Piattaforme:PC
Genere:Azione
Sviluppatore:StudioMDHR
Se nella vostra vita avete bazzicato o sentito parlare di MMO, molto probabilmente dovreste conoscere NCsoft Corporation o, almeno, alcune delle loro produzioni più di rilievo come Blade & Soul, Wildstar e Guild Wars. Dopo quasi due decadi orientate soprattutto allo sviluppo di titoli appartenenti a questo genere particolare, una nuova scintilla pare essere partita dal genere MOBA grazie al boom degli ultimi anni, dalla quale è scaturito Master X Master, un misto tra dotalike e hack'n'slash che abbiamo avuto la fortuna di provare per circa un'oretta in compagnia di Sean Orlikowski, Product Manager di questo curioso titolo.Per chi ha avuto modo di apprezzare e giocare almeno alcuni dei battle arena usciti negli ultimi anni, deve essere stato semplice accorgersi che molti hanno provato a concorrere in questa grossa fetta del mondo videoludico online, purtroppo senza grossi successi, e di come ultimamente sempre più sviluppatori si stiano orientando verso una ibridazione con altri generi di grande richiamo.Già dal primo momento è stato abbastanza evidente che ci fossero somiglianze marcate (tanto nelle meccaniche di gioco vere e proprie quanto per gli elementi più di contorno) soprattutto con due esponenti della concorrente Blizzard, ossia Heroes of the Storm e – curiosamente – Diablo. Messa in questi termini, può risultare difficile immaginare una tale commistione, invece è molto più semplice di quanto si possa pensare.In Master X Master, già al momento del login ci siamo ritrovati un client inaspettatamente particolare. Al posto della classica schermata ci siamo visti nei panni di una pucciosa bambina con delle treccine rosse all'interno di un vera e propria HUB, che un po' ricorda la piazza principale in Splatoon, dove è possibile interagire direttamente con i personaggi di altri giocatori connessi e con cui organizzare al volo una partita.Durante la nostra prova, abbiamo avuto modo di giocare solo due partite: una nel classico PvP stile MOBA, in cui si affrontano due squadre da cinque elementi, e una missione di una campagna PvE, che maggiormente ricalca i canoni degli action game con visuale isometrica. In entrambi i casi ci sono stati due elementi che ci hanno inaspettatamente colpiti e che difficilmente avremmo immaginato di trovare. Il primo riguarda il sistema di controllo; il rightclick per gli spostamenti è stato rimpiazzato dai tasti WASD della tastiera, con tanto di possibilità di saltare con la barra spaziatrice per superare eventuali ostacoli e, soprattutto, schivare specifici attacchi ostili. Restano comunque altre quattro abilità, affidate ai tasti Q, E, tasto destro del mouse e R per la cosiddetta finisher. Il secondo, invece, stravolge assolutamente la formula del gameplay grazie al suo tag team system: esso consiste nella possibilità di scegliere all'inizio di ogni partita due eroi, che possono essere switchati a piacimento - se non per minime limitazioni date dai cooldown - scrollando la rotellina del mouse. Ciò non solo permette di avere due approcci completamente differenti alla partita, a seconda della tipologia di personaggio che si intende usare, ma va inevitabilmente a rompere qualsiasi schema consolidato nelle menti dei giocatori MOBA, che comunemente viene detto "meta". A tal proposito, sotto nostra specifica richiesta, lo stesso Product Manager ci ha informati che è loro ferma intenzione quella di regalare all'utenza un'esperienza assolutamente originale e di libero approccio, lasciando al giocatore la scelta dei singoli aspetti senza che un "meta", appunto, venga imposto o anche soltanto suggerito da loro. Un altro fattore su cui gli sviluppatori hanno posto una certa attenzione è la concatenazione delle abilità più potenti, affidate al tasto R, tra i due personaggi in tag. Per ovviare a combo devastanti, queste abilità non sono limitate solo dai tempi di ricarica ma da piccoli cristalli blu che è necessario raccogliere a seguito dell'eliminazione di unità nemiche.Come abbiamo già accennato, in Master X Master troviamo anche una campagna cooperativa composta da varie missioni (si punta a sforare la ventina nel prodotto completo), di cui solo una ci è stato possibile giocare direttamente. Qui abbiamo ritrovato la struttura classica degli hack'n'slash isometrici, con corridoi stretti che portano a delle zone un po' più ampie dove avvengono i combattimenti contro ondate di nemici, decisamente poco bellicosi ma in grado di impensierire un minimo se affrontati in gran numero. Il tutto è sfociato poi in una boss battle molto interessante contro Po Hwaran di Blade & Soul, armata anche qui con la sua gatling e con attacchi veramente potenti e insidiosi. Pur non avendo vere e proprie fasi di combattimento, ci sono stati momenti in cui venivano caricati specifici attacchi molto più potenti di quelli normali, come onde d'urto o attacchi congelanti, rendendo necessaria una certa abilità nello schivare, muovendosi molto e saltando col giusto tempismo. Questa missione in particolare doveva essere studiata per tre giocatori, il che avrebbe facilitato notevolmente le cose, ma anche in due siamo riusciti comunque a portarla a casa al primo tentativo, pur con una certa apprensione nelle ultime battute. Qui abbiamo potuto apprezzare dunque il ruolo tattico ricoperto da un personaggio di supporto, mosso dal nostro accompagnatore d'eccellenza, oltre al fatto che i due componenti del proprio tag hanno anche lifebar separate, ed è quindi possibile far riposare e ricaricarne uno particolarmente danneggiato mettendolo "in panchina" mentre si utilizza l'altro.Per quanto riguarda la modalità competitiva, abbiamo avuto modo di testare la tipica 5 contro 5, che però non sarà l'unica presente nel gioco. Verrà offerta anche una modalità 3 contro 3, maggiormente orientata al deathmatch, in un'arena di dimensioni molto più ristrette.Anche nella 5 contro 5, che dovrebbe essere la modalità classica del genere MOBA, abbiamo scoperto interessanti novità. Sin dall'inizio della partita tutto è già disponibile e manca, invece, ogni tipo di levelling o di building a game in corso. Così facendo, si impedisce ad un giocatore o all'intero team di sfruttare un miglior avvio per snowballare gli avversari fino alla loro completa disfatta. Piuttosto viene favorita espressamente la competizione, puntando tutto sulle abilità dei giocatori coinvolti, e rendendo ogni partita combattuta ed imprevedibile dall'inizio alla fine.Il gameplay risulta molto dinamico sin dalle prime battute, anche durante la fase di corsia iniziale che è solitamente più lenta e studiata. Qui si perde completamente l'idea di avere un early, un mid o un lategame, proprio per le ragioni appena descritte. Risulta molto importante assicurarsi gli altari dislocati per la mappa, che fungono sia da campi della giungla che da ottimi sistemi di reclutamento di forze alleate da mettere in campo, oltre che distruggere strutture ed eroi nemici. Tutte queste azioni portano un certo punteggio alla propria squadra e, al raggiungimento di un tetto prestabilito, viene evocato un enorme e pericolosissimo Titano che si avvierà a testa bassa verso la base avversaria. Ogni volta che questo viene abbattuto lascia per terra dei gettoni d'oro, che è necessario raccogliere e consegnare all'interno della propria base prima che un nemico ci uccida e recuperi il bottino. La cosa interessante è che, una volta raccolti 7 gettoni, un membro del team può trasformarsi in un Titano premendo il tasto T. Questa è probabilmente la feature più esaltante che abbiamo visto e permette di prendere d'assalto gli avversari con una quantità di danni veramente spropositata, ma la breve trasformazione ha una durata di circa venti secondi. Il tutto si conclude o quando una delle due basi viene distrutta o alla fine dei 25 minuti previsti, al termine dei quali viene reso vincitore il team con più punti. Molto più marginale, ma comunque presente, è il sistema di resa da sfruttare magari solo nel malaugurato caso in cui le cose vadano a senso unico, come ad esempio ritrovandosi uno o più compagni inattivi in squadra, per i quali è previsto un processo di penalizzazione forte che, ad ora, rrimane non meglio specificato.
