Ethero

venerdì 30 dicembre 2016

Batman The Telltale Series Ep.5


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Avventura grafica

  • Sviluppatore:Telltale Games

  • Data uscita:2 Agosto 2016 - 16 settembre 2016







Nelle recensioni dei precedenti episodi di Batman: The Telltale Series, abbiamo sempre sottolineato la capacità di Telltale di fornire un'interpretazione tutta sua dell'universo di Batman, capace di allontanarsi dai canoni classici della saga e di porre particolarmente l'accento non tanto sul supereroe, ma sull'uomo, su quel Bruce Wayne che è, di fatto, il vero protagonista dell'avventura grafica. Con un eroe di questo peso, perfino Telltale ha dovuto provare ad allontanarsi, anche se di poco, dai suoi schemi più classici, con l'introduzione di alcune meccaniche che, di capitolo in capitolo, ci aspettavamo sarebbero state approfondite e migliorate. La scrittura, nel frattempo, continuava a parlarci di una Gotham che doveva aggrapparsi al coraggio di Bruce con le unghie e con i denti, in cui si tessevano conflitti carichi di pathos di cui eravamo impazienti di scoprire i risvolti e gli esiti. Esiti che sono proprio i protagonisti di City of Light.
Come accennato in apertura, abbiamo quasi sempre apprezzato le scelte narrative compiute da Telltale nei precedenti episodi. A fronte di alcune scene dal grande carico emotivo che gli sceneggiatori sono stati in grado di proporre, era lecito attendersi un Episodio 5 scoppiettante, risolutivo, capace di rimanere impresso. Purtroppo, lo diciamo subito e senza troppi giri di parole, City of Light non riesce a fare niente di tutto questo. Non vogliamo fare spoiler di alcuna tipologia, ma l'episodio conclusivo della serie inciampa in un problema non da poco: non riesce ad emozionare, ad incidere. Uno dei motivi è presto detto: nei primi quattro episodi, abbiamo visto Bruce costruire rapporti con altri personaggi, con colpi di scena e capovolgimenti che hanno portato a rivalità e ad attesissime rese dei conti. Rese dei conti che, nei casi dei due conflitti più ispirati e più sentiti della narrativa, sono state invece affidate a scene brevi e non proprio riuscite, quasi sbrigative, che lasciano l'amaro in bocca. Archiviati questi due personaggi, City of Light punta tutto sulla risoluzione del conflitto con l'antagonista che è sì quello principale della vicenda, ma anche quello con cui abbiamo avuto il legame meno stretto. In sostanza, è quello di cui si aspettava meno visceralmente di conoscere le sorti. Trovarsi di fronte ad uno scontro finale non costruito con la stessa minuzia che era stata invece adoperata per gli altri cattivi della sceneggiatura non può che lasciare con l'amaro in bocca.
Purtroppo, non è l'unico difetto della sceneggiatura di City of Light: fermo restando che la Gotham dipinta da Telltale si mantiene coerente con quella degli episodi precedenti e che la caratterizzazione di Bruce continua a convincere, l'episodio 5 toglie spazio a tutti i personaggi più riusciti. Quelli, insomma, che avevano fatto brillare gli episodi dall'1 al 4, hanno un presenza qui veramente ridotta all'osso, sacrificati in favore dell'epilogo del conflitto con il meno ispirato antagonista principale, che era stato sì svelato a suo tempo con un gran colpo di scena, ma che è stato approfondito troppo poco - anche in questo quinto capitolo.
C'è anche da appuntare, senza troppe anticipazioni, che Telltale ha optato per un non-finale, che è di fatto un prologo per un nuovo filone narrativo a cui assisteremo in futuro. Una scelta a cui ultimamente assistiamo spesso ma che, se pensiamo al carico emotivo di episodi finali come quelli di The Walking Dead e The Wolf Among Us, non ci sentiamo affatto di condividere per una serie che, come dice il nome stesso di Telltale, punta tutto proprio sulla narrazione.
Fino all'episodio 4, abbiamo sempre apprezzato l'idea delle indagini di Batman, con Telltale che ha accettato il rischio di implementare nuove meccaniche al suo collaudato sistema di QTE e dialoghi a risposta multipla. Dall'episodio finale era lecito attendersi non solo il ritorno della meccanica, ma anche la ricostruzione di una scena del crimine elaborata, una sorta di stato dell'arte della nuova dinamica di gameplay. Purtroppo, City of Light fa esattamente l'opposto: lo scenario in cui vi troverete ad indagare sarà così elementare che vi ritroverete semplicemente a chiedervi come sia possibile che Batman non lo ricostruisca in tre o quattro secondi una volta raggiunta la stanza. Sarete quindi costretti ad eseguire i (pochissimi) collegamenti tra i diversi indizi per risalire alla colluttazione da poco avvenuta e finirete col sentirvi un po' frustrati, perché si doveva assolutamente rendere la meccanica più articolata e ingegnosa, piuttosto che relegare il "puzzle" meno riuscito e più basilare della serie all'episodio finale. Un'occasione praticamente sprecata che finirà con il farvi sbuffare quando, poco dopo, analizzerete brevemente un altro scenario. Speriamo che la meccanica possa quindi essere maggiormente valorizzata nella futura Stagione 2.
Purtroppo, abbiamo degli appunti anche per la componente meramente tecnica di City of Light: se nei precedenti episodi, nella nostra run su PS4, avevamo riscontrato unicamente qualche problemino di audio e di stabilità del frame rate, questa volta purtroppo Telltale sembra essere stata molto più distratta. Nel corso della nostra sessione di gioco ci siamo imbattuti in ben tre freeze, che hanno costretto l'applicazione alla chiusura e al ritorno alla dashboard della console. Rilanciata la scena dopo il primo crash, abbiamo provato a ripetere la nostra scelta nel dialogo che aveva portato all'infausta chiusura dell'applicazione, ottenendo il medesimo risultato. Siamo riusciti ad andare oltre solo cambiando la risposta data al personaggio di fronte a noi in un terzo tentativo, salvo assistere ad un nuovo sporadico freeze in una delle scene prossime al finale.
Purtroppo, abbiamo anche riscontrato qualche difetto grafico, come QTE in cui vi troverete di fronte un personaggio completamente invisibile, se non fosse per gli occhi e per i denti che fluttuano indisturbati (e a metà tra il tragicomico e l'inquietante). Un bug sicuramente di poco conto e per niente compromettente, a fronte invece dei freeze, ma che dà l'idea di un episodio su cui Telltale doveva e poteva lavorare meglio, trattandosi dell'epilogo di una saga fin qui su livelli decisamente buoni e ottima nella direzione artistica.

Filthy Lucre


  • Piattaforme:PC, PS4

  • Genere:Azione

  • Sviluppatore:Fabrik

  • Data uscita:12 dicembre 2016

     

     

