Ethero

sabato 31 gennaio 2015

Clandestine

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Logic Artists

  • Data uscita:30 ottobre 2014 Early Access

     

     

    Qualche anno fa usciva sul mercato eXperience 112, titolo sostanzialmente in seconda persona in cui il giocatore doveva guidare quello che in realtà era il personaggio principale, governato dalla IA, dicendogli dove andare e quale strada prendere. E’ un po’ quello che succede anche in qualche spezzone di gioco di Watch Dogs, dove il giocatore si ritrova a guidare un determinato personaggio attraverso una schiera di nemici pronti a fargli la pelle. Citiamo questi due esempi perché il titolo di cui ci accingiamo a parlare, ovvero Clandestine, di Logic Artists, sviluppa ancora di più questa particolare dinamica. Scopriamo allora cosa ha da offrire questo progetto PC attualmente in early access, e proposto su Steam a € 26,99.

    La differenza tra Clandestine e i due titoli citati in precedenza risiede sostanzialmente nella sua modalità cooperativa: se in eXperience 112 era la IA che rispondeva alle nostre indicazioni, nel titolo Logic Artists sarà possibile vivere l’avventura con un proprio amico. In buona sostanza, un giocatore farà la parte dell’hacker Martin, sempre pronto a disattivare allarmi e telecamere, mentre l’altro vestirà i panni dell’agente sul campo, chiamata Katja.
    In verità, in teoria il titolo offre la possibilità di giocare anche in singolo, permettendo al giocatore di passare da un ruolo all’altro grazie alla pressione del tasto H. Nella fase iniziale di tutorial, in effetti, il gioco obbligherà a rivestire sia i panni dell’hacker che dell’operativo di modo da comprendere le nozioni di gioco necessarie. Questo ci dà l’opportunità concreta di parlare del modo in cui è strutturato attualmente Clandestine, ricordando sempre che il titolo nel momento in cui scriviamo è giunto alla versione 0.1.1, quindi totalmente inadatto a essere giudicato in modo definitivo. In buona sostanza, impersonando l’hacker la schermata di gioco sarà divisa in quattro finestre: in alto a destra avremo una visuale di ciò che sta vedendo l’altro giocatore, o alternativamente la visuale data dalle varie telecamere selezionate (e la possibilità di disattivarle); in basso a destra verrà visualizzata una mappa dell’ambiente, con l’indicazione di allarmi, telecamere e nemici. Sul lato sinistro dello schermo, invece, avremo probabilmente il riquadro più importante, ovvero quello relativo alla mappatura della rete del sistema di sicurezza da hackerare. Cliccando su un elemento in questo reticolo, come ad esempio una porta, infatti, si aprirà una schermata in cui sarà possibile ottenere il codice per sbloccare la porta stessa. Una volta fatto ciò, l’operativo sul campo potrà procedere a inserire il codice, aprire la porta e andare avanti.
    E’ dunque possibile giocare a Clandestine in singolo, sebbene ciò allunghi di molto l’esperienza di gioco: il bello del titolo proposto da Logic Artists, però, in un certo senso sta nella possibilità di giocare a fare gli agenti segreti insieme a un proprio amico, e perciò la cooperativa sembra essere l’opzione di gioco migliore già da questa fase di sviluppo. Quello che dovrà fare l’hacker, dunque, sarà dare una chiara descrizione della situazione all’operativo, che dal canto suo dovrà saper sporcarsi le mani quando serve. Il giocatore che impersona questo ruolo, infatti, sarà protagonista di un’esperienza tutto sommato classica da shooter in terza persona; il gioco, in questo senso, vira verso dinamiche maggiormente stealth, visto che converrà sempre agire cercando di non essere visti, anche nel momento in cui l’hacker avesse aggirato telecamere e sistemi di sicurezza vari. Prendendo il controllo di Katja assume una certa importanza poi la gestione dell’equipaggiamento: al momento è possibile scegliere tra tre pistole silenziate, due tipi di munizioni e vari ammennicoli come granate accecanti e disturbatori di frequenze radio. Anche l’abbigliamento dell’agente cambierà l’approccio dei nemici: scegliendo una mise più informale, ad esempio, si avrà meno protezione ma una maggiore probabilità di essere scambiati per semplici civili.
    Abbiamo detto che il gioco è in pieno sviluppo, e i giocatori di Clandestine che dovessero impersonare l’agente sul campo comprenderanno subito come il titolo in questione sia ben lontano dall’essere ultimato. Per prima cosa, si nota una pesantezza complessiva che risulta immotivata in confronto alla resa grafica attuale del gioco, il che restituisce un’esperienza piena di scatti, lag nei comandi, e complessiva imprecisione nell’interazione con nemici e oggetti. Attualmente, dunque, è abbastanza complicato vestire i panni di Katja, considerato anche che il titolo è abbastanza punitivo, e che basterà poco ai nemici per metterci fuori gioco una volta coinvolti in uno scontro a fuoco.
    In ogni caso, la versione finale del gioco conterrà una storyline formata da differenti missioni: al momento, però, gli sviluppatori hanno pensato di offrire ai giocatori quattro mappe di gioco prive di un filo narrativo comune, in cui è possibile lanciarsi tre differenti operazioni; la prima, chiamata Cleaner, consiste nel mettere a tappeto tutti i nemici presenti nell’area di gioco, mentre la seconda, Exfil, ci vedrà costretti alla fuga braccati da nemici messi in allerta dagli allarmi scattati su tutta la mappa. La terza opzione, infine, Smash & Grab, ci vedrà intenti a recuperare informazioni e documenti nel modo più efficiente possibile.
    Evidentemente non è l’aspetto grafico il fattore di forza di Clandestine, almeno non per il momento. Questa è l’impressione che dà il titolo fin dalle prime schermate di gioco, che mostrano una certa povertà soprattutto nella realizzazione dei modelli poligonali dei vari personaggi e oggetti. In ogni caso è giusto ricordare come non si stia parlando di una produzione di alto livello dal punto di vista del budget, e d’altro canto il titolo ha davanti a sé ancora un lungo periodo di sviluppo.
    Nulla da dire per quanto riguarda il comparto audio, che per adesso si segnala solo per alcune musiche di accompagnamento.

Dragon Ball Xenoverse

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Picchiaduro

  • Sviluppatore:Dimps

  • Data uscita:5 febbraio 2015 Giappone - 27 febbraio 2015

     

     

    Quando pensiamo ai videogiochi di Dragon Ball, i nostri ricordi di giocatore ci rimandano alla serie Budokai Tenkaichi, che con il secondo e terzo episodio portarono la saga di picchiaduro legata all'opera di Akira Toriyama a un livello tutt'oggi ineguagliato. Così, ogni volta che viene annunciato un nuovo gioco di Dragon Ball, si prova un misto di scetticismo e speranza. Riuscirà il gioco ad avvicinarsi alla qualità dei vecchi titoli? Ci saranno delle novità degne di nota? Queste domande ci rimbalzano nella testa per mesi e, visti i risultati degli ultimi due giochi della serie, le risposte appaiono sempre meno scontate.
    Namco Bandai lo sa bene, ed è perfettamente conscia del fatto che, di questi tempi, i fan stanno diventando sempre più esigenti nei confronti di una serie riproposta in tutte le salse. Così, con Dragon Ball Xenoverse gli sviluppatori hanno puntato a qualcosa di leggermente diverso dal solito, con una modalità storia orientata al fan service e un gameplay sensibilmente migliorato rispetto ai più recenti capitoli.
    L’intero impianto narrativo di Xenoverse si basa sulla misteriosa presenza di fratture temporali, che stanno alterando alcuni eventi cruciali del passato per modificare il presente. Chi sia l’artefice di ciò non ci è dato saperlo, ma il sommo kaioshin è determinato a riportare tutto alla normalità spingendo varie “pattuglie temporali” a tornare indietro nel passato per ripristinare la corretta linea temporale.
    Così, in Dragon Ball Xenoverse interpretiamo un eroe riportato in vita e spinto a viaggiare nel tempo per raggiungere le fratture nel continuum e rimettere a posto le cose. A suon di pugni e onde energetiche, ovviamente.
    Il gioco inizia con la creazione del personaggio, e con la conseguente possibilità di scegliere tra cinque diverse razze: Majin, Sayan, Terrestre, Namecciano, e Clan di Freezer. Ogni razza si differenzia dalle altre in termini di bilanciamento, e le razze che prevedono la distinzione tra sesso maschile e femminile presentano a loro volta un’ulteriore suddivisione tra le abilità di uomini e donne. In breve, la scelta del giocatore influenza in maniera significativa il gameplay, e i personaggi possono essere ulteriormente personalizzati tramite alcune opzioni per ottenere degli eroi pressoché unici.
    Una volta “rinati”, ci ritroviamo nella tecnologica città di Toki Toki City, in prossimità del Serpentone, che funge da hub per le nostre incursioni nel tempo, per la compravendita di oggetti e abbigliamento, per il crafting e, naturalmente, per tutte le modalità multiplayer e single player presenti nel gioco. Durante il nostro test non abbiamo avuto l’opportunità di testare le componenti multigiocatore, ma abbiamo potuto verificare con mano le modalità principali per giocatore singolo. In modalità storia, come detto, possiamo spostarci attraverso alcuni eventi cruciali della saga di Dragon Ball, modificati quel tanto che basta da rendere apocalittico il presente. In breve, il giocatore può accedere ad alcuni dei momenti più emblematici della saga di Dragon Ball, ricostruiti in Xenoverse in maniera davvero efficace e capaci di fare rivivere nel giocatore tanti bei ricordi. Non vi rovineremo la sorpresa, ma se avete passato tanti pomeriggi davanti alla televisione per guardare Dragon Ball Z, Xenoverse porterà a galla un sacco di momenti della vostra gioventù.
    Uno dei problemi di Dragon Ball Z: Battle of Z era costituito dallo scellerato sistema di parata che rendeva i personaggi pressoché invincibili. Ecco, questo aspetto è sparito in Dragon Ball Xenoverse grazie alla possibilità di effettuare una mossa caricata che rompe le difese avversarie, oltre alla possibilità di teletrasportarsi alle spalle del nemico per penetrare la sua guardia. Viceversa, è possibile spezzare le combo avversarie con una semplice mossa, mentre la parata può dare luogo a un contrattacco se attivata in una brevissima finestra temporale. Così, in Dragon Ball Xenoverse il combattimento risulta immediatamente più intenso e divertente oltre che più tecnico, e vi sono sequenze in cui le nostre abilità vengono messe a dura prova vista la necessità di dosare i propri colpi speciali, che consumano aura.
    L’intelligenza artificiale del gioco non sembra particolarmente preoccupante, e di conseguenza gli sviluppatori hanno pensato di metterci costantemente in inferiorità numerica nel corso dell’avventura. In questi momenti è necessario studiare la situazione ed evitare di trovarsi colpiti su più fronti. Da questo punto di vista, abbiamo avuto qualche grattacapo con il sistema di targeting, che spesso si sgancia dal nostro nemico se questi si allontana troppo, impendendoci di ritrovarlo quando siamo attorniati da dieci o più avversari. Inoltre, da segnalare una certa macchinosità in alcune azioni nelle parti free roaming del gioco, che ci hanno fatto brancolare nel buio anche a causa delle spiegazioni poco chiare presenti nel tutorial. Questi problemi, verosimilmente, non saranno risolti nella versione definitiva del gioco dato che la build a nostra disposizione era pressoché completa.