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lunedì 30 maggio 2016
Master X Master
sabato 21 maggio 2016
Postal Redux
Piattaforme:PC
Genere:Sparatutto
Sviluppatore:Running With Scissors
Data uscita:20 maggio 2016 - Fine 2016 PS4
Il nome Postal risuona nella memoria di molti videogiocatori accompagnato da un'eco di brutalità e violenza. Molti di voi ricorderanno soprattutto il secondo capitolo, un FPS ad alto indice di crudeltà in cui si potevano compiere azioni inumane, come per esempio dare fuoco alle persone e poi estinguere le fiamme svuotando la vescica sul cadavere. Il primo Postal invece, uscito nel 1997, era uno sparatutto a visuale isometrica, che ha saputo ritagliarsi una schiera di appassionati sempre sfruttando una forte dose di violenza gratuita. I ragazzi di Running With Scissors ci riprovano oggi, riproponendo il prodotto originale con una veste grafica aggiornata. Purtroppo per loro i tempi sono cambiati e il pubblico si è fatto molto meno impressionabile.
Per quanto sia apprezzabile e comprensibile da parte di una software house voler restituire linfa vitale al proprio prodotto di punta, c'è modo e modo di compiere questa operazione. Prima di tutto però bisogna tenere in considerazione come il pubblico si sia evoluto, preventivando che quello che poteva funzionare ai tempi, magari al giorno d'oggi non è più così efficace. La violenza, come ci insegnano capolavori come The Last of Us, funziona meglio se contestualizzata e il suo uso come mero espediente per scioccare o galvanizzare il pubblico ha ragion d'essere solo nel caso in cui la cosa venga orchestrata come si deve. Il restyling grafico ha sicuramente giovato al prodotto, ma a distanza di tutto questo tempo, siamo certi che il titolo sarà in grado di soddisfare solo i più affezionati amanti del brand. La produzione è purtroppo affetta da svariate problematiche, prima su tutte la fastidiosa abitudine di resettare autonomamente le impostazioni grafiche, cosa che ci ha causato più di qualche problema in fase di acquisizione video. Oltre a questo, i nemici tendono a diventare aggressivi solo quando ci troviamo nelle loro vicinanze, lasciandosi a volte crivellare di colpi se ingaggiati dalla lunga distanza. Spesso inoltre veniamo attaccati da aggressori che si trovano occultati sotto una tettoia o dentro un cespuglio, rendendo possibile la loro identificazione solo grazie alla scia dei proiettili. La moltitudine di oggetti esplosivi a schermo, come barili o pompe di benzina, sono più duri da abbattere rispetto ai nemici stessi, facendo preferire al giocatore un approccio più diretto allo scontro. Al termine dell'avventura, della durata di meno di due ore, ci rimane solo la modalità Rampage, in cui è possibile riaffrontare i livelli tentando di totalizzare un punteggio sempre più alto in base alla rapidità con cui si uccidono i presenti.
Total War Warhammer
Piattaforme:PC
Genere:Strategico
Sviluppatore:Creative Assembly
Data uscita:24 maggio 2016
Quando nel 2000 Creative Assembly presentò al pubblico Shogun: Total War, in pochi si resero conto di trovarsi davanti a una rivoluzione nel mondo degli strategici e di fronte alla nascita di una fra le più longeve serie in ambito in PC. In più di quindici anni, il team di sviluppo inglese ci ha fatto rivivere varie epoche storiche, dalla repubblica romana all'impero napoleonico, passando per l’età delle crociate senza disdegnare scenari da noi più distanti, come il Giappone feudale. In questo lungo lasso di tempo, Creative Assembly ha sempre dimostrato di preferire le ambientazioni storiche, lasciando ai modder il compito di coniugare il gameplay di Total War con mondi differenti, come ad esempio quello del Signore degli Anelli, ricreato dalla celebre mod per Medieval II: Total War, nota come Third Age: Total War. Questo è stato vero fino al 6 dicembre 2012, giorno in cui Sega annunciò la partnership con Games Workshop per l’utilizzo della licenza Warhammer, a cui seguì a pochi giorni di distanza la dichiarazione che i titoli sarebbero stati sviluppati da Creative Assembly. A quel punto - anche grazie a qualche fuga di notizie - diventò subito chiaro quali fossero le intenzioni e, quando a gennaio 2015 si palesò il primo trailer del tanto atteso Total War: Warhammer, ci fu un’immediata reazione mediatica: finalmente i fan dell’universo creato da Games Workshop avrebbero visto realizzarsi il loro sogno proibito.