    Tutti noi ci siamo sentiti dei veri eroi almeno una volta nella nostra carriera videoludica, pronti a tutto pur di salvare il nostro nuovo mondo virtuale. Ma dopo aver interpretato più volte gli stessi ruoli, prima o poi nella mente dei più curiosi scatta una domanda: e se, invece di interpretare un ruolo positivo, per una volta ne interpretassi uno negativo? Senza trame psicologiche dietro o strane motivazioni, ma solo per il gusto di poter essere dei criminali?
    Deve essere stato questo il pensiero nato nella testa degli sviluppatori britannici di Fabrik Games, che li ha portati alla creazione di Filthy Lucre: un gioco dove interpreteremo dei criminali, assoldati da un boss mafioso per riprendere tutti i beni che gli sono stati confiscati dagli altri gangster e uccidere i diretti responsabili. Non vi è alcuna trama, e quei pochi accenni di essa sono unicamente un pretesto per capire quali sono gli obiettivi della missione e portarla a compimento. Filthy Lucre è uno stealth con visuale dall'alto, giocabile sia in single player che in co-op, locale e online. Anche se gli sviluppatori promuovono la possibilità di poter usare le proprie armi per portare a termine le missioni, questo non significa che potremo avanzare indisturbati sparando a tutto ciò che ci capita di fronte: se la situazione si farà parecchio scottante, arriveranno dei rinforzi che noi non potremo sconfiggere, e non avremo altra scelta se non quella di fuggire, abbandonando la missione e salvando il salvabile. La maniera migliore per descrivere il gameplay del gioco è quella di farvi immaginare un ibrido tra un Hitman, per la pazienza e la furtività necessarie al superamento degli obiettivi, ed Hotline Miami, per il tipo di visuale e per l’importanza, assolutamente necessaria, di osservare le posizioni delle guardie con relativi movimenti per pianificare la nostra strategia offensiva. Tuttavia, non riesce a pareggiare in nessun aspetto rispetto ai giochi citati.
    Spieghiamo più dettagliatamente il gameplay e perchè tutto sommato non è riuscto a convincerci: come scritto prima, i livelli sono composti da più aree, sorvegliate da guardie che hanno dei movimenti predefiniti; noi avremo a disposizione solamente un paio di gadget e armi con munizioni molto limitate. Abbiamo diverse opzioni a nostra scelta per poter avanzare verso il nostro obiettivo: possiamo colpire una guardia alle sue spalle per poi nasconderne il corpo, sgattaiolare semplicemente facendo attenzione a non farci notare o anche attirare la loro attenzione, manomettendo qualche macchinario nelle vicinanze, e spingendoli ad andare a controllare cosa c'è che non va. Se qualcosa dovesse andare per il verso storto, potremo sempre uccidere le guardie o nasconderci in apposite zone della mappa, in attesa che la situazione si calmi; nei casi più disperati, come già scritto, non avremo altra scelta se non quella di fuggire o restare uccisi. I livelli sono composti da un obiettivo principale, necessario per portare effettivamente a termine la missione e degli obiettivi secondari per guadagnare soldi extra. La buona varietà di scelte sul come procedere per le missioni è inizialmente stimolante e divertente, specialmente se c'è un amico insieme a noi con cui discutere la strategia migliore. L’immersione che viene inizialmente a crearsi si arresta immediatamente per colpa di un grave problema, imperdonabile in questo genere di titoli: la deficitaria intelligenza artificiale delle guardie, forse troppo.
    La stupidità dei nemici è disarmante e a volte riesce a creare più divertimento, naturalmente per i motivi sbagliati. Abbiamo fatto diverse prove per testare quanto potessero essere credibili e le hanno fallite tutte miseramente. Ecco qualche esempio: dopo esserci sbarazzati di una guardia, subito dopo aver attirato la sua attenzione presso un macchinario, decidiamo di attirarne un’altra nelle vicinanze, sempre verso lo stesso macchinario e lasciando la pistola di quella precedente a terra, ben in vista. Ebbene, non si è accorta assolutamente di nulla, e ci ha quindi permesso di poterci liberare di lei con estrema facilità. Sempre per quanto riguarda l’attenzione verso i macchinari, se ci sono più nemici nelle vicinanze, solamente uno di loro andrà a controllare che cosa succede, nonostante entrambi effettivamente sentano che qualcosa non va: dunque si può abusare questo metodo per togliere di mezzo gli ostacoli uno alla volta. O ancora: i movimenti sono assolutamente prevedibili e le azioni vengono ripetute continuamente, tra cui quello di due guardie che si parlano, per poi far riprendere a una il proprio cammino. Se facciamo fuori quella che resta ferma al suo posto, lasciando ancora una volta la pistola ben in vista, l’altra guardia, che ripete sempre gli stessi identici movimenti, non pensa neanche per un attimo al perchè il suo amico non sia al suo posto e riprende la sua strada, senza esitare un attimo. E potremmo andare avanti con l’analisi dell’intelligenza artificiale, ma preferiamo fermarci qui. Capite bene che in un gioco stealth, dove l’immedesimazione e il calcolo di ogni singolo errore è importantissimo, questo riesca a rovinare irrimediabilmente l’intera esperienza; se ciò viene unito a un combat system altrettanto mediocre, in cui sparare non riesce a essere abbastanza soddisfacente, riusciamo a fare il quadro completo di un gioco che aveva delle buone premesse, ma che doveva fare molto di più e che ha rovinato tutto con degli errori non giustificabili.

Resident Evil 7 Biohazard

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Capcom

  • Data uscita:24 gennaio 2017

     

     

    Lo scetticismo si è diradato. Dopo le demo provate negli ultimi mesi, soprattutto quella alla Gamescom di Colonia, Resident Evil 7 ci aveva concesso l'ardire di dubitare della bontà del prodotto realizzato da Capcom, eppure, quasi a voler creare una sorta di marketing al contrario, c'era tanto che doveva dirci il nuovo capitolo della saga survival horror tra le più famose del mercato videoludico. Grazie a una intensa e lunga prova negli studi di Digital Bros a Milano, durata circa cinque ore, siamo riusciti ad analizzare e apprezzare tutto il ventaglio di opportunità che Resident Evil 7 vuole proporci, lanciandoci in un'avventura ansiogena che rievoca molte delle atmosfere dei primi capitoli, rendendoli fruibili per il mercato odierno.
    Come noto Resident Evil 7 è ambientato all'interno di una villa abbandonata, della quale, per adesso, si è visto ben poco. Tolta, infatti, la demo della Gamescom nella quale dovevamo fuggire da Marguerite, ci era rimasto ben poco da sapere. Nel nostro hands-on è stato possibile conoscere tutto ciò che va a caratterizzare questa antica e disastrata villa, partendo dai suoi abitanti fino all'ecosistema che ci porta a vivere un'esperienza a tutto tondo, completa di tutto ciò che può caratterizzare un prodotto del genere. Iniziamo subito col ricordare che stavolta Resident Evil 7 si gioca in prima persona: non abbiamo avuto modo di provare la versione col VR, che sarà prerogativa di PlayStation, ma la prima persona dinanzi alla quale ci siamo trovati è sicuramente coinvolgente e riesce ad aumentare degnamente l'aspetto ansiogeno fornito dall'ambientazione. Negli inseguimenti, nelle fughe da nemici armati, mentre noi saremo disarmati, nel provare a districarci in ambienti angusti o chiusi in un angolo con dinanzi frotte di esseri amorfi che avanzano verso di noi, sarà questo il valore aggiunto di tutta la produzione. D'altronde il non vedere, il non poter sapere cosa accade alle nostre spalle, ha sempre rappresentato il quid pluris di una produzione horror, sin dai tempi di Walt Disney e la scrittura della morte della madre di Bambi. In questo abbiamo riscoperto il piacere dello spavento improvviso, dell'inaspettata apparizione alle nostre spalle, dell'ansia del ritrovarsi senza un'arma in mano e il doverci comunque difendere da un vecchio spostato armato di pericolosa accetta. Ma chiaramente Resident Evil 7 non è soltanto fughe e difese, come d'altronde ci era stato palesato durante le ultime demo, che tanto strizzavano gli occhi a titoli come Amnesia o Outlast: il gameplay c'è, e questa è la prima grande notizia che va completamente a far diradare il nostro iniziale scetticismo verso il titolo, che temevamo potesse diventare un survival indirizzato verso il nascondersi e lo sgattaiolare alle spalle dei nostri carnefici. Ancor prima di imbracciare qualsiasi tipo di arma, però, è negli enigmi proposti che abbiamo trovato anche il piacere della sfida, del doverci inerpicare in sessioni che prevedevano un corposo backtraking. Anche in questo caso la visuale in prima persona ci ha permesso di apprezzare moltissimo il livello del dettaglio dei vari oggetti e dell'ambiente che ci circondava, che va analizzato in ogni suo angolo per poter rintracciare la risoluzione alle difficoltà che ci si parano innanzi. Così come accaduto, poi, con le ultime produzioni, è possibile anche rintracciare dei documenti sparsi per l'intera ambientazione che ci permetteranno di contestualizzare al meglio il mood e tutto ciò che ci circonda: alcuni di essi saranno, tra l'altro, fondamentali per poter risolvere alcuni enigmi, che non sono soltanto ambientali ma anche di vero e proprio ragionamento. Tutti riescono a essere adeguatamente contestualizzati, perché in questa villa nella quale ci siamo trovati a spostarci la normalità non è alla portata di mano, soprattutto nel momento in cui saremo chiamati a fronteggiare il pericoloso Jack.
    Resident Evil 7, dicevamo, al di là della ricerca, della risoluzione degli enigmi, che prevedono l'apertura di porte, l'esplorazione di nuove stanze, richiede anche molta attenzione nei combattimenti. Armati inizialmente di pistola, poi di fucile ed eventualmente anche di lanciagranate o lanciafiamme, ci troveremo a contrastare non tanto il già citato Jack, l'anziano proprietario della villa, che contrariamente alla sua età avanzata è decisamente coriaceo, ma anche creature liquefatte che molto riassomigliano al Nemesis dal volto putrefatto che avevamo conosciuto nei primi capitoli della saga, se non fosse per un corpo decisamente più informe. Questi ultimi richiederanno una semplice accortezza di mira, puntando alla testa per estirpare la loro presenza dal vostro mondo, ma il primo vi impegnerà a più riprese in scontri che prevedono anche la risoluzione di puzzle ambientali. L'unico aspetto che non ci ha soddisfatto completamente è stato proprio uno degli scontri con Jack: se il primo, infatti, è riuscito a mantenere un flow più che soddisfacente portandoci dinanzi a una sfida abbordabile, la seconda ha preferito sposare delle meccaniche troppo anacronistiche, con dei pattern d'attacco eccessivamente ripetitivi, donandoci uno scontro lungo e per niente soddisfacente, pur basandosi su una buona dose d'ansia. Sarà necessario, in ogni caso, contestualizzare a dovere la presenza di tali scontri, che tra l'altro impennano in maniera ingiustificata la parabola della difficoltà: non che sia un male, sia chiaro, ma il rischio di ripetuti game over è dietro l'angolo e dinanzi a degli scontri che diventano ripetitivi in pochi minuti la frustrazione potrebbe avere la meglio sul piacere. In cinque ore di hands on, in ogni caso, siamo riusciti a fronteggiare una buona varietà di avversari, sia nelle boss battle che negli scontri consuetudinari, in sede di esplorazione: le armi sono tutte ben riprodotte, con un feedback più che positivo fornito dagli stessi proiettili e con un discreto realismo nelle fasi di ricarica e di rapidità di sparo. Non abbiamo potuto approfondire a dovere l'attività di upgrade del nostro arsenale, basato sull'utilizzo di consumabili da recuperare nel corso dell'avventura, ma abbiamo notato come non solo sia possibile acquistare nuove armi, tra cui una potente Magnum, ma anche rendere più performanti le nostre. Scordatevi avversari che lasceranno cadere un bottino, o fasci luminosi che vi permetteranno di ottenere del loot come ricompensa: qui uccidere un avversario è necessario per sopravvivere, non per ottenere un premio. Gli unici oggetti utili saranno rintracciabili nel corso delle vostre ricerche e dovranno essere gestiti, poi, nelle stanze franche, per il salvataggio, per acquistare ciò che ritenete sia più necessario alla vostra storia. All'interno delle stanze che abbiamo appena citato, che restano uno dei capisaldi della saga e che qui sono riproposte con le medesime meccaniche di sempre, legassi casse di deposito e nastri per salvare la partita, potremo accedere anche a un videoregistratore all'interno del quale infilare delle videocassette. L'unica che siamo riusciti a rintracciare portava il nome di Mia e ci ha permesso di rivivere la demo provata alla Gamescom, la fuga da Marguerite, così da poter contestualizzare adeguatamente, e finalmente, la collocazione di tale avvenimento all'interno di Resident Evil 7
    .

