al campionato di Motocross, è un gioco che sterza fortemente verso il realismo, pur senza diventare totalmente simulativo. Quanto basta, insomma, per mettere in difficoltà un giocatore nelle prime ore di gioco ma, al contempo, senza infilarlo in un tunnel senza via d’uscita.
    MXGP ci porta direttamente nella polvere e nel fango dei circuiti del mondiale di Motocross, tra salti, curve da effettuare con il piede a terra e l’inevitabile bagarre che si genera quando ci si ritrova spalla a spalla con un avversario. Milestone è riuscita a cogliere molte delle emozioni presenti sulla pista, complice anche l’introduzione di una telecamera in prima persona che abbiamo apprezzato particolarmente, e che ci restituisce con l’equivalente videoludico di un pugno dello stomaco i passaggi più tecnici della pista.
    L’ambiente è stato inoltre arricchito dalla tecnologia che avevamo già visto in MUD FIM Motocross World Championship, e che modifica la pista ad ogni passaggio delle moto. Anche in questo caso dobbiamo notare un eccessivo deterioramento del terreno, dettato presumibilmente dal fatto che il giocatore è spinto ad effettuare molti meno giri di una gara reale. Al contempo, i solchi tracciati dai copertoni delle moto sembrano realizzati da un aratro trainato da buoi. L’effetto sulla guida, ad ogni modo, non è direttamente proporzionale ai cambiamenti grafici, e pertanto è accettabile.
    Il sistema di controllo obbliga il giocatore a fare uso sia dello stick sinistro - per direzionare la moto - che dello stick destro, al quale è affidata la distribuzione del peso del pilota. La cosa diventa fondamentale nelle curve più strette, dove un buon bilanciamento può permettere di stringere le curve senza agire troppo pesantemente sui freni. Il bilanciamento, però, si fa oltremodo fondamentale al momento del salto. Da bravi “piloti ignoranti” abbiamo affrontato le prime ore di gioco ignari delle tecniche per mantenere la velocità durante i salti. Su consiglio delle preziose note di release di questa versione preview, abbiamo imparato ad effettuare lo scrub, che consente di ridurre l’effetto-fionda generato dalle sospensioni in salita, che costringerebbe a una parabola più alta (e lenta). Per effettuare uno scrub è sufficiente muovere entrambe le levette analogiche in una medesima direzione (sinistra o destra), per attivare l’acrobazia in maniera quasi automatica. L’operazione, che va ripetuta pressoché ad ogni salto significativo, è risultata relativamente semplice da apprendere e abbiamo imparato a padroneggiarla dopo pochi giri.
    Purtroppo non basta qualche scrub per mantenere la testa della corsa: MXGP si è rivelato un gioco impegnativo, e nelle prime tre o quattro ore di gioco si soffre nelle retrovie, in attesa che un po’ di esperienza inizi a darci le prime soddisfazioni. L’intelligenza artificiale non è troppo aggressiva, complice anche una fisicità degli avversari piuttosto evidente, che rende gli impatti spalla a spalla quasi sempre fatali per il giocatore (e insignificanti per i personaggi controllati dall’IA). Al contempo, gli avversari sanno il fatto proprio, e non lesinano sul gas per ottenere dei tempi competitivi. Il gap tra il primo e l’ultimo giocatore controllato dalla CPU è realistico, e anche a difficoltà bassa e con tutti gli aiuti attivati il gioco sembra calibrato per i giocatori con un’esperienza di livello medio/alto. Nel complesso, l’impatto con il gameplay di MXGP è comunque positivo.
    Oltre a una modalità gara rapida, che ci porta nel vivo dell’azione senza necessità di scegliere pilota, moto e tracciato, è possibile effettuare una gara singola, un campionato (nelle classi MX1 o MX2) e una modalità carriera, nella quale possiamo firmare un contratto con un team e seguire un’intera stagione. Purtroppo in questa versione preview mancano ancora molte delle funzionalità che saranno incluse nella versione definitiva, ma in generale la carriera ricorda quella vista nel recente MotoGP 13, sempre a marchio Milestone.
    Da segnalare, infine, una modalità contro il cronometro e la presenza di una modalità online, che tuttavia non è risultata attiva in questo codice di anteprima.
    Anche se molti dei problemi riscontrati in questa versione preview verranno risolti prima della release, MXGP è un gioco il cui reparto grafico e sonoro non ci convince pienamente. Al di là dell’evidente popup delle texture e di una vistosa compenetrazione poligonale (particolarmente notevole dopo le cadute), è l’impatto visivo complessivo a non lasciare una buona impressione. E crediamo che questo aspetto, a differenza dei cali di frame rate, dei bug minori e della generale instabilità del codice, non verrà risolto prima della release.
    Allo stesso modo ci è parso poco convincente il sonoro, solitamente fiore all’occhiello delle produzioni Milestone. Il monocilindrico produce un rumore posticcio durante i salti, mentre il ronzio del motore non restituisce il rombo assordante delle moto da cross.
    In definitiva, c’è tempo per risolvere i problemi più gravi, ma non crediamo che la qualità grafica del titolo subirà dei radicali cambiamenti nel momento in cui il gioco verrà commercializzato.

