Ethero

giovedì 28 novembre 2013

Suggerimenti Importanti

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lunedì 18 novembre 2013

World Of Warplanes


  • Genere:Simulazione volo

  • Sviluppatore:Wargaming

  • Data uscita:12 novembre 2013

     

    Con 4,5 milioni di download già in fase beta, World of Warplanes esordisce nella sua versione finale, e non abbiamo mancato di metterci alla guida degli aerei sviluppati da Wargaming.net per provare, finalmente, l'emozione delle dogfights secondo il team bielorusso.

    Quelli di Wargaming.net ci avevano già abituato con World of Tanks: mouse in una mano, un paio di lettere della tastiera sotto le dita, tutto pronto per abbattere qualsiasi nemico. Con World of Warplanes mettersi alla guida di potenti aerei da guerra è altrettanto semplice immediato. Lo è persino più di quanto non fosse con i più celebri shooter aerei arcade, eppure la sensazione non è quella di star giocando con un titolo da sala giochi. Pur essendo lontano da meccaniche simulative, WoW (perdonate l'acronimo di blizzardiana memoria, ma è bene trovare un abbreviativo) riesce a fondere l'immediatezza con una certa credibilità dei mezzi, e lo fa al mescolando sapientemente limitazioni fisiche imposte agli aerei - non manca la possibilità di andare in stallo o surriscaldare i motori - ad un sistema di controllo estremamente agevole da padroneggiare. Le meccaniche imparate in altri giochi del medesimo genere possono essere quasi del tutto dimenticate: poco importa se siete abituati ad immaginare di tirare una cloche verso di voi per salire di quota, o al contrario se preferite salire spingendo un analogico o premendo un tasto verso l'alto, cercare acrobazie alla Top Gun con combinazioni di tasti o mantenere uno stile di volo più lineare. In WoW la guida avviene semplicemente puntando il mirino posto al centro dello schermo dove si vuole andare, accelerando e decelerando a piacimento. Qualsiasi altra evoluzione o virtuosismo sono lasciati alla CPU, che automaticamente esegue l'animazione più indicata a dare senso estetico alla manovra. E ci riesce bene. Qualora aveste un mouse dotato di più di due tasti, cosi da consentire Throttle e decelerazione sul mouse stesso, potreste giocare agevolmente con una mano sola sorseggiando del caffè con l'altra, godendo di acrobazie a 360 gradi generate unicamente dal motore di gioco. Anche considerando la necessità di usare pochi altri tasti per le funzioni secondarie come flaps, bombe o l'attivazione dei bonus consumabili da acquistare nell'Hangar, il controllo resta semplice ed intuitivo ai massimi livelli.
    Nonostante l'apparente estrema semplicità, le dinamiche fisiche credibili e gli avversari “umani” (perché questo vi aspetta, stiamo parlando di un MMO a tutti gli effetti), rendono ogni partita incredibilmente avvincente e ricca di tensione. La sola modalità presente, fatto salvo per quelle d'allenamento, mette il giocatore all'interno di una squadra di compagni, contro un equo numero di avversari per un totale di trenta aerei pronti a tutto per portare a casa la vittoria, in mappe di gioco nelle quali lo scopo è, semplicemente, quello di risultare la squadra sopravvissuta. Morte significa fine partita, nessun respawn consente di tornare in battaglia, elemento che aumenta la tensione e fa sì che sia il gioco di squadra a consentire esiti sempre migliori. Se mettere una sfida 1 contro 1 sul piano dell'abilità può dare soddisfazioni e forti momenti di divertimento, è infatti il teamwork a farla da padrone. Più volte nella nostra prova siamo riusciti a sopravvivere a scontri con alcuni inseguitori ostinati nell'abbatterci in solitudine, mentre noi, furbescamente, ci facevamo inseguire sino a giungere nei pressi dei nostri compagni.
    D'altra parte, non è un segreto che Wargaming.net punti all'e-sport con WoW più di quanto non abbia tentato di fare con l'edizione dedicata ai Tanks, e il risultato, mouse e tastiera alla mano, si sente, sia nel bilanciamento della sfida, sia nel buon mix tra combattimento istintivo e ragionato. Come gli sport virtuali insegnano, non basta mettere in un'arena un po' di nemici per creare una contesa equilibrata e sufficientemente varia. Così fosse ogni sfida si tradurrebbe nello spararsi addosso per la sopravvivenza. Per assolvere a questa necessità, sparsi sui terreni di gioco, in maniera speculare, sono presenti navi e unità di contraerea comandati da intelligenza artificiale, capaci di colpire i velivoli troppo vicini alla loro linea di tiro. Una scelta che, oltre a giustificare la categoria dei bombardieri, altrimenti lenti e goffi, che diventano utili per pulire l'area di sfida da elementi di disturbo, introduce l'elemento tattico legato alla necessità di avere in squadra mezzi in grado di distruggere rapidamente tali pericoli, oppure il sapersi spostare intelligentemente in aree che diano vantaggio alla propria squadra piuttosto che agli avversari.
    La struttura del gioco stessa suggerisce l'acquisto di più di un aereo in modo che, una volta sconfitti in una partita, si possa uscire anche senza attendere il finale, e si possa iniziare un altro scontro con un velivolo differente, nell'attesa che il match precedente volga al termine. I velivoli disponibili, divisi per nazionalità ma, ancor più determinante, in dieci classi con numerazione romana, vanno dalla I che rappresenta i mezzi meno prestanti e lontani nel tempo, parliamo del 1925 in poi con buone riproduzioni di aerei entrati nella storia, salendo verso la classe X rappresentata da quelli più recenti e tecnicamente avanzati, con un crescendo, quindi, che mette nelle mani del giocatore macchine da guerra sempre più raffinate, sebbene manchino aerei moderni. L'accurato matchmaking farà sempre in modo di farvi affrontare solo classi di aerei simili a quella da voi posseduta, pertanto quantomeno il rischio di trovasi in coda mostri alati veloci il doppio o tre volte meglio armati è sventato. Grazie alla meccanica di matchmaking per classi, e a gruppi di aerei divisi conseguentemente in ere di produzione, il risultato è la sensazione di avanzare, man mano che si gioca, non solo con l'esperienza in-game, ma anche nel tempo, avendo contro avversari con aerei sempre più progrediti. Le differenti tecnologie, armamenti e meccaniche scoperte e prodotte nel tempo, fanno sì che anche il gameplay parta più lento e semplice nelle prime fasi, diventando più rapido e furioso man mano che si accumulano esperienza e soldi adeguati a comprare mezzi più aggiornati, il che rende le prime ore spese su World of Warplanes un grande tutorial, sino al culmine rappresentato, appunto, da sfide con gioielli alati che sapranno emozionare anche i giocatori avvezzi alle dogfights aeree ad alto impatto di spettacolarità.
    Ogni areo ha a disposizione potenziamenti di vario genere, che vanno dal rendere più potente e prestante il motore, sino all'implementazione di nuove armi, quali bombe per attacchi a terra o mitragliatori di supporto. L'acquisto di questi miglioramenti forza ovviamente a spendere i soldi duramente guadagnati, ma non solo. E' richiesto infatti anche l'utilizzo di punti esperienza specifici per ogni velivolo, ottenuti durante l'arco delle partite, che, se non presenti nel numero richiesto, vengono a loro volta coperti da ulteriori punti esperienza generali dall'account del giocatore, eventualmente riaccreditabili con micro-transazioni o giocando poche partite, giacché il loro ottenimento è pari al 10% dell'esperienza ottenuta dall'aereo stesso dopo ogni sfida. Seguendo un albero delle evoluzioni presente per ogni nazione in conflitto, diventa piuttosto semplice non solo capire quali potenziamenti siano a disposizione di ogni aereo, ma anche quale velivolo rappresenti il “successore evolutivo” del modello in uso, consentendo al giocatore di passare di categoria in maniera consapevole.  Sta proprio nel buon bilanciamento tra “a pagamento” e “gratuito” la chiave del possibile successo di World of Warplanes, formula già azzeccata nell'ormai consolidato World of Tanks e apparentemente centrata anche in questo nuovo prodotto, da quanto abbiamo avuto modo di vedere. Il giocatore/pilota disposto a sborsare dei soldi in valuta reale ottiene invero delle possibilità altrimenti di più difficile raggiungimento, e il 50% di bonus su soldi e esperienza accumulata, oltre che qualche aereo esclusivo, restano invitanti motivazioni a fare un abbonamento Premium, ma considerando la rapidità con la quale si acquisiscono soldi ed esperienza anche in sole due o tre partite, e la non poi eclatante qualità dei mezzi premium rispetto a quelli disponibili a tutti, l'attingere dal proprio conto bancario non si fa mai necessario. Speriamo vivamente che questo fattore venga preservato nel tempo.
    Per quanto spendere soldi non sia mai richiesto, è bene comunque segnalare che la struttura del gioco non sia comunque restia all'accettare incassi, anzi. La volontà di saltare alcune delle tappe giungendo prima del tempo verso le classi migliori di aerei, significherebbe per l'utente spendere non pochi denari in potenziamenti ed aerei migliori in maniera incontrollata. Il consiglio è, quindi, di prendere l'avventura con estrema calma e buonsenso, godendo le singole categorie d'aereo e sfruttando la crescita di esperienza che queste donano, piuttosto che affrettare i tempi dilapidando danari, magari trovandosi in classi avanzate senza la necessaria capacità per sopravvivere.
    Aerei dettagliati, mappe meno, ma va bene cosi
    Sul comparto tecnico, WoW mostra alti e bassi, sicuramente non a caso. Il titolo punta, infatti, su una buona cura dei dettagli degli aerei, e sul colpo d'occhio dei terreni, che mostrano panoramiche lodevoli sia di aree di verde lussureggiante, che deserti sperduti o coste nelle quali apprezzare onde e mare blu. Quando tuttavia si va nel dettaglio di unità di terra e textures ravvicinate, anche a setting alti, qualche imprecisione e modelli tridimensionali fin troppo basilari si vedono eccome. Poco importa, in ogni caso: per la maggior parte del tempo ci si trova in volo a grandi altezze, e la mancanza di scenari cittadini con case o palazzi evita di mettere in difficoltà un motore di gioco che vuole concentrarsi, più che su elementi poco rilevanti, sulla fluidità di gioco. Certo, PC corazzati saranno in grado di settare i dettagli al massimo delle selezioni possibili, e offriranno al fortunato possessore scenari di altissimo impatto visivo, fatto salvo per gli elementi citati, ma computer meno dotati, costretti a compromessi, manterranno in ogni caso una resa visiva di tutto rispetto anche con parametri bassi. E' un bene poter affermare che non solo l'aspetto tecnico-estetico sia stato ben curato: il net-code, fondamentale nel gioco gioco online, regge senza problemi partite con numerosi membri che si concentrano in spazi di volo ridotti, sparandosi addosso razzi o mitragliate con linee visibili, motori in fiamme che tracciano scie di fumo quasi permanenti nell'aria ed esplosioni continue, il tutto senza scatti e rallentamenti, a patto di non aver esagerato, come dicevamo, con dettagli fuori dalle possibilità del sistema utilizzato.
    Ricordiamo, concludendo, che dopo World of Tanks e World of Warplanes, il trittico di Wargaming.net andrà a completarsi grazie a World of Warships, titolo ancora in sviluppo, ma che immaginiamo riuscirà a differenziarsi dai due già usciti per meccaniche almeno quanto i predecessori hanno saputo fare tra loro. Sebbene i tre mondi di gioco non saranno interconnessi, limitando le sfide solo tra mezzi della medesima categoria in giochi del tutto separati, l'account personale sarà utilizzabile indistintamente sui tre titoli, e l'esperienza oltre che i soldi accumulati vengono accumulati sullo stesso, pertanto se amate maggiormente carri armati e navi rispetto agli aerei, avete comunque un buon motivo per non saltare questo capitolo e prendere il volo, per variare un po' la routine. Tanto è gratis, davvero questa volta, cosi come lo è il suo principale avversario sul mercato, un War Thunder con il quale World of Warplanes dovrà combattere non poco per stabilire a chi vada il titolo di dominatore dei cieli.