    Per mantenere il filo di citazioni con l'intera saga, Resident Evil 7 ripropone chiaramente il vasto menù degli oggetti, tutti da collocare a mo' di tetris e che potrà essere espanso grazie all'acquisizione di uno zaino in fasi avanzate del gioco. Accanto al menù principale, però, sarà possibile anche utilizzare quello delle combinazioni, così da poter risolvere l'annosa ricerca del mix esatto, che non sempre è di facile comprensione per i giocatori di Resident Evil. Trovandoci dinanzi anche a delle sostanze nuove potrebbe non essere immediato capire come combinare ciò che rintracceremo sul nostro cammino: per questo il crafting ci viene in soccorso, suggerendoci come muoverci e come comportarci. Combinare, quindi, la polvere da sparo con i proiettili per crearne alcuni più forti sarà un suggerimento facile e immediato, così come unire le erbe, un archetipo della saga, a un fluido medico per creare un liquido che ci permetterà di recuperare salute, saranno le indicazioni iniziali più importanti. D'altronde in Resident Evil 7 subire danni è facilissimo, perché sebbene la parata possa venirci incontro, fronteggiare gli assalti dei nostri avversari sarà ostico e la nostra schermata molto facilmente si ricoprirà di sangue, indicandoci a che livello è la nostra salute vitale: a quel punto, mentre il nostro smartwatch indicherà le nostre condizioni, entreranno in gioco i fluidi per recuperare energia. Meccaniche che sono ben note ai fan della saga, che vengono riproposte in maniera adeguata per soddisfare chi non persegue la semplificazione del genere. Un ultimo appunto da fare riguardante gli oggetti, là dove all'interno di questa macrosezione inseriamo anche le armi, è che non è narrativamente necessario recuperare tutto ciò che il titolo ci propone: sarà legato alla nostra bravura nella ricezione e nelle nostre intenzioni nel recupero, avere un inventario sempre pieno. Perdere alcune armi, mancare degli elementi che semplificherebbero la vostra esperienza, può succedere e può trasformare il vostro percorso in qualcosa di decisamente più complesso: è in questo che Resident Evil 7 si esalta, perché le esperienze variano a seconda del giocatore, da quello che si ritroverà a risolvere lo scontro con un boss in un modo e l'altro che in maniera più strategica punterà a una risoluzione più ragionata. Qualunque sia la scelta, comunque, alla fine l'avversario cadrà a terra, che decidiate di seguire la strategia imposta o che preferiate andargli addosso con tutta la potenza di fuoco che avete. La scelta è vostra, anche stavolta.  

Urban Empire

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gestionale

  • Sviluppatore:Reborn Interactive

  • Data uscita: gennaio 2017

     

     

    Sabato sera, siete al terzo cocktail, ne chiedete un quarto al barista, che vi dice: “Questo te lo faccio io. Ti fidi?”. La risposta sarebbe no, solo che i riflessi sono lenti e, mentre lo vedete unire uno dopo l’altro fluidi fluorescenti, già studiate la via più breve verso la toilette. Fate il primo sorso e, incredibile, non fa affatto schifo, anzi pare davvero buono! Tutta questa pippa è la perfetta metafora di cosa sia Urban Empire, titolo sviluppato da Fragment Production e prodotto da Kaypso Media che, su un fondo a base di city building, aggiunge altri ingredienti già visti nella serie Democracy e altri presi in prestito da Civilization, il tutto condito con una spruzzata di storia. A circa un mese dalla sua pubblicazione, abbiamo potuto assaggiare questa strana miscela, i cui componenti paiono già tutti ben bilanciati ma che, almeno per ora, lasciano ancora in bocca dei toni dal retrogusto amaro sul finale.
    Le firme di Kalypso Media, a cui dobbiamo la serie Tropico, e quella di Fragment Production, il cui fondatore altri non è che Mikko Tyni, creative director di Cities in Motion, già dovrebbero dire molto riguardo la natura di Urban Empire. I primi passi mossi nell’indispensabile tutorial danno immediatamente due indizi. Il primo è che questa fase introduttiva richiede un necessario bilanciamento prima dell’uscita finale del gioco, perché nello stato attuale, se si seguono tutte le indicazioni date dal consigliere, si finisce presto in rosso e si è impossibilitati nell’andare avanti. Il secondo, certamente più importante, definisce immediatamente Urban Empire come un city builder sui generis: ci aspettavamo di dover tracciare incroci e percorsi stradali, di posizionare piloni dell’elettricità o i tubi per fare arrivare l’acqua alle abitazioni e invece, nulla di tutto questo, un po’ perché il titolo pone le lancette dell’orologio a inizio 1820 e quindi per le centrali elettriche moderne o per i sistemi di pompaggio dell’acqua manca ancora un po’ di tempo, un po’ perché Urban Empire non spinge sull’acceleratore in fatto di meccaniche da city builder. Scordatevi quindi le visuali mozzafiato di Cities Skyline, con i quartieri urbani accesi da luci al neon o gli intricati reticoli di strade, cavalcavia e ponti, sotto i quali passano le rotaie dell’alta velocità, dimenticatevi le ore e ore perse con squadra e righello virtuali alla mano per rendere il proprio insediamento un’utopia architettonica, dove tutto può essere distrutto e costruito in un batter di click. Lo sviluppo delle città in Urban Empire segue direttrici molto più semplificate: si disegna un’area sulla quale sorgerà il futuro distretto, dove le strade sono per altro già definite, si decide il rapporto fra le attività commerciali, le industrie e le abitazioni, si posizionano automaticamente le eventuali condutture e infine si collocano le varie strutture che determinano il benessere della popolazione, come le scuole, i teatri, le cliniche, le centrali di polizia o, ancora, i parchi. Finita la prassi, basta procedere e magicamente il nuovo quartiere sorgerà dal terreno come un fungo dopo una notte di pioggia? Niente affatto, ed è proprio qua che inizia il bello.
    In genere, in un city builder, si vestono i panni di un demiurgo, del deus ex machina che dall’alto, con la sua mano onnipotente, decide imperscrutabilmente le sorti dei cittadini, strappando alla natura boschi e prati verdi per piazzarci una meno poetica centrale nucleare. Non solo, questo motore primo immobile è etereo, vive fuori dal tempo e dallo spazio, nessuno sa chi sia o quale sia il suo volto. In Urban Empire la situazione è completamente diversa, il protagonista è in carne e ossa - vabbè, più o meno - e appartiene a una delle quattro famiglie con le quali iniziare la campagna che, come detto in partenza, abbraccia ben duecento anni di storia, dal 1820 fino al 2020. In questo lungo lasso temporale, assieme alle nuove tecnologie, agli edifici sempre più all’avanguardia e alle scoperte in campo scientifico, anche il protagonista anzi, i cinque protagonisti che cambiano mano a mano che si avanza nelle ere, sviluppano la loro personalità, modellata sui canoni di quanto visto in Crusader Kings: prendendo determinate decisioni in seguito ad eventi casuali, i quali riguardano non solo l’ambito politico e gestionale della città, ma anche la vita privata del sindaco virtuale, si verranno così a sviluppare determinati tratti, ognuno di essi collegato a determinati bonus o malus. La sensazione di vivere all’interno di un contesto storico ben preciso è uno dei tratti fondamentali in Urban Empire, dove la città non è una novella Atlantide, staccata dal mondo e fuori dal mondo, bensì è un insediamento - sempre fittizio - inizialmente facente parte dell’Impero Austro-ungarico, con continue missive e solleciti provenienti da Vienna. Con il passare degli anni, la situazione geopolitca muta sensibilmente e le ripercussioni vengono vissute e fissate anche sulla pelle della vostra cittadina, che passerà attraverso due guerre mondiali, un conflitto silente, fino ad arrivare alla presenza sempre invasiva dei social media, esattamente come ai nostri giorni. Accanto alle pagine dei quotidiani che riportano le notizie dal mondo, il senso di progressione attraverso le ere è dato da due fonti: la prima, in puro stile Civilization, è un albero delle tecnologie, dove sbloccare un po’ di tutto, dai progressi in materia sociale, alle nuove strutture energetiche e quelle in materia di mobilità, fino ad arrivare agli editti e alle leggi. La seconda è una fonte esterna e, tramite eventi casuali che si ripetono di partita in partita, si rivivono tutti i passi fondamentali della storia recente, come l’abolizione della schiavitù, il diritto di voto per le donne o, ancora, la formazione dei sindacati. La cosa bella è che, nel caso in cui vogliate essere dei despoti, potreste tranquillamente alzare le spalla davanti a queste proposte piovute dall’alto.
     