War The Game


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Data uscita:12 maggio 2014

     

     

    Dopo l'uscita del primo, l'ormai mitico Dune II di Westwood Studios del 1992, di strategici in tempo reale ne abbiamo visti di ogni tipo e ambientazione, su computer e non solo. Sono tantissimi quelli che hanno fatto la storia, da Warcraft e Stacraft di Blizzard sino ai vari Command & Conquer e Total War, tanto che sono in molti quelli che ritengono che il genere abbia da tempo dato il meglio di sé. War, The Game è stato appositamente progettato per sconfiggere questa convinzione.

    Tra ibridi di varia natura e l'infinità dei teatri di guerra più o meno realistici riproducibili in un videogioco la domanda per gli RTS non è mai venuta meno e, se il sottoscritto in particolare negli anni ha imparato ad apprezzare vastità e complessità dei titoli sfornati senza soluzione di continuità da Paradox Interactive (Europa Universalis e i suoi derivati, da Hearts of Iron a Crusader Kings), ormai ne abbiamo visti di ogni sorta, dai medievali ai moderni sino ai fantasy e ai fantascientifici. Non stupisce perciò che il fenomeno indie si stia prodigando nel fornire numerosi nuovi spunti, votati più a offrire qualcosa di diverso piuttosto che l'ennesima variante sul tema.
    Uno di questi è partito da Obbe Vermeij, sviluppatore olandese con ampi trascorsi in Rockstar tanto da essere uno di coloro che già ci lavoravano quando ancora era una piccola realtà e si chiamava DMA Design, ovvero ben prima che Grand Theft Auto diventasse quel campione d'incassi capace di far inferocire interi eserciti di ipocriti che oggi conosciamo.
    Fatta una barca un di soldi con la madre di tutte le saghe di videogiochi dunque costui ha deciso di abbandonare il suo ruolo per dedicarsi al gioco che ha sempre desiderato, stimolato da un'idea che non ha mai visto realizzare: un wargame dalle basi estremamente semplici ma che al contempo fornisca un campo di battaglia grande quanto l'intero pianeta Terra, essendo quindi in grado di simulare interi conflitti mondiali senza però diventare un mattone di microgestione e soprattutto scombini lo status quo in termini di gameplay, da sempre basato sulla morra cinese con decine quando non centinaia di unità che seguono tutte un rapporto di forze attuato secondo il principio pietra-carta-forbice, risultando imbattibili contro alcune e inoffensive contro altre.

    Per fare questo Vermeij ha innanzitutto ridotto ai minimi termini il numero di unità, portandolo a sole sette tipologie: fanteria, carri armati, caccia, bombardieri, fregate, portaerei e navi da trasporto, otto se consideriamo le spesso controproducenti bombe atomiche. Queste infatti offrono un grado di simulazione sufficientemente fedele per un videogioco che voglia riprodurre tutte le possibili situazioni della guerra moderna pur mantenendo la maggiore semplicità possibile. Altro elemento di stacco riguarda poi il bilanciamento: non è assolutamente scontato che un'unità di carri armati ne faccia a pezzi una di fanteria, specie se questa sta difendendo una città entro la quale riceve un bonus del doppio della difesa, rendendo gli assedi estremamente dispendiosi sia in termini di uomini che di risorse, esattamente come la storia ci ha insegnato.
    Quello che invece conta è il numero di unità che si confrontano in battaglia, tanto che durante il loro svolgersi compare un grafico a torta che mostra i rapporti di forze in campo rendendo estremamente chiaro chi vincerà a meno che non sia in una situazione di stallo che porterà le unità ad annientarsi a vicenda a meno di non fare arrivare rinforzi entro tempo utile, cioè prima che lo faccia il nemico. L'assoluta trasparenza è infatti il concetto cardine con il quale il gameplay è stato sviluppato, rendendo ogni azione e reazione unicamente dipendente dalle capacità tattiche del giocatore che, se verrà sconfitto, oltre a potersela prendere solo con se stesso, potrà sempre capire dove ha sbagliato e quindi ricominciare dall'ultimo salvataggio cercando di correggere i propri errori.
    Queste insomma le idee alla base di War, The Game: per metterle in pratica altro non serve che una mappa. Come detto questa riproduce l'intero pianeta, suddiviso in stati dai confini definiti ognuno con le proprie città principali, da Baghdad sino a San Francisco. La caratteristica più peculiare di questa mappa, come del resto vedete dalle immagini, non è certo il dettaglio grafico ma essere un planisfero estremamente preciso così che le distanze tra i suoi punti siano riprodotte quanto più precisamente possibile. Oltre alla tridimensionalità altra caratteristica della mappa è quella di non celare nulla e di non prevedere alcuna suddivisione in caselle. Tutte le unità in gioco vengono dunque visualizzate (il punto non è vederle, ma capire qual è il loro obiettivo) e possono muoversi liberamente su di essa, seguendo percorsi trigonometrici a velocità differenti. È proprio questo l'aspetto cardine dell'intero gioco: considerare i tempi di trasferimento delle proprie truppe è essenziale perché queste non vengano sopraffatte in battaglia, come detto essenzialmente decise dal numero di unità coinvoltevi: se per esempio vogliamo attaccare una città nemica è essenziale coordinare i movimenti di unità differenti in modo che arrivino ad attaccare congiuntamente, perché iniziare in palese inferiorità numerica potrebbe portare all'irrimediabile sconfitta. Il fatto che non sia prevista alcun sistema di pianificazione per programmare la tempistica degli attacchi (come avviene nei citati titoli Paradox, per esempio) rende le cose estremamente semplici ma anche dannatamente difficili, e se da un lato è vero che è possibile unire unità di tipo differente in plotoni è anche vero che questo costringerà i mezzi corazzati a muoversi lentamente vanificando il loro principale punto di forza, ossia appunto potersi spostare molto più velocemente della fanteria.

    Questo porta a una sorta di paradosso, perché nonostante gli esiti degli scontri dipendano totalmente dal numero di unità il gioco è in fatto in modo che sia decisamente più determinante l'abilità di utilizzo delle truppe piuttosto che il loro accumulo, come invece avviene nella maggior parte degli altri strategici. Questo rende possibile trionfare pur trovandosi in evidente inferiorità, e proprio su questo sono infatti basate le fasi più avanzate della lunga campagna che, partendo da una nuova guerra del golfo porterà sino al terzo conflitto mondiale, con Russia e Cina da una parte ed Europa e America dall'altra. In altre parole il sapiente schieramento nonché l'ideazione di imboscate, diversivi e contrattacchi conta molto di più che avere un esercito più ampio di quello avversario, perché occorre sempre mantenere la superiorità nelle singole battaglie piuttosto che nell'intero scacchiere. Queste oltretutto una volta iniziate non possono più essere interrotte (solo gli aerei possono essere ritirati, ma hanno un raggio d'azione limitato) è perciò bisogna anche fare molta attenzione su come e quando attaccare in ogni frangente, rendendo questo titolo quanto di meglio si possa chiedere sotto quest'aspetto tanto da ridicolizzare titoli decisamente più blasonati.
    War, The Game insomma è come il più diabolico stratega: a prima vista inganna nascondendo la propria sagacia con un comparto tecnico disarmante per poi mettere a segno il colpo decisivo, ossia quando, dopo aver preso un po' di confidenza, si comincia a comprendere la genialità che sta alla base della sua struttura in cui non manca nemmeno un modello economico, seppur attualmente molto semplice: ogni città produce denaro che può essere investito in nuove truppe e quindi anche il loro possesso risulta determinante. 

Resident Evil Revelations 2

  • Piattaforme:PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One

  • Genere:Survival horror

  • Sviluppatore:Capcom

  • Data uscita:24 febbraio 2015 - Primavera 2015 (PS Vita)

     

     

    Resident Evil è una serie che continua a fare discutere. Il recente lancio della versione HD del capitolo che ha dato origine a questa saga ha fatto riflettere molti giocatori in merito ai cambiamenti avvenuti nel corso degli ultimi anni, da tantissimi reputati profondamente negativi. C’è chi ha parlato di tradimento della fan base, chi di eccessive derive commerciali, chi di inevitabile involuzione. In altre parole, i sostenitori del primo Resident Evil stanno iniziando a perdere le speranze e la pazienza.
    A Capcom, tuttavia, conoscono bene il problema. Da tempo gli sviluppatori promettono un ritorno alle origini, e per tenere a bada i fan qualche anno fa si decise di riportare il gioco alle vecchie atmosfere tramite uno spin off. Una scelta discutibile, non vi è dubbio, ma che rinnovò le speranze. Questo spin off, il primo Resident Evil: Revelations, arrivò su Nintendo 3DS ottenendo un buon successo di critica e pubblico, tanto da spingere gli sviluppatori a un port su console casalinghe prima, e a un sequel poi. Così, a tre anni esatti dall’uscita del primo Revelations, eccoci alle prese con il suo seguito.
    La caratteristica principale di Revelations è data dalla presenza costante di due personaggi per ciascuna delle due storyline presenti nel gioco. La trama del gioco, collocata tra gli eventi di Resident Evil 5 e quelli di Resident Evil 6, è suddivisa in due nette metà. Nella prima la nostra eroina principale è Claire Redfield, accompagnata da Moira Burton. I due personaggi sono complementari: Claire è schematica, fredda, calcolatrice, mentre Moira è emotiva, prudente e passiva. La seconda storyline, invece, segue le vicende di Barry Burton, padre di Moira, che parte alla ricerca della figlia in quella che sembra essere una prigione dedita a esperimenti umani, e dove fa la conoscenza di una misteriosa ragazzina con un sesto senso chiamata Natalia Korda. Anche in questo caso Barry svolge il ruolo dell’eroe macho, armato fino ai denti e disposto a sacrificarsi, mentre Natalia è coraggiosa nella sua ingenuità, e capace di fare notare a Barry dei preziosi dettagli.
    Le due storie, sebbene divise nettamente tra loro, condividono lo stesso tempo e lo stesso luogo: Claire e Moira vengono rapite da misteriosi individui mascherati e si ritrovano nella prigione, mentre Barry parte alla ricerca della figlia dopo avere ricevuto il suo messaggio d’aiuto. Sembra dunque inevitabile che, presto o tardi, i parallelismi tra le due vicende si trasformeranno in punti di convergenza. La struttura episodica di Resident Evil: Revelations 2, che uscirà diviso in cinque capitoli, farà ampio uso di cliffhanger che, verosimilmente, chiuderanno la vicenda con un gran finale destinato a tirare le somme.
    Le due vicende sembrano incarnare i due aspetti contrastanti della serie Resident Evil. La vicenda di Claire è quella più vicina alla serie originale, fatta di enigmi, poche munizioni e una buona gestione delle risorse. Barry, invece, spinge il gioco verso l’azione, con una maggiore intensità degli scontri a fuoco e un numero di proiettili certamente maggiore. Anche in questo caso, però, abbiamo notato una maggiore parsimonia da parte del gioco nel fornirci le risorse adatte a proseguire, un aspetto che ci lascia intendere che - nonostante Barry - Revelations 2 sarà meno orientato all’azione rispetto agli ultimi due capitoli della saga principale.
    Il fulcro del gameplay di Revelations 2 ruota attorno al costante passaggio tra un personaggio e l’altro. Il giocatore, tramite la pressione di un pulsante, può alternarsi tra Claire e Moira o tra Barry e Natalia. Claire e Barry sono i due personaggi dediti all'eliminazione dei nemici, mentre Moira e Natalia - pur disponendo di alcune semplici abilità offensive - si dedicano alla risoluzione di enigmi e alla ricerca delle risorse. Moira, ad esempio, ha a disposizione una torcia mentre Natalia dispone di un sesto senso per individuare preziosi oggetti nascosti. Talvolta le due coppie si separano, e in alcuni momenti è necessario utilizzare un solo personaggio per accedere ad aree inaccessibili all’altro, o vi sono dei momenti in cui essere distanti è necessario per risolvere alcuni particolari puzzle ambientali. Come intuibile, è in questi momenti che il gioco offre le parti più spaventose: la presenza costante di un secondo personaggio, infatti, stempera in maniera vistosa la componente horror del gioco. Nonostante gli sviluppatori abbiano pensato di introdurre alcuni jump scare e qualche momento di vero e proprio panico, l’atmosfera generale di Revelations 2 è infinitamente meno tesa rispetto alle opere di Mikami e questo, senza dubbio alcuno, sarà uno degli aspetti più controversi del gioco.
    Nonostante la paura ridotta, il gioco non ha mancato di riservarci qualche bella sorpresa. In un’epoca che vede sempre meno giochi abbracciare la filosofia del multiplayer locale, è positiva la decisione degli sviluppatori di affidare la sua componente multigiocatore al vecchio split screen. Se, in single player, il giocatore è chiamato a passare da un personaggio all’altro per poter risolvere i misteri e proseguire, in due il gioco procede come ai vecchi tempi, con la cooperazione di entrambi i giocatori su schermo condiviso.
    Ben diverso è il discorso per la modalità Raid, che questa volta si configura come una modalità a sé stante e non più semplicemente basata sulle mappe già giocate. In Raid avremo a disposizione varie mappe in cui si genera un certo numero di zombie, da eliminare per accedere all’area successiva o per completare la missione. Uccidendo zombie si ottengono punti esperienza, che possono essere utilizzati per personalizzare il proprio personaggio. Il Raid, evidentemente votato a trasformare Resident Evil in un’esperienza più vicina agli shooter che ai survival horror, si è rivelato essere una modalità molto divertente e capace di offrire qualcosa di diverso rispetto al gioco primario. In questo caso l’esperienza è sia single player che multiplayer, e può essere fruita sia online che offline.