     

Sniper Elite III

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Rebellion Developments

  • Data uscita:Metà 2014

     

    Sono passati già ben due anni da quando Sniper Elite V2 è approdato nei negozi ma il ricordo di quel titolo è ancora vivo nella nostra memoria. La Killcam ideata da Rebellion è stata sicuramente un enorme valore aggiunto per la produzione, ma è indubbio che anche l'atmosfera regalata dalla seconda guerra mondiale e la possibilità di trovarsi faccia a faccia con Hitler abbiano aiutato il titolo a piazzarsi tra i migliori giochi di cecchinaggio sulla scorsa generazione di console.
    Con Xbox One e PS4 ormai nelle case di molti, Rebellion ci riprova e si presenta ai nastri di partenza con Sniper Elite III, nuovo capitolo che vedrà il buon Karl Fairburne dirigersi in Africa, pronto a combattere nuovamente i nazisti e anche qualche nostro connazionale.

    La prima cosa che salta all'occhio di questo nuovo capitolo è ovviamente il cambio di ambientazione. Al posto degli edifici tedeschi e dell'architettura nazista fanno la loro comparsa strutture raffazzonate, trincee costruite con semplici sacchetti di sabbia e in linea generale si nota un forte viraggio della colorazione, dalle sfumature di grigio del secondo capitolo si passerà in questo episodio a tinte verdi e marroni. È un cambiamento a dire il vero che ci ha spiazzato inizialmente, visto che dona veramente poca varietà alle ambientazioni, ma gli sviluppatori ci hanno assicurato che le missioni sono state studiate per essere realmente una diversa dall'altra, scongiurando del tutto questo pericolo. La varietà quindi non sembra essere messa in discussione e anche un altro dei punti deboli di Sniper Elite V2 sembra essere stato superato senza grossi problemi: stiamo ovviamente parlando della linearità di alcune missioni.
    Sebbene fosse possibile in passato scegliere due o più percorsi per raggiungere l'obiettivo finale, le nuove mappe offrono una libertà di movimento mai vista prima. Nell'unica missione che ci è stata mostrata negli studi londinesi di Rebellion l'area di gioco era davvero vastissima e i nostri traguardi sparsi a ventaglio in tutte le direzioni. A noi il compito di scegliere quale bersaglio attaccare per primo e in che modo approcciare la missione. Piccole quest secondarie permettevano di portare scompiglio tra le fila nemiche, facendo esplodere ad esempio una cisterna o ancora sabotare i mezzi militari ivi presenti.
    Il metodo di approccio in questo caso proponeva un'ampia mole di opzioni, dai colpi corpo a corpo silenziosi, all'utilizzo a distanza ravvicinata della nostra pistola di ordinanza, o il classico cecchinaggio dalle alture africane o dalle coperture degli edifici.
    È una nuovissima ruota dell'inventario a rendere veloce e immediata la selezione del tool più adatto all'occasione e, ancora una volta, l'approccio a mitra spianato viene solamente sconsigliato ma, come accadeva in passato, concesso. Rubare un'arma e gettarsi nella mischia sarà grossomodo possibile ai livelli di difficoltà intermedi, divenendo una vera e propria utopia quando si andrà a selezionare la modalità realistica, una nuova difficoltà inserita quest'anno appositamente per dare del filo da torcere anche ai giocatori più capaci.
    In modalità realismo non solo i soldati nemici saranno più vigili e risponderanno con maggior celerità e precisione, ma si andranno a perdere anche tutti gli indicatori per la mira posti sull'interfaccia, in grado, questi si, di facilitarci e non di poco le cose.