    Abbiamo volutamente utilizzato il condizionale perché, a differenza di molti altri city builder, non tutto è a portata di click, fare e disfare non è esclusivamente materia economica e se l’aria diventa irrespirabile o se le strade diventano meno sicure di quelle di Gubbio in Don Matteo, non avrete solo dei cittadini inferociti da tenere facilmente a bada in pochi passaggi, ma un intero parlamento che, come tutto il resto di Urban Empire, è in continuo mutamento assieme allo scorrere delle lancette del gioco. Se nelle prime fasi del gioco proporre un innalzamento delle tasse o la costruzione di un nuovo quartiere è un gioco da ragazzi e i soli tre partiti difficilmente avanzano delle rimostranze in merito alle vostre decisioni, mano a mano che scorrono gli anni, Urban Empire diventa un sottile reticolato di giochi politici, di promesse da mantenere, di seggi da rispettare, con gli schieramenti di sinistra, destra e centro che cercano di far valere il loro peso, un peso di cui va tenuto conto. perché avere un partito al governo che non appoggia le direttive date da voi sindaci, significa partita persa, cosa piuttosto bizzarra per un city builder, se Urban Empire fosse un normale city builder. Il titolo sviluppato da Fragment Production ha un’anima tutta sua e l’impronta data dai developer contribuisce a imprimere a Urban Empire quella sterzata necessaria per differenziare l’opera dalle altre produzioni già presenti sul mercato. A trenta giorni dal suo arrivo su Steam le perplessità non sono dunque tanto legate alle meccaniche del gioco, che andranno sicuramente sviscerate più in profondità ma che paiono già convincenti, quanto piuttosto sulla “tenuta” tecnica di Urban Empire, che graficamente appare sotto tono, con i modelli degli edifici che si ripetono di frequente e con la città che manca di quella vitalità che abbiamo visto e apprezzato in Cities Skyline. Qualche inceppo va segnalato anche nella pianificazione della città: la creazione automatica dei distretti non solo priva il giocatore del piacere di costruire liberamente il proprio insediamento, ma soprattutto, capita spesso e malvolentieri che i risultati siano piuttosto bizzarri, con gli incroci che si piazzano da soli proprio sotto delle case o con percorsi semplicemente fuori posto.

Space Hulk

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Sparatutto

  • Data uscita:14 dicembre 2016

     

     