The Witcher 3


  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:CD Projekt

  • Data uscita:19 maggio 2015

     

     

    Varsavia - È uno dei giochi più attesi del 2015, ha subito un ritardo importante che ne ha fatto slittare l'uscita di ben tre mesi e nessuno ancora era riuscito a toccarlo con mano, almeno fino ad oggi. Stiamo ovviamente parlando di The Witcher 3: Wild Hunt, terzo capitolo della saga dello Strigo e opera che concluderà la trilogia dedicata a Geralt di Rivia.
    La notorietà del marchio è salita a dismisura negli ultimi anni e le politiche attuate da CD Projekt Red hanno fatto in modo che milioni di giocatori in tutto il mondo si appassionassero al brand, al punto tale da porre la compagnia su di un piedistallo. Una cura maniacale per il proprio prodotto, idee di distribuzione eccellenti e una qualità sempre elevata dei titoli sviluppati hanno permesso a CD Projekt di divenire una realtà enorme e consolidata in Polonia, fino a consentirgli di sviluppare quest'anno un gioco per tre diverse piattaforme contemporaneamente. Un ostacolo sicuramente non facile da superare e complesso da gestire ma le cose sembrano decisamente andare per il verso giusto, anche se qualche piccola ombra, allo stato attuale dei lavori, purtroppo, non manca.

    Il nostro primo contatto con il Lupo Bianco avviene proprio durante il prologo. Troviamo lo Strigo in compagnia di Vesemir, una sorta di figura guida per il nostro cacciatore, entrambi intenti ad addestrare una Ciri giovanissima. Un escamotage che serve a CD Projekt per introdurre il giocatore alle meccaniche classiche di gioco: salti, scalate e corsa, e poi un veloce addestramento per il combattimento. Partiamo allora proprio da questo punto e solleviamo le nostre perplessità a riguardo. In molti si sono lamentati, anche negli scorsi capitoli, di un combat system piuttosto ferruginoso e abbiamo riscontrato ancora una volta le stesse problematiche viste in passato. Le combo di colpi forti e veloci si inanellano facilmente ma è il reparto difensivo che non riesce ancora a risplendere. Il problema principale emerge proprio durante le schivate laterali, le parate e le rotolate, lente e impacciate, quasi a dipingere il nostro personaggio come un cavaliere in armatura pesante piuttosto che come un abile spadaccino veloce e pungente. Il combat system ancora non riesce a essere fluido e le hit box dei nemici, così come la fisica troppo leggera dei colpi, non risultano curate come avremmo voluto. A volte siamo riusciti a mettere a segno fendenti con la nostra lama che chiaramente non impattava sul bersaglio, mentre altri colpi che attraversavano il nemico non venivano registrati. Il tutto potrebbe essere riconducibile ovviamente a uno stato ancora non definitivo dello sviluppo ma in questo caso, e visti i precedenti, è un bene mettere le mani avanti. Non ci sono grosse differenze tra mostri di piccola taglia, come i cani randagi o le arpie, e mostri ben più enormi come i grifoni: la sensazione di non avere al 100% il controllo di quello che sta accadendo a schermo resta decisamente marcata.
    Questo problema ad ogni modo si può racchiudere in una parentesi squisitamente tecnica che speriamo verrà sistemata al più presto e sulla quale non vogliamo soffermarci ulteriormente dato che The Witcher 3: Wild Hunt, in realtà ci ha regalato in queste prime ore di gioco davvero tanto di più.
    Restando in tema di Combat System segnaliamo il ritorno in grande stile dei segni, richiamabili tramite un comodissimo inventario a ruota. Trappole che rallentano gli avversari, onde d'urto, barriere o fiammate che incendiano anche l'ambiente intorno a noi si intervallano con facilità ed estrema immediatezza ai colpi di spada, con l'aggiunta per la prima volta nella serie di una balestra ad una mano.
    Si avete letto bene, i ragazzi di CD Projekt hanno dotato lo Strigo di un'arma che stride fortemente con il background ma che in termini di gameplay aggiunge sicuramente un tassello in più. La balestra potrà sempre essere portata insieme alle due classiche spade ed estratta in qualsiasi momento per colpire mostri volanti o ingaggiare i combattimenti dalla distanza. La portata limitata tuttavia e il danno contenuto la rendono un oggetto complementare alle armi bianche e non certo sostitutivo in tutto e per tutto. Scordatevi quindi di gironzolare per il mondo di gioco sparacchiando a destra e a manca facendo piazza pulita: nonostante i proiettili infiniti riuscire ad uccidere un nemico di medie dimensioni con la sola forza della balestra sarà davvero un'impresa ardua.
    Per quanto riguarda la personalizzazione, due sono gli elementi portanti di questo terzo capitolo: un drop system di quelli piuttosto classici con equip comuni e rari da raccogliere come ricompensa delle quest o dopo le battaglie e un sistema di abilità invece rinnovato sotto molti aspetti, che vi permetterà ora, in tempo reale, di equipaggiare e togliere skill a piacimento per adattare lo Strigo alle diverse situazioni che vi si presenteranno. I menu sono di semplice comprensione e propongono una griglia con venticinque differenti abilità da sbloccare, da inserire in sedici slot.
    Queste vanno dai danni aumentati in corpo a corpo a una maggior resistenza ai colpi, passando ovviamente da capacità alchemiche migliorate fino ad arrivare a rendere più performanti anche i nuovi combattimenti sulla distanza, grazie a tecniche che rallenteranno il tempo sfruttando lo slow motion o a colpi critici assicurati.
    Abbiamo ovviamente solo scalfito la superficie di questo nuovo sistema e una prova più approfondita con la versione finale potrà dirci quanto di buono c'è in tutto questo ma le sensazioni sono indubbiamente positive, soprattutto se pensiamo che miscelare le abilità nei giusti slot potenzierà ulteriormente le nostre statistiche, attivando ulteriori bonus specifici.
    Il combattimento ad ogni modo non è tutto. Gli amanti dei giochi di ruolo amano storie intricate, personaggi di spessore e una buona varietà di cose da fare. CD Projekt in questo caso riporta nella storia principale Yennefer e rimette lo strigo sulle sue tracce, arricchendo il mondo di gioco di centinaia e centinaia di quest, differenziandole in maniera eccellente ed evitando quello spiacevole senso di “riciclo” che molti altri titoli di questo genere hanno messo sul piatto negli ultimi anni, Dragon Age Inquisition in primis.
    Se è vero che, grossomodo, sappiamo già cosa aspettarci dalle richieste dei paesani,trovare qualcuno di scomparso, raccogliere la pelle di un mostro gigantesco o sventrare un gruppo di non morti rientrano come sempre nell'elenco dei nostri incarichi, è un piacere constatare come gli sviluppatori abbiano comunque deciso di espandere il gameplay anche per tutti coloro i quali non si sentono attratti dal semplice combattimento brutale, aggiungendo tutta una serie di missioni dedicate all'esplorazione degli ambienti e all'investigazione.
    Lo strigo infatti, più o meno come abbiamo visto fare a Batman nella serie Arkham, potrà usare il suo istinto per scovare segni e indizi, trovandosi a dover risolvere diversi casi senza l'ausilio della forza bruta.
    È un approccio che ci è piaciuto davvero tantissimo e che spezza il ripetersi ciclico delle solite missioni di combattimento. In una visione quasi eterea del mondo il Witcher riuscirà infatti a scorgere impronte sul terreno, a scovare la direzione delle sue prede ma anche a riconoscere intrugli e droghe utilizzate per compiere atti infausti. Oltre al prologo abbiamo provato anche una sessione avanzata di gioco dove il re Crach aveva organizzato un banchetto per festeggiare il ritorno del figlio. Senza svelarvi troppo sulla trama, sappiate solo che le cose non sono andate esattamente come previsto e il titolo ci porrà davanti a un bivio, richiedendoci di seguire una quest line di puro massacro o di usare un profilo più basso per scoprire i colpevoli senza dare troppo nell'occhio. Una scelta, ovviamente, esclude l'altra, aprendo un ampio spiraglio verso la ramificazione della trama, elemento che da sempre amiamo nei giochi di ruolo. Tutto quello che vi abbiamo raccontato fino ad ora si inserisce in un contesto magnifico, con una grafica sublime e con panorami e ambientazioni da lasciare davvero senza fiato. Delle nostre tre ore almeno una è andata via mentre ammiravamo l'orizzonte, correndo a perdifiato in sella al nostro cavallo, magari gettandoci nelle corse clandestine che si sbloccheranno nelle fasi avanzate di gioco, ammaliati da un nuovo motore per il meteo, che saprà gestire neve e pioggia in maniera praticamente perfetta, alternando le freddi notte all'addiaccio alle caldi feste a palazzo tra mura di castelli drappeggiate in maniera sublime. Peccato che questa quantità enorme di dettagli a schermo renda pesantissimo il gioco, facendo faticare anche l'i7-4790 dotato di GeForce GTX 980 da 4GB su cui stavamo giocando, con i setting tarati su “Alto” e non “Ultra” come ci saremmo aspettati. Sia su Xbox One sia su Ps4 il gioco si difende comunque egregiamente anche se al momento si segnalano problemi di framerate (tanto da renderlo quasi ingiocabile durante i combattimenti sotto la neve) e un pop up della vegetazione piuttosto marcato, oltre ovviamente a texture meno rifinite e ad effetti di luce e particellari ancora lontanissimi dalla controparte PC.