    Il motore fisico alle spalle di Sniper Elite III è rimasto praticamente immutato rispetto al suo predecessore. La balistica estremamente curata torna perfezionata, ma senza stravolgimenti di sorta e tutti coloro i quali avevano già preso confidenza con il sistema di mira passato si troveranno a proprio agio anche questa volta.
    Trattenendo il fiato prima di ogni colpo, il nostro cecchino stabilizzerà la mira, lo zoom si ingrandirà e la nostra precisione aumenterà a dismisura, permettendoci di fare headshot in rapida successione.
    Se il proiettile sarà esploso con tempismo perfetto si attiverà la killcam, e una visione a raggi X del nostro bersaglio ci mostrerà ossa, muscoli e organi che esplodono in mille pezzi. La crudezza delle immagini non è stata attenuata minimamente e, nonostante questo, gli sviluppatori sono riusciti ad ottenere quel pegi 16 che gli permetterà di arrivare anche in Germania e Australia, paesi che solitamente creano sempre grossissimi problemi per la distribuzioni di giochi violenti sul territorio.
    Questo è stato possibile grazie alla mancanza delle mutilazioni, sicuramente un elemento che avrebbe aumentato l'apprezzamento degli amanti del gore ma che avrebbe anche richiesto un lavoro sulle animazioni e sui modelli dei personaggi decisamente superiore alle possibilità di Rebellion al momento.
    Parte fondamentale del gameplay la svolge come sempre il tag dei nemici con il binocolo, così da poter seguire con cura i movimenti delle ronde e la necessità di riposizionamento dopo essere stati scoperti. Ancor più che nel primo capitolo quindi il nostro cecchino dovrà effettuare azioni mordi e fuggi, allontanandosi velocemente dalle zone calde e cercando nuove postazioni dove appostarsi e ricominciare a far piovere piombo in libertà.
    Non sappiamo ancora a quale difficoltà stessero giocando gli sviluppatori, ma l'intelligenza Artificiale non ci è parsa particolarmente reattiva e questa sarà indubbiamente una delle cose da tenere d'occhio durante le prossime fasi di test pre release.Chiudiamo infine questa nostra prima impressione sul gioco con un'analisi dell'aspetto tecnico. Sniper Elite III uscirà sia su old gen che su Next gen ma, a differenza di come siamo ormai abituati, anche la versione Xbox One riuscirà finalmente a girare a 1080p, un traguardo notevole visti gli ultimi risultati dei multipiattaforma. La modellazione poligonale e la texturizzazione sono di qualità notevolmente più elevata sulle nuove console ed anche le Killcam risplendono con fasce muscolari aggiuntive e in generale un dettaglio maggiore sia per quanto riguarda gli effetti che le luci e le ombre. C'è da lavorare ancora dal punto di vista del pop up della vegetazione, ma in linea generale non ci si può certamente lamentare. Una produzione quindi più che buona, che tenterà senza ombra di dubbio di ottenere lo stesso successo del suo predecessore, limandone i difetti esistenti ed aggiungendo al pacchetto diverse nuove feature interessanti e aumentandone la longevità, per una campagna della durata complessiva di circa 12 ore e mappe del 30% più grandi rispetto a quelle originarie. Non mancano infine novità in ambito multiplayer, con la storyline principale giocabile completamente in cooperativa online e un competitivo a dodici giocatori, contro gli otto del vecchio Sniper Elite V2. 

