Ethero

martedì 11 novembre 2014

Dragon Age Inquisition

  • Piattaforme:PC, PS4, Xbox One

  • Genere:Gioco di ruolo

  • Sviluppatore:BioWare

  • Data uscita:20 novembre 2014

     

     

    Da videogiocatore di vecchia data il decadimento delle software house è un fenomeno con cui ho imparato a convivere. Ogni cosa ha un inizio e una fine, e anche giganti che sono stati capaci di regalare dei piccoli sogni ai loro fan possono dissolversi nel nulla, come è accaduto per LucasArts. Vi è però anche un’eventualità meno traumatica, più subdola e velenosa, che sul lungo periodo può uccidere una casa nei cuori dei giocatori tanto quanto il suo fallimento: la perdita di fiducia. Basta una grossa delusione a rovinare una vita di successi, poiché rappresenta di solito l’inizio inarrestabile di una parabola negativa che termina nel disastro. 
    Bioware non ha commesso errori irreparabili negli ultimi anni, ma con il secondo Dragon Age e una forte spinta sull’azione ha in parte alienato i fan della vecchia guardia, di mese in mese sempre più crudelmente convinti che questa fucina di meraviglie canadese ormai non volesse e potesse più creare un gdr duro e puro, di quelli in grado di accontentare anche i fanatici dei numeri, delle avventure enormi e dei mari di testo scritto. 
    Io stesso, cresciuto a pane e Baldur’s Gate, ho iniziato pericolosamente a dubitare, pur avendo passato innumerevoli ore sui loro titoli ed essendomi spesso vantato (possibilmente non con le ragazze) di averli finiti quasi in toto alla massima difficoltà. Dragon Age: Inquisition era dunque per me, come per molti altri, una prova importantissima, che doveva rappresentare la rinascita di questo talentuoso e possente team nel genere più complesso, difficile da gestire e meravigliosamente brillante in circolazione. Beh, gioite, perché dopo varie notti insonni e coi crampi alle mani e alle natiche per le ore passate davanti allo schermo posso affermare con certezza che Bioware è tornata.
    Il cambio di registro rispetto al capitolo precedente lo si nota fin dai primi secondi, e viene messo subito in chiaro da una creazione del personaggio di quelle che possono portare via facilmente mezza giornata. Non più limitati alla scelta di un singolo eroe, avrete finalmente modo di dare al vostro alter ego le sembianze e la razza che preferite, con la possibilità di scegliere persino un imponente Qunari. Non c’è la diversificazione dei prologhi vista in Origins, dove ad ogni scelta corrispondevano intere fasi dedicate, ma ci si rende velocemente conto di quanto insignificante sia il problema nel momento in cui si osserva la nuova struttura del titolo Bioware. Inquisition è infatti un open world, ben diverso dai limitati, per quanto estesi, giochi che l’hanno preceduto. La sua premessa serve solo a introdurre le meccaniche, e una volta completata vi lascia liberi di esplorare gradualmente immense distese sparse nel Ferelden e ad Orlais, ben più grandi rispetto alla stragrande maggioranza dei gdr occidentali in circolazione. 
    Non pensiate comunque di poter sottovalutare la narrativa solo perché è costruita attorno a un gioco dalle ampie vedute: troverete un numero folle di dialoghi in questo Dragon Age, e una qualità della scrittura che dimostra ancora una padronanza dell’epico propria di pochi nel campo. La trama di Inquisition non è solo interessante e ricca di colpi di scena, ha ripercussioni mastodontiche sull’intero lore della saga e si ricollega con forza agli eventi dei primi due capitoli, al punto che per chi ha perso i suoi salvataggi consigliamo senza remore l’uso del sito Dragon Age Keep per recuperare forzatamente le scelte fatte. 
    Vedrete svariati rimandi a personaggi e avvenimenti visti in Origins o nel bistrattato secondo capitolo, e sentirete costantemente il peso delle vostre azioni passate mentre plasmate il mondo con nuove importantissime scelte. Il gioco ovviamente resta godibile anche senza aver giocato l’intera epopea, ma è molto bello constatare come la fedeltà al marchio sia stata ripagata senza scorciatoie nel terzo capitolo.
    Solo un avvertimento, per chi si aspetta un’esperienza all’acqua di rose. In Inquisition ci sono tanti, ma tanti, ma tantissimi testi, sparsi tra un bel po’ di personaggi e una pioggia di scritti, testimonianze e quest. Qua siamo di fronte a un livello di approfondimento della lore e dei fatti da Planescape: Torment, non all’action adventure medio, e potreste passare più di mezz’ora solo a farvi raccontare la storia del Tevinter da uno dei vostri compagni. Siete avvertiti.