    Simpsons, puntata 15, stagione nove. Bart recupera dal giardino dei Flanders Krusty il Clown sbronzo che, una volta entrato nella stanza del ragazzo ed essersi ripreso dalla sbornia, si accorge degli innumerevoli ed assurdi gadget da lui promossi: c’è la sveglia di Krusty, i moduli legali di krusty, lo specchio di Krusty, il cotton fioc di Krusty ed il collirio di Krusty. Dicembre 2016, aprite la pagina del negozio di Steam - magari non da ubriachi - e a pochi click di distanza trovate lo strategico in tempo reale di Warhammer - 40,000 e Age of Sigmar - lo strategico a turni di Warhammer, l’RPG di Warhammer, la versione digitale del gioco da tavola di Warhammer, il gioco di battaglie navali di Warhammer e perché no, il football americano di Warhammer. Buona parte della colpa - o del merito a seconda dei vostri gusti - di questa sovrabbondanza di titoli è dovuta a Focus Home Interactive che, da quando ha acquisito i diritti sulla licenza di Games Workshop, si è appoggiata di volta in volta a team differenti per lo sviluppo di titoli che sfruttassero l’universo futuristico di Warhammer: questa volta è toccato a Streum On Studio che, nonostante il suo scarno curriculum, si è vista affidare lo sviluppo di Space Hulk: Deathwing un ambizioso FPS basato sul gioco da tavola Space Hulk, dove i protagonisti sono gli iconici e pesanti Space Marines anzi, di più, i “machissimi” Space Marines Terminator.
    I primi passi mossi in Space Hulk: Deathwing promettono bene e il tutorial, accanto al piombo infuocato, lascia intravedere un barlume di speranza per approcci più tattici e ragionati, con circuiti da hackerare per aprire nuovi passaggi e torrette da sabotare. La luce si spegne in fretta all’avvio delle campagna, perché nelle nove missioni complessive e per le circa dieci ore della durata, non si fa altro che sparare a ondate sempre più soverchianti di Genestealer, in puro stile Left 4 Dead o, se preferite, Warhammer End Times - Vermintide. La scelta di affidarsi a queste meccaniche ha ovviamente delle ricadute sul gameplay complessivo, e anche oltre, a esempio nel lato narrativo, visto che l’unica motivazione per indagare le profondità dell’enorme Space Hulk, il relitto di una nave spaziale passato attraverso dei chaos warp e ora divenuto dimora dei fratelli meno simpatici degli Alien, è una voce fuori campo che parla di visioni di reliquie e antichi manufatti provenienti dal passato ancestrale degli  Space Marines. La realtà è invece più semplice e meno evocativa: si va avanti fino a che l’ennesima ondata di Xenos, composta da varianti sempre più aggressive e letali di Genestealer e Tyranid, invisibili, che sputano acido o aspiranti bodybuilder, non fanno fuori voi e i vostri sfortunati compagni di viaggio. La storia va dunque scartata dalle possibili molle che spingono a macinare ore su ore. Lo sono altre meccaniche di gioco? Purtroppo, in buona parte no, a partire dallo scarno senso di progressione che teoricamente dovrebbe dare lo spoglio albero delle abilità, che si limita a tre linee - Command, Devotion e Psycho - senza ramificazione alcuna, su cui spendere i punti abilità collezionati nel momento in cui si completa un livello. Le soddisfazioni vengono solo dagli ultimi poteri psichici e che danno il là a delle spettacolari carneficine di alieni, con questi ultimi che saltano letteralmente in mille pezzi o finiscono bruciati a fuoco rapido. Abbiamo in apertura scomodato un pesante paragone con Left 4 Dead, ma delle stanze zeppe di armi fuori di testa dello shooter made in Valve non c’è che uno sbiadito ricordo a bordo della Space Hulk: anche al netto delle differenze che intercorrono fra le classi, la varietà degli equipaggiamenti per gli Space Marines è buona ma di certo non eccezionale, sia per le armi corpo a corpo che per quelle a distanza, che per lo meno restituiscono un feedback ben differente l’una dall'altra, con alcune più rapide e stabili, come gli Storm Bolter, a altre più letali, pesanti, ma che prestano il fianco a svariati blocchi, che equivalgono a una morte certa. L’analisi del gunplay fa emergere dei difetti piuttosto evidenti: anche per il caos che viene generandosi sullo schermo, spesso non si ha la minima idea del danno inferto ai nemici, con questi ultimi che, anche se crivellati di proiettili, proseguono la loro corsa indisturbati, per poi cadere improvvisamente morti dopo un paio di secondi. L’inconveniente più spiacevole è certamente il sistema di mira e non solo perché il puntatore è afflitto dal morbo di Parkinson che impedisce un minimo di stabilità, ma perché quando si clicca il classico tasto destro del mouse la telecamera effettua uno zoom sproporzionato e soprattutto i nemici vengono evidenziati di rosso-arancione. Capiamo che questa trovata dovrebbe simulare il calore corporeo emesso dai Tyranid e simili, ma quando questi ultimi riempiono tutto lo schermo o stanno a un palmo di naso da voi, tutto il monitor viene travolto da colori “sparafleshanti”, davvero fastidiosi e invadenti. L’effetto è un po’ quello di Robot guerrieri epilettici, sempre per sfruttare metafore Simpsoniane. Anche l’attacco in melee nasconde non poche magagne: preparatevi a sfondare il tasto Q a cui è associato l’attacco, perché non capendo da dove o da chi siete attaccati, la soluzione è battere in modo frenetico sulla tastiera. Dato che gli impatti non restituiscono poi la brutale fisicità che dovrebbero dare, lo stupro della Q prosegue anche oltre misura, fino a quando anche i cadaveri attorno a voi non smetteranno di muoversi. Sì, c’è il ragdoll. Le uniche soddisfazioni, ancora una volta, vengono dalle abilità psichiche di cui è dotato il bibliotecario, come onde d’urto in grado di abbattere intere file di Genestealer, oppure scariche elettriche con cui arrostire i nemici quando si fanno troppo vicini.
    Ma delle varianti tattiche che ci sono state mostrate a inizio tutorial, ne rimane qualche traccia? Teoricamente sì: il level design dello Space Hulk è dannatamente claustrofobico e labirintico, l’alternanza di stretti corridoi e di ampie stanze colme di resti umani ed alieni trasmette davvero un senso di inquietudine, ma soprattutto, se sfruttato a dovere, garantisce dei vantaggi sulle soverchianti schiere mostruose, che possono essere tagliate fuori chiudendo le porte o ostruendo i passaggi. Anche le torrette, se da un lato possono falciare in pochi colpi la squadra di spazzini spaziali con più testosterone della galassia, se hackerate, vengono sfruttate per radere al suolo ogni tentativo di assalto alieno. Abbiamo però detto in teoria, perché in pratica, soprattutto a causa della IA degli alleati, i vari tentativi di usare a proprio vantaggio le soluzioni offerte dall'ambiente, vengono troncate sul nascere da un comportamento a dir poco autolesivo, che porta i compagni di viaggio a essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato: nei corridoi si piazzano esattamente davanti a voi e, dato che sono larghi come un armadio a tre ante, non vedrete altro che le loro pesanti armature. Se accerchiati da ogni lato da qualsivoglia genere di mostro, alle volte sparano, altre volte menano fendenti, altre volte rimangono completamente fermi e, se in fin di vita, muoiono, perché si scordano della possibilità di curarsi l’un l’altro. La situazione sarebbe anche comica se non ci fossero dei Tyranid che sbucano fuori da ogni pertugio e per evitare di fare una brutta fine in men che non si dica, l’unico modo è l’utilizzo assiduo della barra spaziatrice, con cui impartire continui ordini al party, operazione che fila liscia come l’olio nelle poche situazioni tranquille, ma che diventa un’impresa nei momenti concitati. Nella sua semplicità, l’intelligenza artificiale dei nemici funziona invece bene ed i pattern d’attacco, nella loro linearità, riescono sempre a mettere alle strette la squadra di Space Marines, anche se la varietà e le incognite sono limitate da spawn point fissi lungo la mappa. Il livello di difficoltà si mantiene comunque sempre elevato e la morte è sempre dietro l'angolo, un po' per l'aggressività dei Tyranid, un po' per l'UI non proprio chiarissima: Streum On Studios non si è affidata alla classica barra dell'energia, ma ha preferito creare un sistema di danni suddiviso per le varie parti dell'armatura che, quando diventa rossa, indica la sconfitta imminente. Il sistema è forse più innovativo, ma è certamente meno chiaro.
    Meccaniche di shooting poco ispirate e ripetitive, AI traballante, looting assente e lato RPG appena abbozzato: insomma, non sembrerebbero esserci validi per affrontare le missioni suicida assieme alla squadra di Terminators. E invece no. La discesa negli angoli più remoti dello Space Hulk è uno spettacolo per gli occhi e nei rari momenti di tranquillità, quando si alza la testa dal mirino, si rimane letteralmente a bocca aperta davanti alle immense strutture contenute nel relitto spaziale. Ogni corridoio, ogni sala, ogni singolo ingranaggio trasuda l’atmosfera mistica e cupa di Warhammer 40,000 e non stiamo esagerando quando diciamo che l’aria respirata in Space Hulk: Deathwing non l’avevamo provata in nessun altro titolo basato sulla licenza di Games Workshop. La direzione artistica impressa da Streum On Studio è davvero degna di lode, tutto è unito alla perfezione, gli stretti cunicoli metallici assieme agli asteroidi con cui si è fusa la navicella, ma sono soprattutto le oscure architetture gotiche a trasformare lo Space Hulk in una cattedrale fluttuante, con le sue imponenti statue e altari dedicati ai vecchi eroi dell’Impero, mentre lì accanto innesti cibernetici e spessi fili elettrici producono quell'incessante suono metallico che accompagna il giocatore per tutta l’avventura. Space Hulk: Deathwing mostra i suoi muscoli grazie al sapiente impiego dell’Ureal Engine 4 e, a esclusione di qualche texture meno definita, gli effetti, i giochi di luce che scaturiscono dalle fonti di calore, i sottili raggi che entrano dalle finestre in frantumi, i riflessi e il pulviscolo che permea ogni anfratto dello Space Hulk, tutto questo contribuisce a restituire uno spettacolo cupo, claustrofobico, permeato di morte e sangue, forse anche di più di quanto visto sulla USG Ishimura. Sulla nostra configurazione di prova, dotata di un i7 4770k, 16Gb di Ram e di una 970 4Gb, Space Hulk: Deathwing - giocato a un dettaglio grafico tra alto e ultra, con il v-sync, il bloom e l'anti-aliasing attivati - non ha mostrato cali di frame rate significativi, con qualche limitato e non esagerato rallentamento solo quando gli sciami Genestealer si facevano più intensi. A quanto pare, non tutti gli utenti sono stati altrettanto fortunati, perché sfogliando tra le pagine di Steam non mancano le lamentele sul basso frame rate, tale da rendere il titolo ingiocabile. Il comparto audio contribuisce anch'esso a questa sensazione di costante oppressione, di pericolo che può venire da ogni parte, i lunghi silenzi di una navicella ormai abbandonata sono bruscamente interrotti dalle acute urla dei Genestealer e degli altri Tyranid, mentre dei toni metallici standard rimbombano nel vuoto dello Space Hulk. Al netto di un gameplay complessivo di livello mediocre e senza particolari spunti, l’avventura di Space Hulk: Deathwing riesce a catturare l’immaginazione del giocatore, creando un viaggio attraverso tutto ciò che è Warhammer 40,000 e immergendolo sempre più in basso in un microcosmo ricreato dentro la nave spaziale.
    Forse vi sembrerà strano essere arrivati fino a questo punto e non avere trovato alcun accenno alla componente online, visti soprattutto i paragoni con Left 4 Dead e Warhammer: End Times - Vermintide. La cooperativa fino a quattro giocatori c’è, permette di rivivere le stesse missioni delle campagna affrontate in singolo, è certamente frenetica, le fasi di shooting sono incalzanti e non lasciano un attimo di respiro. Affrontare l’avventura assieme a tre compagni in carne e ossa annulla poi tutti i difetti segnalati sull’IA degli alleati e anzi, la collaborazione si rivela l’unica via per non essere sopraffatti dalle schiere aliene, che diventano più numerose e agguerrite nel multiplayer. La realtà dei fatti è purtroppo meno felice, soprattutto perché non esistono server dedicati per Space Hulk: Deathwing e tutto è demandato al giocatore che farà da hosting alla partita, che perdurerà fin quando egli non riceverà una chiamata dall’Imperatore sull’altra linea, si stuferà di fare a fette scarafaggi troppo cresciuti o, problema tanto caro al nostro paese, la sua linea subirà un’interruzione. Il peer-to-peer è certamente una base economica e conveniente, ma la stabilità ne risente parecchio e anche trovare una partita è stata alle volte volte un’impresa che ha richiesto svariati tentativi e minuti d’attesa, a cui vanno sommate le pause causate dai lunghi caricamenti. Il secondo problema della cooperativa è che non esiste un vero e proprio sistema di progressione e i livelli sbloccati, gli equipaggiamenti recuperati e le nuove abilità perdurano fintanto che si rimane all’interno del match, ma la corsa riparte da capo in ogni sessione di gioco, dimenticando qualsiasi tipo di achivement. La frustrazione viene mitigata dalla Codex Mode, un’opzione che, se da un lato limita il numero di respawn a disposizione del giocatore, attiva sin dall’inizio tutte le armi e i poteri, garantendo così una maggiore varietà alla partita.

     

lunedì 5 dicembre 2016

Star Wars Battlefront


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:DICE

  • Distributore:EA

  • Data uscita:19 novembre 2015

     

     