giovedì 13 febbraio 2014

Consortium

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Interdimensional Games

  • Data uscita:8 gennaio 2014

     

    Il ruolo della scelta, nei videogiochi, ha sempre assunto un’importanza primaria: i titoli che consentono di modellare la storia attraverso le decisioni del giocatore, infatti, riescono spesso ad avere un certo fascino, regalando una sensazione di immersività notevole. Non è un caso che uno dei titoli indie più riusciti dello scorso anno, The Stanley Parable, possa essere definito come una riflessione originale e brillante proprio sul rapporto tra scelta e conseguenze in ambito videoludico (ma non solo).
    Come visto, dunque, creare un sistema di gioco di questo tipo, con varie ramificazioni che accompagnano le decisioni del giocatore, non è più una prerogativa delle grandi produzioni, ma rappresenta invece una delle tante strade che gli sviluppatori indipendenti possono percorrere sulla via che porta alla notorietà; in questo ambito, dunque, si va a incastonare il titolo di cui parleremo diffusamente in questa recensione: si tratta di Consortium, primo capitolo di quella che vuole essere una trilogia sviluppata da Interdimensional Games, in vendita su Steam a € 18,99, e tutta incentrata sul potere delle decisioni del giocatore.

    Ambientato nel dicembre del 2042, in Consortium il giocatore prenderà il controllo di Bishop Six, un agente operativo che si ritroverà a bordo del C-3800-D Zenlil, un jumbo jet impegnato in un tranquillo viaggio di ritorno dopo una missione in Bulgaria. Le cose, però, sono un po’ più complicate di quello che possa sembrare: avviando la partita, infatti, il giocatore si ritroverà davanti a un vero e proprio contratto di licenza, e soltanto spulciando bene le numerose linee di testo (purtroppo solo in inglese), si capirà bene quale sia stata l’idea di fondo degli sviluppatori. In quella che è possibile definire come una soluzione meta-narrativa spinta a livelli decisamente complessi, Consortium non è da considerare come un vero e proprio videogioco, ma come uno strumento creato da Interdimensional Games il quale, attraverso il satellite iDGi-1, è capace di aprire un portale verso un'altra dimensione. In questo senso il giocatore, seduto comodamente davanti al proprio monitor, rivestirà sì i panni di Bishop Six, ma nel contempo rimarrà sé stesso, estraneo alla vicenda ma parte integrante di essa. E’ in questo modo, dunque, che deve essere intesa l’espressione “prendere il controllo” di Bishop Six, perché nel fare ciò il giocatore rimarrà sé stesso, e il gioco lo riconoscerà come entità allo stesso tempo uguale e diversa da quella del protagonista ed estranea sia nel tempo che nello spazio. Ma qual è il senso di tutto ciò, e perché è così importante conoscere adesso, nel 2014, in anticipo di una trentina d’anni, quali sono state le mosse di Bishop Six? Per scoprirne di più sarà indispensabile prendere il controllo del protagonista e ricalcare le sue azioni, interagendo con l’equipaggio della nave e affrontando le varie problematiche che verranno proposte.In buona sostanza, quindi, in Consortium il giocatore impersonerà sé stesso ma avrà il controllo di Bishop Six: questa trovata meta-videoludica ha permesso agli sviluppatori di creare alcune situazioni tutto sommato interessanti, a cominciare dai primi istanti di gioco. Già a partire dal dialogo con il primo membro dell’equipaggio, il giocatore capirà di non avere alcuna idea relativa al passato di Bishop Six. Tutto ciò comporta che nel momento in cui verrà investigato un qualsiasi particolare dell’agente protagonista della storia, dal nome alla fede religiosa, il giocatore dovrà improvvisare ma al tempo stesso agire in modo coerente e lineare, anche perché tutto quello che diremo sarà ricordato dai personaggi non giocanti.
    L’importanza della coerenza delle proprie scelte assume pertanto un ruolo centrale: Consortium, infatti, può essere definito come un titolo piuttosto ibrido, al limite tra action adventure, FPS e gioco di ruolo. Gli stessi sviluppatori lo descrivono come un first person science-fiction role-playing, una definizione che in qualche modo riflette la vera natura del titolo. Nel concreto l’attività principale del gioco sarà quella di parlare con tutti i personaggi, e risolvere le varie quest secondarie e primarie che scaturiranno dalle differenti interazioni. Come già detto in precedenza, i dialoghi saranno il fulcro dell’esperienza di gioco: ogni scelta potrebbe potenzialmente portare a delle conseguenze differenti la quali potrebbero sbloccare, ad esempio, nuove quest secondarie, e far comprendere particolari interessanti della trama.
