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lunedì 30 novembre 2015

Rainbow Six Siege

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Sparatutto

  • Sviluppatore:Ubisoft

  • Data uscita:1 dicembre 2015

     

     

    Questa doveva essere una delle recensioni più interessanti dell’anno. Avevamo tra le mani un gioco attesissimo, con qualità tecniche da urlo e un gameplay finemente ricercato, capace di trattare tematiche attuali come quelle del terrorismo e dimostrare che i videogiochi, in quanto tali non hanno bisogno di nascondersi dietro a facciate di perbenismo che dovrebbero esulare da questo media. Ci credevamo davvero tantissimo, tanto da tesserne le lodi sin dal 2014, per poi arrivare ad oggi trovandoci per le mani un prodotto che non è che lo spauracchio di quel presunto capolavoro mostrato ormai due anni fa, arrivato come un fulmine a ciel sereno a distruggere aspettative e speranze.
    Come avrete notato il voto in questa recensione non è ancora presente perché la stabilità dei server è seriamente problematica al momento, con una beta che definire zoppicante è dire poco, e una quantità di bug tale da rendere impossibile valutare correttamente il prodotto. Daremo a Rainbow Six Siege ancora qualche giorno, il tempo necessario di inserire una patch al day one, e poi chiuderemo il sipario sulla questione, con la nostra valutazione che rispecchierà il prodotto presente sugli scaffali.
    La nostra recensione, comunque, esaminerà problematiche ulteriori ai semplici crolli tecnici e di stabilità online, guai che hanno minato sin dai primi momenti di gioco la nostra esperienza globale con Siege.
    Ci aspettavamo una produzione solida, che fondasse tutto su un gameplay affinato, ma avesse anche una rigida ossatura base per giustificare un titolo venduto a prezzo pieno, e invece non è stato così.
    Rainbow Six Siege è un gioco dai contenuti scarni che si presenta sul banco di prova con 10 missioni da giocare in solitaria, pensate per farvi prendere confidenza con le dieci mappe presenti e sperimentare le sole quattro modalità di base, una modalità Terrohunt da affrontare con altri quattro giocatori online contro l’IA e la modalità competitiva cinque contro cinque.
    Non esiste alcun singleplayer a fare da supporto, un netto passo indietro rispetto ai precedenti Rainbow Six e un segnale chiaro che viene lanciato subito ai fan di vecchia data: Siege non è un’evoluzione dei precedenti titoli della casa francese, è uno sparatutto lento, ragionato e strategico che si fa forte di un brand conosciuto ma ne prende le distanze sotto tantissimi aspetti. Dimenticatevi qualsivoglia forma di pianificazione o pretattica prima delle partite: tutto viene ora gestito in tempo reale all’inizio del match, con la comunicazione tramite voice chat che non solo risulta importante per godere del titolo ma addirittura essenziale nel caso ci si voglia divertire, e questo anche a causa della completa mancanza di una mappa strategica.
    Lanciamo quindi un avvertimento a tutti i giocatori casual là fuori: questo gioco non fa per voi, per riuscire a trarre il massimo da Siege è indispensabile avere altri quattro amici con cui giocare o il rischio è quello di scalfire solo superficialmente le meccaniche di infiltrazione e difesa proposte, unici elementi davvero validi del pacchetto.
    Giocando in singolo, infatti, le dieci missioni che fungono da tutorial proposte bastano da sole a far emergere quasi tutti i problemi che la produzione si trascina dietro: l’IA non è assolutamente curata a dovere, con grossi deficit strategici un po’ a tutte le difficoltà, arrivando addirittura ad essere snervante in modalità difficile: ha in pratica la capacità di spararvi da dietro ai muri senza alcun preavviso, in situazioni dove avversari umani non avrebbero mai potuto individuarvi e sostanzialmente bara per alzare l’asticella della difficoltà invece di mettere sul piatto routine comportamentali più efficaci.
    La varietà di modalità proposte poi non fa che peggiorare la situazione, laddove sostanzialmente tra salvare un ostaggio, disinnescare una bomba o difendere un’area specifica della mappa non vi è alcuna differenza strategica. Un elemento davvero preoccupante soprattutto in ottica competitiva e di e-sport, dato che rende estremamente piatte e identiche tra loro tutte le partite, offrendo uno spettacolo noioso e molto più simile a un deathmatch che a una vera missione ad obiettivi. Uccidere il team avversario non solo è anche estremamente più semplice, ma anche solitamente l’unica via per arrivare a completare l’obiettivo di missione. Questo a causa di un bilanciamento andato completamente a gambe all’aria e di una distruttibilità non così ampia come annunciato inizialmente. Il rammarico più grande di questo Rainbow Six Siege è proprio il downgrade brutale subito dall’annuncio a oggi e non solo dal punto di vista tecnico, che analizzeremo più avanti, ma proprio riguardo alle meccaniche di gioco, semplificate e mancanti della profondità necessaria per porre questo sparatutto un gradino sopra a tutto il resto. Scordatevi di poter abbattere qualsiasi muro o superficie, ora molte pareti saranno impossibili da rompere, così come le brecce dall’alto possibili solo in specifici punti della mappa. Il massimo che potrete ottenere sarà spaccare qualche asse e sparare dal piano superiore, davvero poca cosa rispetto alla libertà promessa in principio.