    Ma torniamo al fattore che balza subito all’occhio, ovvero la trasformazione in open world. Inizialmente in possesso della fortezza di Haven, in Inquisition vi verrà dato modo di gestire un trittico di agenti da spedire in varie missioni, e di aprire nuove mappe esplorabili spendendo punti potere guadagnati completando quest e chiudendo varchi nell’oblio con l’ausilio di un misterioso potere infuso nella vostra mano destra. Sottovalutare la massa del gioco può essere devastante, perché Bioware non si è limitata a piazzare qualche grossa mappa qua e là, ma ha finemente costruito ogni ambientazione, riempiendole tutte di quest e facendole continuare per chilometri. Se non vi stupisce il fatto che la prima zona, da sola, offre qualcosa come una ventina di ore di contenuti tra missioni, oggetti da recuperare e varchi da ricucire, la mascella non potrà che cadervi quando, passata una quindicina di ore, abbandonerete Haven e vi ritroverete a iniziare realmente l’avventura. Già, dopo quindici ore Dragon Age Inquisition “inizia”, una situazione che ha dell’incredibile e dimostra una reale volontà di creare qualcosa di impressionante.
    Certo, tanti contenuti servirebbero a ben poco senza un gameplay affinato e una sacrosanta diversificazione dei compiti, ma anche qui Bioware è stata ad ascoltare il feedback dei fan e ha lavorato d’ingegno. Le quest vi richiederanno per lo più di eliminare mostri e nemici, ma si parla ad ogni modo di avversari estremamente unici e dotati di abilità spesso pericolose, che alle difficoltà maggiori (specialmente se si disattiva l’immunità dei compagni al fuoco amico) richiedono tattica e furbizia per essere eliminati senza disastri. A favorire il tutto ci pensa il nuovo sistema di combattimento: una mescolanza tra la velocità estrema del secondo capitolo e la strategia del primo, che non sacrifica la spettacolarità e reintroduce la tanto agognata tactical view, una visuale dall’altro che permette di dare singoli ordini ai compagni e di riposizionarli a piacere sul campo di battaglia. Non è perfetta, a causa di una visuale un po’ limitata, ma risulterà praticamente insostituibile in hard o incubo, dove i nemici menano manco fossero la versione fantasy di Mike Tyson e un errore può costare carissimo. 
    L’enfasi sugli scontri ben calcolati viene sottolineata ulteriormente dalla quasi totale assenza di cure magiche in battaglia. Al di fuori di alcune abilità avanzate, la rigenerazione dei protagonisti è affidata alle sole pozioni e né i punti vita né le vostre magiche boccette si ricaricano se non si trova una zona della mappa dove è possibile accamparsi o una rara cassa di rifornimenti. Dovrete pertanto valutare attentamente la posizione dei possibili campi base, e alternare qualche sosta al vostro avanzamento, riposandovi di tanto in tanto. 
    Poco da dire poi sul bilanciamento di nemici e classi, che in Dragon Age 2 era un disastro per via di nemici infami come la morte e in Origins pendeva eccessivamente dalla parte dei maghi. Qui, in assenza di cure, la lancetta tira verso i guerrieri, a causa di alcune abilità che garantiscono utilissima armatura difensiva durante un combattimento e a delle indispensabili provocazioni, ma le classi sono ben studiate e il loro utilizzo è praticamente un obbligo. Nessuno ha il controllo sui nemici e l’utilità di un mago, come d’altro canto non c’è modo di avvicinarsi ai danni di un ladro armato di coltelli, dunque si parla di pezzi dello stesso puzzle. Non mancano inoltre le specializzazioni, con varianti di classi già viste e apprezzate, e alcune abilità avanzate gustosissime equiparabili a delle super e caricate a forza di combattere.
    L’altra parola d’ordine del gioco è “gestione”. Morti e sepolti i menu semplificati son tornati gli inventari complessi e il crafting fatto come si deve. Ogni personaggio può equipaggiare varie armi, accessori, e armature, e spesso e volentieri l’equipaggiamento dispone di slot dove è possibile inserire potenziamenti vari, riproducibili dopo aver messo le mani su progetti sparsi tra le missioni o venduti dai mercanti. La raccolta dei materiali è semplice e ricorda quella degli mmo, con vene di minerali e piante che si rigenerano rapidamente nelle mappe. 
    Non ci si limita però a scegliere l’armatura più luccicante e il coltellaccio più puntuto, visto che la figura dell’Inquisitore in questo Dragon Age è molto simile a quella di un lord e obbliga a scegliere costantemente alleanze, giudicare crimini, e addirittura dedicarsi alla personalizzazione del proprio enorme forte, ove si possono modificare trono, vetrate, drappi, e migliorare certe location. Molto importanti sono anche gli agenti citati sopra, che possono venir spediti a terminare varie operazioni, a volte pensate solo per far ottenere un po’ di risorse in più, o altre in grado di migliorare i vostri rapporti con i compagni e di garantirvi nuovi alleati. 