Grav

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Action-Adventure

  • Sviluppatore:Bitmonster

  • Data uscita:10 Febbraio 2015

     

     

    Se c'è una tipologia di titoli che, da Minecraft in poi, in questi ultimi anni è letteralmente esplosa questa è sicuramente quella dei sandbox, passati dall'essere un genere di nicchia al divenire la “next big thing” del mondo videoludico. Tanto che sono ormai moltissimi quelli che attendono No Man's Sky come il nuovo messia.
    A dispetto di chi vuole che l'hype su PC e console si focalizzi solo sui titoli mainstream, è infatti indubbio che ogni qual volta che l'occhio del videogiocatore medio cade su titoli che, prima di ogni alta cosa, promettono assoluta libertà questi riescano puntualmente a destare parecchio interesse, perché in tutti questi anni non è mai cessata la ricerca di prodotti che escano dai canoni tradizionali per proporre qualcosa di realmente innovativo.
    Lo abbiamo visto con lo straordinario successo del world builder di Markus "Notch" Persson e lo stiamo vedendo nell'incredibile richiamo che stanno generando titoli come appunto quello di Hello Games o Star Citizen di Chris Roberts, capace di ottenere decine di milioni di dollari di finanziamento dai fan prima ancora che se ne vedesse anche solo un pixel in movimento. Ulteriore dimostrazione di quanto i sandbox sappiano catturare curiosità ed entusiasmo è poi la sempre più vasta pletora di survival open world che, dal lancio della mod di ArmA III DayZ nel 2012, sono ormai divenuti un vero e proprio sottogenere i cui esponenti si fanno fatica a contare. Si è partiti da ragni e zombi e, passando per dinosauri e apocalissi di ogni genere, si è arrivati a interi pianeti alieni.
    Proprio quest'ultimo l'incipit da cui sono partiti i ragazzi di BitMonster, piccolo team indipendente formatosi tre anni fa che comprende sviluppatori provenienti da realtà affermate come DICE, Ubisoft e soprattutto Epic Games: ben quattro dei sei componenti del team infatti vantano notevole esperienza con le serie Unreal Tournament e Gears of War. Insomma background di tutto rispetto per una grande ambizione: realizzare un gioco che permetta di esplorare mondi sconosciuti tanto sterminati quanto diversificati, il tutto rispettando gli immancabili dogmi dei sandbox, ovvero dare tutti gli strumenti ai player per esplorare e forgiare il mondo di gioco, anzi i mondi, senza guidarli in alcun modo per lasciare che siano loro stessi a scoprire passo dopo passo tutto quel che possono fare da soli o attraverso l'interazione con gli altri player.
    Pilastro del gameplay di questo genere difatti è sicuramente tutto ciò che deriva dalle relazioni tra i personaggi, sia in termini cooperativi che competitivi: vale la legge della giungla, per cui la forza dell'individuo è quella del gruppo di cui fa parte. Occorre collaborare non solo per sopravvivere, ma anche per poter adempiere a compiti complessi utili per l'ottenimento dei conseguimenti più importanti, secondo un sistema che fa del farsi degli amici e dei nemici un processo del tutto naturale che si esplicita in quello che le meccaniche di gioco mettono sul piatto.

    Come avviene in molti altri survival, Grav altro non offre che una serie di server cui collegarsi, ognuno col proprio pianeta generato proceduralmente in grado di accogliere sino a 64 giocatori. Questi server sono sia quelli ufficiali, ovvero messi in piedi dalla stessa BitMonster, sia quelli aperti dai giocatori. Riguardo ai primi quelli per l'Europa sono circa una quindicina, mentre i secondi sono diverse centinaia, divisi per nazionalità e community (e sì, ce ne sono anche diversi italiani).
    Al momento la principale differenza tra l'uno e l'altro, a parte la lingua, consiste nel prevedere o meno la possibilità di uccidere altri giocatori: insomma ce ne sono con e senza il PvP, esattamente come avviene coi MMORPG. Le similitudini con quest'ultimi del resto sono moltissime: Grav è infatti un sandbox piuttosto atipico, visto che riprende diverse carattertisiche dai theme park a la World of Warcraft come per esempio la presenza di livelli per personaggi e creature: mano a mano che si combatte si acquisisce esperienza e si sale di livello, mentre potendo visualizzare quello della creatura (o del PG) che ci si para davanti potremo valutare le nostre possibilità di sopravvivere allo scontro. Questo assolutamente non significa che il gioco faccia del grind il fulcro del suo gameplay come sin troppo spesso avviene nel modello MMORPG, ma ha semplicemente lo scopo di far conoscere la forza dell'avversario con tanto di nomi a indicare se ci si trova di fronte una variante particolarmente aggressiva e letale di un mob o un NPC.
    Un'implementazione intelligente che vale anche per crafting e gathering, questi sì completamente contestualizzati al genere di cui questo titolo fa parte: salendo di livello potremmo infatti raccogliere, costruire e utilizzare sempre più cose, perché se è vero che si diventa più resistenti grazie all'aumento delle statistiche associate ai personaggi (punti salute in primis) la grande differenza la fanno le armature e, se vorremo uccidere, le armi le dovremo creare completamente da zero perché non esistono loot (eccezion fatta naturalmente per il PvP) che non siano risorse di vario tipo che vanno lavorate in materiali per creare tantissimi oggetti, da elmi a pistole o fucili sino a macchinari, veicoli e edifici attraverso cui civilizzare il pianeta, con addirittura la possibilità di costruire strade con tanto di indicazioni lungo il percorso!
    Altre idee riprese dai MMORPG sono infine i dungeon, anch'essi generati proceduralmente e in cui si trovano le risorse più rare e le creature più temibili, e gli eventi dinamici come piogge di meteoriti, attacchi da parte di pericolosissimi branchi di bestie feroci o agguerriti gruppi di indigeni, quest'ultimi anche reclutabili come pet al fine di avere un aiuto in combattimento. Quest'ultimo è assolutamente dinamico richiedendo di muoversi costantemente per schivare i colpi e una buona mira nel portarli a segno, con l'inevitabile presenza del mirino per le armi da fuoco oltre alla chicca della visuale che si sposta sulla spalla del PG.
    La mescolanza tra questi elementi e quelle che invece sono tutte le meccaniche da survival, dai già citati full loot in PvP e necessità di costruire qualsiasi cosa all'immancabile partenza in braghe di tela e coltellino svizzero, anche se in verità si ha da subito a disposizione un potente attrezzo con sui si fa praticamente tutto, dal disboscare allo spaccare rocce, costituisce il principale elemento di spicco facendo della struttura di Grav un ibrido oltremodo originale, reso ancora più affascinante dall'ambientazione decisamente peculiare e sempre differente grazie al motore procedurale mosso dall'Unreal Engine 3, letteralmente in grado di forgiare pianeti.
    Ovviamente, trattandosi di un prodotto ancora in early access, non stiamo certamente parlando di un prodotto finito. Lo dimostrano la rozzezza di molte animazioni e dell'interfaccia, funzionale ma tremendamente scarna, con in particolare una chat testuale ben poco pratica (difetto mitigato da quella vocale integrata) e soprattutto la massiccia presenza di bug, glitch e crash del client. Gli sviluppatori si stanno comunque dando un gran daffare sfornando patch a ripetizione, ma è chiaro che sarà un procedimento piuttosto lungo quello che porterà il gioco dall'attuale alpha alla beta e poi alla release.
    Inoltre al momento manca decisamente varietà per i pianeti e le tipologie di creature che li popolano: l'unica ambientazione ora disponibile è quella tropical-lussureggiante e non si può non sottolineare come, essendo l'esplorazione il fulcro di Grav, nella grande diversificazione della della fauna, della geologia e del clima dei pianeti risieda buona parte del potenziale del gioco. 

venerdì 23 gennaio 2015

Tristoy

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Platform

  • Sviluppatore:Uniworlds Game Studios

  • Data uscita:15 gennaio 2015

     

     

    Che succede quando a un platform si aggiunge una modalità cooperativa, e soprattutto la possibilità di effettuare scelte che possono influenzare la trama e il modo in cui i personaggi non giocanti si rivolgono a noi? Una possibile risposta a questa domanda è rappresentata da Tristoy, titolo Uniworlds Game Studios, oggetto di questa recensione. Cerchiamo allora di capire se questo titolo PC possa dire la sua.

    È bene dire fin da subito che Tristoy è un titolo giocabile esclusivamente in compagnia di un altro giocatore; fin dal menu principale, infatti, il titolo ci farà scegliere se creare una partita in locale o online, e subito dopo aver selezionato il sistema di controllo preferito si avrà davanti la possibilità di impersonare uno dei due personaggi principali. Quest’ultimo particolare ci dà l’opportunità di parlare brevemente della storia che da sfondo al titolo: ambientato nell’antica fortezza di Tristoy, i giocatori avranno la possibilità di prendere il controllo del principe Freedan e del mago Stayn. Cercando di spoilerare il meno possibile, dobbiamo dire che il rapporto tra i due non sarà dei più rosei a causa degli avvenimenti precedenti all’inizio del gioco stesso: nonostante ciò, i nostri si ritroveranno accomunati da una causa comune. Per riuscire a evadere da Tristoy, infatti, sarà necessario sconfiggere la strega Ink.
    A livello narrativo, come anticipato in precedenza, l’elemento più interessante del titolo è rappresentato dalla possibilità di scegliere varie linee di dialogo che, almeno in teoria, avranno un impatto sulla storia e sulla sua fine. Il modo in cui il titolo riesce più o meno in ciò dovrebbe essere familiare ai giocatori delle avventure Telltale: una volta scelta una determinata frase di una certa importanza, infatti, il gioco ci informerà che il nostro interlocutore “will remember that”, e dunque si ricorderà delle nostre azioni. In questi particolari frangenti i due personaggi, che di norma dovranno cooperare durante tutto il gioco, saranno chiamati ad agire individualmente, scegliendo cosa dire e come agire.
    Una conseguenza se si vuole interessante di questa impostazione data al gioco è il rapporto tra i due personaggi giocanti; l’unica possibilità di evadere da Tristoy, infatti, dipenderà dalla cooperazione tra Freedan e Stayn, ma in un certo senso il poter scegliere autonomamente le linee di dialogo con cui comunicare darà una sensazione di individualità non sempre così comune in un gioco che punta sulla modalità cooperativa. Si tratta, quindi, di una interessante variazione sul tema che, seppure nell’ambito di un’avventura discretamente corta, e terminabile in poco più di due ore, riesce a lasciare un segno positivo sull’intera produzione.