mercoledì 13 novembre 2013

Dragon Age Inquisition

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:BioWare

  • Data uscita: Autunno 2014

     

    Ah, l’internet d’oggigiorno. Un momento prima sei un eroe, il momento dopo le oscure forze della rete ti si rivoltano contro, e diventi un paria. Prevedere le energie malvagie e ricolme d’odio che pervadono la rete è praticamente impossibile, e le cause scatenanti possono essere tanto significative quanto minuscole e impercettibili. 
    Bioware lo sa. Nel turbine dell’hate e della furia internettiana ci si è trovata all’improvviso, passando da software house amata e osannata da tutti a gigantesco bersaglio per coloro che sfogano la propria ira repressa nei commenti.
    Va detto, il calo di popolarità in parte è giustificato: da qualche anno a questa parte l’unico titolo realmente eccellente della casa è stato un action gdr fortemente incentrato sull’azione, l’attesissimo MMORPG dedicato a Guerre Stellari si è rivelato un floppone, e il seguito di uno dei titoli meglio riusciti dell’ultimo decennio, Dragon Age Origins, è un prodotto affrettato e per molti versi inferiore al predecessore. Il fatto che Mass Effect 3 sia riuscito degnamente non è quindi bastato a risollevare la nomea della casa agli occhi degli appassionati di giochi di ruolo, e ogni suo nuovo annuncio viene accolto dal popolo della rete con sospetto, più che con aspettative sconfinate.
    Noi però sappiamo che la casa sa ancora fare giochi. E dopo il tremendo feedback negativo ricevuto siamo anche consapevoli che Bioware si è attivata per rivoltare la frittata e tornare ai fasti di un tempo. Il progetto con cui sembra volerlo fare è Dragon Age: Inquisition, terzo capitolo della saga fantasy dark. 
    Tante le promesse, tanti gli annunci, poco il materiale. Almeno fino a oggi. Già, perché nelle ultime ore è leakato un bel video di una mezz’ora, che mostra finalmente il gameplay del gioco, e ci dà un’idea della sua scala. Finalmente abbiamo ottime ragioni per essere hyppati. Era ora ragazzi.
    In Dragon Age: Inquisition la storia continua dopo le vicende del secondo capitolo, e mette il giocatore nei panni del leader dell’Inquisizione, unica organizzazione teoricamente in grado di riportare l’ordine in un mondo ormai dilaniato dal conflitto tra maghi e templari. Nulla si sa dei protagonisti dei precedenti episodi, ma è evidente che alcuni personaggi già noti ai fan torneranno in questo titolo. Uno di questi è Varric, affabile nano armato di balestra, apparso tra i compagni disponibili nella breve demo mostrata, ma non è solo, visto che nel team ha fatto capolino anche Cassandra Pentaghast, la sua “interrogatrice” nella premessa del predecessore. 
    Ignote le motivazioni che hanno spinto questa strana coppia a unirsi all’inquisitore nella sua avventura, ma una cosa è certa, in Dragon Age: Inquisition la scala è aumentata tremendamente, l’avventura si terrà a quanto pare in varie regioni del continente di Thedas e richiederà al giocatore di estendere il controllo dell’Inquisizione su tutto il territorio tramite fortezze conquistabili. 
    La prima fase del gioco mostrata era dedicata proprio a una di queste fortezze sotto attacco. All’inquisitore spettava la scelta di abbandonare una postazione difensiva piena di sottoposti feriti per rinforzare le difese della struttura, o affidarsi principalmente alle sue abilità e dimostrarsi misericordioso con i suoi soldati. Gli sviluppatori hanno scelto la via del dovere e abbandonato i feriti per assicurarsi una difesa degna, confermando però che ci sarebbero state gravi conseguenze. Passati a una scena successiva, abbiamo visto gli effetti delle loro azioni: un villaggio vicino raso al suolo, e un Varric inginocchiato davanti ai cadaveri (con conseguente perdita di affinità con il personaggio). 
    A Bioware stavolta hanno messo subito le cose in chiaro, mostrando come le scelte in Inquisition possano portare alla scomparsa di intere zone esplorabili oltre al solito smottamento di rapporti interpersonali. Lezione imparata, insomma. 
    Se l’importanza delle scelte ci ha sorpreso, non di meno ha fatto il gameplay, che ci ha lasciato una piacevole acquolina in bocca. In principio il gioco è parso ancora una volta un action rpg semplificato, con manovre veloci e molto spettacolari. All’inquisitore (buildato come guerriero con arma a due mani) era concessa una manovra simile all’arpione di Scorpion nei Mortal Kombat per tirare a sé i nemici, l’immancabile turbinio di lame ad area e una serie di attacchi dagli effetti variabili. Il sistema si è però poi rapidamente ampliato quando sono apparse anche meccaniche legate alla parata e alla schivata, che se usate a dovere potrebbero rendere il tutto enormemente più profondo. La gioia reale ad ogni modo è esplosa solo quando è comparsa la tactical view, una visuale rialzata simile a quella di Origins, che permette di selezionare singolarmente i membri del team e dare ordini, con un sistema reminiscente dei vecchi gdr isometrici del passato. Quando gli sviluppatori hanno caricato una zona più avanzata e sono iniziate battaglie più impegnative, è divenuto chiaro come la Tactical View non sia un optional, ma il modo migliore di combattere, in quanto molte abilità dei maghi sono posizionali e persino in grado di bloccare parti della mappa. Durante uno scontro con nemici particolarmente numerosi, ad esempio, gli sviluppatori hanno bloccato la strada a un gruppo di nemici con un muro glaciale, per poi utilizzare un dispel su un potente stregone, e concentrare gli attacchi su di lui. Lo stile “action” ha a sua volta una meccanica di pausa simile grazie alla ruota delle abilità, che permette di switchare personaggio e attivare pozioni e tecniche, ma è più limitata perché il movimento dei compagni non può essere controllato nel dettaglio in tal modo. 
    Contenti di rivedere della tattica nel sistema di combattimento di Dragon Age? Pure noi, anche se al momento gli avversari non ci sono parsi estremamente geniali e, nonostante la loro evidente diversificazione, un’IA decente aiuterebbe non poco la tensione degli scontri. Presi dal combat system non abbiamo però precisato un altro elemento importantissimo di Inquisition: è un open world. 
    Avete capito bene, niente più mappe lineari, locazioni limitate, o dungeon che si ripetono all’infinito, qui siamo davanti a distese enormi, ricche di caverne esplorabili e di quest da affrontare. Il quest system è simile a quello di Skyrim, con una bussola che mostra dove dirigersi per compiere una missione o trovare un punto d’interesse, ma i ragazzi di Bioware hanno anche precisato che il protagonista stavolta sarà molto meno dipendente dagli npc, e in quanto capo dell’inquisizione spetterà spesso a lui decidere come muoversi e dove agire. 
    La zona iniziale, le colline di Crestwood, era senza dubbio enorme, tanto che per raggiungere la fortezza dalla costa ci sono voluti alcuni minuti, e un passaggio in una grossa caverna. Eppure non è nemmeno lontanamente l’area più grande del gioco, stando alla presentazione, ed è dunque il caso di aspettarsi un mondo capace di catturare il giocatore per dozzine di ore. 
    I vecchi fan di Origins saranno anche felici di veder tornare un inventario dedicato ai compagni di squadra, ora personalizzabili sia nell’armatura che nelle armi e negli accessori. Non è ancora chiaro quanto complesso sarà il sottomenù delle armature, ma è già un passo avanti rispetto a Dragon Age 2. 
    L’ultima sorpresona è stato il comparto tecnico. Non siamo davanti a meraviglie, ma il Frostbite stavolta pare usato a dovere, eccome. I tessuti si muovono con grande realismo, gli effetti particellari sono ottimi, l’illuminazione dinamica è sorprendente e in particolare ci ha stupito nella caverna mostrata, e non mancano gli elementi distruttibili nelle varie locazioni. Particolarmente interessante è stata una battaglia in cui il protagonista si è concentrato sulla distruzione di un ponte per impedire a dei rinforzi di raggiungere i nemici, dimostrazione che l’ambiente circostante potrà saltuariamente venir utilizzato per ottenere un vantaggio strategico.
    Meno superlative le animazioni, che ci sono parse ancora legnosette (in particolare quelle di alcuni abominii in lontananza, che peraltro si ripetevano), e la vegetazione, immobile al nostro passaggio, ma per una pre-alpha comunque siamo davanti a un prodotto lodevolissimo.  
    In chiusura, gli sviluppatori hanno mostrato un altro paio di chicche legate alle fortezze, visto che queste saranno personalizzabili e potranno essere utilizzate come castello rinforzato ricco di truppe, casa d’addestramento per spie, o addirittura bazaar mercantile per migliorare i rapporti politici con le varie regioni. Non si tratta di modifiche di facciata, poiché in base alle fortezze avrete anche modo di agire in modo differente sulle varie zone. Per dare una dimostrazione, i Bioware hanno bonificato un’area inizialmente zeppa di fumi velenosi, e così facendo hanno sbloccato una battaglia con un enorme e pericolosissimo drago.
    Uno scontro opzionale, certo, ma comunque curatissimo, che a quanto detto non sarà l’unico nel gioco. I draghi saranno infatti tutti personalizzati, dotati di abilità uniche, e spaventosamente difficili da abbattere. Puristi della difficoltà, siete avvertiti. 

