Data uscita:14 dicembre 2016
Simpsons, puntata 15, stagione nove. Bart recupera dal giardino dei
Flanders Krusty il Clown sbronzo che, una volta entrato nella stanza
del ragazzo ed essersi ripreso dalla sbornia, si accorge degli
innumerevoli ed assurdi gadget da lui promossi: c’è la sveglia di
Krusty, i moduli legali di krusty, lo specchio di Krusty, il cotton fioc
di Krusty ed il collirio di Krusty. Dicembre 2016, aprite la pagina del
negozio di Steam - magari non da ubriachi - e a pochi click di distanza
trovate lo strategico in tempo reale di Warhammer - 40,000 e Age of
Sigmar - lo strategico a turni di Warhammer, l’RPG di Warhammer, la
versione digitale del gioco da tavola di Warhammer, il gioco di
battaglie navali di Warhammer e perché no, il football americano di
Warhammer. Buona parte della colpa - o del merito a seconda dei vostri
gusti - di questa sovrabbondanza di titoli è dovuta a Focus Home
Interactive che, da quando ha acquisito i diritti sulla licenza di Games
Workshop, si è appoggiata di volta in volta a team differenti per lo
sviluppo di titoli che sfruttassero l’universo futuristico di Warhammer:
questa volta è toccato a Streum On Studio che, nonostante il suo scarno
curriculum, si è vista affidare lo sviluppo di Space Hulk: Deathwing un ambizioso FPS basato sul gioco da tavola Space Hulk, dove i
protagonisti sono gli iconici e pesanti Space Marines anzi, di più, i
“machissimi” Space Marines Terminator.
I primi passi mossi in Space Hulk: Deathwing
promettono bene e il tutorial, accanto al piombo infuocato, lascia
intravedere un barlume di speranza per approcci più tattici e ragionati,
con circuiti da hackerare per aprire nuovi passaggi e torrette da
sabotare. La luce si spegne in fretta all’avvio delle campagna, perché
nelle nove missioni complessive e per le circa dieci ore della durata,
non si fa altro che sparare a ondate sempre più soverchianti di
Genestealer, in puro stile Left 4 Dead o, se preferite, Warhammer End Times - Vermintide.
La scelta di affidarsi a queste meccaniche ha ovviamente delle ricadute
sul gameplay complessivo, e anche oltre, a esempio nel lato narrativo,
visto che l’unica motivazione per indagare le profondità dell’enorme
Space Hulk, il relitto di una nave spaziale passato attraverso dei chaos
warp e ora divenuto dimora dei fratelli meno simpatici degli Alien, è
una voce fuori campo che parla di visioni di reliquie e antichi
manufatti provenienti dal passato ancestrale degli Space Marines. La
realtà è invece più semplice e meno evocativa: si va avanti fino a che
l’ennesima ondata di Xenos, composta da varianti sempre più aggressive e
letali di Genestealer e Tyranid, invisibili, che sputano acido o
aspiranti bodybuilder, non fanno fuori voi e i vostri sfortunati
compagni di viaggio. La storia va dunque scartata dalle possibili molle
che spingono a macinare ore su ore. Lo sono altre meccaniche di gioco?
Purtroppo, in buona parte no, a partire dallo scarno senso di
progressione che teoricamente dovrebbe dare lo spoglio albero delle
abilità, che si limita a tre linee - Command, Devotion e Psycho - senza
ramificazione alcuna, su cui spendere i punti abilità collezionati nel
momento in cui si completa un livello. Le soddisfazioni vengono solo
dagli ultimi poteri psichici e che danno il là a delle spettacolari
carneficine di alieni, con questi ultimi che saltano letteralmente in
mille pezzi o finiscono bruciati a fuoco rapido. Abbiamo in apertura
scomodato un pesante paragone con Left 4 Dead, ma delle stanze zeppe di
armi fuori di testa dello shooter made in Valve non c’è che uno sbiadito
ricordo a bordo della Space Hulk: anche al netto delle differenze che
intercorrono fra le classi, la varietà degli equipaggiamenti per gli
Space Marines è buona ma di certo non eccezionale, sia per le armi corpo
a corpo che per quelle a distanza, che per lo meno restituiscono un
feedback ben differente l’una dall'altra, con alcune più rapide e
stabili, come gli Storm Bolter, a altre più letali, pesanti, ma che
prestano il fianco a svariati blocchi, che equivalgono a una morte
certa. L’analisi del gunplay fa emergere dei difetti piuttosto evidenti:
anche per il caos che viene generandosi sullo schermo, spesso non si ha