    A livello di gameplay ci troviamo davanti a un titolo tutto sommato classico: quello che i giocatori dovranno fare sarà in buona sostanza attraversare le varie stanze di cui si compone la prigione, raggiungendo delle porte sbloccabili solo con l’azione combinata dei due eroi. Riuscire nell’impresa, evidentemente, non sarà semplice come appena descritto per almeno un paio di ragioni, ovvero i nemici che tenteranno di farci la pelle e alcuni enigmi ambientali. Per quanto riguarda il primo aspetto, è giusto dire che la varietà di minacce non è così elevata, e per questo sarà relativamente semplice venire a capo degli attacchi dei nemici nella maggioranza delle occasioni. Il discorso non cambia molto se si considerano i puzzle legati alla struttura dei vari livelli, i quali però ci consentono di parlare delle differenti abilità dei due protagonisti. Impersonando Freedan, infatti, ci si potrà produrre in salti doppi e veloci (ma non così potenti) attacchi con la spada. Con Stayn, al contrario, potremo contare su una maggiore forza d’urto, cui si contrappone però una lentezza maggiore e l’impossibilità di spiccare salti elevati. Questo particolare personaggio, però, può sfruttare i suoi poteri per ruotare piattaforme mobili, e attivare meccanismi necessari al superamento di un determinato ostacolo. Sfruttando l’agilità di Freedan e la forza di Stayn, dunque, si potrà venire a capo delle varie situazioni proposte senza quasi mai incappare in momenti di frustrazione; in alcune occasioni, anzi, la soluzione a un determinato enigma sarà più semplice di quanto possa apparire in un primo momento.
    Tutti questi elementi, cui si aggiunge la presenza di alcune boss fight sparse per i livelli, restituiscono un’esperienza di gioco sì piacevole, ma tutto sommato ripetitiva e spesso priva di mordente. Scegliere di lanciarsi allo sbaraglio, in ogni caso, sarà spesso sinonimo di morte certa: a questo proposito, l’impostazione del gioco lascia qualche dubbio. Entrambi i giocatori, infatti, avranno a disposizione un primo indicatore che illustra il livello di salute, che si esaurisce nel momento in cui si ricevono attacchi dai nemici. Un secondo indicatore, più piccolo del precedente, si andrà a riempire invece nel momento in cui si raccolgono alcune sfere viola contenute in alcuni elementi come anfore o bauli, e determinerà il numero di vite a disposizione. Questo elemento appare abbastanza controverso: anche quando verrà meno la totalità delle vite, infatti, il gioco riprenderà dall’ultimo checkpoint, difatti rendendo quasi inutile l’accumulo di sfere viola.
    Per quanto riguarda il sistema di controllo, il titolo riesce quasi sempre a restituire sufficienti sensazioni sia con la tastiera che col pad, mentre appare interessante sottolineare la possibilità di sfruttare l’app Uniplay. Questa, scaricabile sia per Android che iOS, trasformerà il nostro device in un vero e proprio controller, e potrà essere sfruttato per guidare Freedan e Stayn.

    Quanto detto finora restituisce un quadro abbastanza chiaro: Tristoy appare un platform che in teoria propone discrete trovate sul fronte narrativo, e con un gameplay tutto sommato piatto e reso più piacevole solo grazie alla cooperazione tra i due giocatori. Che dire, però, del comparto tecnico? Non siamo difronte a quanto visto in altri titoli del genere, come ad esempio i due episodi di Trine, ma il risultato finale è tutto sommato positivo. Dal punto di vista grafico, infatti, quella proposta da Uniworlds Game Studios è un’esperienza visiva bidimensionale sufficientemente gradevole. E’ necessario citare, a questo proposito, l’introduzione dinamica dello split-screen: nel momento in cui i due giocatori si separano, dunque, lo schermo verrà diviso in due come nelle classiche avventure a più giocatori fruibili sullo stesso schermo. E’ bene dire che la trovata in questione, che dovrebbe dare un senso di continuità all’azione dei vari giocatori, a volte potrebbe anche disorientare.
    Il titolo, dal punto di vista hardware, è risultato prevedibilmente leggero, ma ha mostrato alcune insicurezze dal punto di vista della programmazione. Durante le nostre prove, i bug più evidenti sono stati solamente due, di cui però uno impediva l’inizio della boss fight finale. Un contrattempo non da poco, che ci ha costretti a chiudere e riavviare il gioco più volte con la speranza (alla fine ben riposta) che il buon sistema di salvataggio tramite checkpoint ci riportasse il più vicino possibile allo scontro. Altre insicurezze sono state riscontrate nel riconoscimento dei contatti tra i nemici e i personaggi giocanti, e tra questi e gli elementi ambientali capaci di mettere fine alla vita dei protagonisti come spuntoni, fiamme e via dicendo. È stato riscontrato poi, in poche occasioni a dire la verità, un certo ritardo nell’esecuzione degli input dati al sistema di controllo, il che ha portato a morti se non altro spassose e che generano sempre ilarità quando si gioca insieme a un amico.
    Insomma, allo stato attuale delle cose il titolo è sicuramente giocabile, ma bisogna tenere in conto che si potrebbe anche venire rallentati da contrattempi di tipo tecnico.
    Senza dubbio positivo, invece, il comparto audio, non tanto per le musiche proposte (in buona sostanza esiste solo un tema di accompagnamento per tutta la durata del titolo), ma per l’aver voluto investire su un doppiaggio in inglese di discreta qualità; è grazie soprattutto a questo elemento che è possibile notare la contrapposizione tra la serietà quasi campale di Stayn e il tono invece più scanzonato del giovane Freedan.

Blackguards 2


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Daedalic Entertainment

  • Data uscita:20 gennaio 2015

     

     

    Non sappiamo esattamente quante copie abbia venduto Blackguards, ma se a distanza di un anno ritroviamo Daedalic Entertainment alle prese con un sequel vuol dire che il primo episodio un certo successo lo ha avuto. Immaginiamo soprattutto in Germania, dove Daedalic va fortissimo e dove i giochi su PC rivestono quote di mercato elevatissime, ma in effetti, parlando in generale, Blackguards ha meritato in pieno questo sequel che andiamo a recensire. Non che il mix di gioco di ruolo e strategico a turni dello scorso anno fosse perfetto, ma la sua fantasy dark mutuata dall’universo e dalle regole di The Dark Eye colpiva allo stomaco come poche e tutti gli hardcore gamer, magari stanchi della marea di action-GdR che abbiamo visto negli ultimi tempi, hanno potuto giocare a un titolo davvero impegnativo e complesso (forse pure troppo).
    Per Blackguards 2 Daedalic ha voluto innanzitutto snellire e facilitare alcuni elementi di gioco, aggiungendo però tutta una componente gestionale che mantiene il gameplay su livelli lontanissimi da qualsiasi tentazione casual. Cassia, la stessa protagonista del gioco (niente alter ego creato da zero questa volta), è un personaggio lontanissimo da qualsiasi cliché fantasy. Rapita e imprigionata in un dungeon senza saperne il motivo, la povera sventurata trascorre quattro anni in prigionia uscendone pazza e sfigurata in volto per il veleno di alcuni ragni che ha cercato inutilmente di combattere. Quando finalmente riesce a trovare la via di uscita (in pratica alla fine del lungo tutorial), Cassia giura eterna vendetta contro chi l’ha fatta imprigionare (il malvagio tiranno Marwan) e intraprende una lunga missione per conquistare la città di Mengbilla, capitale del regno. Va subito detto che Daedalic non ha fatto nulla per semplificare le cose a chi non ha giocato il capitolo precedente. Tutta la prima parte è ricca di dialoghi con riferimenti a nomi, fatti e luoghi che non diranno nulla ai neofiti della serie e anche i tre personaggi che andranno a comporre il party (Takate, Zurbaran e Naurim) provengono da Blackguards. Insomma, non stupitevi se inizialmente non sarete conquistati più di tanto dal gioco a livello narrativo non avendo giocato il predecessore. Per fortuna dopo il tutorial, e con l’avvio delle prime missioni, Blackguards 2 si dipana in una trama ben delineata tra dialoghi scritti con gusto e situazioni parecchio scomode ed estreme, causate soprattutto dallo stato di pazzia di Cassia.
    La semplificazione di Daedalic, che ricordiamo essere uno studio specializzato quasi esclusivamente in avventure grafiche (quella di Blackguards è stata una piacevole novità per il team tedesco), riguarda soprattutto tutto il sistema di skill, abilità e potenziamenti. I personaggi del gioco non salgono di livello, ma guadagnano punti esperienza che possiamo spendere in cinque diverse categorie dopo ogni combattimento vinto. Ci sono i potenziamenti per le armi in nostro possesso, quelli per le abilità generali, gli incantesimi, le mosse speciali da sfruttare in battaglia e le abilità passive. La quantità di elementi su cui intervenire rimane notevole e c’è ancora una certa difficoltà nel gestire il tutto, ma il bello di Blackguards 2 è che di fatto non esistono classi e quindi possiamo comporre un party come vogliamo, specializzando ad esempio tutti in una certa direzione o costruendo quattro eroi uno diverso dall’altro come caratteristiche di attacco. Un po’ di chiarezza in più a livello di interfaccia non avrebbe fatto male, ma già così le molte asprezze riscontrate in Blackguards sono state addolcite e già dopo un paio di ore di gioco il tutto diventa gestibile senza particolari difficoltà.
    Il vero cuore del gioco, più che la gestione dei personaggi in chiave ruolistica, è affidato ai combattimenti a turni, caratterizzati dai classici esagoni per il movimento e da numerose novità rispetto allo scorso anno. Le arene e gli ambienti di gioco appaiono più curati, ampi e ricchi di elementi interattivi come ponti, trappole, oggetti da rompere e interruttori da attivare. Anche la percentuale di riuscita di una magia è ora molto più credibile (prima falliva addirittura un attacco su due), ma anche in questo caso non si pensi a una passeggiata di piacere per uscire vincitori dai combattimenti contro nemici umani e creature tipicamente fantasy. Se infatti i primi combattimenti non richiedono particolari doti tattiche, più si procede nel gioco, più diventano indispensabili azioni come il posizionamento iniziale dei personaggi, la scelta degli attacchi più idonei a un certo tipo di nemico e la gestione delle abilità curative, a dimostrazione di come Daedalic abbia sì semplificato ma fino a un certo punto. Durante i combattimenti inoltre non è possibile salvare e spesso sarete costretti a cedere a un po’ di classico “trial & error” per avere la meglio sui nemici dopo due o tre tentativi. 
    Di contro, a fronte di un combat system sicuramente maturo e appagante (ci sono poi da considerare anche i mercenari a disposizione di Cassia), certe attese di fronte agli spostamenti dei nemici possono farsi eccessivamente lunghe e spiace non trovare un’opzione per velocizzare questi passaggi. La telecamera zoomabile ma non ruotabile può inoltre dare qualche grattacapo nelle arene di combattimento con più elementi architettonici, che spesso diventano ostacoli insuperabili per visionare parti della location. A livello di longevità Blackguards 2 non delude, offrendo almeno una ventina di ore tra combattimenti, missioni secondarie, compravendita di armi e oggetti nelle città sparse per la mappa e altri elementi gestionali. Ci riferiamo in particolare alla difesa delle città conquistate (altra novità del gioco) e all’addestramento dei mercenari, aggiunte che aumentano certamente il dinamismo del gioco ma che non sono state inserite nel migliore dei modi, soprattutto se andiamo ad analizzarne la curva di apprendimento e la loro importanza (forse eccessiva) nell’economia del gioco. Chiudiamo con un breve accenno alla grafica in Unity, purtroppo vero punto debole del gioco sia per quanto riguarda l’assenza di veri miglioramenti rispetto al predecessore, sia per un aspetto generalmente poco curato dei personaggi, dei nemici e delle scene di intermezzo. 

