Data uscita:16 febbraio 2016
Dare credibilità a un genere inflazionato come l'horror sta
diventando davvero complicato. Tra emuli senza vergogna, titoli che non
offrono nulla di realmente nuovo, trame scontate e scarejump da quattro
soldi, uscirne fuori indenni è un'impresa più grande di quanto si possa
immaginare. Layers of Fear, sebbene abbracci con decisione
alcune soluzioni moderne ormai abusate, riesce a distinguersi dalla
massa grazie a una storia che parte da ottimi presupposti, fondendo le
ossessioni di un dramma familiare dai contorni torbidi e malsani con le
terribili suggestioni allucinatorie di un pittore con irrecuperabili
problemi mentali.
Le
origini dei profondi disturbi dell'artista risiedono, in parte, nella
volontà di creare quel capolavoro indiscusso che diventerebbe la
testimonianza di un talento inarrivabile, ma trovano appiglio anche nei
suoi tormenti personali, nelle paure profondamente radicate e negli
orrori grotteschi creati dalle false percezioni. Ossessionato dal
proprio talento e dal timore di fallire in questa impresa, il
protagonista zoppica lungo il suo maniero ottocentesco, dove dipinti
inquietanti, ricordi terribili e osceni strumenti del mestiere
raccontano una storia ben peggiore di quanto si possa intuire dalle fasi
iniziali. Costretto a una scarsa mobilità da un handicap acuito dalla
scadente protesi al ginocchio, il pittore si muove un'ambientazione che
muta costantemente davanti ai suoi occhi, generando nuove stanze,
corridoi, saloni e porte che conducono in luoghi surreali e onirici,
capaci di dimostrare quanto sia disperato il progressivo distacco dalla
realtà dell'artista. Le visioni, i file di testo e gli elementi dello
scenario scavano a fondo nel passato del protagonista, consegnando
all'utente una storia che fino a tre quarti dell'opera riesce a
mantenere alta la curiosità, finendo per essere un po' sbrigativa e
inespressa nel finale, dove viene messa in scena una "condanna" di cui
già se ne intravedeva la forma. A dispetto di tutto ciò, è ottimo il
modo in cui viene rappresentata la schizofrenia del pittore, con momenti
psichedelici che difficilmente dimenticherete, al contrario di un paio
di scarejump gratuiti e già visti altrove. L'atmosfera è davvero
ottima e ricrea il fascino delle "ghost story" tipiche della letteratura
a cavallo tra '800 e '900, strizzando l'occhio alle architetture e ai
dipinti dell'epoca, e usando il concetto della stratificazione dei
colori per riutilizzarlo in una tecnica narrativa a scaglioni che
funziona molto bene, nonostante le piccole sbavature. Gli eventi del
passato vanno insomma ricostruiti spulciando tra la mobilia e subendo
ciò che ha in serbo per voi ogni nuova stanza, in un percorso che è
tutto sommato molto lineare anche per quanto riguarda il level design.
Nonostante
il protagonista sia zoppo, e dunque più vulnerabile di un qualunque
altro personaggio nel pieno delle sue forze, gli sviluppatori non sono
stati in grado di sfruttare questa interessante caratteristica. Sebbene
Layers of Fear sia un gioco atmosferico, che in un'escalation di lucidi
deliri crea ansia e tensione tramite l'imprevedibilità delle situazioni
che presenta al giocatore, va detto che nessun pericolo tangibile è in
grado di uccidere il protagonista. A livello narrativo tutto ciò ha
un significato logico e ben preciso, ma si tratta a conti fatti di un
limite che annienta all'istante il senso di pericolo che ogni buon
horror dovrebbe avere. Quando si ritrova faccia a faccia con l'orrore,
sorpreso e senza vie di fuga, il pittore perde i sensi e rinviene in
luoghi ignoti della casa come da copione, rendendo così vano ogni
possibile tentativo di liberarsene d'istinto. A ciò è legato un altro
problema più di rilievo, che noterete già dopo le prime battute: Layers of Fear
è gestito da una mole impressionante di script. Quasi ogni corridoio o
stanza ne contiene uno: che sia uno spavento improvviso, un'apparizione
fantasmatica, oggetti che volano via d'improvviso o il crollo
inaspettato della masserizia, saprete sempre che qualcosa – a intervalli
grossomodo regolari – accadrà di certo. Ci sono senz'altro degli ottimi
spaventi, ma quando comincerete a intuire gli schemi usati per metterli
in atto, vi muoverete con meno circospezione e un pizzico di
spavalderia in più. Rimanendo in tema di script, la parte finale è
quella dove si nota maggiormente un po' di sofferenza nell'avanzamento.
Giusto per fare un esempio, in una zona specifica bisognerà trovare
degli oggetti molto piccoli in un grande salone che muta continuamente
la sua struttura, ma se non vi avvicinerete abbastanza al punto esatto
previsto dal gioco non si attiverà la transizione successiva. Si tratta
inoltre della parte più debole del titolo, che si comporta fin lì
abbastanza bene, soprattutto grazie ad alcune sezioni da psicosi
allucinatoria che spiccano maggiormente delle altre.
Giocare a Layers of Fear
significa inoltrarsi pericolosamente nella mente contorta e malata di
un'artista deviato, dove tutto è deformato, precario, pazzesco; è
un'ossessione vissuta a passo d'uomo, come in un vero e proprio "walking
simulator", e l'effetto che fa è quello di trovarsi prigionieri in una
casa degli orrori da cui è davvero impossibile uscire. L'angosciosa
ricerca del capolavoro perfetto si mescola ai sensi di colpa che
emergono nei rari momenti in cui la pazzia si ritira per lasciare spazio
agli ultimi residui di lucidità, ma non vi ci vorrà molto a capire
verso quale direzione il protagonista si sta davvero dirigendo. I rari
puzzle che troverete lungo il cammino sono tutti piuttosto semplici e
intuitivi, e si limitano nella maggior parte dei casi al reperimento di
tre numeri da inserire nel tastierino numerico di turno.
Artisticamente
Layers of Fear è molto bello, con un'ambientazione solenne - il maniero
- che pare respirare affannosamente e scricchiolare sotto
l'insostenibile peso della nequizia umana. Si espande, si contorce,
si ribella al dramma consumato tra le sue mura, vive e soffre come un
personaggio reale. I suoi interni sono arricchiti da dipinti
inquietanti: un adulto in una posa fiera col viso inadeguato di un
bambino, un primo piano di un uomo con la bocca slabbrata e il sorriso
enorme, le rivisitazioni oscure di celebri capolavori. Lo stile e gli
intenti sono dunque molto chiari, diretti e senza tentennamenti.
Tecnicamente, invece, su console si nota un frame rate più instabile
rispetto alla controparte PC, che si comportava meglio già in fase di
accesso anticipato. Niente di troppo grave, sia chiaro, ma ci sono dei
rari momenti in cui si scende attorno ai 20-15 FPS, con rallentamenti
che divengono più evidenti quando si prova a ruotare di scatto la
telecamera. Trattandosi comunque di un titolo al chiuso, dove la
conduzione di gioco è sempre molto controllata, siamo di fronte a un
problema tutto sommato marginale, che non mina la godibilità del gioco.
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