martedì 12 novembre 2013

Xcom:Enemy Within

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Firaxis

  • Data uscita:15 novembre 2013

     

    Proiettili di qua, esplosioni di la. Sparatutto ovunque, e giochi che devono puntare tutto sull’azione, su scene che potrebbero benissimo esser state congegnate da Michael Bay, e sull’accessibilità. Queste sono le uniche immagini che paiono ormai da tempo frullare in testa alla gente che nel mondo dei videogiochi smuove i soldi. Qualche eccezione c’è, certo, ma la maggior parte del dinero viene lanciata senza troppi ripensamenti addosso agli sviluppatori di fps, tps, e compagnia bella, con una moria preoccupante dei generi più complessi perché, stando ai mogul dell’economia, “non vendono abbastanza”. 
    Ogni tanto, però, qualche mogul intelligente spunta dalla massa, e decide di rischiare dando il via a un progetto meno “esplosivo” e più ragionato. E’ stato il caso di XCOM: Enemy Unknown, poderoso successo di critica e capace di piazzare non poche copie recuperando l’indimenticata formula degli strategici isometrici a turni. Il successo è stato tale, pensate un po’, da portare i Firaxis a creare persino un’espansione. Non si tratta però di un comune add-on, bensì di una versione riveduta e corretta dell’ottimo titolo base, chiamata Enemy Within. Noi l’abbiamo provata, e ora vi racconteremo cosa ci aspetta in questa nuova invasione aliena.
    Enemy Within, come appena detto, non stravolge la campagna del titolo originale, né la continua, si limita ad allargarla sostanzialmente. Avrete sempre a che fare con una terribile invasione extraterrestre alla guida del potente gruppo XCOM, ma stavolta nel pacchetto saranno inserite tutte le missioni DLC uscite in passato, e una lunga serie di nuove sezioni. In particolare è da sottolineare l’arrivo di una nuova fazione avversaria, l’Exalt, un’organizzazione apparentemente composta da esaltati desiderosi di appropriarsi del potere sfruttando la tecnologia aliena. 
    Le battaglie con gli Exalt sono una delle parti migliori dell’espansione, perché portano i nostri agenti a scontrarsi con squadre addestrate più intelligenti di quelle aliene, e capaci di utilizzare abilità molto simili a quelle dei soldati. Si tratta di fasi curiose, che aggiungono varietà alla campagna e costringono a spedire un agente in copertura per qualche giorno, in modo da trovare le celle terroristiche dell’organizzazione prima di un assalto. 
    Chiaramente tale introduzione amplia e migliora sensibilmente il semplicistico comparto narrativo del titolo, e non manca di fungere anche da critica velata nei confronti di chi inizialmente voleva vedere la serie trasformata in un ammasso di shooter, visto che i membri del gruppo avversario assomigliano fin troppo agli agenti visti in The Bureau (con tanto di zainetto multifunzione).
    Non finisce qui comunque. I Firaxis hanno infatti pensato bene di aggiungere pure un gran numero di missioni del consiglio, ben più elaborate dei normali rapimenti alieni o degli assalti agli ufo abbattuti, e in generale di aumentare la velocità con cui si arriva ad alcuni punti focali dell’avventura. Così facendo la campagna risulta molto più ricca di tensione, tirata e difficile da gestire, anche in difficoltà normal. Ora avrete molti più individui importanti da portare in salvo, vi ritroverete spesso a dover distruggere comunicatori alieni o a conquistare zone significative per il controllo della mappa, e troverete persino qualche new entry capace di sorprendervi nel mix. Se ad ogni modo la gestione si fa più complessa a causa delle novità, e di un aumento del livello di panico più frequente nelle varie regioni, non si può dire lo stesso delle sparatorie, nelle quali gli agenti XCOM avranno a  disposizione  un gran numero di fantastici regali in più.
    Partiamo da una delle aggiunte fondamentali al sistema, il Meld. Questo misterioso materiale alieno verrà raccolto quasi subito dai nostri agenti, e una volta ricercato darà modo di creare superumani potenziati. Le truppe fondamentalmente sono di due tipi: soldati cyborg e combattenti geneticamente modificati. I primi utilizzano delle suit robotiche che non possono andare in copertura, ma sono molto resistenti, devastanti, dotate di capacità di movimento migliorate, e di abilità meccaniche solidissime. I secondi sono invece versioni perfezionate degli agenti base, che mantengono le abilità della classe in aggiunta a utili potenziamenti passivi. 
    Inutile dire che a questi soldati meccanizzati si aggiungono nuove armi e armature, nuovi poteri, e la possibilità di migliorare ulteriormente i combattenti con delle medaglie al valore che conferiscono bonus extra. Fantastico per chi lamentava la presenza di poche ricerche e truppe rispetto agli storici predecessori (ora gran parte delle scoperte ha un risvolto pratico), ma c’è un rovescio della medaglia… i Mec-Troopers sono infatti fin troppo forti, al punto da poter ripulire un campo di battaglia in pochi turni con le loro armi pesanti, la grande velocità di spostamento, e poteri ad area che distruggono le coperture. Gli sviluppatori dal canto loro hanno tentato di ribilanciare le cose inserendo un maggior numero di nemici in ogni mappa, ma, considerando che questi non sono randomizzati, appaiono sempre nelle stesse zone, e il loro unico vantaggio strategico iniziale consiste nel cambiare tragitto in base al posizionamento della nostra squadra, non è difficile muoversi con cautela e prevenire gli attacchi a sorpresa. In parole povere, se volete un po’ di sfida, la modalità Ironman con singolo salvataggio è ancora la vostra migliore amica.
    Per quanto riguarda il comparto tecnico i passi avanti fatti non sono stratosferici. Quasi nulli, in verità. Il motore grafico ci è parso praticamente invariato, anche se le nuove armature hanno stile e certi elementi sembrano leggermente più rifiniti. Carina la chance di personalizzare le voci dei soldati in base alla nazionalità, e peculiare la scelta di donare un tono robotico alle truppe meccanizzate, anche se l’effetto alle volte può risultare involontariamente esilarante. 
    Dal punto di vista dei bug invece, numerosissimi nel gioco originale, c’è stato un pregevole miglioramento, poiché ora non paiono presentarsi quasi più problemi legati al movimento in zone sopraelevate o strani blocchi delle abilità. Qualche bug però ancora c’è, e abbiamo visto nemici infilarsi magicamente in muri che dovevano fargli da copertura, soldati non segnalare come visibili nemici a loro fin troppo vicini per non esserlo, e qualche blocco nella fase tutorial, perché non avevamo seguito alla lettera le istruzioni. Nel complesso, il lavoro di pulizia è quindi solo passabile. 
    Nulla da dire infine sulla longevità. Già ottima inizialmente, con le nuove missioni aumenta alla grande, offrendo molte ore di tattica spensierata in più. 