Legend Of Grimrock II


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Almost Human

  • Data uscita:15 ottobre 2014

     

     

    Quella di Grimrock è una storia emozionante. Non ci riferiamo soltanto agli aspetti narrativi del gioco, semplici e intriganti, ma anche alla gestazione di questo titolo, creato da un gruppo di sviluppatori indipendenti, uscito in sordina e riuscito a raggiungere in poco meno di tre anni la straordinaria cifra di un milione di copie vendute. Non è tanto il risultato numerico ad impressionare, quanto piuttosto il genere videoludico di questo titolo, un dungeon crawler puro e cattivo, in grado di prendere a calci negli stinchi i giocatori abituati alle esperienze contemporanee caratterizzate quasi sempre da una difficoltà accessibile e da una curva di apprendimento morbida come una scampagnata in collina. Così, a distanza di trenta mesi, ecco giungere il sequel di questo titolo che, a quanto pare, ha deciso di proseguire sulle orme del predecessore variando la formula quel poco che basta per renderla più interessante.
    In misura analoga al precedente capitolo, il gioco si apre con la creazione dei quattro personaggi che ci accompagneranno nel corso dell’avventura. È possibile iniziare con un party standard, costituito da un guerriero, un tank, un ladro e un mago o, in alternativa, il giocatore può creare da zero i propri eroi assegnando i punti attributo e le skill, che questa volta abbandonano la suddivisione ad albero per abbracciare un impianto più classico, costituito da sedici abilità con cinque punti ciascuna. La fase di creazione è cruciale, in quanto il respec dei personaggi - salvo l’utilizzo di trucchi - non è previsto. Ne deduciamo che anche in Legend of Grimrock II ogni errore, sia tattico che ruolistico, viene pagato a caro prezzo dal giocatore.
    L’avventura inizia con un naufragio su di una spiaggia misteriosa, che ci mostra la prima grande novità di questo sequel: a differenza del predecessore, incentrato su di una fuga da una torre, Grimrock II è fatto di grandi spazi aperti che costituiscono una sorta di hub da cui si diramano tutti i dungeon. Così, dopo un paio di ore di gioco piuttosto lineari, il giocatore si trova in una grande radura con al centro una torre inaccessibile, e varie strade da percorrere: non è detto che il dungeon più vicino sia il primo da affrontare, e prima di finire invischiati in qualche segreta densa di nemici troppo forti per le nostre capacità è bene procedere con cautela. Inutile ribadirlo: Grimrock II è un gioco molto difficile, e i tre livelli di difficoltà disponibili sono tutti piuttosto impegnativi e non possono essere modificati durante il gioco.
    Sebbene all’inizio il giocatore non abbia la minima idea del motivo per cui si trovi sull’isola e per quale ragione debba giungere al suo centro, la trama inizia lentamente a prendere forma. Non vi sono grandi momenti narrativi: tutto è affidato alla presenza di messaggi, lettere e carteggi vari che iniziano a combaciare come i pezzi di un grande puzzle: comprendere a fondo la storia di Grimrock II è soltanto una delle grandi sfide presentate dal gioco, e in tutta onestà avremmo preferito una maggiore magnanimità da parte degli sviluppatori in questo frangente.
    Il gameplay di Grimrock II è fedelmente ricalcato su quello del predecessore, che a sua volta si rifaceva ai grandi classici del genere per MS-DOS. Così, si procede nello spazio muovendosi con uno schema a scacchiera, e le fasi di attacco prevedono un click destro sull’arma impugnata da uno dei nostri personaggi, o la combinazione di uno schema di rune per il lancio delle magie. Ogni colpo ha un tempo di cooldown piuttosto marcato, ed è dunque impossibile pensare a uno spamming continuo dei colpi. Anche il nemico più banale chiede al giocatore di mettere in atto alcune tattiche, e di spostarsi continuamente sulla griglia di gioco per evitare i colpi del proprio avversario, un aspetto che plasma l’intera esperienza e che, al contempo, mette in luce un’intelligenza artificiale dei nemici piuttosto basilare. Quando ci si trova con le spalle al muro o circondati, il combattimento diventa un vero e proprio incubo, e il senso di impotenza di fronte ai violenti colpi nemici prende presto il sopravvento: è incredibile come una situazione potenzialmente innocua possa presto trasformarsi in un game over, il tutto a seguito di un semplice movimento sbagliato. A questo si aggiunge anche la randomicità degli attacchi che, in pieno stile RPG, fanno affidamento a un lancio occulto di dadi che non sempre dà i risultati sperati. Per recuperare l’energia, oltre alle pozioni è possibile dormire, ma il tempo trascorso consuma la barra della fame che ci costringe a trovare delle provviste prima di iniziare l’esplorazione di un dungeon: la scarsità di cibo è una delle preoccupazioni maggiori per il giocatore di Grimrock II, e nei primi due o tre dungeon si giunge all’uscita affamati e pieni di acciacchi.
    La meccanica di gioco si basa sulla profonda alternanza di combattimenti e fasi di puzzle solving: in breve, Grimrock II ci pone in un’area con alcuni nemici, e poi ci chiede di ragionare per proseguire verso area successiva. Spesso ci si trova di fronte a vicoli ciechi, e si passano diversi minuti ad osservare ogni singolo muro o a consultare la mappa alla disperata ricerca di un pulsante nascosto. In altri casi, la soluzione passa attraverso una concatenazione di eventi, e in generale i sentimenti di frustrazione e profonda soddisfazione creano una sinestesia che dà luogo a vere e proprie esplosioni emozionali. In altre parole, Grimrock II è un gioco che fa gioire il giocatore dopo il superamento di ciascuna prova, che tuttavia ci chiede di tenere duro e, magari, di prenderci qualche pausa di riflessione, anche lontano dallo schermo del proprio PC.
    Uno degli aspetti facilmente sottovalutabili di Legend of Grimrock II si riscontra nella presenza di un intuitivo ma profondo editor di livelli, che ha consentito la realizzazione di numerose mod ed espansioni gratuite giunte sullo Steam Workshop nel corso degli ultimi due mesi. La qualità di queste opere realizzate dai giocatori stessi è altalenante, ma talvolta si possono scoprire delle vere e proprie gemme che prolungano l’esperienza di gioco di diverse ore. L’editor prevede anche la realizzazione di complessi puzzle, e non ci sorprendiamo nel constatare che numerose espansioni si basano esclusivamente su questa meccanica.
    In ogni caso, i contenuti originali del gioco sono di ottima qualità, e il senso di libertà di questo sequel rende l’esperienza davvero eccellente, sebbene meno lunga del previsto. Il titolo si può completare infatti in circa 25 ore di gioco, una cifra significativa visto il costo contenuto dell’opera e la presenza di una enorme quantità di espansioni gratuite.
    Da un punto di vista tecnico, Grimrock II non sembra avere tratto molto vantaggio dai tre anni di sviluppo. Gli spazi aperti hanno creato una maggiore varietà negli ambienti e nei nemici, ma una volta giunti nei dungeon ritroviamo gli stessi asset presenti nel primo gioco. Inoltre, nelle foreste e nelle radure il titolo soffre da un punto di vista tecnico, con alcuni cali di frame rate e caricamenti iniziali piuttosto lunghi. Buona la colonna sonora, con un tema principale epico e davvero incisivo e capace di entrare in testa dopo pochi minuti.

mercoledì 14 gennaio 2015

Star Conflict


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Simulazione volo

  • Sviluppatore:Gaijin Entertainment

  • Data Di Uscita:10 Gennaio 

     

     

    C'è una grandissima attesa per Star Citizen, lo space shooter che si prospetta più completo e immersivo di sempre. Ma quanto al momento offerto da Chris Roberts e soci, ossia mappe istanziate esclusivamente dedicate al pew pew e un hangar attraverso cui dare un'occhiata alle astronavi di cui si è in possesso, è tutto fuorché qualcosa di mai visto in altri titoli, magari free to play. A voi la dimostrazione più lampante.

    I russi di Gaijin Entertainment non si sono solamente dedicati a una lunga serie di titoli simulativi, il più celebre dei quali è sicuramente War Thunder, ma hanno anche pubblicato questo sparatutto fantascientifico sviluppato sin dal 2011 dalla statunitense Star Gem Inc. uscito dalla lunga fase di beta lo scorso settembre, e disponibile in download totalmente gratuito anche per i sistemi Mac e Linux.
    Trattandosi di un prodotto interamente votato al combattimento, lo spunto da cui parte è evidente dal nome che porta e non può altro che essere quello di un conflitto interstellare ambientato in un lontanissimo futuro tra le tre fazioni in cui l'umanità si è divisa colonizzando in lungo e in largo la galassia: Impero, Federazione e Jericho. Se la prima rappresenta un rigido regime totalitario militarista tutto onore e gloria, la seconda è quella indipendentista cui appartengono gli immancabili ribelli scavezzacollo, mentre la terza è formata da esuli evolutisi nel corso dei millenni in forme di vita cibernetiche dotate della tecnologia più avanzata, che ora hanno deciso di riprendere possesso dei loro luoghi d'origine prendendo a laserate in faccia chiunque cerchi d'impedirglielo. Si tratta senz'altro di un background con pochi spunti originali, ma che d'altronde serve principalmente a ben differenziare quel che i giocatori saranno chiamati a scegliere sin dall'inizio, ossia a quale di essa appartenere e quindi sotto quale bandiera andare a combattere e morire.