la minima idea del danno inferto ai nemici, con questi ultimi che,
anche se crivellati di proiettili, proseguono la loro corsa
indisturbati, per poi cadere improvvisamente morti dopo un paio di
secondi. L’inconveniente più spiacevole è certamente il sistema di mira e non solo perché il puntatore è afflitto dal morbo di Parkinson che
impedisce un minimo di stabilità, ma perché quando si clicca il classico
tasto destro del mouse la telecamera effettua uno zoom sproporzionato e
soprattutto i nemici vengono evidenziati di rosso-arancione. Capiamo
che questa trovata dovrebbe simulare il calore corporeo emesso dai
Tyranid e simili, ma quando questi ultimi riempiono tutto lo schermo o
stanno a un palmo di naso da voi, tutto il monitor viene travolto da
colori “sparafleshanti”, davvero fastidiosi e invadenti. L’effetto è un
po’ quello di Robot guerrieri epilettici, sempre per sfruttare metafore
Simpsoniane. Anche l’attacco in melee nasconde non poche magagne:
preparatevi a sfondare il tasto Q a cui è associato l’attacco, perché
non capendo da dove o da chi siete attaccati, la soluzione è battere in
modo frenetico sulla tastiera. Dato che gli impatti non restituiscono
poi la brutale fisicità che dovrebbero dare, lo stupro della Q prosegue
anche oltre misura, fino a quando anche i cadaveri attorno a voi non
smetteranno di muoversi. Sì, c’è il ragdoll. Le uniche soddisfazioni,
ancora una volta, vengono dalle abilità psichiche di cui è dotato il
bibliotecario, come onde d’urto in grado di abbattere intere file di
Genestealer, oppure scariche elettriche con cui arrostire i nemici
quando si fanno troppo vicini.
Ma delle varianti tattiche che ci sono state mostrate a inizio tutorial, ne rimane qualche traccia? Teoricamente sì: il
level design dello Space Hulk è dannatamente claustrofobico e
labirintico, l’alternanza di stretti corridoi e di ampie stanze colme di
resti umani ed alieni trasmette davvero un senso di inquietudine,
ma soprattutto, se sfruttato a dovere, garantisce dei vantaggi sulle
soverchianti schiere mostruose, che possono essere tagliate fuori
chiudendo le porte o ostruendo i passaggi. Anche le torrette, se da un
lato possono falciare in pochi colpi la squadra di spazzini spaziali con
più testosterone della galassia, se hackerate, vengono sfruttate per
radere al suolo ogni tentativo di assalto alieno. Abbiamo però detto in
teoria, perché in pratica, soprattutto a causa della IA degli alleati, i
vari tentativi di usare a proprio vantaggio le soluzioni offerte
dall'ambiente, vengono troncate sul nascere da un comportamento a dir
poco autolesivo, che porta i compagni di viaggio a essere sempre nel
posto sbagliato al momento sbagliato: nei corridoi si piazzano
esattamente davanti a voi e, dato che sono larghi come un armadio a tre
ante, non vedrete altro che le loro pesanti armature. Se accerchiati da
ogni lato da qualsivoglia genere di mostro, alle volte sparano, altre
volte menano fendenti, altre volte rimangono completamente fermi e, se
in fin di vita, muoiono, perché si scordano della possibilità di curarsi
l’un l’altro. La situazione sarebbe anche comica se non ci fossero dei
Tyranid che sbucano fuori da ogni pertugio e per evitare di fare una
brutta fine in men che non si dica, l’unico modo è l’utilizzo assiduo
della barra spaziatrice, con cui impartire continui ordini al party,
operazione che fila liscia come l’olio nelle poche situazioni
tranquille, ma che diventa un’impresa nei momenti concitati. Nella sua
semplicità, l’intelligenza artificiale dei nemici funziona invece bene
ed i pattern d’attacco, nella loro linearità, riescono sempre a mettere
alle strette la squadra di Space Marines, anche se la varietà e le
incognite sono limitate da spawn point fissi lungo la mappa. Il livello
di difficoltà si mantiene comunque sempre elevato e la morte è sempre
dietro l'angolo, un po' per l'aggressività dei Tyranid, un po' per l'UI
non proprio chiarissima: Streum On Studios non si è affidata alla
classica barra dell'energia, ma ha preferito creare un sistema di danni
suddiviso per le varie parti dell'armatura che, quando diventa rossa,
indica la sconfitta imminente. Il sistema è forse più innovativo, ma è
certamente meno chiaro.