Diablo III:ReaperOf Souls


  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore: Blizzard

  • Data uscita:Gennaio 2014


    Mentre su console la guerra tra Microsoft e Sony imperversa più vigorosa che mai, l'utenza PC si sta godendo un periodo di massima tranquillità, con progetti in arrivo davvero di ottima fattura e multipiattaforma che ancora una volta, nonostante la next gen alle porte, daranno il meglio proprio sui personal computer. Blizzard non è rimasta ferma negli ultimi mesi e ai due progetti recentemente annunciati, stiamo ovviamente parlando di Heartstone e Blizzard All Stars, si aggiunge Reaper of Souls, la prima espansione contenutistica per il discusso Diablo III, arrivata come un fulmine a ciel sereno durante la conferenza odierna tenutasi alla Gamescom.
    Tanti problemi da correggere, una sola mossa per aggiustare tutto.
    Diablo è stato sconfitto e Tyrael ha finalmente messo al sicuro la Black Soul Stone portando pace nell'universo di Sanctuary. Il male però richiama il male e in poco tempo il potere dell'artefatto attira a sé uno dei pericoli più grandi dell'intera umanità: Malthael. Angelo caduto con un odio profondo verso gli umani, Malthael sarà il nemico principale di questa espansione, deciso a eradicare del tutto la nostra razza dal creato sfruttando i poteri che le falci che possiede riescono a conferirgli.
    Ad attenderci questa volta troveremo nuove tipologie di non morti, esecutori agli ordini del principe della morte, e altri angeli caduti pronti a soddisfare ogni singolo volere del loro maestro: avversari eccezionalmente ostici, impossibili da abbattere con equipaggiamento e statistiche base.
    Per dare una chance ai giocatori il level cap viene alzato finalmente di ben dieci livelli e, nel lungo atto aggiuntivo che andrà a sommarsi alla campagna per giocatore singolo, nuovi oggetti unici saranno ottenibili come loot dai nemici. Un sistema di ricompense tuttavia completamente rivisitato, che ora non solo premierà i giocatori in maniera più intelligente con oggetti dalle statistiche adatte alla classe utilizzata in quel momento, ma fornirà anche ai giocatori armi e armature più utili e potenti di prima, in numero minore.
    Per farvi un esempio pratico in una run normale all'atto tre con i livelli Paragon attivi era possibile ottenere in media circa 256 oggetti comuni, ora portati a 73, e 275 rari ora ridotti a 83, mentre i leggendari saliranno da uno a sei. Questo porterà l'asta a riempirsi di oggetti forti, nella speranza che i prezzi vadano ad abbassarsi, offrendo al contempo ai giocatori maggiori possibilità di personalizzazione del proprio personaggio in termini di statistiche. I leggendari infatti hanno subito un boost impressionante alle statistiche e si adatteranno al livello del giocatore, in più avranno tutta una serie di statistiche uniche davvero peculiari, come la possibilità, ad esempio, di evocare un goblin che raccoglierà per voi gli oggetti comuni trasformandoli in rari o leggendari o ancora di dare vita a idre di fuoco ad ogni uccisione.
    Se nuovi oggetti e un nuovo atto non sono abbastanza per voi e cercate un nuovo modo di affrontare Diablo III, il Crusader, una classe completamente nuova, è quello che farà al caso vostro. Durante la nostra prova  di circa trenta minuti abbiamo provato un personaggio di livello 32 durante i suoi primi passi nelle terre di Westmarch. Inutile dire che ce ne siamo innamorati subito, un po' perchè il paladino era la nostra classe preferita in Diablo II e un po' perchè il Crusader ci è sembrato veramente una forza della natura, adattissimo ad essere utilizzato anche in hardcore. 
    Tra abilità di cura, stun ad area e teletrasporti capaci di danneggiare in maniera massiccia i nemici, la classe si è rivelata davvero difficile da abbattere, e se a questo aggiungiamo che si potranno equipaggiare sia armi a due mani per puntare tutto sul danno o diventare veri e propri carri armati ambulanti con l'utilizzo di mazza ferrata e scudo, si fa in fretta a capire quanto il Crusader sarà ostico da abbattere.
    Ad aumentare le resistenze ci pensano ovviamente le passive, che aumenteranno attacco e difesa in base alla quantità di nemici che circonderanno il nostro campione, permettendoci così di buttarci nella mischia senza pensare troppo alle conseguenze. Non mancano ovviamente colpi sulla media distanza come fulmini di luce sacra globulari tramite l'uso dell'abilità Fist of the Heavens, per avere la meglio degli arcieri, o ancora uno shield bash capace di stordire e attraversare interi gruppi di non morti.
    Se invece vorrete rimanere fedeli al vostro personaggio non temete, con l'aumentare dei livelli anche loro guadagneranno abilità, skill passive e nuove rune per poter competere testa a testa con i nuovi nemici.
    Una volta raggiunto il cap Diablo III offrirà nuove ed interessanti possibilità: come prima cosa i livelli Paragon non avranno più un cap e potrete quindi expare all'infinito, questi livelli saranno inoltre sharati su tutti i personaggi del vostro account donandovi così item find e statistiche aggiuntive. Fa la sua comparsa anche una nuova modalità di dungeon che vi permetterà di organizzare run veloci da 10/15 minuti nelle catacombe per cercare il loot tanto desiderato, ovviamente sempre con la consueta generazione casuale dei livelli.
    Tutto questo gran lavoro sulla personalizzazione viene ulteriormente ampliato dall'aggiunta della mistica, grazie al quale rirollare tramite un esborso in oro sonante una statistica di un oggetto, e la trasmogrificazione dell'equipaggiamento, perché uccidere Diablo è una cosa ma farlo indossando un equipaggiamento dal look estremamente cool aggiunge sicuramente qualcosa.
    Stando a quanto provato, Reaper of Souls tenta anche di riportare la vera oscurità in Diablo III, con ambientazioni cupe, teschi  scheletri in ogni dove e una trama matura che sembra poter convincere i fan. Qualche dubbio tuttavia è emerso, in merito allo sbilanciamento che i Paragon potrebbero portare nel pvp e alla durata dell'atto V che, se presa sotto gamba, potrebbe deludere i tantissimi affezionati al titolo.

lunedì 11 novembre 2013

Hearthstone Heroes Of Warcraft


  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Blizzard

  • Data uscita:Metà dicembre 2013

     

    Da qualche mese ormai molti fortunati hanno avuto la possibilità di entrare nella closed beta di Hearthstone, il nuovissimo gioco di carte Blizzard. Al Blizzcon ovviamente diversi panel sono stati dedicati al titolo e le novità non sono mancate. Abbiamo quindi deciso di raccogliere tutti i progetti futuri in questo breve articolo, sicuri di fare cosa gradita ai più.