    Ogni fazione dispone di navi proprie che offrono vantaggi e svantaggi accomunabili: quelle imperiali hanno una spessa corazzatura e un'elevata potenza di fuoco, ma di contro hanno scarsa maneggevolezza; quelle federali sono molto rapide ma praticamente di cartone, così come quelle dei Jericho che però sopperiscono in parte a questa deficienza con scudi particolarmente potenti rinunciando a un po' di velocità. La classica via di mezzo.
    Questo relativamente a ogni tipologia di nave disponibile: intercettori, caccia e fregate ,che si differenziano in tre ulteriori sottoclassi ciascuna a seconda del ruolo che andrà a ricoprire in battaglia. Se gli intercettori possono specializzarsi nella ricognizione o nella guerra elettronica, i caccia si concentrano sui sistemi d'offesa o quelli di difesa mentre le fregate si dedicano a mansioni ancora più specifiche, come il combattimento a lunga gittata o il riparare le altre navi direttamente in battaglia. Il principio è un po' quello della morra cinese, con ogni tipo di vascello particolarmente efficace contro alcuni ed estremamente debole contro altri, di fatto rendendo fondamentali l'interdipendenza e la capacità di acquisire esperienza nei singoli ruoli per poter sfruttare al massimo le caratteristiche del vascello che si porta in guerra.
    Da segnalare poi che, sebbene ogni fazione abbia due alberi di skill esclusivi, si può liberamente scegliere di pilotare anche navi delle altre fazioni, pur al costo di una minore sinergia con esse; in pratica un minore feeling che si traduce in un più lento accumulo di punti esperienza spendibili per farla salire di livello e quindi potenziarne i moduli. Questi sono tantissimi e, detto che ogni classe ne ha uno che la contraddistingue (l'overdrive per le gunship o il microwarp engine per le recon), quelli in comune si differenziano non solo per tipologia, come scudi, arma primaria e secondaria, motori, corazza, ma anche secondo cinque tier crescenti: se per passare dal primo al secondo basta spendere crediti, dal terzo in poi servirà anche avere un certo ammontare di reputazione presso il suo costruttore, ovverosia punti lealtà per la fazione cui esso è affiliato. Ciò dà modo di accedere abbastanza agevolmente a tutte le navi tier 2 per potersi così fare un'idea delle differenze tra le varie fazioni, mentre gli ultimi tre tier richiedono impegno e costi crescenti per specializzarsi. Ulteriore elemento di personalizzazione delle navi, oltre a diversi tipi di munizioni e razzi, sono poi i modificatori per motori, capacitor, cpu, scudi e corazza: in pratica si tratta di bonus passivi in grado di aumentare manovrabilità, cadenza di fuoco, velocità di ricarica degli scudi e molto altro.

    Descritto il ferro con cui andremo a combattere è il momento di parlare delle modalità di gioco, cominciando da quella meno strutturata ma comunque interessante: il PvE. Sono cinque le mappe dedicate al momento presenti in Star Conflict. Ognuna si compone di tre fasi di difficoltà crescente che ci vedranno spawnare in punti differenti della mappa dovendo fronteggiare ondate sempre più agguerrite di navi nemiche sino ad arrivare all'immancabile boss. Oltre a costituire un buon espediente, soprattutto per la possibilità di essere giocata in co-op sino a quattro giocatori, è un'ottima palestra d'allenamento per armamenti e tattiche che poi si vorranno adoperare in PvP, oltre che essere una fonte primaria di crediti e loot da equipaggiare o rivendere. Estremamente intelligente poi il sistema di mentoring che configura i nemici sulla base della nave di più basso tier presente, permettendo ai veterani di fare scuola ai piloti inesperti.
    Ma il cuore del gioco risiede ovviamente nel PvP tra fazioni, cui è dedicato un maggior numero di mappe (al momento dodici con l'immancabile comune denominatore degli asteroidi), ma soprattutto per gli elementi MMO che esso contempla: oltre a cinque differenti modalità skirmish per battaglie più o meno arcade fino a 32 player è stato infatti introdotto il Sector Conquest che vede le tre fazioni contendersi il predominio dei settori esagonali di una mappa persistente, contestualizzando su larga scala la modalità Capture the Beacon, con interessanti ricompense per le corporazioni di giocatori cui è indispensabile far parte per poter reclamare un settore e ottenerne i benefici per il possedimento; sia quelli che permettono di scalare il ranking, sia crediti gold utili ad acquistare le navi premium altrimenti ottenibili solo utilizzando soldi veri.Quest'ultime non solo hanno caratteristiche migliori delle navi normali tranne quelle più avanzate, essendo grossomodo paragonabili alle tier IV, ma non hanno costi di riparazione in caso vengano distrutte e soprattutto quando le si adopera i punti sinergia che si ottengono possono essere spesi per potenziare altre navi. Formalmente dunque non si tratta di pay to win, anche perché utilizzandole il sistema di matchmaking vi metterà di fronte i giocatori più esperti, fatto sta che acquistando queste navi magari tramite uno dei numerosi DLC presenti su Steam si otterrà da subito un mezzo in grado di fare la differenza, tagliando tutta la fase di grind che invece i normali giocatori devono inevitabilmente affrontare e che è pur sempre utile a farsi le ossa. Altro vantaggio ottenibile, seppur ininfluente ai fini del gameplay, è quello relativo alle personalizzazioni estetiche delle astronavi: saranno definitive solo se acquistate spendendo gold, comunque ottenibili (a tassi d'usura...) anche convertendo normali crediti di gioco. 

martedì 13 gennaio 2015

Elite Dangerous

  • Piattaforme:PC

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:Frontier Developments

  • Data uscita:16 dicembre 2014

     

     

    Spazio, ultima frontiera. Il cosmo ha affascinato il genere umano sin dall’antichità, e chiunque abbia mai amato la fantascienza sa bene che la tematica del viaggio spaziale è una delle colonne portanti di questo genere letterario. Poter solcare il vuoto interstellare a velocità superiori a quelle della luce per scoprire strani, nuovi mondi è terribilmente intrigante, e tutti vorremmo avere la possibilità di comandare una navicella spaziale per giungere al di là dei confini della conoscenza.
    Nel mondo dei videogiochi, questo tema è stato affrontato diverse volte, spesso con limiti dovuti più alla potenza di calcolo dei computer che alla reale fantasia degli sviluppatori. Ci sono stati giochi che hanno ricreato un’universo di fantasia, altri che hanno tratto ispirazione dalla realtà, tentando di riprodurre lo spazio in maniera fedele. Tra questi giochi si annovera la serie Elite, nata nel 1984 e rimasta in un cassetto dal lontano 1995. Frontier: First Encounters fu l’ultimo gioco di questa saga, e il primo a utilizzare la tecnologia procedurale per creare una galassia piena di stelle e pianeti. In First Encounters, gli sviluppatori riuscirono a creare oltre 513 milioni di sistemi stellari, e ogni pianeta poteva essere visitato. Nel 1995, questo era un risultato stupefacente, destinato a restare nella memoria dei giocatori dell’epoca. Gli stessi giocatori che, probabilmente, hanno deciso di ridare fiducia agli stessi sviluppatori di First Encounters nel 2013, premiando la campagna su Kickstarter con quasi 1,6 milioni di sterline. Il risultato della raccolta fondi si concretizzò nello sviluppo di Elite: Dangerous, un gioco che prometteva una riproduzione in scala 1:1 della nostra galassia, con circa 400 miliardi di sistemi stellari e qualche migliaio di miliardi di pianeti, il tutto all’interno di un universo persistente online. E, incredibile ma vero, ad appena 23 mesi di distanza dalla chiusura della raccolta fondi, il gioco è giunto nelle nostre mani così come ci era stato promesso. Ed è davvero incredibile.
    Elite: Dangerous ci pone al comando di una navicella spaziale con la misera cifra di 1000 crediti nelle nostre mani. L’avventura inizia in una base stellare in orbita attorno a qualche corpo celeste, in un punto a caso della nostra galassia, nei pressi del Braccio di Orione. Siamo nello stesso settore dove ha sede il nostro sistema solare, ma non possiamo sapere dove sarà generato il nostro punto di partenza. Così, ci ritroviamo poveri e spaesati, con attorno a noi una galassia sconfinata. Di fronte a noi una spaventosa libertà: possiamo decidere cosa fare di noi, dove andare e cosa compiere, ma nessuno ci indicherà la via. Il senso di abbandono è totale, e la sensazione di essere un granello di sabbia in un oceano prende ben presto il sopravvento.
    Rapidamente scopriamo che nella parte conosciuta della galassia convivono tre fazioni rivali, da anni alle prese con una sorta di guerra fredda in cui, fortunatamente, non abbiamo ancora preso una posizione. Siamo neutrali e liberi di muoverci tra i vari sistemi stellari, nel tentativo di racimolare qualche credito extra per acquistare un equipaggiamento migliore ed ambire a ottenere gloria e ricchezza.
    Come detto, il gioco ci lascia plasmare il nostro destino, permettendoci di scegliere come guadagnarci il pane. Possiamo svolgere il ruolo di autotrasportatore spaziale, comprando e vendendo beni tra un sistema stellare e un altro, ricavando del profitto. In alternativa, possiamo raggiungere delle zone di estrazione mineraria e iniziare a raccogliere materie prime direttamente dalle asteroidi in orbita attorno ad alcune stelle e pianeti. O, ancora, possiamo scegliere di armare la nostra nave e tentare la carriera del soldato di fortuna o del pirata. E, naturalmente, possiamo dedicare la nostra vita all’esplorazione spaziale, diventare dei cartografi stellari oltrepassando i confini dello spazio civilizzato per giungere là dove nessuno è mai giunto prima.
    Elite: Dangerous non pone dei limiti: possiamo iniziare sin da subito qualsiasi carriera, e possiamo cambiare strada in qualsiasi momento. Non ci sono realmente delle scelte a lungo termine, e in generale è possibile modificare radicalmente il proprio stile di gioco in qualsiasi momento. L’unico aspetto vincolante riguarda la scelta di una fazione, che potrebbe trasformarci in ospiti non graditi in almeno una buona metà dello spazio conosciuto. Ma prima di diventare dei nemici o alleati della Federazione, dell’Impero o dell’Alleanza, dovremo macinare parecchi anni luce a bordo della nostra navicella.
    Elite: Dangerous ci permette di compiere viaggi interplanetari e interstellari, consentendoci di esplorare lo spazio all’interno di un sistema stellare e di effettuare un ipersalto verso un’altra stella. Vi sono dei limiti alle distanze percorribili tra un sistema stellare e un’altro, e il giocatore è spesso chiamato a suddividere ogni lungo viaggio in diverse tappe. Una volta giunti in un sistema stellare abitato, abbiamo la possibilità di visitare una o più basi spaziali orbitanti, dove atterrare con la nostra nave, rifornirla di carburante, vendere e acquistare beni e accedere a una bacheca dove ottenere missioni generate anch’esse in maniera casuale. Queste si suddividono in missioni di trasporto, combattimento, recupero e umanitarie. Le prime tre offrono quasi sempre crediti in cambio dello svolgimento dei compiti assegnati, mentre la terza permette di variare in maniera significativa la nostra posizione all’interno del fragile equilibrio politico del gioco. Anche le normali missioni influenzano ciò che le tre fazioni pensano di noi, e talvolta alcuni compiti sfociano nell’illegalità o superano i confini di ciò che è moralmente accettabile. Dietro una semplice missione di trasporto si può nascondere un odioso commercio di schiavi, ben retribuito ma odiato dalla popolazione, e una missione in cui ci viene chiesto di uccidere un cattivo potrebbe rivelarsi l’assassinio di un innocente: siamo continuamente messi in crisi dai risvolti di ciascun compito, e talvolta i nostri piani a breve termine potrebbero scombussolarsi dopo pochi minuti, invischiandoci in faccende più grandi di noi.
    In generale, le missioni permettono di guadagnare delle buone cifre in tempi piuttosto brevi, ma la loro disponibilità nelle basi spaziali visitate è totalmente randomica. Così, spesso attracchiamo in una base dopo un lungo viaggio per scoprire che non vi sono missioni adatte alla nostra nave o al tipo di equipaggiamento a nostra disposizione, obbligandoci di fatto a riprendere il volo verso un’altro sistema spaziale. Fortunatamente, anche in questi casi è possibile cercare di ottenere del profitto riempiendo il nostro cargo con qualche materiale da rivendere alla nostra prossima tappa. E, casomai la strada scelta sia quella del mercenario o del pirata, nessuno ci vieta di spostarci per lo spazio alla ricerca di qualche cattivo con una taglia sulla testa o di un cargo da depredare. Nello spazio, infatti, incontriamo spesso convogli o strane situazioni da cui trarre vantaggio, o da cui fuggire il più rapidamente possibile. Possiamo avere a che fare con una flottiglia di pirati interessata al nostro carico, con un importante politico in viaggio difeso dalle potenti navi della federazione, con i residui di una battaglia alla deriva nel cosmo o, addirittura, con una serie di navicelle impegnate a scortare un carro funebre spaziale, diretto verso un qualche cimitero orbitante. È incredibile il numero e la varietà delle situazioni che ci troviamo davanti, e in generale ogni volta che si ha a che fare con un segnale non identificato nello spazio, la curiosità di fermarsi a dare un’occhiata è molto forte. Così forte da farci spesso cadere in terribili trappole.
    Gli astronomi non sanno con esattezza quante stelle vi siano nella nostra galassia, ma hanno stimato la presenza di un massimo di 400 miliardi di sistemi stellari. Gli sviluppatori di Elite: Dangerous, come detto in apertura, hanno optato per questa stima, realizzando una riproduzione della nostra galassia in dimensione reale. Se un giocatore volesse esplorare l’intero universo di Elite: Dangerous trascorrendo appena un minuto in ciascun sistema stellare, impiegherebbe oltre 761.000 anni per completare la sua missione. L’intera galassia di Elite: Dangerous, probabilmente, non verrà mai esplorata in tutta la sua totalità. È evidente che in una tale e ambiziosa vastità sarebbe impossibile ambire a realizzare una riproduzione totalmente fedele della galassia, e in effetti gli sviluppatori si sono serviti della generazione procedurale di stelle e pianeti per la stragrande maggioranza dello spazio visitabile. Ciò non toglie che nella Via Lattea di Elite: Dangerous vi siano elementi straordinariamente fedeli: tutto lo spazio nel giro di qualche decina di anni luce dal nostro sistema solare è stato ricreato in maniera incredibilmente realistica (exopianeti esclusi, ovviamente) e la posizione relativa delle stelle e delle nebulose è incredibilmente fedele. Viaggiando in prossimità del Sole è possibile distinguere le costellazioni e identificare con facilità alcuni oggetti visibili dalla Terra a occhio nudo. Ogni puntino presente nel cielo è un astro effettivamente raggiungibile, ed è incredibile notare come vastissimi elementi come le nebulose si facciano via via più grandi e riconoscibili mano a mano che ci si avvicina. Un nostro viaggio verso le Pleiadi, ad esempio, oltre a richiedere una decina di ore di gioco tra viaggi e tappe obbligate è stato caratterizzato dalla presenza costante delle Sette Sorelle della nebulosa che si sono fatte via via più limpide: se amate l’astronomia, Elite: Dangerous vi darà delle enormi soddisfazioni.