Meccaniche
di shooting poco ispirate e ripetitive, AI traballante, looting assente
e lato RPG appena abbozzato: insomma, non sembrerebbero esserci validi
per affrontare le missioni suicida assieme alla squadra di Terminators. E
invece no. La discesa negli angoli più remoti dello Space Hulk è uno
spettacolo per gli occhi e nei rari momenti di tranquillità, quando si
alza la testa dal mirino, si rimane letteralmente a bocca aperta davanti
alle immense strutture contenute nel relitto spaziale. Ogni
corridoio, ogni sala, ogni singolo ingranaggio trasuda l’atmosfera
mistica e cupa di Warhammer 40,000 e non stiamo esagerando quando
diciamo che l’aria respirata in Space Hulk: Deathwing non
l’avevamo provata in nessun altro titolo basato sulla licenza di Games
Workshop. La direzione artistica impressa da Streum On Studio è davvero
degna di lode, tutto è unito alla perfezione, gli stretti cunicoli
metallici assieme agli asteroidi con cui si è fusa la navicella, ma sono
soprattutto le oscure architetture gotiche a trasformare lo Space Hulk
in una cattedrale fluttuante, con le sue imponenti statue e altari
dedicati ai vecchi eroi dell’Impero, mentre lì accanto innesti
cibernetici e spessi fili elettrici producono quell'incessante suono
metallico che accompagna il giocatore per tutta l’avventura. Space Hulk: Deathwing
mostra i suoi muscoli grazie al sapiente impiego dell’Ureal Engine 4 e,
a esclusione di qualche texture meno definita, gli effetti, i giochi di
luce che scaturiscono dalle fonti di calore, i sottili raggi che
entrano dalle finestre in frantumi, i riflessi e il pulviscolo che
permea ogni anfratto dello Space Hulk, tutto questo contribuisce a
restituire uno spettacolo cupo, claustrofobico, permeato di morte e
sangue, forse anche di più di quanto visto sulla USG Ishimura. Sulla
nostra configurazione di prova, dotata di un i7 4770k, 16Gb di Ram e di
una 970 4Gb, Space Hulk: Deathwing - giocato a un
dettaglio grafico tra alto e ultra, con il v-sync, il bloom e
l'anti-aliasing attivati - non ha mostrato cali di frame rate
significativi, con qualche limitato e non esagerato rallentamento solo
quando gli sciami Genestealer si facevano più intensi. A quanto pare,
non tutti gli utenti sono stati altrettanto fortunati, perché sfogliando
tra le pagine di Steam non mancano le lamentele sul basso frame rate,
tale da rendere il titolo ingiocabile. Il comparto audio contribuisce
anch'esso a questa sensazione di costante oppressione, di pericolo che
può venire da ogni parte, i lunghi silenzi di una navicella ormai
abbandonata sono bruscamente interrotti dalle acute urla dei Genestealer
e degli altri Tyranid, mentre dei toni metallici standard rimbombano
nel vuoto dello Space Hulk. Al netto di un gameplay complessivo di
livello mediocre e senza particolari spunti, l’avventura di Space Hulk: Deathwing riesce a catturare l’immaginazione del giocatore, creando un viaggio
attraverso tutto ciò che è Warhammer 40,000 e immergendolo sempre più in
basso in un microcosmo ricreato dentro la nave spaziale.
Forse
vi sembrerà strano essere arrivati fino a questo punto e non avere
trovato alcun accenno alla componente online, visti soprattutto i
paragoni con Left 4 Dead e Warhammer: End Times - Vermintide.
La cooperativa fino a quattro giocatori c’è, permette di rivivere le
stesse missioni delle campagna affrontate in singolo, è certamente
frenetica, le fasi di shooting sono incalzanti e non lasciano un attimo
di respiro. Affrontare l’avventura assieme a tre compagni in carne e
ossa annulla poi tutti i difetti segnalati sull’IA degli alleati e anzi,
la collaborazione si rivela l’unica via per non essere sopraffatti
dalle schiere aliene, che diventano più numerose e agguerrite nel
multiplayer. La realtà dei fatti è purtroppo meno felice, soprattutto perché non esistono server dedicati per Space Hulk: Deathwing e tutto è demandato al giocatore che farà da hosting alla partita,
che perdurerà fin quando egli non riceverà una chiamata dall’Imperatore
sull’altra linea, si stuferà di fare a fette scarafaggi troppo
cresciuti o, problema tanto caro al nostro paese, la sua linea subirà
un’interruzione. Il peer-to-peer è certamente una base economica e
conveniente, ma la stabilità ne risente parecchio e anche trovare una
partita è stata alle volte volte un’impresa che ha richiesto svariati
tentativi e minuti d’attesa, a cui vanno sommate le pause causate dai
lunghi caricamenti. Il secondo problema della cooperativa è che non
esiste un vero e proprio sistema di progressione e i livelli sbloccati,
gli equipaggiamenti recuperati e le nuove abilità perdurano fintanto che
si rimane all’interno del match, ma la corsa riparte da capo in ogni
sessione di gioco, dimenticando qualsiasi tipo di achivement. La
frustrazione viene mitigata dalla Codex Mode, un’opzione che, se da un
lato limita il numero di respawn a disposizione del giocatore, attiva
sin dall’inizio tutte le armi e i poteri, garantendo così una maggiore
varietà alla partita.