    Avete assistito al Blizzcon con un biglietto virtuale o siete stati così fortunati da andare direttamente ad Anaheim California per incontrare i vostri sviluppatori preferiti? Se la risposta è sì, a breve, sul vostro account, verrà aggiunta una speciale carta dorata, un Elite Tauren Chieftain in grado di portare un caos totale su schermo. Le statistiche della creatura sono piuttosto standard e per cinque cristalli di mana potrete piazzare sul campo un muccone con cinque di attacco e cinque di vita che come potere speciale metterà nelle vostre mani, ma anche in quelle dell'avversario, una tra tre misteriose carte rock.
    I designer Blizzard hanno lavorato a lungo sull'implementazione di nuove animazioni specifiche per le carte speciali come questa, e il Tauren Chieftain apparirà tra fuochi d'artificio e schitarrate a tutto volume: carina come idea e piacevole da vedere una volta, la nostra paura in realtà è che giocare un'intera partita con carte di questa caratura non solo distragga eccessivamente, ma porti davvero troppa, tanta confusione sul campo di battaglia.
    Molto più apprezzabile invece l'idea di base che c'è dietro ad Hearthstone e la volontà di Ben Brode ed Eric Dodds di dare un taglio totalmente differente al titolo rispetto ai soliti giochi di carte tradizionali. Questo è possibile proprio grazie alla digitalizzazione del prodotto, che ha permesso di dare vita a carte dagli effetti più disparati, come ad esempio la possibilità di rubare due carte casuali dal mazzo dell'avversario o ancora di ridurre il tempo disponibile per ogni turno a 15 secondi evocando il drago Nozdormu. Oltre a portare maggior strategia sul tavolo da gioco, tale filosofia offre quel pizzico di divertimento in più necessario ad attirare le masse, visto che Hearthstone si prefigge comunque l'obiettivo di raggiungere il maggior numero possibile di persone, essendo in tutto e per tutto il primo titolo completamente free to play a marchio Blizzard.
    Lo studio delle carte e delle meccaniche di gioco sfonda quindi le barriere dei giochi comuni e dei tcg visti fino ad ora, e lo stesso Brode sembrava estremamente divertito nel mostrare alcuni concept di carte davvero fuori di testa, come una gallina in grado di infliggere un danno ad ogni giocatore che malauguratamente ci finisse sopra con il puntatore, una gelatina con attacco e salute pari alle sconfitte subite precedentemente e un robottino con il quale capovolgere letteralmente lo schermo dell'avversario.

    Aspettavamo con ansia dal Blizzcon qualche notizia in più circa la fine della fase di closed Beta di Hearthstone e Blizzard non ci ha deluso: a partire da metà dicembre finalmente il gioco entrerà in open beta e tutti potranno iniziare a costruire i loro deck e a sfidarsi online.
    Buone notizie anche per chi aspettava qualche informazione in più sulle versioni portatili del gioco: Hearthstone arriverà anche su iPad, iPhone e, udite udite, piattaforme Android, anche se per queste ultime bisognerà aspettare purtroppo la seconda metà del 2014.
    Grosse novità in arrivo per quanto riguarda il bilanciamento. Il Mind Control, pericolosissima carta del prete che vi permette di prendere il controllo di un alleato qualsiasi dell'avversario, vedrà il suo costo aumentare da otto a dieci cristalli, mentre lo Starving Buzzard si vedrà dimezzati i punti ferita, divenendo un misero 2-1.
    Oltre a ciò Ben Brode si è dilungato anche sulle partite classificate, spiegando per filo e per segno il nuovissimo sistema di ranked in arrivo.
    La nuova classifica verrà divisa in venticinque differenti livelli di esperienza, ognuno rappresentato da un minion di World of Warcraft. Vincendo partite si guadagneranno così punti in classifica e ad ogni passaggio di rank verremo omaggiati con una speciale stella che renderà ben visibile ed immediatamente riconoscibile la nostra categoria. Finalmente le stelle, a differenza di quanto accade ora, potranno essere perse, e queste classifiche avranno un reset mensile per dare modo a tutti di poter competere equamente e puntare al top.
    Non potevano mancare ovviamente le ricompense: per la semplice partecipazione si verrà omaggiati con versioni uniche delle carte, con il retro avente pattern unici in base alla season corrente, mentre dopo aver vinto 500 partite in arena si otterrà l'accesso alle versioni animate degli attuali eroi, modifiche estetiche che non influenzeranno comunque il metagame.
    Possono gioire anche gli amanti dell'arena, ora le vittorie possibili, e quindi le chiavi ottenibili per aprire gli scrigni delle ricompense, passeranno da nove a dodici, mentre i giocatori con qualche piccolo problema saranno felici di sapere che verrà inserita la possibilità di riconnettersi al gioco dopo un crash.
    Ultimissima novità presentata per Hearthstone saranno le Adventures, sessioni pve che introdurranno nuove carte cambiando le meccaniche di gioco, ma sulle quali non è stato approfondito il discorso in maniera eccessiva e non ci resta quindi che attendere qualche mese per poterle provare con mano. 

Heroes Of The Storm

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:Blizzard

  • Data uscita:Gennaio 2914


    Con League of Legends che domina il mercato e Dota 2 che insegue da vicino il colosso Riot è difficile vedere uno spiraglio per un nuovo contendente. Blizzard, dal canto suo, non è una casa di sviluppo che si lascia certo demoralizzare o che ha paura di esporsi e così neanche dodici mesi fa, incurante della sfida, si è lanciata nel progetto Blizzard All Stars, un MOBA avente come protagonisti tutti gli eroi più carismatici della casa californiana.
    Il feedback fu devastante: le meccaniche estremamente basilari, e un design che non riusciva a convincere anche i fan più accaniti non facevano presagire nulla di buono. Ma si sa, quando Blizzard annusa il flop, piuttosto di fallire, rade al suolo l'intero progetto per ripartire: così fu per Ghost e così è stato questa volta.

    Dalle ceneri però sorge un nuovo nome: Heroes of the Storm, un Massive Online Battle Arena dalle meccaniche decisamente più classiche e dal design, questa volta sì, nettamente convincente. Un lungo panel durante il Blizzcon 2013 ne ha messo in evidenza i dettagli principali e noi ovviamente l'abbiamo seguito da vicino.
    Innanzitutto Dustin Browder e i suoi hanno dipanato ogni nostro dubbio sulla capacità di coesistenza dei tre universi Blizzard nello stesso mondo. L'oscurità dei personaggi di Diablo non si sposa bene infatti con le texture più ricercate e le armi futuristiche di Starcraft, ma gli artisti al lavoro sul progetto sono riusciti a trovare una via di mezzo che potesse soddisfare finalmente davvero tutti, donando ai personaggi uno stile cartoon come colorazioni e modelli, simile a quanto visto su Warcraft, ma lasciando intonsa l'anima di ogni singolo eroe, affiancandogli ovviamente abilità uniche estremamente rappresentative.
    Arthas, ad esempio, apparirà sul campo di battaglia fiancheggiato da una schiera di frost ghouls, ma potrà evocare anche il suo drago Sindragosa, mentre l'Elite Tauren Chieftain camminerà rapidamente a suon di rock 'n' roll e potrà balzare in un punto qualsiasi della mappa con il suo Stage Dive (esattamente come l'ultimate di Pantheon per tutti coloro che giocano a League of Legends), o ancora Abathur di Starcraft II, che potrà infestare gli eroi alleati e da lì utilizzare le sue abilità di difesa e attacco attivamente.
    Se quindi abilità e sinergie saranno tutte da scoprire, Blizzard ha ben pensato di inserire anche nuove meccaniche nelle mappe, come ad esempio i Dragon Shrine per variare le meccaniche dei MOBA che tutti ormai conosciamo alla perfezione. Sul terreno di gioco, in questo caso, i combattenti dovranno conquistare due obelischi posti alle estremità della mappa e una volta ottenuto il loro appoggio un eroe diverrà un Dragon Knight, con poteri distruttivi in grado di cambiare letteralmente le sorti del match. Gli esempi non finiscono certo qui, visto che allo stesso modo sarà possibile corrompere un capitano pirata portandogli specifici dobloni d'oro per far cannoneggiare i nemici dalla distanza dai galeoni della sua flotta, o ancora raccogliere teschi da un dungeon e sacrificarli su un altare per evocare un grave golem gigantesco che correrà in aiuto del nostro team.
    Ciò porterà una grandissima varietà al gioco, sicuramente maggiore rispetto a quanto visto negli altri moba fino ad ora. Ognuna di queste quest sarà legata specificatamente ad una mappa diversa, con strade da percorrere e strategie da compiere per vincere in modi completamente differenti di volta in volta. A questi elementi principali si aggiunge poi la possibilità di conquistare i campi nella classica jungle, costringendo i mob sconfitti ad aiutare il nostro team e ad ottenere buff e potenziamenti specifici per facilitarci nell'assalto della base avversaria.