Nonostante l’inedita ambientazione, la struttura della campagna principale di Total War: Warhammer è rimasta fedele alla serie, con la consueta suddivisione tra strategia a turni per la gestione degli insediamenti e le battaglie in tempo reale, nelle quali gestire direttamente sul campo le proprie truppe. Partendo dalla prima, come era lecito aspettarsi, accanto ai sistemi collaudati della saga sono presenti svariate novità legate al setting che, grazie al lavoro svolto gomito a gomito tra Creative Assembly ed i ragazzi di Games Workshop, è stato ricreato con cura in Total War: Warhammer. La mappa di gioco racchiude in sé il Vecchio Mondo, con al centro Reikland, terra imperiale divisa fra i conti elettori sempre in lotta fra loro; ad ovest sorgono i ducati di Bretonnia, confinanti a sud con Tilea ed Estalia, mentre spostandosi ad est, nell'Oblast', si situa il regno indipendente di Kislev, minacciato da vicino dai Conti Vampiro, che dominano le loro schiere di non morti a Sylvania. Il profondo sud del Vecchio Mondo è continuamente scosso dall'eterna lotta fra i regni nanici e le orde di Pelleverde, sempre pronti a far partire le loro razzie dalle Malelande, mentre all'estremità settentrionale si stanno radunando i guerrieri del Chaos pronti a scatenare la loro tempesta. Su tutti questi territori imperversano infine i venti della magia, una potente arma in più a disposizione dei preti guerrieri, dei maghi della luce o dei necromanti. In Total War: Warhammer ritorna la suddivisione in regioni e provincie apprezzata in Total War: Rome II e Total War: Attila, comoda per pianificare in modo più accurato lo sviluppo degli insediamenti, evitando così di costruire nello stesso territorio le medesime strutture. Se in passato si dovevano però tenere in considerazione molte variabili, come il livello di felicità, l'igiene e le provviste, in Total War: Warhammer queste meccaniche hanno subito un'evidente semplificazione e, oltre alla soddisfazione della popolazione, l'unico altro parametro da controllare è la corruzione vampirica o del chaos, che può portare alla pazzia i propri sudditi trasformandoli in non morti o armate delle tenebre, ma che può esser facilmente limitata con gli appositi edifici ed evitando che scorrazzino sul proprio territorio le truppe nemiche. Inoltre, i più fini conoscitori della lore di Warhammer potrebbero vedere come un'occasione mancata l'assenza della religione, che soprattutto nell'Impero, diviso fra il culto di Sigmar, Ulric e Tall, gioca un ruolo fondamentale. Al di là della sua struttura, lo scenario di gioco colpisce per la presenza dei più famosi insediamenti, come Altdorf, la capitale dell'Impero o l'inaccessibile rocca nanica Karaz-a-Kark, e per il fatto che tutti questi territori siano ricchi di dettagli che ne impreziosiscono la caratterizzazione: è infatti impossibile non rimanere colpiti dalla desolazione che regna nelle Acque Malsane o dal gelo e dalla asprezza dei Monti Trollheim. Oltre alla sua bellezza, il Vecchio Mondo risalta però anche per le sue esigue dimensioni, specie se confrontate con quanto visto in Rome II o Attila: questa ristrettezza è con ogni probabilità frutto dell'accordo tra Sega e Game Workshop che darà vita ad una trilogia e quindi, territori come l'Arabia, il Gran Cathai o Ulthuan verranno esplorati dai prossimi due capitoli. Questo purtroppo non è l'unico mezzo passo falso e, dando un'occhiata più da vicino alle fazioni e ai territori, è impossibile non notare l'assenza di alcuni protagonisti del mondo fantasy, come gli Skaven, così come la scarsa caratterizzazione di alcune fazioni, fra tutte Kislev, del tutto priva del suo background ispirato al regno lituano-polacco e dei suoi temibili Lancieri Alati. Nonostante qualche imperfezione nello scenario, la campagna riesce calare il giocatore dentro l'universo di Warhammer tramite i numerosi script event, missioni e le nuove battaglie incarico generate durante la partita che, se concluse vittoriosamente, restituiscono importanti equip e tratti agli eroi. Due dei cronici difetti imputati alla saga, l'IA deficitaria e le conseguenze sulla diplomazia, sono stati invece in parte risolti e ora le fazioni alleate seguono le istruzioni date, le relazioni tra le varie potenze hanno una logica più chiara e così è più facile che un regno allo stremo delle forze conceda la pace piuttosto che andare verso morte certa. Purtroppo permangono ancora grossi dubbi sul comportamento degli eserciti guidati dall'IA: non è raro infatti che questi ultimi abbandonino un insediamento minacciato da vicino dalle truppe nemiche, oppure che si dirigano in zone ad alto tasso di logoramento.Se nei precedenti Total War la varietà delle fazioni e il loro stile di gioco erano un aspetto importante del titolo, in Total War: Warhammer assumono ancora maggiore importanza e, lo diciamo fin da subito, sono uno degli elementi maggiormente riusciti. Nei mesi che hanno preceduto l'uscita, Creative Assembly ha ricevuto molte critiche per la scelta di introdurre solo quattro fazioni giocabili al lancio - Impero, Nani, Pelleverde e Conti Vampiro - con i Guerrieri del Chaos disponibili solo tramite pre-order o DLC, e Bretonnia utilizzabile solo nelle battaglie personalizzate: naturalmente, il numero esiguo non può figurare fra i lati positivi e il fatto che ad inizio campagna venga data la possibilità di scelta fra due eroi per ogni fazione limita solo in parte la ristrettezza. E allora, perché le fazioni sono uno delle parti più riuscite? Semplicemente perché la scelta fra umani, orchi, non morti e nani stravolge completamente il gameplay, molto di più di quanto non accadesse in Attila o Rome II. A causa delle profonde differenze che vi sono fra le razze e per rispettare fino in fondo la "sceneggiatura", per la prima volta solo alcune tipologie di insediamenti sono conquistabili dalle varie fazioni: ad esempio, gestendo l'impero, l'espansione dei propri domini avviene solo a danno di altri umani o dei Conti Vampiro, mentre le tribù degli orchi o le roccaforti naniche possono essere solo saccheggiate per garantirsi un lauto bottino, o rase al suolo, proprio come in Total War: Attila. Ogni singola fazione ha il suo unico stile di gioco, derivante sia dalla tipologia delle sue truppe, sia dalle caratteristiche dei suoi insediamenti e dalle relazioni con le altre razze. Gli eserciti nanici non possiedono unità di cavalleria, ma contano sulla fanteria più resistente di tutto il Vecchio Mondo e su una artiglieria in grado di spazzare via con una palla di cannone un'intera divisione di goblin. Il gameplay muta repentinamente selezionando i Conti Vampiro di Manfred von Carstein: la corruzione non sarà più un fattore da limitare, bensì da espandere nei territori confinanti e le truppe di non morti funzionano esattamente come carne da macello da lanciare contro umani, nani o orchi, facendole resuscitare tramite la magia nera e supportandole con gli spaventosi Varghulf. Grazie alla loro insaziabile sete di guerra, le tribù Pelleverde, guidate Grimgor Pelle di Ferro o Azhag il Mazzakratore, possono chiamare la Waaagh!, termine che tutti gli appassionati di Warhammer conoscono bene e che è stata rappresentata all'interno del gioco tramite la generazione di eserciti di supporto guidati dalla AI da scagliare contro le truppe nemiche.