    Appare interessante, in questo senso, la scelta di voler introdurre una schermata che riassume il rapporto tra Bishop Six e i numerosi membri dell’equipaggio: ogni personaggio, valutando le nostre azioni, potrà infatti prenderci in simpatia o no, determinando conseguenze più o meno incisive sul corso della storia. Accanto ai dialoghi con i personaggi, che rimangono comunque il fulcro centrale del gioco, si accompagnano poi altre dinamiche di gioco che avvicinano Consortium, tanto per fare qualche paragone, a Mass Effect ma anche a Deus Ex: in alcuni frangenti bisognerà imbracciare le armi e risolvere situazioni spinose, mentre in altri momenti il giocatore potrà prendersi del tempo per aggiornare il proprio inventario, socializzare con l’equipaggio e conoscere maggiormente il mondo di gioco grazie ai numerosi documenti consultabili sul jumbo jet.
    Dobbiamo dire però che tutte queste sfumature, queste piccole derive verso un genere piuttosto che di un altro, avranno sempre un carattere limitato. Non si può dire difatti che Consortium sia un vero e proprio RPG, visto che mancano un qualsivoglia sistema di evoluzione delle abilità del personaggio e una minima scelta di classi giocabili; l’unico elemento che avvicina il titolo al genere in oggetto, dunque, sembra essere la gestione del proprio armamentario, attività peraltro spesso inutile considerate le poche sequenze di azione. Allo stesso tempo il titolo non è di sicuro un FPS, visto che le sezioni dove bisognerà premere il grilletto saranno poche (o nulle, a seconda delle linee di dialogo che si andranno a scegliere), e peraltro non così soddisfacenti a livello di gameplay.
    Insomma, considerato anche il fatto che l’intera esperienza, inclusa la risoluzione delle missioni secondarie, non porterà via più di quattro ore, è possibile dire che il gioco Interdimensional Games sia un concentrato di dinamiche differenti più o meno amalgamate in modo corretto, cui va ad aggiungersi il complesso comparto meta-narrativo analizzato prima.
    Nel corso delle sue peregrinazioni per lo Zenlil, unica ambientazione disponibile, Bishop Six dovrà dunque far fronte a diverse emergenze e situazioni, che vanno dalla misteriosa uccisione di un membro dell’equipaggio, all’assalto di un gruppo di mercenari, alla scoperta del traditore che si nasconde tra le facce amiche dell’equipaggio e che ha favorito la maggioranza delle problematiche sorte (un pretesto narrativo, questo, tutt’altro che originale, ma che ha sempre il suo innegabile fascino). Si potrà scegliere di volta in volta un approccio spavaldo oppure più riflessivo, oppure si potrà rimanere muti per l’intera durata del gioco, scegliendo di non parlare mai quando interpellati. Le possibilità di gioco sono molte, e non c’è dubbio che i giocatori interessati a questo tipo di dinamiche potranno trovare in Consortium un titolo rigiocabile in modi differenti e che soddisferà la loro voglia di essere parte attiva del gioco.
    Cercando di sintetizzare quanto detto finora, è giusto dire che Consortium è un titolo che, sebbene nei limiti dati da un budget ristrettissimo (circa $ 70.000), riesce in qualche modo ad avere qualche motivo di interesse a livello di gameplay a causa del sistema di dialoghi e delle conseguenze dettate dalle azioni del giocatore. Non stiamo parlando di un livello di profondità e intensità narrativa estremamente alto, né per quanto riguarda i personaggi né per la vicenda narrata o per il modo in cui il tutto viene raccontato (soprattutto se si pensa al finale, che taglia di netto la narrazione rimandando il tutto a un presunto secondo capitolo), ma comunque le vicende di Bishop Six scorrono via in modo abbastanza piacevole.