    Battlefront è un titolo che di sicuro ha fatto molto parlare di sé e, partendo dalla base di gioco multiplayer-only relativa all’universo di Star Wars, ha deciso di optare verso una struttura di gioco semplice e immediata per catturare direttamente ogni tipo di giocatore e permettere anche a quelli più casual di avvicinarsi agli FPS senza lo scoglio di una community particolarmente consolidata a presidiarne i server online. Il risultato ha trovato sostenitori e detrattori, quello che però è fuori da ogni dubbio è che, a più di un anno dal lancio, il supporto da parte di Dice non è ancora terminato e ci sono ancora contenuti aggiuntivi che vogliono dire la loro nella storia di questo sparatutto.  
    La storia della nuova trilogia, per scelta, non è rientrata nei programmi dei DLC di Battlefront, ma Rogue One, film in uscita il 15 dicembre nelle sale italiane, godendo del fatto di non appartenere alla saga canonica potrà vantare della sua trasposizione videoludica.
    Ad accompagnare l'aggiornamento del DLC anche la missione VR del gioco, strutturata a bordo dell'iconico X-Wing.
    Delle 4 mappe annunciate, noi abbiamo avuto di provare quella dedicata a Scarif e soprattutto la modalità che lì andrà a svolgersi. Essa si chiama infiltrazione, è divisa in tre fasi ognuna diversa dall’altra e a seconda che saremo facenti parte dell’Impero o della Ribellione avremo il ruolo di difensori o di attaccanti. L’idea è quella di rievocare il film senza però rilasciare informazioni che possano rovinarci la visione dello stesso. Dubitiamo che la cosa possa essere realmente possibile dato che o è simile o non lo è, ma diamo agli sviluppatori il beneficio del dubbio. La prima fase si svolge nello spazio con la ribellione destinata a scortare a bordo degli X-Wing un trasporto appena uscito dall’iperguida. Ovviamente dall’altra parte i caccia Tie nemici non se ne staranno con le mani in mano, anzi, cercheranno in tutti i modi di distruggere questi trasporti, prima che essi possano raggiungere la loro meta. Lo sviluppo della partita è interessante, dato che un ottimo tempismo e posizionamento potrebbero in qualunque momento essere decisi, da una parte come dall'altra. Peccato che la lunga durata del match e il continuo aumento di veicoli in spawn sul fronte della Ribellione renda davvero troppo semplice il compito per questi. Ha un senso considerate le tre fasi della partita, ma ciò non rallegra comunque il giocatore imperiale destinato sempre ad affrontare una situazione sfavorevole. Una volta compiuto lo sbarco ci si ritrova a terra con la Ribellione incaricata di creare un diversivo e far saltare uno dei due carichi presenti sulla mappa. Ultimata anche questa si arriverà alla fase finale dove l’obiettivo sarà scortare dell’intel fino al punto dell’atterraggio. In tutto questo l’Impero sarà sempre costretto a impedire che la Ribellione riesca nei suoi intenti, con un coefficiente di difficoltà man mano decrescente date le tre fasi in cui si sviluppa la partita. La vittoria per la ribellione verrà assegnata soltanto nel momento in cui verranno completate tutte e tre le missioni con successo, altrimenti la palma della vittoria sarà dell’Impero. Lo sbilanciamento necessario delle singole fasi per permettere un bilanciamento più coerente di tutta la partita, suddivisa nelle tre parti, a volte risulta poco calibrato, con alcune situazioni che potrebbero diventare davvero irrisolvibili o altrimenti quasi impossibili da arrestare. Se infatti nella prima parte la vita facile ce l’avrà la ribellione, già dalla seconda la situazione si invertirà, per non parlare della terza dove un buon assetto sulla mappa potrebbe davvero essere insuperabile.
    Le mappe che affronteremo durante infiltrazione purtroppo non sono particolarmente brillanti dal punto di vista del design. La prima è ambientata nello spazio, mentre le altre due sulle spiagge di Scarif. Soprattutto queste cercano di imporre dei corridoi dove gli scontri si fanno più serrati semplicemente rendendo invalicabili dei cespugli, trasformando un grande spazio aperto in una vera e propria rete di corridoi. Il risultato non è brutto, ma nella pratica risulta macchinoso, dato che altre mappe in precedenza erano riuscite a superare agilmente questi problemi senza incorrere in mancanze di game-design.
    Ci sono anche nuove armi, tra cui ci hanno particolarmente convinto una pistola modificabile temporaneamente in un fucile d’assalto o in uno da cecchino, e un revolver con ricarica manuale, l’unico dell’intero arsenale disponibile in Star Wars Battlefront. Lato carte invece l’introduzione più interessante è quella del detonatore sonico che, al contrario di quello termico, danneggia i nemici molto vicini e accieca quelli nel raggio d’azione, risultando potenzialmente devastante per sbloccare alcune situazioni. Tatticamente supera notevolmente le capacità di quello termico, facendolo preferire per sbloccare situazioni più articolate.
    Infine non possiamo che riportare l’esperienza con la missione VR che verrà introdotta in concomitanza del prossimo aggiornamento. Non molto longeva (20min al primo approccio) consisterà in un tour dell’esterno di un X-Wing, di un breve tutorial a bordo del veicolo e infine di un vero e proprio combattimento a bordo. A parte l'emarginato inserimento nelle modalità di gioco, si può dire che sia un’esperienza ben fatta e coinvolgente. Guidare un un X-Wing penso sia stato il sogno di qualunque amante di Star Wars, e poter immaginare Obi-Wan che sussurra alle nostre orecchie “Use the force, Luke” mentre disattiviamo il visore davanti a noi all’interno di questo ambiente virtuale ben riprodotto, non ha prezzo.
    Peccato che poi la VR allo stato attuale non sia ancora in grado di fornire un divertimento completo e duraturo, ma soltanto piccole pillole qua e là, più o meno interessanti. Per fortuna, considerato il prezzo (gratuito), l'ambientazione e la realizzazione non si può che promuovere quanto offerto in Battlefront

Cursed Castilla

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Platform

     

     

    Si dice che leggendo libri si vivano mille vite, ma per noi questa massima potrebbe essere applicata con facilità anche ai videogame: solo oggi abbiamo combattuto contro dei draghi, ci siamo seduti sulla panchina di una squadra di serie A e con il fucile in mano siamo stati catapultati lungo le trincee fra la Francia e il Belgio. Non solo, alcuni titoli sono perfino in grado di farti rivivere i migliori momenti della tua infanzia e non stiamo parlando di qualche strano effetto inception, ma di quei giochi che ricordano in tutto e per tutto quelli con i quali hai iniziato a frequentare le fumose sale giochi oppure il bar in riva al mare. Cursed Castilla (Maldita Castilla EX) fa esattamente parte di questo secondo gruppo e non cerca di nascondere nemmeno per un attimo la sua volontà di generare un fortissimo senso di nostalgia per gli anni '80, con la sua grafica retrò, i suoni a 16bit e soprattutto con una difficoltà tale da far sembrare Lothric un simpatico villaggio vacanze. Una volta asciugate le lacrime per i tempi che furono, cosa resta però di Cursed Castilla (Maldita Castilla EX)?
    Prima di analizzare Cursed Castilla, occorre spendere due parole sulla sua genesi e sul team di sviluppo, anzi, su Locomalito, l'unica mente dietro a questo parente stretto di Ghosts'n Goblins. Se frequentate forum inerenti alla scena indipendente, il nome del developer spagnolo non vi sarà di certo nuovo: da vero amante degli arcade passati, da quasi dieci anni a questa parte Locomalito si è infatti impegnato a creare e a distribuire in modo del tutto gratuito gran parte dei suoi progetti, fra cui ad esempio spiccano The Curse of Issyos, Hydorah e Gaurodan. Maldita Castilla faceva anche esso parte parte di questo gruppo di freeware, ma dato il suo successo il gioco ha attirato le attenzioni di Abylight Studios che ha deciso di pubblicare una versione estesa, con più contenuti e maggiormente rifinita, cambiando il nome in Cursed Castilla. Se a fine recensione sarete rimasti incuriositi o avrete voglia di provare il titolo, vi lasciamo qui di seguito il link da cui scaricare gratuitamente l'originale Maldita Castilla e tutti gli altri progetti firmati da Locomalito. Ma torniamo a Cursed Castilla e al suo feeling con il passato, che emerge chiaramente non appena si avvia il gioco tramite le nostalgiche scritte "Rom Ok" e "Ram Ok", seguite dall'immancabile griglia bianca su sfondo nero. I rimandi al mondo degli arcade sono palesi, così come la chiara ispirazione che Cursed Castilla trae dagli indimenticabili Ghosts'n Goblins o Rastan. Se avete avuto la fortuna di buttare via centinaia di gettoni nel tentativo di salvare la vostra bella rapita da Astaroth, saprete quindi perfettamente anche cosa vi aspetta in Cursed Castilla, tra salti su piattaforme ed innumerevoli nemici da far fuori a colpi di spada. Il protagonista del gioco è un cavaliere di nome Don Ramiro, impegnato nella lotta contro i demoni che, dopo essere stati liberati dalle lacrime di una giovane strega, popolano le maledette lande di Tolomera. Il cammino del prode eroe è infestato da ogni genere di creatura, dai più classici zombie ai cavalieri senza testa, dagli scheletri alle manticore, ma i castelli e le grotte non sono popolati solo da esseri mostruosi, ma pullulano anche di scrigni ricchi di bottini, salsicciotti per recuperare un po' di vita, fate blu che aiutano ad abbattere i nemici o, ancora, le immancabili armi come spade, bolas, asce o bombe. L'esplorazione assume dunque un ruolo chiave in Cursed Castilla, anche a costo di morire per l'ennesima volta: il sapiente level design e gli stage che si sviluppano sia in orizzontale che in verticale spingono il giocatore a scoprire ogni passaggio, a trovare un nuovo segreto o magari qualcosa che lo possa rendere invulnerabile ai nemici e ai loro colpi che riempiono tutto lo schermo.Letteralmente.
    Nella più classica delle tradizioni arcade, anche Cursed Castilla causa vari travasi di bile e scatti d'ira: il livello di difficoltà non è certamente dei più abbordabili, mano a mano che si avanza negli otto stage e si affrontano i circa venti boss la situazione si fa veramente complicata e, nonostante servano circa due ore per portare a termine l'avventura, fidatevi quando vi diciamo che il tempo richiesto si allunga sensibilmente a causa delle continue morti. Cursed Castilla è un gioco sì difficile, ma non è per nulla scorretto ed a differenza dei vari Ery's Action o Cat Mario, con un'attenta osservazione dei pattern d'attacco, con il calcolo della traiettoria dei colpi e con l'allenamento dei riflessi si è sempre in grado di avanzare fra le terre di Tolomera. In ogni caso, il tasso di sfida esagerato ed il senso di frustrazione che si ha nel compiere per decine e decine di volte sempre gli stessi livelli, temiamo possano allontanare una buona parte dell'utenza: per fortuna Locomalito ha reso più abbordabile e moderna la sua creatura e così, differentemente da quanto accadeva in Ghosts'n Goblins, le vite passano da due a tre, ma soprattutto sono stati introdotti i salvataggi ed il sistema di checkpoint che non obbligano a rifare da capo sezioni di gioco già affrontate. Vi sono poi altri ritocchi che hanno reso Cursed Castilla un titolo decisamente più contemporaneo: nel menù delle opzioni, oltre a poter scegliere fra sei modalità video diverse - anche a tutto schermo o con le vecchie bande nere laterali - tutti i comandi sono rimappabili, siano essi quelli della tastiera, oppure i bottoni del pad, come nel nostro caso che ci siamo affidati a quello del Xbox One, immediatamente riconosciuto dal gioco. Forse sarebbe stato chiedere troppo e probabilmente questa introduzione avrebbe snaturato le radici di Cursed Castilla, ma a nostro vedere l'introduzione della cooperativa a due giocatori avrebbe potuto dare al titolo una marcia in più.
    Cursed Castilla è sì un tributo al passato, ma ridurlo ad un mero clone di ciò che furono Ghost'n Goblins et similia risulta una terribile banalizzazione, perché il titolo ha un'anima tutta sua e non brilla affatto di luce riflessa. La mitologia a cui Locomalito si è ispirato è quella della sua terra, precisamente quella contenuta nell'Amadigi di Gaula, un romanzo cavalleresco molto in voga nella penisola iberica durante il XVI secolo e che esalta nelle sue pagine la figura del cavaliere errante, esattamente come Don Rodrigo, non un semplice figlio bastardo dell'Arthur di Ghosts'n Goblins. Il lavoro svolto per dare a Cursed Castilla una sua personalità è stato davvero encomiabile e lo stesso developer ha dichiarato in più interviste come tutto ciò che si vede nel suo prodotto è frutto di ricerche su testi, libri, film come Ivanhoe o El Cid, miti che hanno dato vita ad un vero e proprio bestiario illustrato contenuto nel gioco, dove sono scritte tutte le informazioni e le leggende nascoste dietro alle creature che si incontrano in Tolomera. Queste ispirazioni hanno influito pesantemente sull'universo a 16bit di Cursed Castilla, dove la pixel art si mette al servizio di un'atmosfera dark, cupa e piena di rimandi al tardo medioevo spagnolo, dove l'inquisizione dipingeva un mondo truce, sanguinolento e preda del male. Il livello di cura riposto in Cursed Castilla passa anche per la sua colonna sonora, ideata e composta da Javier Garcia, alias Gryzor87, da sempre spalla di Locomalito, che per dare alle sue tracce un vero gusto retrò, ha emulato il chip Yamaha YM2203, dando così al gioco quella musica chiptune tanto cara agli amanti degli arcade anni '80. Chiudiamo la nostra analisi con una voluta provocazione: sarà capace Cursed Castilla di avvicinare le nuove leve ad un epoca così lontana da loro, non solo in termini di anni, ma soprattutto di gusto e di genere? I salvataggi ed i checkpoint fanno certamente la loro parte, ma il lato pessimista ci porta a pensare che il lavoro di Locomalito &Co verrà tanto apprezzato dai nostalgici attempati, quanto velocemente dimenticato - o peggio ancora ignorato - dai giocatori più giovani.