giovedì 19 maggio 2016
Dishonored 2
Piattaforme:PC, PS4, Xbox One
Genere:Action-Adventure
Sviluppatore:Arkane Studios
Data uscita:11 novembre 2016
Arkane è stata chiarissima:
l’intento alla base del gioco è quello di riuscire ancora una volta a
farsi sorprendere dai fan. Come spiegato da Smith, infatti, l’idea degli
autori è quella di fornire al giocatore una serie di mezzi, oltre che
delle possibilità di scelta. Già con il primo Dishonored, però,
il modo in cui gli utenti si sono serviti dei poteri e delle armi di
Corvo, combinandoli insieme in modi fantasiosi, ha stupito perfino il
team. Una cosa assolutamente gradita e soddisfacente, nella quale Arkane
non solo vuole ripetersi, ma che mira anche ad ampliare. Ecco perché Dishonored 2
punterà più in alto del suo predecessore, offrendovi più possibilità e
diverse novità importanti. La prima, ormai nota dopo il trailer dell’E3,
è un’ambientazione tutta nuova, Karnaca.
Gli sviluppatori ci hanno spiegato che l’appestata Dunwall del primo Dishonored farà
infatti la sua comparsa solo per la missione d’esordio e per un’altra,
che non sveliamo. Il resto dei fatti si svolgerà a Karnaca, città del
sud decisamente diversa dagli scenari visti nel capitolo precedente: se,
infatti, Dunwall era ispirata all’Inghilterra dell’Ottocento, la nuova
location è molto più vicina all’Europa del sud, come ci ha spiegato
anche Sebastien Mitton, art director. Le fonti d’ispirazione del team
degli artisti per la nascita del “Gioiello del Sud” hanno coinvolto
anche l’Italia e più generalmente gli scenari del Mediterraneo –
ulteriore motivo per cui si spiega il passaggio ad una palette di colori
molto più calda e vivace rispetto a quella di Dunwall. Si tratta
insomma di una cittadina di opulenza, che nasconde però sotto a palazzi
imperiosi anche quartieri in cui è il degrado a farla da padrone, al
punto che si sta diffondendo una infestazione di bloodfly, mosche del
sangue che si annidano nei cadaveri e attaccano i passanti. Le
contraddizioni sociali non passano inosservate sotto gli occhi dei suoi
abitanti, al punto che il team di sviluppo ci ha raccontato che, nel
momento in cui si svolgerà il gioco, ci saranno veri e propri scenari di
tumulto popolare, con conflitti sia tra le fazioni che si contendono il
controllo della città, sia tra le differenti classi. C’è anche un
ulteriore dettaglio interessante, legato a Karnaca: si tratta della
città natale di Corvo Attano, protagonista del primo episodio. Gli
scorci che ci sono stati mostrati sono realizzati davvero con dovizia di
particolari, ed anche il nuovo Void Engine, nato appositamente
per il progetto, ci ha fatto un’ottima impressione: l’inconfondibile
direzione artistica rimane invariata nello stile, ed il gioco dà la
sensazione di essere davvero bello da vedere non solo nei modelli di
Corvo e Emily, ma anche negli stessi paesaggi di Karnaca.
Considerando che Harvey Smith ci ha spiegato che l’intento del team è quello di fare della città un vero e proprio personaggio, oltre che una parte fondamentale delle vicende, la cura per i dettagli risposta da Arkane nella sua realizzazione promette estremamente bene.
Considerando che Harvey Smith ci ha spiegato che l’intento del team è quello di fare della città un vero e proprio personaggio, oltre che una parte fondamentale delle vicende, la cura per i dettagli risposta da Arkane nella sua realizzazione promette estremamente bene.
Sono passati 15 anni dagli eventi del primo Dishonored,
e quella che un tempo era la piccola Emily Kaldwin ha ora 25 anni, e
tutte le intenzioni di riprendere il trono che le spetta. Ecco perché la
ragazza è diventata a sua volta un’assassina, e sarà una delle maggiori
novità di Dishonored 2: all’inizio del gioco, infatti, dovrete
completare una prima missione vestendo i suoi panni, terminata la quale
avrete l’opportunità di scegliere se continuare l’avventura nei panni di
Emily, o passare in quelli dell’invecchiato ma sempre letale Corvo. La
scelta, come spiegato dagli sviluppatori, sarà definitiva fino al
termine della campagna. Ovviamente, avere due protagonisti mutuamente
esclusivi è una scelta coraggiosa e forte, dal momento che implica il
doppio degli sforzi, con il rischio poi che gli utenti decidano di non
concedere al gioco una seconda run, completandolo quindi solo con uno
dei due personaggi possibili. La volontà di Arkane, però, era ferrea, ed
il team ha accettato di prendersi questo rischio anche per garantire a Dishonored 2 tanta innovazione: se,
infatti, Corvo vedrà il ritorno di tutte le sue abilità soprannaturali
già viste nel precedente, quelle di Emily sono invece completamente
inedite, e consentono quindi di mettere in campo nuove strategie e
interazioni.
Prima di addentrarci quindi nel mondo delle abilità, è opportuno precisare che la struttura di Dishonored 2
rimane la stessa del precedente: avrete una base operativa a cui
tornare tra una missione e l’altra, in questo caso rappresentata dalla
nave Dreadful Whale capitanata da Megan Foster. Abbandonata la nave, vi
ritroverete quindi a completare missioni che vogliono concedere grande
libertà di approccio, consentendovi di decidere la sorte dei vostri
bersagli, e in alcuni casi anche di influenzare le fazioni della città.
Nella missione che ci è stata mostrata, ad esempio, Emily ha deciso di
eliminare il Vice Overseer e schierarsi con Paolo, capo di una delle
fazioni del gioco. Alternativamente, avrebbe potuto uccidere Paolo e
schierarsi con l’altro gruppo, o anche farli fuori direttamente
entrambi. La libertà, insomma, sarà ancora una volta e più di prima un
elemento fondamentale del gameplay di Dishonored 2, con Smith e compagni che hanno rimarcato più volte che è possibile completare il gioco anche senza uccidere nessuno.
Il
punto, infatti, è che tutti i poteri sono pensati sia per essere
efficaci mezzi di eliminazione, che semplici diversivi da sfruttare per
passare inosservati. In merito, lo stesso Smith ha voluto precisare che è
sbagliato pensare che Corvo sia il personaggio adibito ad un gameplay
più violento e Emily a quello più stealth: entrambi possono assolvere
ottimamente a entrambi i ruoli, grazie alla bivalenza dei poteri di cui
possono fare uso.