    Quella che potrebbe essere la base più che buona per un giudizio tranquillamente posto sopra la piena sufficienza, però, poggia su due fondamenta estremamente legate tra di loro e abbastanza traballanti. Ci riferiamo, per prima cosa, al prezzo: € 18,99 per un titolo di quattro ore, inteso peraltro come il primo di una trilogia, sembrano essere un po’ troppi non tanto per la tipologia di gioco offerto (spiegheremo meglio tra poco cosa significhi nel dettaglio tutto ciò), ma per la scarsa pulizia e le tante problematiche tecniche.
    Tralasciando il fatto che, nel momento in cui scriviamo, sembra sia in arrivo una nuova patch correttiva, che si aggiunge ai già numerosi aggiornamenti già rilasciati, dobbiamo dire che la nostra esperienza per i corridoi dello Zenlil è stata resa un po’ meno piacevole di quanto sarebbe dovuto essere a causa di alcuni problemi; il primo intoppo riscontrato, per esempio, è stato quello relativo all’impossibilità di poter ridimensionare il gioco per poter passare al desktop grazie alla consueta combinazione ALT+TAB. Se si gioca a tutto schermo, infatti, la pressione dei due tasti obbligherà la maggior parte delle volte a riavviare il titolo, sebbene sia possibile aggirare il problema scegliendo la modalità in finestra. Le magagne più gravi, però, riguardano le dinamiche di gioco vere e proprie: in un’occasione, ad esempio, non siamo stati in grado di completare una quest secondaria per il semplice fatto che l’interazione con l’elemento oggetto della missione era avvenuta prima che la stessa ci fosse stata assegnata; in una delle fasi più concitate di gioco, poi, lo scontro con un particolare nemico si è risolto a nostro favore perché abbiamo iniziato a far piovere proiettili prima che il nostro avversario, rimasto bloccato e inerme, avesse finito di parlare. Ma anche senza continuare a elencare i problemi avuti nella nostra prova, basta fare un giro sullo stesso forum di Steam dedicato al gioco per poter rendersi conto di giocatori rimasti “incastrati” in particolari sezioni della nave, di dialoghi che non partono al momento opportuno, di porte che invece di essere aperte rimangono chiuse, e via di questo passo.
    Ripetiamo, gli ultimi update hanno migliorato la situazione e una ulteriore patch è in via di lavorazione, ma la situazione riscontrata durante la nostra prova è quella appena descritta, e di tutto ciò, sebbene tutte le attenuanti del caso, non possiamo non tener conto in sede di valutazione complessiva del titolo.
    Dicevamo poco fa che il prezzo di Consortium, considerata la durata e la scarsa pulizia di alcuni frangenti di gioco, potrebbe far storcere il naso ai più: quali sono, allora, gli elementi che hanno fatto alzare il costo? Il discorso si allaccia strettamente al comparto tecnico del titolo, e ai suoi numeri: basato su una versione modificata del motore grafico Source, il gioco conta sull’apporto di diversi doppiatori, i quali hanno dato vita ai circa venti personaggi e alle quattromila linee di dialogo proposte. Si tratta di numeri tutto sommato importanti per una produzione indipendente, cui vanno ad aggiungersi la colonna sonora composta da Jeremy Soule e tutta la mole di testi consultabili durante il gioco, relativi agli avvenimenti trascorsi (buoni per farsi un’idea di quanto avvenuto prima dell’avventura di Bishop Six), e alle reazioni del mondo di gioco alle azioni del giocatore.
    Parlando proprio del comparto grafico, dobbiamo dire che l’aspetto di Consortium non è proprio dei più curati: tra ombre scalettate e una certa mancanza di dettaglio generale, la scelta degli sviluppatori è stata quella di virare su un aspetto a metà tra l’effetto nostalgia dei giochi di qualche anno fa e il cartone animato, imperniato delle tonalità blu e azzurre dello Zenlil. C’è da dire che, contestualizzando il tutto, il risultato non è sempre così malvagio, sebbene non si stia parlando di un titolo costantemente bello da vedere.
    Il comparto audio, invece, propone un doppiaggio integrale in inglese piacevole, capace anche di regalare qualche sfumatura "esotica" grazie ai diversi accenti dei personaggi che si incontreranno durante l’avventura; anche qui, dobbiamo dire che la mancanza di una qualsivoglia localizzazione in italiano renderà l’esperienza un po’ indigesta ai meno avvezzi alla lingua inglese, considerato il fatto che l’attività principale, ovvero la scelta delle linee di dialogo, avviene proprio attraverso la lettura dei numerosi testi. 