    Le scelte, peraltro, non sono di contorno. Decidere di aiutare l’una o l’altra fazione può mutare intere parti di campagna e vi troverete più volte dinnanzi a decisioni che potrebbero costare la vita a qualcuno. A voler essere pignoli, la crescita dell’Inquisizione è un po’ fine a se stessa e influenza marginalmente gli eventi finali, che sono dettati più da alcune strade intraprese nelle main quest che dall’effettiva dedizione all’ampliamento del proprio impero. Tuttavia il mondo cambia a causa delle vostre azioni, intere aree vengono bonificate, regioni si riempiono di nemici o si desertificano, giochi di potere muoiono sul nascere o si trasformano in guerre civili, ed è tutto nelle vostre mani. Ci si sente davvero un eroe con in mano il destino del mondo.
    Le novità non sono ancora finite, con l’arrivo del multiplayer anche nella serie Dragon Age. L’online di Mass Effect aveva funzionato discretamente bene e vista la forte componente action nel combat system di Inquisition un’opzione simile ha certamente senso, tanto che non è stato difficile applicarla per gli sviluppatori. In pratica si sceglie una tra varie classi (alcune sbloccabili con certe condizioni), e si gironzola tra dungeon in compagnia di altri tre giocatori, con una formula che ricorda da vicino quella degli mmo. Si può scegliere qualunque ruolo, ma è più che ovvio come le classi vadano diversificate per avere maggiori probabilità di successo, anche a causa della presenza di portoni apribili solo da alcune professioni che nascondono oggetti e ricchezze. Avanzando tra i dungeon i propri personaggi salgono di livello, si potenziano riempiendo rami delle abilità dedicate, e guadagnano equipaggiamento sempre più potente, fino a divenire delle forze della natura. Dubitiamo che la modalità catturerà i giocatori quanto la campagna principale, ma è una gradita aggiunta, che sa divertire e si mantiene fresca grazie a una randomizzazione dei nemici all’interno delle varie ambientazioni. Certo, non aspettatevi istanze curate come quelle di WoW, questo è più che altro un interessante diversivo, capace di dare il meglio di sé in compagnia di amici.
    Siamo di fronte perciò alla perfezione? All’opera magna della software house canadese? Solo per certi versi, perché Dragon Age comunque non è un titolo impeccabile e cade in un punto: il comparto tecnico. Il Frostbite non è un motore facile da gestire, è un cavallo pazzo che persino i suoi creatori non riescono a domare completamente. I Bioware, purtroppo, non ci sono riusciti appieno, e in Inquisition la cosa si nota sotto forma di bug grafici abbastanza frequenti, che si tratti di qualche strano glitch durante i filmati, di compagni che decidono di piantarsi da qualche parte mentre esplorate, di destrieri volanti o di altre amenità. Va detto che, trattandosi di un motore non loro, hanno fatto miracoli, e al di là di una navigazione abbastanza singhiozzante in zone piene di ostacoli e di qualche animazione legnosetta (il salto, oddio il salto) non è un problema gironzolare per le titaniche mappe una volta abituatisi ai comandi.
    Nulla da recriminare invece per il sonoro, con musiche magnifiche, e doppiaggi di grande qualità, e sulla direzione artistica, con paesaggi davvero mozzafiato a volte, nonostante la resa grafica del gioco non faccia gridare al miracolo per livello di dettaglio. Tenete a mente che l’ottimizzazione del motore non è perfetta e che su certe configurazioni, anche molto potenti, settare tutto ad ultra potrebbe mettere in seria difficoltà il vostro pc. Su console chiaramente il problema non si pone, ma si va a perdere molta bellezza. Precisiamo inoltre di non aver avuto modo di testare le versioni old gen del titolo e di non avere la più pallida idea di come possano funzionare. Sul serio, Dragon Age Inquisition è un gioco colossale, un’epica di proporzioni cosmiche, che anche se rushata brutalmente è improbabile finire in meno di una cinquantina di ore. Nel caso decidiate di dedicarvi a ogni suo segreto e quest, il counter del vostro tempo supererà facilmente le 100 ore, e chissà quante altre potreste aggiungerne buttandovi nel multiplayer. Non c’è che dire, Bioware stavolta ha fatto le cose in grande.

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