Veniamo
alle abilità, dunque: prima di tutto, è cambiato il modo in cui saranno
sviluppate. Se, nel primo episodio, si passava ai diversi livelli del
singolo potere, questa volta sono presenti dei veri e propri alberi di
abilità per ciascuna, che vi consentono di renderlo sempre più utile a
seconda delle vostre preferenze – a patto che abbiate trovato la
quantità di rune necessarie a svilupparlo. Ci sono stati mostrati
diversi dei poteri di cui Emily potrà servirsi: il primo, Far Reach,
corrisponde al potere Traslazione di Corvo, e vi consente di spostarvi
rapidamente. Se, però, quella di Corvo era un vero e proprio
teletrasporto, in questo caso Emily si “aggrapperà” alla parte indicata
dello scenario, oltrepassandola rapidamente. Il bello di questo potere,
però, è che non servirà solamente a spostarsi: sviluppandolo, infatti,
potrete afferrare gli oggetti distanti e portarli a voi, o magari
lanciarli alle guardie per colpirle e distrarle. Ai livelli più alti,
potrete perfino afferrare i nemici, magari portandoveli vicini per
eliminarli.
Ci è stato mostrato anche Mesmerize, che
consente di stordire i nemici, facendoli però rimanere in piedi e
praticamente scollegandoli dal mondo reale. Una volta che avrete
disattivato i loro sensi, starà a voi decidere se superarli passando
inosservati, o se invece procedere ad eliminarli. Sviluppando il potere,
potrete stordire sempre più nemici contemporaneamente, fino ad un
massimo di quattro.
I due poteri più affascinanti sono stati però sicuramente Domino e Doppleganger.
Per quanto riguarda il primo, esso consente a Emily di collegare tra
loro, mediante una linea immaginaria, diversi nemici. Una volta che
avremo stabilito la connessione, anche le loro sorti saranno legate:
eliminando il primo, infatti, moriranno immediatamente anche tutti gli
altri. Sviluppando l’abilità, potrete aumentare il numero dei nemici da
collegare. In merito a Doppelganger, quest’ultima consente di creare un
doppio di Emily, che potremo utilizzare per distrarre i nemici o per
attaccarli. Il suo uso più interessante, però, è senza dubbio alcuno
quello che è stato fatto insieme a Domino: il Doppelganger è stato
infatti collegato ai nemici e, semplicemente uccidendo il primo, sono
state eliminate anche tutte le guardie ad esso connesse.
Infine, l’ultimo potere di Emily svelato da Arkane è stato Shadow Walk,
che consente all’assassina di trasformarsi in una piccola entità
difficile da individuare, simile ad un’ombra, e capace di infilarsi
anche negli anfratti più piccoli, un po’ come faceva Corvo quando
possedeva un ratto.
A proposito di Corvo, ci sono novità anche per i
suoi poteri: Traslazione, ad esempio, può ora concludersi con un
attacco, in caso vi stiate trasportando nei pressi di un nemico e
abbiate il tempismo giusto. Torna anche Branco Famelico, con i topi che
potranno far sparire i cadaveri, e saranno quindi nemici giurati delle
bloodfly, che non mancheranno di attaccarli qualora li vedessero. Questa
volta, potrete anche scatenare due orde di topi contemporaneamente. I
nuovi sviluppo di Possessione consentono invece di prolungare la durata
del potere, oltre che passare rapidamente da un essere vivente
all’altro. Tra le altre cose, come ci ha detto Smith, potremo anche
possedere un cadavere per nasconderci dalle guardie. Il potere
Distorsione è stato a sua volta rivisto, e consentirà ora di decidere
anche di lasciar avanzare lentamente il tempo, mentre lo controllate,
evitando quindi il blocco totale. Infine, sia Corvo che Emily hanno a
disposizione Visione Oscura, che gli consente di individuare i
nemici ed i pericoli. In questo caso, il potere sarà molto utile nel
Dust District che ci è stato mostrato: quest’ultimo, prima noto come
Baptista District, è infatti spesso colpito da vere e proprie tempeste
di polvere causate dallo sfruttamento della miniera. Queste ultime
colpiscono l’area in modo procedurale, costringendovi quindi a rivedere i
vostri piani in corsa, consapevoli però che Visione Oscura vi sarà
particolarmente utile, poiché consentirà di vedere nel bel mezzo della
tempesta, a differenza delle sentinelle. Tra le novità del gameplay
troviamo anche le meccaniche delle bloodfly, alle quali facevamo cenno
in apertura: questi insetti giganti sostituiscono la meccanica della
peste dell’episodio precedente, e infestano le aree più basse della
città con i loro nidi. Maggiori saranno i cadaveri che vi lascerete
alle spalle, maggiore il numero dei nidi, che potranno anche essere
difesi da persone infestate. Per cercare di migliorare la situazione,
potrete andare a distruggere i nidi, ma sappiate che avvicinarvi
potrebbe non essere una buona idea. In compenso, sappiate che potrete
possedere anche le stesse bloodfly. Segnaliamo infine che gli
sviluppatori ci hanno anche svelato che saranno presenti alcuni scenari
che, in pieno stile steampunk, si modificheranno attivando alcune leve: è
il caso della Clockwork Mansion di Kirin Jindosh vista nel trailer
dell’E3, dove potrete scegliere l’impostazione della stanza che
preferite per arrivare all’obiettivo. Il nostro ultimo appunto è
relativo ad un aspetto molto richiesto dai fan, che sono stati ascoltati
e accontentati, come dichiarato da Smith: sia Corvo che Emily, questa
volta, saranno doppiati, con il primo che avrà la voce di Stephen
Russell, già interprete originale di Garrett in Thief, e la
seconda che avrà quella di Erica Luttrell, che ha lavorato anche in
Fallout 4. Tra gli altri doppiatori, segnaliamo anche Rosario Dawson,
Pedro Pascal e Vincent D’Onofrio, che compongono un cast di talenti
davvero d’eccezione.