mercoledì 5 febbraio 2014

Insurgency

  • Genere:Sparatutto

  • Data uscita:22 gennaio 2014

     

     
    Da qualche anno a questa parte, il panorama degli sparatutto in prima persona è stato caratterizzato da titoli incapaci di innovarsi radicalmente e con come unico scopo quello di divertire le masse sfruttando una formula basata sul multigiocatore perfezionata negli anni. Nonostante il loro enorme successo permetta a questo genere di shooter di dominare senza  troppa fatica tale fetta del mercato videoludico, nel corso degli ultimi anni si è vista una vera e propria rinascita di un sottogenere di titoli che era stato capace di rivoluzionare il modo di vedere gli sparatutto: i Tactical First Person Shooter. Sono molti quei titoli che cercano di emulare il buon vecchio Counter Strike che, ancora adesso, è da molti considerato re indiscusso di questo genere. Quello di cui ci occupiamo oggi è uno dei tanti titoli fortemente ispirati al capolavoro di Valve, uno di quei giochi non adatti a tutti, dove gioco di squadra e tattica sono al centro di tutto.
    Insurgency è la versione standalone di un titolo che nasce da una mod sviluppata per il famosissimo Source Engine. Questo titolo è un FPS tattico che tenta di fondere al meglio realismo e gioco di squadra lanciando il giocatore in un mondo nel quale farà fatica a sopravvivere per più di pochi minuti nel caso decidesse di non comunicare con i suoi compagni. Il titolo ci catapulterà in uno scenario di guerriglia urbana più coinvolgente che mai, dove dovremo stare attenti ad ogni nostro minimo spostamento, avanzare con estrema cautela ed essere in costante comunicazione con i nostri alleati. Ogni svista può infatti essere punita con la morte. Insurgency tenta di offrirci un'esperienza di gioco realistica togliendo al giocatore quasi ogni tipo di HUD e dando in mano a noi e ai nostri nemici armi capaci di abbattere un uomo in pochi colpi. Sullo schermo compaiono solamente le informazioni relative agli obiettivi da conquistare o da difendere, e il numero di caricatori che abbiamo a disposizione per la nostra arma. Niente mirino a schermo, niente mini mappa, niente di niente. Persino riconoscere gli alleati può diventare difficile in questo titolo e, dobbiamo ammetterlo, ci siamo ritrovati più volte a dover aprire un paio di buchi nel petto di un nostro compagno di squadra nel momento in cui ce lo siamo visto sbucare all'improvviso da dietro un angolo per lo spavento. 
    Questa ricerca del realismo non si ferma però alla sola potenza delle armi da fuoco. La resa grafica di Insurgency riesce a sfruttare parecchio bene le potenzialità del Source Engine, anche se, sotto alcuni aspetti, il motore inizia a risentire del peso degli anni. Modelli poligonali e texture di personaggi e armi sono parecchio curati e le varie mappe riescono benissimo a rendere l'esperienza di gioco molto immersiva, soprattutto grazie ad un curato sistema di illuminazione. La cosa che però più stupisce è un comparto audio capace di farci sentire seriamente sul campo di battaglia. Ogni singolo suono, dai passi agli spari, fino ad arrivare alle voci di nemici e alleati, viene percepito in maniera diversa a seconda dell'ambiente circostante. Questo eccellente comparto sonoro consentirà ai giocatori più attenti di sentire nemici che si avvicinano semplicemente ascoltando il suono dei loro passi o della loro voce e, agli utenti con maggiore esperienza, di individuare con precisione la posizione di un nemico che spara dalla direzione di provenienza e dalla lontananza del suono della sua arma.