    Non poteva mancare una piccola parentesi sulle skin, e da semplici ricolorazioni dei vestiti base ci saranno varianti più o meno complesse. Come esempio è stato usato Diablo, che nella sua forma avanzata subirà una fusione con un murlock diventando Lurkablo, una skin senza lore specifico ma che attirerà i giocatori proprio grazie al suo umorismo. Questo accade quando i mondi Blizzard si scontrano e vedere Uther Lightbringer indossare una suit da medico di Starcraft II ci ha lasciato davvero colpiti per la malleabilità dei modelli e la cura che il team di artisti sembra aver riposto anche in questo frangente.
    L'idea dei dev rimane comunque quella di creare un gioco alla portata di tutti, con un tempo medio di durata di circa venti minuti a partita e incentrato più che sulla singola skill che sul teamplay più puro. Per quanto riguarda i ruoli non potevano invece mancare quelli dei classici support, nel quale rientrerà il sopracitato Uther, e gli specialist dedicati esclusivamente a massacrare le truppe del nemico. Con buona probabilità vi saranno ulteriori differenziazioni e compariranno anche tank e puri damage dealers dalla distanza, ma in questa occasione il focus è stato principalmente su queste due posizioni e non ci resta che aspettare di poter provare il gioco con mano per approfondirne la conoscenza.

lunedì 4 novembre 2013

The Stanley Parable


  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Galactic Cafe

  • Data uscita:17 ottobre 2013

     

    Per fare felice un certo tipo di videogiocatore basta poco: prendete una mod di Half Life 2, una stanza spoglia e con poche texture, e mettetelo davanti a una scelta semplice. Ci sono due porte, una a destra e una a sinistra, e tutto quello che il giocatore deve fare è sceglierne una. Aggiungete a questo una voce narrante che vi dice già quale porta avete scelto. Quante possibilità di gioco si possono dischiudere in un così semplice espediente?
    Scopriremo che, con The Stanley Parable, queste possibilità saranno moltissime o, alternativamente e paradossalmente allo stesso tempo, nessuna. Curiosi? Continuate a leggere.
    The Stanley Parable, piccola produzione sviluppata da Galactic Café, non è altro che il remake rivisto e ampliato di una piccola mod di Half Life 2 del 2011 basata sul Source Engine di Valve. Il titolo, uscito da poco su Steam, viene proposto a € 11,99, un prezzo che per una produzione del genere non è forse il più indicato, ma che come vedremo val bene un piccolo sacrificio.
    Arrivati a questo punto della recensione di solito sarebbe bene fermarsi e contestualizzare un attimo il prodotto di cui si sta parlando, ma con The Stanley Parable la cosa diventa assai difficoltosa: come dice la stessa descrizione del titolo, ”si seguirà una storia, e non si seguirà una storia. Si avrà una scelta, e non si avrà una scelta. Il gioco finirà, e il gioco non finirà”. Che significa tutto ciò?
    Volendo essere schietti, è possibile rispondere: un bel niente. L’unico punto fermo del versante narrativo del titolo, infatti, è l’incipit: il gioco racconta di Stanley, un impiegato che nella stanza 427 del palazzo della compagnia per cui lavora ha un solo compito, ovvero premere il tasto che gli viene indicato sul monitor che ha davanti. Il quadro sembra essere stabile e solido fino a quando un giorno il nostro si accorge che è rimasto completamente solo in ufficio: l'unica cosa da fare, dunque, è alzarsi e andare a vedere cosa sia successo. Parte da qui l’intera esperienza di gioco, talmente singolare e peculiare che durante il resto della recensione cercheremo di spiegare il meno possibile, pur lanciandoci nel (veramente) difficile compito di descrivere cosa gli sviluppatori abbiano voluto dire veramente.Il compito di noi recensori, la maggior parte delle volte, è quello di elencare in maniera sensata i pro e i contro di un qualsivoglia videogioco, di fatto creando una netta differenza tra quello che succede dentro i nostri monitor e quello che accade nella nostra mente. In un certo senso, dunque, qualsiasi giocatore che si metta a scegliere cosa vada bene o meno in un titolo si pone in una certa posizione di superiorità. Con The Stanley Parable, invece, la sensazione è che sia il titolo a giudicare il giocatore, le sue azioni e la sua condotta. Questo perché l’intera esperienza sarà accompagnata dalla presenza straordinaria di un narratore terzo, uno di quelli che i bene informati chiamerebbero "onniscente”: sa già cosa Stanley ha fatto, dove è andato, quali scelte ha compiuto. Come dicevamo prima, la scelta principale e iniziale è quella relativa alle due porte che si incontreranno dopo pochi passi: andare a destra, dunque, o a sinistra?

    Spoilerando inevitabilmente, dobbiamo dire che il nostro narratore dirà che Stanley (e quindi il giocatore) ha scelto la porta a sinistra, ma ecco che al giocatore viene subito proposta una scelta: seguire quanto detto, o andare a destra, e vedere che succede. In sostanza, dal punto di vista delle dinamiche di gioco, il titolo è tutto qua: scegliere cosa fare essendo fortemente condizionati da una voce al di sopra di noi, e del protagonista Stanley. Ci rendiamo conto che la mera descrizione a parole di questo processo potrebbe essere poco chiara, ma la verità è che per capire appieno The Stanley Parable bisogna giocarci: solo allora, infatti, si potrà capire che il titolo stesso non è altro che una incredibile riflessione sul potere della scelta, sulle sue ripercussioni nei videogiochi e sulle esperienze quotidiane. E’ qui che il videogioco ferma la sua classica funzione ludica, si pianta sullo schermo e comincia a guardarci dentro. Sarà la voce narrante a giudicare i nostri pro e i nostri contro, a rinfacciarci le nostre scelte, sempre pronta a schernire il povero Stanley e a mostrare la sua (presunta) superiorità. In pochi altri titoli è successo che il gioco stesso uscisse dalla sua finzione narrativa per scappare fuori dal monitor e sedersi vicino al giocatore. E’ successo (attenzione ai possibili spoiler!) negli splendidi deliri allucinati del primo Max Payne, quando il tormentato eroe Remedy, sognando, si rendeva conto prima di essere in un romanzo illustrato, e poi in un videogioco. E’ successo ancora nel primo Bioshock, con lo strabiliante ”would you kindly?” che ribaltava tutta l’esperienza di gioco, e spingeva a chiedersi cosa significassero veramente tutte le azioni compiute fino a quel punto dell’avventura.
    Una delle cose che più colpiscono di The Stanley Parable è la straordinaria sensazione che, da un momento all’altro, qualsiasi nostra piccola azione possa avere una conseguenza. Rimanete fermi per un po’ di tempo in una determinata location, ed ecco che la voce narrante comincerà a commentare in modo sarcastico. Prendete una porta piuttosto che un'altra, e verrete accolti da ambienti e situazioni mai visti prima.
    La cosa incredibile, però, è che le considerazioni del narratore spesso continueranno per interi minuti, e tutto ciò spinge a rigiocare il titolo fino a scoprire ogni piccola linea di dialogo pensata dagli sviluppatori. Questo ci porta al discorso relativo ai vari finali di gioco: The Stanley Parable è uno di quei titoli esplorativi dove l'attività principale è quella di girare per i vari ambienti, i quali porteranno a circa una decina di epiloghi differenti. Una volta terminata una linea narrativa, il titolo ricomincerà esattamente dalla stanza 427, con Stanley di nuovo pronto alla ricerca dei suoi colleghi. Proprio alcuni frangenti finali si riveleranno essere esperienze didascaliche e incredibilmente profonde, varie anche dal punto di vista ambientale e, crediamo di non sbagliarci, anche di gameplay. Ogni porta, ogni sentiero, porta a un’esperienza diversa, a un punto di vista differente e, spesso, a easter egg talmente piccoli e nascosti che per trovarli tutti ci si deve mettere veramente d’impegno (e magari fare un giro su Youtube).
    Ma cosa qual'è il significato di tutto? Forse che ogni piccolo finale diverso ci darà il senso di cosa voglia dire veramente il gioco? Non necessariamente, perché il messaggio del gioco esisterà solo nella misura in cui il giocatore si sentirà coinvolto. I meno interessati potrebbero bollare il tutto dicendo che è solo una serie di porte da scegliere, ma anche a questi giocatori suggeriamo di prendere in considerazione il titolo, che senza timori di particolari smentite risulta essere alla fine una tra le esperienze meta-videoludiche (intesa come un videogioco che parla di videogiochi) più importanti di sempre.