Doom
Piattaforme:PC
Genere:Sparatutto
Sviluppatore:ID Software
Data uscita:13 maggio 2016
Era il 1993 quando per la prima volta le fauci dell'Inferno si sono spalancate, vomitando sugli schermi dei nostri PC una pixellosa orda di progenie demoniaca. DOOM è stato il capostipite spirituale di un genere, imponendosi come punto di riferimento per tutti gli FPS delle generazioni successive. In molti hanno provato ad eguagliarlo, un sacco di ottimi titoli si sono avvicendati, ma quasi nessuno ha raggiunto il suo iconico status di vera e propria propria leggenda. Un secondo capitolo all'altezza, un terzo che con il suo cambio di rotta ha attirato su di sè le ire del popolo del web e una bella mod ad alto indice di truculenza, poi più nulla. Dalla presentazione avvenuta l'anno scorso all'E3 in molti (compreso il sottoscritto) erano trepidanti; farsi carico di un nome così importante è un bel rischio e il risultato sarebbe potuto essere un tremendo fallimento. Signore e signori, è con estrema gioia che vi diciamo quanto segue: i ragazzi di Id Software ce l'hanno fatta: DOOM è tornato! Più gore, veloce e cattivo che mai. Siete pronti per la mattanza?Per chi vi scrive DOOM è stato uno dei pilasti videoludici dell'infanzia. Quante ore ci ho passato, sia sul vecchio 486 che sulla cara PlayStation. Quello che temevo, così come la maggior parte dei fan di vecchia data, è che questo nuovo capitolo venisse eccessivamente semplificato per poter andare incontro alle esigenze delle nuove generazioni. É successo? In parte si. Mi ha dato così fastidio? Devo dire di no. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla trama. La narrativa non è mai stato il punto forte di questo gioco e la sua più recente incarnazione non fa eccezione. Ci svegliamo su di un letto di pietra, circondato da cumuli di candele accese su un pavimento lordo di sangue e costellato da simboli satanici. Nemmeno il tempo di uno sbadiglio e veniamo aggrediti da scheletri con ancora appeso addosso qualche lembo di pelle. Con la pistola che abbiamo in mano facciamo fuoco convulsamente senza porci troppe domande in merito. Le ossa si si rompono di schianto sotto i rapidi colpi al plasma della nostra arma e dopo aver fatto piazza pulita ci inoltriamo con circospezione nella stanza adiacente. Eccola lì, incastrata in un'alcova nel muro, splendente e massiccia, ci troviamo al cospetto dell'armatura Praetor. É proprio lei, molto più bella di quanto la ricordassimo sulla vecchia copertina sbiadita del gioco originale. La ammiriamo per qualche secondo in nostalgica adorazione, prima di indossarla e barattare la gioia degli occhi con la sua imprescindibile funzionalità protettiva. Siamo pronti ora: un futuristico cavaliere ricoperto di un acciaio inossidabile come la sua tempra, deciso a fronteggiare da solo l'intero esercito di demoni che si stà riversando senza sosta nel mastodontico complesso marziano. Senza stare a dilungarmi troppo sulla trama, invero molto semplice, quello che dovete sapere è che su Marte si stà sperimentando l'uso di un nuovo tipo di energia che deriva appunto dai più torridi gironi infernali. Il portale che collega il pianeta rosso al regno demoniaco è fuori controllo e spetta a noi chiuderlo per sempre. Ovviamente dimenticatevi le buone maniere e i procedimenti scientifici, quello che faremo sarà ammazzare qualunque cosa si muova, a costo di andare a piantare un proiettile in testa a Satana in persona.Come dicevo prima questo nuovo DOOM aggiunge parecchia carne al fuoco rispetto al capostipite della saga, ma strizza anche l'occhio a tutti coloro che hanno amato i vecchi capitoli. Tornano le chiavi d'accesso colorate da recuperare per poter accedere ad aree precedentemente bloccate, così come parecchi demoni della vecchia guardia e molte delle bocche da fuoco che abbiamo imparato ad amare. Vediamo però cosa c'è di nuovo. Innanzitutto il titolo introduce un sistema di finisher: una volta danneggiato abbastanza un nemico esso comincia a barcollare, basta avvicinarsi e colpirlo con l'attacco fisico per dare il via ad una breve quanto truculenta esecuzione, che porrà fine all'esistenza dell'aberrazione in un tripudio di sangue, regalandoci inoltre un po' di salute. Similmente, dopo essere entrati in possesso della motosega (mamma mia quante soddisfazioni!), possiamo smembrare i nemici con la sua inclemente lama seghettata, godendo di una macabra doccia di sangue e guadagnando parecchie munizioni. Passando alle armi standard, tutti gli strumenti di morte di cui entreremo in possesso hanno una modalità di fuoco primaria e due secondarie, sbloccabili attraverso il recupero dello schema relativo da uno dei droni che si trovano sparsi nei livelli. Una volta acquisiti possiamo passare da una modifica all'altra, alterando pesantemente la funzionalità del ferro in questione. Completando le sfide proposte in ogni livello e macellando i nostri nemici senza pietà si guadagnano punti da spendere nelle varie modifiche, rendendo ancora più mortale il nostro devastante equipaggiamento. Novità che abbiamo trovato fastidiosamente utile è la ruota delle armi, richiamabile con la pressione di un tasto questa fa rallentare il tempo mentre scegliamo lo strumento di distruzione più consono alla situazione. Sicuramente non piacerà ai puristi (che possono comunque avvalersi dei tasti numerici) ma dobbiamo ammettere che la trovata risulta comoda soprattutto nei combattimenti più concitati -cioè tutti NDR-. L'azione degli scontri risulta talmente frenetica che anche la ricarica è stata eliminata, costringendoci a passare a soluzioni alternative non appena terminati i colpi disponibili. Altra novità è rappresentata dalla possibilità di migliorare l'armatura Praetor, prelevando i token dai cadaveri di alcuni soldati possiamo infatti accedere a svariati bonus passivi, utili per portare avanti il nostro massacro in maniera ancora più efficiente. Affiancati a tutti questi elementi pseudo GDR, ogni tanto si può incappare in alcuni monoliti che danno accesso alle sfide runiche: delle prove a tempo che una volta completate conferiscono altri bonus passivi. Tutti gli elementi recuperabili come i droni, i cadaveri dei soldati, i power up, i monoliti e i collezionabili sono chiaramente segnalati sulla mappa che è possibile esplorare liberamente a patto di avere gli accessi necessari. Questa in effetti è una semplificazione eccessiva che ci ha fatto storcere un po' il naso, anche se sapere in che punto si trova un oggetto non sempre significa potervi accedere liberamente. Detto questo, gli amanti del collezionismo avranno il loro bel da fare per passare al setaccio le enormi aree di gioco al fine di recuperare tutto il recuperabile.Il titolo vi sembra eccessivo? Fidatevi, non lo è! Quello in cui DOOM eccede è sicuramente il grado di violenza proposto. I video postati dai vegani su facebook, in cui si vedono crudeltà di ogni genere perpetrate su bovini e simili, al confronto sembrano una puntata dei teletubbies! Sul serio, il livello di efferatezza delle finisher, le piogge di sangue e il tripudio di budella che volano in giro come stelle filanti ad una macabra festa non ha eguali. Il tasso di violenza è tale che perfino recuperare gli schemi delle armi dai droni è una scusa buona per menare pugni pesanti come martellate. Il silente protagonista non va per il sottile con nessuna delle cose con cui può interagire, alzando l'asticella del machismo gratuito oltre il livello di qualsiasi altra produzione. Ogni demone che incontriamo sulla nostra strada è realizzato magnificamente