    Insurgency presenta in tutto 6 modalità di gioco competitive, che possono ospitare fino ad un massimo di 32 giocatori, e una modalità per le partite in cooperativa. Tutte le modalità sono legate alla conquista o alla difesa di determinati obiettivi e presentano un particolare sistema di respawn ad ondate. Ogni volta che moriremo dovremo attendere la prossima ondata di rinforzi per rientrare in partita. Nel caso un nostro compagno di squadra riesca a conquistare un obiettivo, tuttavia, l'intera squadra verrà automaticamente rimessa in gioco. Il numero di ondate di rinforzo è limitato e varia a seconda delle modalità, sarà quindi necessario evitare di esporsi troppo al fuoco nemico per non farsi abbattere e sprecare uno dei pochi rientri a nostra disposizione.
    La modalità cooperativa mette noi ed altri 5 giocatori contro una serie di nemici comandati dall'intelligenza artificiale. Il nostro scopo sarà quello di prendere il controllo di determinati punti della mappa in un ordine specifico e sconfiggere le ondate di nemici che cercheranno di impedirci di proseguire. A livelli di difficoltà elevati l'intelligenza artificiale si comporta piuttosto bene, attuando manovre di accerchiamento e cercando di mantenerci in posizione utilizzando fuoco di soppressione per poi attaccarci sui fianchi.
    In Insurgency fate parte di una squadra e, all'interno di questa, avrete un ruolo ben preciso. Prima dell'inizio della partita avrete infatti l'opportunità di scegliere con quale classe di soldato scendere sul campo di battaglia. Ogni classe può essere liberamente personalizzata utilizzando dei punti di approvvigionamento che la squadra otterrà come ricompensa per la conquista degli obiettivi. Potrete aggiungere mirini, accessori vari e munizioni speciali alla vostra arma, equipaggiare esplosivi, munizioni extra e giubbotti rinforzati per avere la possibilità di subire più colpi prima di essere abbattuti. Ogni equipaggiamento, tuttavia, andrà a modificare il nostro peso influenzando la velocità di corsa e la capacità di effettuare scatti o scivolate. Ruolo fondamentale all'interno della squadra sarà quello dello Squad Leader, un giocatore in grado di impartire ordini ai propri alleati tramite un comodo menù circolare richiamabile in ogni momento.
    Siamo dunque davanti a un titolo estremamente punitivo, che probabilmente vi richiederà qualche tentativo andato male ed una buona dose di morti prima di riuscire a prendere familiarità con le sue particolari meccaniche. Non lasciatevi però scoraggiare dalle prime difficoltose fasi di gioco, perché il gioco vi richiederà del tempo per essere apprezzato. Se provato con un gruppo di persone con cui risulta piacevole cooperare ed ideare tattiche, Insurgency dà il meglio di sé, tuttavia, lo scarso numero di utenti che popolano i server di gioco rende estremamente difficile trovare una squadra ben organizzata e spesso ci si ritrova all'interno di partite semi deserte, dove lo sviluppo di tattiche elaborate risulta praticamente impossibile a causa dell'insufficiente numero di giocatori.