Moto Racer 4

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Guida arcade

  • Sviluppatore:Artefacts Studios

  • Data uscita:4 novembre 2016

     

     

    Moto Racer è un brand che alcuni di voi probabilmente ricorderanno: i primi due capitoli sono stati autentiche pietre miliari del racing arcade a due ruote su PC e Playstation. Dopo ben 8 anni di assenza dall'ultimo capitolo, Moto Racer si dichiara pronto a tornare a fare breccia nel cuore di videogiocatori. Ovviamente "tra il dire e il fare c'è di mezzo e il e una rondella non fa primavera" citava Elio e le Storie Tese, ma questo è un altro discorso. 
    Dopo il fallimento di Delphine Software International, gli sviluppatori della serie, il marchio è passato nelle mani di un altro team francese, gli Artefacts Studio, che rilasciarono Moto Racer DS, discretamente ricevuto da critica e pubblico. Dopo questo capitolo, la serie si è presa una pausa piuttosto lunga, fino all'anno corrente, quando il publisher Microids ha annunciato a sorpresa che a distanza di pochi mesi sarebbe uscito Moto Racer 4.
    Moto Racer è una serie che si è sempre fatta amare per la sensazione di velocità che riesce a offrire ai propri giocatori, e anche in questo caso ciò rappresenta il punto di forza di Moto Racer 4. La velocità non viene interrotta quasi mai, riuscendo a essere adrenalinico al punto giusto; i controlli sono anch'essi semplici e di facile intuizione: con i quattro pulsanti principali potremo effettuare un’impennata (che attiverà anche il turbo, rendendoci temporaneamente ancora più veloci), sterzare in curva, sbandare (una tecnica per far cadere gli avversari dalle loro moto, che fornisce al gioco l’aggressività tipica dei titoli arcade) ed effettuare dei tricks a mezz'aria (usabili solo con le moto Dirt, ci garantiranno punti stile e, se atterreremo con entrambe le ruote correttamente, ci fornirà anche un piccolo turbo). Possiamo scegliere tra 10 piloti (solamente 3 disponibili all'inizio, gli altri 7 andranno sbloccati durante la carriera) tutti diversi e con caratteristiche di corsa diverse, e avremo la possibilità di migliorarli raccogliendo il giusto numero di punti stile durante gli eventi della carriera. E’ inoltre possibile personalizzare la potenza del turbo, con relativo tempo di ricarica. Sfortunatamente, dopo questo inizio promettente, dobbiamo constatare però che i pregi del gioco finiscono qui.
    I problemi, in effetti, iniziano non appena selezioniamo l'evento carriera desiderato. La scelta della difficoltà non è immediatamente intuitiva e ci è voluto un po’ di tempo per capire subito come funzionasse. Cercheremo di spiegare più dettagliatamente i problemi: dopo la selezione, ci apparirà una schermata che indicherà il numero di stelle con relativo obiettivo da raggiungere; solitamente questo significa che, per esempio, se riuscissimo ad arrivare primi otterremmo tre stelle, di conseguenza due stelle se arrivassimo secondi e una soltanto se terzi, ma non è questo il caso di Moto Racer 4, dove le stelle rappresentano la difficoltà dell'IA o dell’evento in questione, e l’obiettivo semplicemente lo standard per superarle. Ma non è finita qui: se fallissimo nel nostro intento, concludendo malamente o ritirandoci prima della fine, non solo non riceveremmo stelle, ma ci verrebbero assegnate stelle “negative”, togliendo punti al conteggio finale. Questo succederà anche se, per esempio, abbiamo già ottenuto due stelle ma falliremo nell'ottenerne tre in quello stesso evento: le due stelle ci verranno sottratte, avendo al loro posto 3 stelle negative. Ci sembra una punizione eccessivamente severa, considerato che il numero di stelle è anche importante per poter sbloccare altri livelli della carriera, anche perché ciò obbliga i giocatori a completare nuovamente l’evento per poter riottenere le stelle.
    Constatiamo inoltre diversi problemi nel bilanciamento della difficoltà: se a una stella gli eventi sono (giustamente) molto semplici, già a partire dalle due stelle l'IA diventa incredibilmente molto più feroce, e ogni nostro piccolo errore sarà punito severamente. Sembra che gli sviluppatori si siano accorti del problema, infatti è uscita una patch che aggiusta la difficoltà delle due e tre stelle, solo per i primi 3 capitoli: ma non sono riusciti a fare bene nemmeno questo. Le tre stelle sono infatti diventate fin troppo semplici da ottenere durante i vari eventi. Ci è sembrato un tentativo goffo di aggiustare il buco, riuscendo semplicemente ad allargarlo, evidenziando ulteriormente il problema; passati al quarto capitolo, l'IA torna esattamente come prima, facendoci chiedere quale fosse quindi il senso di questa patch. Ma i problemi del gioco non si trovano soltanto nei problemi di difficoltà: il gioco è tecnicamente scadente. Non è infatti assolutamente gradevole da vedere: gli scenari appaiono monotoni e poco ispirati, vi è una quasi totale assenza di dettagli e ci sono seri problemi nella fisica delle moto e dei terreni; ci è capitato più di una volta di venire catapultati in aria, una volta riatterrati sul terreno, senza che vi fosse un apparente motivo, o di vedere la nostra moto comicamente venire sommersa in alcune parti di terreno non programmate a dovere (pezzi di sabbia o di terreno erboso in cui si può correre attraverso, per esempio). Tutto questo nonostante Moto Racer 4 utilizzi l'Unreal Engine 4, quando ci sono titoli budget che hanno un aspetto molto più gradevole. Vi sono perfino problemi di ottimizzazione: nella versione PC provata da noi ci sono evidenti problemi di lag e stuttering, perfino impostando tutto al minimo; essendo, come già sottolineato, tecnicamente scadente è l'ennesima evidente prova che qualcosa è andato storto durante la programmazione di questo gioco.