e la maggior parte di loro sono gli stessi che abbiamo imparato a temere nei primi capitoli. Splendidi nella loro grottesca empietà, essi focalizzano la nostra furia durante scontri rapidissimi in cui non abbiamo nemmeno un attimo per prendere fiato. Il frenetico ritmo delle battaglie è scandito da una colonna sonora pesante, che si rifà a sonorità industial e djent. Anche le ambientazioni, seppur in alcuni frangenti un po' ripetitive, offrono un colpo d'occhio incredibile, facendoci respirare l'acre odore delle esalazioni infernali ad ogni singolo passo. A proposito di ambientazioni abbiamo notato una forte verticalità delle mappe, sfruttata dagli sviluppatori per porre il giocatore di fronte a sezioni praticamente platform. Queste intervallano bene un gameplay che altrimenti sarebbe stato veramente troppo serrato e contribuiscono a variare, seppur brevemente, l'esperienza di gioco.Ad affiancare la truculenta campagna abbiamo un comparto multiplayer affine agli shooter arena anni novanta, come Unreal Tournament o Quake Arena. Un gameplay che di tattico ha ben poco e che punta tutto sull'azione frenetica e la prontezza dei riflessi. Ad una pletora di modalità non troppo originali è abbinato un bilanciamento un po' ballerino, soprattutto a causa della runa che consente di trasformarsi in demone. Una volta spawnata infatti tutti i presenti tenteranno di aggiudicarsela al fine di trasformarsi in un potente demone in grado da solo di spaccare un bel po' di teste. Se siete interessati ad avere specifiche più dettagliate sul comparto multiplayer vi consigliamo di leggere la nostra recensione console, in cui l'argomento viene trattato più approfonditamente. Ad aumentare la longevità del titolo, già molto elevata grazie alla campagna piena di collezionabili e al comparto multigiocatore, abbiamo la funzione SnapMap. Questa non è altro che un imponente editor delle mappe, che ci consente di creare arene di nostro gusto. Vi sono parecchie stanze già precostruite, assemblabili tra loro e personalizzabili sia in termini estetici che di contenuti. Il tool risulta molto più gestibile con mouse e tastiera rispetto che con il pad e siamo certi che gli utenti più virtuosi riusciranno sfruttarlo a dovere, aumentando la mole di contenuti del titolo in maniera vertiginosa. Rimanendo in tema di confronti, segnaliamo che la versione PC non è in alcun modo piagata dai lunghi caricamenti riscontrati su console e che abbiamo avuto modo di godere della cruenta esperienza di gioco ad una risoluzione di 1080p ancorata a dei granitici 60 frame per secondo. Il motore non ha mostrato alcuna incertezza, nemmeno nelle situazioni più concitate, e non siamo inciampati in alcun fastidioso bug, scomodo marchio di fabbrica del producer americano. Dulcis in fundo notifichiamo a tutti coloro che non hanno familiarità con la lingua inglese che la produzione è interamente doppiata in italiano, dettaglio di poco conto in realtà, in quanto in DOOM c'è poco spazio per le parole, le fucilate in faccia sono già abbastanza eloquenti.
domenica 15 maggio 2016
Civilization VI
Piattaforme:PC
Genere:Strategico
Sviluppatore:Firaxis
Data uscita:21 ottobre 2016
Si è presentato così, nel corso della giornata di ieri, Civilization VI. Un riassunto della Storia della nostra specie, dei suoi traguardi, di quella gigantesca, affascinante eppure spesso tragica epopea chiamata genere umano, della quale portiamo noi stessi la fiaccola. Dopotutto, è questo ciò che Civilization ha sempre cercato di fare: metterci di fronte alle fasi della civilizzazione del pianeta (o, come nel caso di Beyond Earth, anche al di là di esso), facendocele ripercorrere, perfino scegliere, dandoci la possibilità di soppesare ciò che conta di più—la cultura, il progresso, un esercito capace di difendere e attaccare, o forse le meraviglie che consentiranno di incidere i nostri nomi nella Storia?La scelta è sempre stata nelle mani dell'uomo. E, da saggi leader virtuali, dovremo fare le nostre mosse anche in questo nuovo episodio, che promette tante innovazioni per una formula collaudatissima ed apprezzata, che ha consentito, dal 1991 ad oggi, di superare i 33 milioni di copie vendute.Per darci la nostra opportunità di lasciare una traccia sul nostro pianeta videoludico, i ragazzi di Firaxis—guidati dai lead designer di Brave New World e Gods and Kings—hanno deciso di apportare alcune importanti modifiche. Se, in Civilization V, la grande novità era stata la gestione delle truppe, con piccoli schieramenti diversi per ogni casella, ora è il turno di rinnovare le città, grandi protagoniste della serie. Dimenticate quindi i vecchi centri abitati che si concentravano su un solo esagono per venire poi circondati da campi e altri territori occupati dai nostri lavoratori, perché le cose saranno decisamente diverse: alla crescita della vostra città, infatti, corrisponde la possibilità di sviluppare dei nuovi distretti, di dodici tipologie diverse, e che andranno ad occupare ciascuno un esagono sulla mappa di gioco. Attenzione, però, perché ogni distretto avrà delle caratteristiche specifiche, oltre che dei requisiti, e vi richiederà quindi un po' di pianificazione ed intelligenza per struttura una città efficace e che, sicuramente, risulterà diversa da qualsiasi altra. Tanto per citare alcuni esempi fatti da Firaxis, potrete costruire un distretto commerciale per migliorare l'economia della città, consci che dovrà essere vicino al centro, oppure un grosso distaccamento militare per proteggerla, con la consapevolezza che dovrà essere nella periferia. Come spiegato dagli sviluppatori, quindi, le città avranno molto più carattere e saranno fortemente specializzate rispetto agli episodi precedenti, dal momento che saranno proprio i distretti che deciderete di costruire a decretare la loro identità—si tratti di una città incentrata sul commercio, sulla cultura, sulla produzione militare o quant'altro.Avere distretti specifici che si possono occupare di mansioni differenti nelle diverse caselle (che saranno fino a 36 per singola città) modifica sensibilmente anche l'approccio bellico che potreste decidere di mettere in campo: dichiarare guerra ad una città che ha costruito distretti militari nei suoi confini potrebbe non essere una buona idea. Di contro, potreste meditare di attaccare e distruggere il distretto in cui si producono i carri armati per indebolire sensibilmente lo schieramento nemico, o magari quello economicamente più fiorente per lasciare la città nemica a secco di preziose monete. Ovviamente, la cosa vale anche al contrario: se la vostra piccola civiltà dovesse ritrovarsi a subire l'attacco di un grosso impero, ad esempio, vi troverete a compiere scelte difficili: gli sviluppatori hanno spiegato che dovrete ad esempio scegliere di lasciare in loro balia alcune risorse, quelle meno importanti per voi, mentre tentate di riorganizzarvi per far resistere all'assedio le parti più importanti della città. Avrebbe senso, quindi, difendere le aree di produzione bellica, finendo magari col sacrificare altre risorse non immediatamente necessarie per lo scontro.Firaxis ha spiegato di essere giunta a questa soluzione per le città con la volontà di evitare che esse ricadano sempre all'interno di pattern ripetitivi, vogliosa quindi di una maggiore varietà e di trascinare i giocatori fuori dalla loro comfort zone, spingendoli a tentare nuove strategie e ad adattarsi alle situazioni più diverse. Per riuscire in questo intento, però, alle rinnovate città si affiancano anche ulteriori cambiamenti.