Satellite Reign


  • Piattaforme:PC

  • Genere:Strategico

  • Sviluppatore:5 Lives Studios

  • Data uscita:Marzo 2015



    I grandi classici, si sa, non tramontano mai. È questo il caso di Syndicate, bellissimo tattico in tempo reale di Bullfrog uscito nel 1993 che permetteva al giocatore di comandare quattro cyborg-agenti incaricati di compiere missioni ad alto rischio, bassa probabilità di sopravvivenza e nulla moralità per conto di una spietata multinazionale del futuro. Quasi un ventennio dopo, nel 2012, Electronic Arts e Starbreeze Studios tentarono timidamente di rilanciare il brand con un reboot ambientato nello stesso universo narrativo, ma trasformato in un FPS senza fronzoli: i fan non gradirono, il gioco si rivelò piuttosto dimenticabile ed ecco presto servito il flop. Il nuovo Syndicate vendette appena centocinquantamila copie nel mondo e tutti videro sepolta per sempre la speranza di un vero erede spirituale dell'originale.
    Ma nel 2013 Kickstarter ha regalato grandi sorprese all'ormai troppo prevedibile mercato del gaming. Dalla celebre piattaforma di crowfunding è emerso un progetto dal titolo Satellite Reign. Esso non vuol essere altro che un ritorno alle meccaniche vecchia scuola del primo Syndicate, rappresentate da uno strategico in tempo reale ambientato in una città cyberpunk e open world. Il gioco, manco a dirlo, è stato finanziato con successo, superando i settecentomila dollari e sbloccando diversi stretch goals aggiuntivi. Basato sul motore Unity e sviluppato dai 5 Lives Studios di Brisbane, team al cui interno militano alcuni dei creatori di Syndicate Wars, Satellite Reign è tuttora in sviluppo e la sua uscita è prevista entro la prima metà del 2015.
    Trattandosi di un titolo estremamente promettente, abbiamo provato la build Pre-Alpha attualmente disponibile per chi acquista il gioco su Steam o sul sito ufficiale. Come sempre in questi casi, ancora nulla di ciò che vediamo a schermo è definitivo e va dunque preso con beneficio d'inventario. In questa demo alcune features sono al momento disattivate, mentre bachi e glitch non mancano e, anzi, gli stessi programmatori invitano chiunque lo giochi a trovare quanti più bug possibile e segnalarli.
    Facciamo un passo indietro. Satellite Reign ci catapulta in un mondo sci-fi distopico in cui i governi hanno perso il loro potere in favore di megacorporazioni private disposte a qualsiasi mezzo, legale o meno, pur di accaparrarsi il monopolio del mercato, mentre la popolazione vive un'esistenza in bilico tra la tecnologia più sofisticata e la povertà più nera. In quest'epoca di oppressione e contrasti sociali sorge una misteriosa organizzazione il cui scopo è quello di ribellarsi al dominio di multinazionali e lobby mafiose.
    Qui entra in ballo il giocatore, che controlla quattro agenti di questa organizzazione senza nome. Ogni agente rappresenta una classe (soldier, support, infiltrator e hacker) con talenti, abilità e gadget unici: l'hacker ad esempio è specialista nell'uso della tecnologia e può disattivare telecamere e manomettere circuiti, l'infiltrator è ottimo come ricognitore per studiare la zona grazie a un'abilità che gli permette di “scansionare” l'ambiente circostante, e così via. I quattro cyborg vanno personalizzati e coordinati per riuscire a completare di volta in volta le varie missioni che vanno a formare una campagna non lineare.
    Come in Syndicate non manca un sistema di ricerca che permette di upgradare i nostri agenti mediante innesti cibernetici (non presenti nell'attuale demo ma ovviamente disponibili nella versione finale). Da differenti compagnie si possono acquistare potenziamenti per le varie parti del corpo (testa, braccia, torso e gambe), che richiedono un dato ammontare di soldi e livello scientifico e sono descritti con un certa vena ironica: della serie, chi sceglie “pateticamente” di non potenziarsi lo fa a suo rischio e pericolo, ma è destinato a diventare un cumulo di cenere fumante.
    La metropoli è divisa in quattro distretti principali, ognuno controllato da diverse fazioni. La demo si svolge interamente nel distretto del centro città, con tanto di locali a luci rosse e quartiere “Chinatown”. Nostro scopo è arrivare alla stazione di polizia, dove il soldato è stato catturato e rinchiuso dalle autorità locali, e liberarlo per poi proseguire. Il level design sembra proporre delle situazioni interessanti, anche se sporadicamente alcuni punti costituiscono dei passaggi obbligati che non è possibile aggirare. Ma in generale la mappa resta piuttosto libera, estesa e, soprattutto, colma di dettagli, dai vicoli più bui e inquinati fino alle insegne al neon accese a intermittenza sotto un'incessante pioggia. Se l'atmosfera può dirsi azzeccata è anche merito delle musiche, che toccano le corde giuste grazie alla presenza nella software house di Russel Shaw, storico compositore della serie Syndicate.
    Satellite Reign concede una discreta libertà nell'approccio da usare. Niente di trascendentale, sia chiaro, ma possiamo scegliere se darci all'infiltrazione stealth o all'assalto a testa bassa. Nel secondo caso potremo godere di una discreta distruttibilità ambientale, ma dovremo vedercela con le forze dell'ordine che ci soverchieranno di numero. Se entriamo in una zona riservata i poliziotti tenteranno di arrestarci e condurci al fresco, per poi far cantare le pistole in caso di fuga o reazione degli nostri agenti. Anche la folla presenta un comportamento realistico: in città ognuno bada ai fatti suoi, a piedi o in auto, affrettandosi come formiche laboriose, ma estraendo le armi e spianandole sui cittadini provocheremo un attacco di panico collettivo che si tradurrà in urla disperate e fughe scomposte.
    Qui spunta l'aspetto più affascinante del vecchio Syndicate, e che Satellite Reign riprende a mani basse, ovvero la libertà di far agire i nostri agenti come preferiamo. Possiamo ovviamente agire come dei paladini della giustizia, ma nulla ci impedisce di comportarci in maniera poco ortodossa accanendoci sui passanti indifesi alla stregua di killer psicopatici. I cittadini, insomma, sono una perdita sacrificabile nella metropoli di Satellite Reign, e se il loro sangue può essere utile per attirare l'attenzione e creare un diversivo mentre da un'altra parte il nostro hacker viola sistemi informatici indisturbato, allora ben venga.
    Satellite Reign tuttavia non è solo un mero omaggio al passato, bensì un titolo che presenta delle novità intelligenti per adattarsi al gaming odierno: tra queste la guida dei veicoli e un sistema di posizionamento e copertura delle unità che ricorda quello di molti RTS moderni, a là Company of Heroes per intenderci. Per l'interfaccia 5 Lives Studios ha optato per il minimalismo: l'HUD degli agenti è intuitivo e presenta in modo snello tutte le informazioni da sapere riguardo a vita, energia, armatura e abilità. Più bisognosi di lavoro i menu, dalla mappa alla schermata di salvataggio, che al momento sono giusto dei placeholder in attesa di quelli definitivi.
    Tecnicamente il gioco è convincente: l'impatto grafico non è nulla di incredibile, ma per un titolo indie vanta buone animazioni e ottimi effetti particellari, in particolare nelle spettacolari esplosioni. Il motore resta ancora da ottimizzare per renderlo meno pesante e scattoso, così come è da limare il pathfinding degli agenti che talvolta li porta ad incastrarsi in elementi dello scenario, ma d'altro canto stiamo sempre parlando di una Pre-Alpha e rientra quindi tutto nella normalità: normalità che fa ben sperare per il prodotto finito.