    Cosa ci spinge, oltre quanto già detto, a dire che The Stanley Parable è un titolo così importante? E' difficile da spiegare. Potrebbe suonare come una scusa, come una voglia di non fare fino in fondo il proprio lavoro di recensore, ma la verità è che spiegare di più vorrebbe dire rovinare tutta l’esperienza. Parliamo allora dei piccoli particolari che imperniano l’esperienza di gioco: nell’epoca delle leaderboard a tutti i costi (il titolo avrà da dire la sua anche su questo aspetto), The Stanley Parable ci propone solo dieci achievement, uno più spassoso dell’altro: si parte da quello chiamato Commitment (che si ottiene giocando al titolo per la durata di un intero martedì) e si arriva a Go Outside (che premierà il giocatore che non giocherà al titolo per cinque anni di fila). Si tratta di una parodia piccola, ma riuscitissima, di una delle mode che negli ultimi anni ha preso piede prepotentemente nel gaming, sia mainstream che di nicchia. In un titolo del genere, in cui veramente niente è stato lasciato al caso, perfino i credits finali avranno una realizzazione che ha del sorprendente (e che, forse, sa di citazione al finale di un certo sparatutto Infinity Ward di qualche tempo fa).
    Possiamo solo accennare, poi, la descrizione di tutte le altre piccole parodie sparse qua e là per il gioco (come altre citazioni, di sicuro poco velate, di titoli famosi), oppure dei frangenti che obbligheranno il giocatore a entrare e uscire dal titolo attraverso il menu principale, che in un certo senso ci trasformeranno per davvero nella marionetta che in fondo ci si rendeva conto di essere per buona parte del primo Bioshock.
    Non si può non parlare, però, dello splendido lavoro di creazione delle linee di dialogo del narratore: un dialogo, a ben vedere, che dialogo non è, considerato che il nostro beffardo compagno parlerà sempre da solo. Ma chi è questa voce, e cosa rappresenta? Sono domande a cui non dobbiamo rispondere noi, in questa sede, ma il doppiaggio di Kevan Brighting è uno dei lampi dell’intera produzione videoludica 2013, reso ancora più godibile e accessibile dalla localizzazione italiana integrale (e di buona fattura) dei testi. Capace di far trasparire una gamma di sentimenti veramente molto ampia, il nobile accento inglese del narratore saprà regalare momenti sia intensi che spassosi, e possiamo dire senza timore di essere smentiti che il vero recensore del titolo stesso, quello che snocciola pro e contro, alla fine sarà proprio lui. E allora noi, poveri Stanley in cerca di un senso alla nostra esistenza, verremo giudicati per ogni nostra scelta, per ogni nostro volere, sempre obbligati a pagare le conseguenze delle nostre intenzioni.

Path Of Exile


  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Grinding Gear Games

  • Data uscita:Gennaio 2014

     