    Rainbow Six Siege è il primo titolo a nostra memoria che non permette di scegliere, prima di entrare nel matchmaking, quale modalità o mappa affrontare. La scelta degli sviluppatori Ubisoft non solo è insensata ma addirittura deleteria per l’intero progetto, quando in Terrohunt sarete costretti per forza di cose a buttarvi su una combinazione scelta dal sistema e non dal vostro team. Vi piace una mappa specifica o una missione particolare? L’unico modo che avrete per affrontarle sarà sperare nella buona sorte. Solo nel competitivo potrete creare partite custom o playlist personalizzate dove decidere cosa giocare, ovviamente senza però ottenere alcuna ricompensa né come esperienza né sotto forma di crediti.
    Non che lo sviluppo del profilo sia così importante tuttavia, dato che il matchmaking non prende in considerazione nessun parametro per comporre i team e i crediti vi daranno accesso esclusivamente a qualche ottica per le armi dei vostri specialisti (due o tre per ogni bocca da fuoco), un eventuale silenziatore, skin e poco altro.
    Arrivati al ventesimo livello avrete invece accesso alle partite classificate, con un matchmaking finalmente tarato sulle abilità reali dei giocatori, un HUD rivisto e anche meccaniche di gioco diverse, come l’assenza totale dell’auto aim e un danno aumentato per esplosivi e proiettili.
    L’unico motivo per raccogliere denaro è allora quello di sbloccare i vari soldati delle forze speciali, 20 in tutto, divisi in due categorie "assalto e difesa". Purtroppo spariscono dal competitivo i terroristi, ora rimpiazzati direttamente da altri specialisti delle forze speciali. Non è chiaro se sia una scelta di design specifica o un fattore pertinente con i recenti accadimenti, fatto sta che tutta l’atmosfera e il realismo del titolo vengono così cancellati con una veloce passata di spugna. Un colpo duro per chi ha sempre amato le ambientazioni di Tom Clancy e lo spirito della serie. Gli specialisti, inoltre, possono essere modificati in maniera davvero superficiale, cambiando qualche gadget o selezionando tra una scelta di un paio di armi da fuoco il fucile da portare in battaglia, davvero pochissima cosa se pensiamo a cosa Ghost Recon permetteva qualche anno fa.
    Tra questi soldati, presi direttamente da cinque forze speciali mondiali, troviamo Spetznaz, SAS, FBI, GIGN e GSG, che racchiudono sostanzialmente le classi con cui andrete poi a giocare, con alcune di queste indispensabili e altre che si ripetono invece molteplici volte. Ad esempio avremo più specialisti dotati di scudo anti proiettili, ma solo uno dedicato a rilevare i battiti cardiaci degli avversari. Potendone portare solo cinque in battaglia, le squadre andranno a formarsi così solo con i cinque più performanti, rivelando in realtà più piattezza di quanto immaginato inizialmente. Tachanka secondo noi, un russo enorme dotato di torretta fissa, è uno degli specialisti più forti in assoluto quando si tratta di difendere e difficilmente verrà escluso dalle partite. Un bilanciamento insomma che non ci è parso poi così finemente ricercato, sicuramente da sistemare con le patch future, magari con l’aggiunta di maggiori specialisti.

    Nonostante la delusione per le tantissime promesse non mantenute, c’è la consapevolezza di avere tra le mani un gioco che ha nelle basi una formula giusta per riuscire a divertire. La possibilità di piazzare trappole in ogni angolo delle location e gli strumenti per disinnescarle una a una rendono comunque le partite di Siege interessanti sotto questo punto di vista. Ovviamente l’altro lato della medaglia è che il multiplayer si presenta come la festa del camping estremo, con i terroristi, pardon i difensori, impegnati a trovare l’angolino più buio e nascosto dove aspettare gli assaltatori. L’impossibilità di muovere il bersaglio e le poche strade percorribili per arrivarci traducono il tutto in uno scontro di pochi minuti nel momento caldo della partita. I difensori sono altresì forzati a restare dentro le quattro mura da scelte di design discutibili, come l’impossibilità di vedere al di fuori delle finestre, a causa di un velo rosso pesantissimo, o di uscire all’esterno, pensa l’essere segnalati ed evidenziati sulla mappa di gioco.
    Il feedback delle armi e le fasi di shooting sono curate invece, mentre il rumore dei colpi poteva essere decisamente fatto meglio. Un peccato visto che l’audio, in generale, è realizzato in maniera ottimale, con una propagazione nell’ambiente realistica e di impatto. Veniamo ora al lato che più ci ha lasciato sconcertati durante la nostra prova: la componente grafica di Siege.
    Ubisoft ha fatto enormi passi indietro rispetto a quanto presentato nel 2014 e uno dei tanti problemi è da ricercarsi nell’impianto di illuminazione decisamente piatto. Le animazioni non sono assolutamente all’altezza di un tripla A, e gli ostaggi ora sono immobili e “senza anima”.
    Pregevoli solo gli effetti del fumo, elemento tuttavia che fa sentire ulteriormente la mancanza di visori di calore e notturni, dotazioni standard per le forze di irruzione che ci saremmo aspettati di vedere introdotte su ogni specialista. 

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