RollerCoaster Tycoon World

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gestionale

  • Data uscita:30 marzo 2016 (Early Access)

     

     

     

    RollerCoaster Tycoon Wolrd partiva con due grossi svantaggi. Come prima cosa, il peridio di incubazione passato all'interno del programma di Early Access di Steam non è stato dei più fortunati per il gestionale a tema parco divertimenti sviluppato da Nvizzio Creations e pubblicato da Atari, subissato per lo più da sette mesi di critiche per una scarsa ottimizzazione e per i pochi contenuti. In secondo luogo, la finestra di rilascio forse andava studiata meglio, in quanto RollerCoaster Tycoon Wolrd è stato pubblicato praticamente in contemporanea con Planet Coaster, il rivale nel genere, che sin dalla sua presentazione aveva riscosso non pochi consensi, identificandosi come degno erede della stirpe iniziata con Theme Park. Se a questo aggiungiamo il nuovo corso intrapreso da Atari, ben lontana dai suoi passati fasti, il compito per RollerCoaster Tycoon Wolrd non era certo dei più semplici. Il titolo è riuscito invece a mettere a tacere i campanelli di allarme e a far ricredere i molti detrattori con contenuti di qualità ed una veste grafica tirata a lucido? Purtroppo, in buona parte no.
    Se il buongiorno si vede dal mattino, il risveglio con RollerCoaster Tycoon Wolrd non è proprio dei migliori e appena dopo l'avvio del gioco si viene accolti da un breve filmato ben poco entusiasmante e da un menù di gioco che, oltre a presentare inspiegabili rallentamenti iniziali, di certo non spicca per bellezza, cura e modernità. Soprattutto questo senso di trovarsi davanti a un titolo che ben poco ha da spartire con quelli usciti di recente, fra cui inseriamo anche Planet Coaster, pervade da cima a fondo il progetto di Nvizzio Creations. Dopo qualche click a vuoto, dal menù iniziale è possibile accedere alle due modalità di gioco principale, oltre che ai contenuti creati dalla community su Steam che, se supporterà in modo adeguato RollerCoaster Tycoon Wolrd, di certo si rivelerà un prezioso alleato nell'apporto di nuove strutture ed attrazioni. La modalità storia è divisa in cinque scenari, che spaziano da ambienti forestali ai territori desertici o, ancora, a quelli lacustri. Ogni scenario è composto a sua volta da più missioni, dove inizialmente si apprendono le meccaniche di base, come costruire una rete stradale, le funzioni degli edifici del personale o la gestione economica, fino ad arrivare a compiti più complicati, con richieste da parte della dirigenza di rimettere in sesto una situazione drammatica. Nei primi passi, non manca ovviamente il tutorial inerente alla costruzione delle montagne russe, dove si apprendono tutti i trucchi del mestiere da applicare poi nella modalità sandbox, dove non si hanno limiti al denaro e si può dare libero corso alla fantasia. Senza girarci troppo attorno, l'editor è di certo una delle parti meglio riuscite di RollerCoaster Tycoon Wolrd e senza troppe complicazioni, dopo aver imparato la differenza fra i binari stardard, quelli dotati di motori per far scivolare in avanti le carrozze e quelli con i freni, si è subito in grado, un click alla volta, di dare vita a percorsi estremi e adrenalinici. Nvizzio Creations ha prediletto un approccio decisamente arcade in questa fase e l'editor si contraddistingue per la sua semplicità, ma anche per la sua buona dose di elementi su cui lavorare, tra giri della morte, avvitamenti e cadute libere, senza dimenticare poi i tratti estetici, come il colore delle carrozze o dei piloni di sostegno. Come per Planet Coaster, anche qua vi è la possibilità di affidarsi all'autocompletamento, cliccando sull'attacco finale della stazione: purtroppo lo strumento non si è rivelato molto efficace, dato che l'IA non sempre è capace di elaborare un percorso e quindi si è prima costretti a vari tentativi di aggiustamento.
    Oltre alla modalità storia, RollerCoaster Tycoon Wolrd mette a disposizione del giocatore anche le classiche partite sandbox, da affrontare con budget illimitato e con tutte le attrazioni già sbloccate, oppure quelle più votate allo spirito manageriale, dove occorre tener sempre sott'occhio i conti per non rischiare di finire in rosso. Proprio in questo ultimo caso, RollerCoaster Tycoon Wolrd presta maggiormente il fianco alle critiche, mettendo in scena un lato gestionale debole e puntellato da tante criticità che rendono l'esperienza alle volte anche frustrante. Lo diciamo fin da subito: il vomito, l'urina, la sporcizia e qualsivoglia altro rigetto non coprono più ogni centimetro del parco come accadeva nei primi mesi di accesso anticipato, e l'autonomia del pubblico prima di espellere dal suo corpo qualche fluido supera perlomeno i tre minuti. Con la crescita del parco, arriva un certo momento in cui non si può però più fare a meno di spazzini o meccanici, esattamente con gli stessi compiti dei loro cugini di Planet Coaster ma con una gestione poco amichevole, visto che non sono più reclutabili da un pannello riassuntivo, ma devono essere prima costruiti degli appositi alloggi - che risaltano ben poco quando il parco cresce - in cui poi ingaggiare i vari dipendenti che occorre inoltre spostare manualmente per lo scenario quando si vuole intervenire celermente. Questo è solo uno dei tanti esempi della poca funzionalità di molti aspetti gestionali di RollerCoaster Tycoon Wolrd: quando si piazza una giostra non si apre immediatamente il menù ad essa collegato dove, passo dopo passo, si posizionano l'entrata, l'uscita e si traccia la fila ma, oltre al fatto che i due punti sono già prestabiliti, si è costretti ad uno spreco di click per passare al menù delle strade, dove prima selezionare e poi tracciare i due percorsi. Un altro caso lampante è quello dei pensieri del pubblico, l'indicatore più chiaro per capire se stiamo dando la giusta direzione al parco oppure se il malcontento striscia fra gli utenti. Purtroppo l'indicatore non è invece così chiaro, perché Nvizzio Creations si è dimenticata di evidenziare in rosso ed in verde le opinioni negative e quelle positive, costringendo così il giocatore a lungi scroll e ad una lettura puntuale di tutti i pensieri. RollerCoaster Tycoon Wolrd non ha però solo punti deboli: l'interfaccia di gioco è stata ben ideata dal team di sviluppo, visivamente non brilla per una estetica accattivante o per la sua modernità, ma di certo risulta di facile lettura, ben dettagliata ed orientarsi fra gli investimenti per la ricerca di nuove attrattive e il bollettino delle entrate e delle uscite collegate ai servizi e alle giostre non è affatto un'ardua impresa. L'impresa ardua è invece ben altra ed è la gestione economica del parco, le cui casse languono spesso e volentieri e dove gli introiti crescono con tanta lentezza da rendere l'espansione del parco praticamente impossibile. Il costo dei biglietti delle singole giostre è infatti irrisorio e se si prova ad alzarlo anche di pochi spiccioli, la gente inizia a lamentarsi, protestando che non salirà mai più su quella attrazione. Lo stesso discorso vale anche per i ristoranti e i negozi di souvenir. La soluzione più logica sarebbe quella di avere più strutture all'interno del parco, in modo tale da applicare delle economie di scala, ma ovviamente ogni nuova costruzione ha un suo costo e questo rende impossibile l'operazione. La soluzione è infine solo una: uscire da questa modalità ed iniziare una nuova partita senza limitazioni al budget, ma questo è un vero peccato e si perdono del tutto il senso di progressione e la soddisfazione che si prova quando si riesce a costruire una nuova ed enorme montagna russa.
    L'analisi di RollerCoaster Tycoon Wolrd è vissuta finora di alti e bassi, ma dove il titolo sviluppato da Nvizzio Creations non è in alcun modo capace di risollevarsi è il comparto grafico. Se messo al confronto con le prime versioni in accesso anticipato, le migliorie ci sono certamente state e il frame rate è ora tale da rendere il titolo per lo meno giocabile, anche se non sono del tutto spariti i rallentamenti dovuti all'affollamento delle strade del parco, con figure umane che si muovono con evidenti scatti. Questa situazione non contribuisce certamente a migliorare il colpo d'occhio dato dal parco, le cui giostre, servizi e tutto ciò che dovrebbe aiutare l'estetica soffre di un basso livello di dettagli e di un accentuato aliasing. Non mancano poi momenti in cui il flickering diventa parecchio fastidioso, come quando si posizionano le giostre o si tirano la strade. Scendendo al livello della strada, il confronto con Planet Coaster diventa poi ancora più impietoso e ci si accorge di una cura per i particolari molto approssimativa. Quando si utilizza la telecamera delle giostre si nota ad esempio la mancanza di svariate animazioni, con i visitatori che scompaiono per un attimo per poi ricomparire seduti sui seggiolini. Nel momento in cui parte poi la giostra, gli uomini, le donne ed i bambini hanno la stessa espressività di una statua di gesso e il fatto che manchino praticamente tutti gli effetti audio, sia quelli delle parti meccaniche sia le grida e le risate del pubblico, rende ancora più piatta e priva di immersività la visione. L'elenco potrebbe andare avanti all'infinito, con persone che girano su loro stesse perché finite in un vicolo cieco o che si acquistano un pasto senza fare un gesto o movimento. Con il comparto audio, il risultato non cambia in alcun modo e le uniche musiche capaci di salvarsi sono quelle collegate alle singole attrazioni, mentre il tema principale scorre via senza lasciare traccia di sé. Infine, come già accennato in precedenza, gli effetti audio lasciano molto a desiderare e il parallelo con quelli presenti in Planet Coaster appare impietoso.