    Per addentrarci a fondo nel senso di questo articolo è necessaria una breve parentesi. Il glorioso genere degli hack'n'slash ha sempre attirato su computer grandi frotte di giocatori vogliosi di darsele di santa ragione, pronti a farsi venire il mal di schiena a forza di stare davanti allo schermo livellando il proprio personaggio preferito e affrontando armate di demoni infernali. D'altronde che il fascino insito nel darsi mazzate senza troppi pensieri sia qualcosa di imprescindibile nell'uomo non lo si scopre certo ora.
    Se c'è una software house che, più di tutte, ha capito e fatto suo questo concetto è Blizzard Entertainment, che tra il 1996 e il 2000 fece uscire quelli che vengono ritenuti a tutti gli effetti i pilastri fondatori del genere, Diablo e Diablo II. Oltre dieci anni dopo, Blizzard è tornata alla carica con il suo cavallo più forte, quel terzo capitolo di Diablo spasmodicamente atteso da tantissimi utenti PC (e non solo, grazie alla suo recente conversione per console): i numeri di Diablo III sono imperiosi e sanciscono un successo commerciale senza precedenti. Eppure, nonostante la popolarità, non sono mancate tante critiche, portate avanti soprattutto da chi ha visto nel gioco una semplificazione e un'involuzione delle meccaniche rispetto al secondo capitolo della serie. A torto o a ragione, questo coro di voci si è fatto sempre più numeroso e pressante anche a causa della vituperata RMAH (real money action house) che ha detta di molti ha sbilanciato gravemente l'economia di gioco (tant'è che Blizzard stessa è corsa ai ripari annunciandone la chiusura dal prossimo marzo).
    Ed è proprio qui che s'inserisce a sorpresa Grinding Gear Games, softco indipendente neozelandese: Path of Exile è la sua opera d'esordio e consiste in un dungeon crawler online free to play. I developer sono gamer appassionati e hanno creato il prodotto in questione come “il gioco che noi stessi avremmo voluto giocare”; belle parole, a cui per una volta sono seguiti fatti concreti e non le solite campagne pubblicitarie pensate a tavolino per alzare l'hype. Il titolo è uscito a fine ottobre dopo ben sette anni di sviluppo e nove mesi di open beta, indispensabili per renderlo un gioco maturo e ottimizzato, ed è stato accolto in maniera entusiasta da gran parte dei cosiddetti “delusi di Diablo III”. Come difatti avrete già capito dal voto riportato qui sopra, Path of Exile è un esperimento assolutamente riuscito, tanto da essere stato definito “The Hidden Gem of the Year” dal portale MMORPG.com.
    Di più, se si guarda a ciò che i ragazzi di Grinding Gear Games hanno realizzato non si può non pensare a un piccolo miracolo: alzi la mano chi un lustro fa avrebbe dato un dollaro a questi, fino all'altroieri, sconosciuti sviluppatori. Eppure il loro gioco è lì, pronto per essere giocato dopo averne semplicemente scaricato il client. Path of Exile è dunque un bellissimo Diablo-clone, o pure qualcosa di più? Scopriamolo assieme.
    Innanzitutto l'ambientazione del gioco è quella dark fantasy di Wraeclast, continente in cui siamo confinati in catene dopo essere stati esiliati dalla patria d'origine. Quando però la nave di schiavi su cui siamo imbarcati naufraga e ci lascia su una spiaggia infestata di zombie ci troviamo a dover essere artefici del nostro destino in una terra disperata e brutale.
    È più o meno questo l'incipit di Path of Exile, che, bisogna dirlo, non presenta una trama eccezionale: la storia narrata nella campagna svolge il suo sporco lavoro ma senza sconvolgere, il che è un po' un peccato visto che tutto sommato il lore, pur essendo volutamente criptico, ha degli spunti affascinanti che lo ricollegano ad altri famosi universi, come quello di Conan il barbaro. Piacevoli alcuni riferimenti ad altri esponenti del genere hack'n'slash, tra cui un episodio nel secondo atto che cita proprio la storyline di Diablo II e che i giocatori più esperti non mancheranno di cogliere.
    La struttura di gioco si compone come quella di qualsiasi action GDR: accampamenti e città funzionano come catalizzatori di quest, vendor e NPC con cui parlare, mentre le zone esterne strabordano di mob e miniboss da massacrare, con tanti dungeon a farla da padrone com'è giusto che sia. Molto apprezzato il fatto che le mappe siano generate proceduralmente e di conseguenza si ripresentino differenti ad ogni partita, a tutto favore della rigiocabilità.
    Path of Exile è tuttavia un gioco evidentemente pensato dalla base con l'online in mente, e non solo come aggiunta forzata. Formare party e unirsi ad altri player è veloce e intuitivo grazie a una comoda noticeboard situata in ogni insediamento, e giocare in compagnia diventa quasi fondamentale ai livelli alti. Presente anche la possibilità di fondare gilde, solitamente tipica dei MMORPG, che stimola l'interazione tra giocatori.
    Altra caratteristica che rende unico Path of Exile è la mancanza dei “gold”, ovvero di una valuta in-game. Quella che di primo acchito potrebbe sembrare una scelta illogica consiste in realtà di un colpo di genio: l'assenza di una vera e propria moneta virtuale ha infatti debellato un'antica piaga del genere, quella dei gold seller. Qua l'economia si basa interamente sul baratto di oggetti, con alcuni item particolarmente ricercati negli scambi tra player.
    Inutile però girarci attorno: per ammissione stessa degli sviluppatori, Diablo II è la principale fonte d'ispirazione di Path of Exile. D'altronde, come biasimarli: il titolo Blizzard ha fatto scuola per anni, sbaragliando la concorrenza grazie a un gameplay solido e funzionale e una componente online così ben integrata da risultare assuefacente come una droga. Grinding Gear Games ne ha dunque preso le fondamenta e ci ha aggiunto tante buone idee, mutuate anche da altri famosi titoli.
    Due scelte importanti si pongono al momento di creare il personaggio, quelle della classe e relativa league in cui giocare. Le “leghe” non sono altro che varie modalità di gioco, ognuna delle quali offre qualcosa di diverso in termini di gameplay: in una i nemici droppano oggetti migliori, in un'altra si possono ottenere dei bonus temporanei e così via. Al momento si può giocare in standard, hardcore, domination e nemesis, ma le league disponibili cambiano e vengono sostituite da altre ogni tot mesi. Notare che, a differenza di molti dungeon crawler, in Path of Exile se il nostro PG viene ucciso in hardcore questi non è perso per sempre, ma “retrocede” alla normal league.
    La creazione del character permette di scegliere tra sette classi, ognuna delle quali si basa su un attributo specifico (o una serie di attributi) tra forza, destrezza e intelligenza. Qui le cose iniziano a farsi interessanti: giocando si capisce infatti che la suddivisione in classi è più una formalità che altro, in quanto ogni classe può fare praticamente di tutto; un Templar per esempio può impugnare indifferentemente una spada a due mani, un'ascia bipenne, uno scettro e uno scudo, due mazze insieme o anche altro, a patto di soddisfare i requisiti degli oggetti. Pure per l'armor vale lo stesso discorso e non esistono armature appannaggio di un'unica classe; i pezzi di equip di livello più forte, di color arancione, sono item unici che conferiscono poteri notevoli a chi li indossa (a proposito, guardate e godetevi con calma ogni unique item che droppate, alcuni contengono bellissime descrizioni in rima).
    Gli sviluppatori hanno insomma adottato scelte intelligenti e mai restrittive nei confronti dei giocatori che garantiscono un'ampia libertà di personalizzazione. Questo si riflette anche nell'albero delle abilità passive, che strizza un occhio, anzi due, alla sferografia di Final Fantasy X: trattasi di una ragnatela di ben 1350 skill (no, non avete letto male) in cui, ad ogni passaggio di livello, potremo inserire un punto al fine di migliorare un talento o potenziare un parametro. Tutte le classi condividono lo stesso albero, ma partono da un punto diverso a seconda dei loro attributi primari; questo vuol dire che potenzialmente persino una Witch può arrivare a prendere i talenti del Marauder, semplicemente dovrà percorrere una strada più lunga per farlo. Con la release è stata rilasciata la settima classe, la Scion, guerriera medium-range pesantemente armata che può utilizzare abilità elementali e che si rende disponibile dopo aver finito la campagna alla prima difficoltà; peculiarità di questa nuova classe è il suo punto di partenza centrale nello skill tree, che ne fa un ibrido utilissimo.
    A rendere ancor più profondo questo già ottimo sistema arrivano le gemme, che se incastonate nell'equipaggiamento degli eroi forniscono un'abilità attiva, sia essa un fulmine, una palla di fuoco o un proiettile ghiacciato. Ogni gemma livella con l'uso e può essere associata ad altre gemme di supporto che ne attivano effetti aggiuntivi, come una velocità d'attacco superiore o la rigenerazione della vita per ogni colpo messo a segno; ciò aumenta a dismisura le possibilità di customizzazione, con la facoltà di sbizzarrirsi per chi ama costruire nei dettagli le build dei propri PG.
    Dopo tutto questo sermone per descrivere quanto sia stratificato il gameplay messo in piedi dai programmatori, qualcuno si chiederà: “Ok, ma alla fine è anche divertente?”. Assolutamente sì: vedere il proprio personaggio crescere e diventare sempre più forte, fino al punto da shottare branchi di mob all'istante, è incredibilmente gratificante e ha risvegliato il bambino che è in noi portandoci a lunghe veglie notturne di farm e loot compulsivo. Path of Exile è insomma “addictive” come solo un grande hack'n'slash sa essere.
    Una volta completata la campagna alla prima difficoltà, ci aspettano l'impegnativa cruel e la terrificante merciless, che danno una penalità all'esperienza in caso di morte ma ricompensano con drop sensibilmente migliori. Le sorprese tuttavia non finiscono qui: anche per l'endgame i Grinding Gear Games propongono soluzioni interessanti. Una di queste è costituita dalle maps, item estremamente difficili da trovare e preziosissimi: ogni frammento di mappa difatti apre un portale per una zona endgame almeno di livello 66, in cui i nemici sono di gran lunga più tosti e garantiscono reward fuori scala. Le maps possono essere aperte solo nell'eternal laboratory dell'atto terzo a merciless difficulty; con il rilascio della versione 1.0 si contano ben 62 mappe base e 5 mappe uniche. Questa modalità non mancherà sicuramente di ricordare ai nostalgici l'Uber Tristram o il famoso Cow Level del secondo capitolo di Diablo.
    La generosa offerta di gioco è completata dal comparto competitivo che, pur non costituendo parte centrale dell'esperienza, è comunque un valido diversivo alla mattanza di mob: il PvP si articola principalmente in deatmatch e cattura la bandiera, tramite arene singole o di gruppo. Spesso gli sviluppatori annunciano anche eventi speciali, denominati season, che possono durare un mese o poche ore: si può partecipare a questi eventi solo creando un nuovo PG, ma i giocatori che vincono ottengono particolari ricompense.
    L'arrivo di Path of Exile su Steam, a parte innalzarne esponenzialmente la visibilità al pubblico, non ha prodotto variazioni sostanziali al gioco, senza però farsi mancare qualche sfiziosa novità come gli achievement di Steam, che fanno sempre piacere. La patch 1.0 ha apportato sui server una pletora di novità oltre alla Scion di cui abbiamo già parlato, tra cui leghe inedite, nuove skill, nuove arene e la parte finale dell'atto 3 con relativo scenario e boss. Ma gli sviluppatori sembrano averci davvero preso gusto con gli aggiornamenti: il 12 novembre uscirà il primo grosso update post-lancio, che secondo il lead designer Chris Wilson aggiungerà cinque unique item, due achievement, almeno una gemma, nuovi recipe dai vendor, tantissimi fix e diversi effetti cosmetici acquistabili tramite shop.
    A proposito di questi ultimi, tocca spendere qualche parola sul modello F2P del titolo. Al contrario di tanti altri software spacciati sulla carta per gratuiti ma poi fin troppo “affezionati” al nostro portafoglio, Path of Exile non chiederà mai la nostra carta di credito: seguendo un sistema chiamato dai developer “microtransazioni etiche”, gli acquisti possibili riguardano esclusivamente pets, effetti estetici, animazioni aggiuntive come la danza o, nel peggiore dei casi, funzionalità sociali quali la banca di gilda che non influiscono sul gameplay. In altre parole, potrete godere al 100% del gioco, endgame compreso, senza sborsare un centesimo, sempre che siate così sfacciati da non sentirvi in colpa neanche un po'.
    Qualcuno potrebbe definire Path of Exile “il Dark Souls degli hack'n'slash”, e probabilmente non sarebbe così lontano dalla verità. Ci teniamo infatti a precisare che si tratta di un gioco che non tutti potrebbero digerire: se affrontato in solo l'asticella della difficoltà in alcuni punti si alza notevolmente, richiedendo una certa pazienza ma soprattutto un attento studio della build del proprio PG. Proprio qui si colloca un'altra feature che rende il prodotto Grinding Gear Games estremamente sui generis, ovvero l'assenza di un vero e proprio respec: scordatevi di allocare gli skill point “per tentativi”, testando sul campo quali siano i più efficaci e quali da escludere. La scelta dei punti passivi va ponderata con cautela e giudizio: questo ad esempio vuol dire che, una volta che avremo il nostro bel guerriero livello 50 full-dps, il solo modo per averne uno specializzato nel tanking sarà creare un nuovo PG. L'unica eccezione a questa ferrea regola è rappresentata dagli orb of regret, item rari che consentono di resettare un unico punto nell'albero delle abilità, e solo se è l'ultimo di una fila. Abituati come siamo ad avere a che fare con respec totali frequenti e poco costosi in altri esponenti del genere, Diablo 3 compreso, assimilare questa (intenzionale) mancanza potrebbe non essere cosa facile per tutti. Per apprezzare appieno Path of Exile bisogna tuttavia entrare nell'ottica di un gioco dove ogni conquista va guadagnata e sudata, e le decisioni prese ci costringeranno sempre a sacrificare qualcos'altro.
    Tecnicamente il titolo presenta un lavoro più che apprezzabile: la grafica isometrica, classica dei dungeon crawler, non rappresenta niente di trascendentale o particolarmente pesante da gestire, ma muove pregevoli paesaggi e più di tutto mette in mostra una forte personalità. Il design ripudia infatti qualsiasi accento cartoonesco allegro e luminoso da “mondo dei puffi” proponendo invece la visione di una terra oscura e violenta, e lo stile grafico si adatta di conseguenza a questa scelta: gli ambienti risultano sporchi e spartani, i dungeon sono perennemente avvolti nelle tenebre e i nemici esplodono con schizzi di sangue tarantiniani quando vengono squartati. Promosse anche le animazioni e l'effettistica, con alcune spell, soprattutto quelle legate a fuoco ed elettricità, che risultano spettacolari.
    Buono anche il comparto sonoro: gli effetti si attestano nella media, mentre le musiche d'accompagnamento sono azzeccate e molto d'atmosfera.
    Purtroppo i più grossi difetti di Path of Exile si hanno dal punto di vista dei server: in serate particolarmente “piene” può capitare di riscontrare un po' di lag o di essere rispediti alla schermata di login mentre si sta giocando; la cosa non fa certo piacere ma si tratta di casi abbastanza isolati, se escludiamo i primi normali giorni di assestamento. Leggermente diverso il discorso che riguarda il famigerato desync, ovvero il problema per cui i dati in possesso del nostro client differiscono dai dati del server: il fenomeno si verifica talvolta nelle situazioni più affollate, magari con molti mob o spell attive contemporaneamente, e può portare a uno “spostamento” imprevisto e non voluto del proprio PG o del nemico, cosa non proprio gradita se magari si sta giocando in hardcore. La problematica può essere aggirata digitando /oos (out of sync) in chat: così facendo il nostro client si riallinea ai dati del server eliminando temporaneamente il desync per tutto il party; non può essere questa la soluzione definitiva al problema, ma sempre meglio di niente.