Prima di tutto, il territorio, appunto: se, in precedenza, anche la città radicata nell'entroterra più arido poteva agevolmente studiare e scoprire la navigazione (non importa il fatto che non sapesse nemmeno dell'esistenza dell'oceano) questa volta la vicinanza con risorse effettivamente affini alle nostre risorse consentirà di dimezzare i tempi di apprendimento della nuova scienza. Per rimanere nell'esempio della ricerca navale, provare a studiarla in una città portuale richiederà metà del tempo, e sarà quindi incoraggiato. Di contro, sarà difficoltoso e lento cercare di studiare la lavorazione della pietra, se non avremo a disposizione questa risorsa. O ancora, chiedere ai nostri scienziati di studiare l'astronomia sarà complicato, se non ci sarà nei pressi della città una montagna in cui situare il nostro osservatorio. Non è tutto: per rendere le cose più interessanti, come accennavamo qualche riga fa, saremo noi stessi chiamati in causa per l'apprendimento delle nuove scienze, con piccole sotto-missioni che dovremo completare per consentire di proseguire negli studi delle prossime tecnologie. Sempre nel caso della navigazione, ad esempio, i nostri studiosi ci chiederanno ad un certo punto di avere a disposizione un certo tipo di navi per poter proseguire, migliorando così la nostra conoscenza della disciplina.L'importanza delle risorse del nostro territorio è tale che queste ultime andranno ad influenzare perfino le ambite Meraviglie che avremo l'opportunità di erigere e sfoggiare: scordatevi quindi di costruire le vostre splendide Piramidi se non avete a disposizione un deserto, o di fare bella mostra di Stonehenge se non disponete di una cava di pietra. Dovrete agire con oculatezza anche quando costruirete alcune strutture importanti della vostra città: per fare in modo che i vostri laboratori di ricerca diano i risultati sperati, ad esempio, è bene che siano vicini a foreste, ricche di risorse naturali e creature da mettere sotto esame. Ci sarà insomma un ruolo ideale per ogni singola casella, nel quale il gioco vi guiderà con un ampio tutorial e sul quale fornirà tutti i suggerimenti del caso, qualora li gradiate; per facilitarvi il compito, gli sviluppatori hanno anche incluso un sistema che consente di evidenziare con colori diversi (a vostra discrezione) le caselle, consentendovi così di vedere con un rapido colpo d'occhio quelle ideali per l'agricoltura, quelle per i poli industriali e così via.Appare insomma abbastanza chiaro che le opportunità offerte dal territorio in cui ci troveremo avranno un ruolo chiave in Civilization VI, e costringeranno ad adattarsi anche il giocatore più ancorato agli schemi acquisiti nei precedenti episodi.Diceva Aldous Huxley, nel suo illuminante Brave New World, che "non c'è civiltà senza stabilità sociale, e non c'è stabilità sociale senza stabilità individuale." Ad ogni grande civiltà, anche in Civilization VI, corrisponde un grande leader, dalla cui stabilità individuale appena citata dipenderanno gli atteggiamenti e dunque le sorti della propria nazione. Ricorderete però, in Civilization V, dei leader la cui personalità era decisamente di difficile interpretazione, tutti simili gli uni agli altri, e che potevano finire con il dichiararvi guerra semplicemente perché sì. Una cosa parecchio irritante, se capitava mentre eri intento a costruire le tue meraviglie e ti ritrovavi invaso da un non troppo simpatico migliaio di ottomani inferociti. Le cose, per fortuna, andranno in modo diverso in questo nuovo episodio: gli sviluppatori ritenevano infatti che proprio l'IA dei leader, e tutto il sistema di diplomazia, fossero uno dei punti meno riusciti del quinto episodio, motivo per cui hanno deciso di concentrare molti dei loro sforzi sul rinnovamento di queste meccaniche.Ancora una volta, dunque, le civiltà saranno guidate da un leader, che avrà però una serie di piani e scopi da raggiungere. Le personalità saranno differenti e dovremo via via imparare a conoscerne interessi ed inclinazioni, consapevoli di un elemento fondamentale: all'interno dei piani del leader, ce n'è sempre uno storicamente accurato. Firaxis ha spiegato che, ad esempio, un leader passato alla Storia per il suo mecenatismo cercherà di costruire numerose e straordinarie meraviglie anche in Civilization VI. Tutto molto affascinante, se non ci fosse il rischio che quello sia la nostra stessa ambizione. Quando il leader in questione scoprirà che siete stati voi a costruire le Piramidi, strappandogli questa possibilità, comincerà a disprezzarvi e rischierete anche che decida di attaccarvi.I diversi leader avranno quindi interessi ed inclinazioni molto differenti e, imparato a conoscerli e a trattarci (con metodologie e opzioni che non ci sono state ancora rese note) potremo essere abbastanza abili da tenerli come alleati, scendendo a qualche utile compromesso. Scoprire le loro debolezze, infatti, non significa necessariamente chiudere la cosa con le armi in pugno. In fin dei conti, è di diplomazia che stiamo parlando, anche se la decisione nelle trattative con le altre nazioni sarà solo ed unicamente vostra.Qualora proprio non ci sia verso di farvi stare simpatica questa o quella civiltà, inevitabilmente, si ricorrerà alla lancia, la spada o il fucile, in base all'epoca in cui siete arrivati. Dopo le novità che abbiamo già spiegato per le battaglie di Civilization V, che gli autori hanno gradito molto per le meccaniche strategiche di sasso-carta-forbice che andavano a crearsi tra le diverse unità, in Civilization VI ci sarà qualche ritocco: Firaxis riteneva infatti che la gestione delle singola unità per ogni minima casella creasse un fastidioso sovraffollamento nei momenti di guerra, e ha deciso di offrirvi la possibilità di unire alcune unità, rigorosamente della stessa tipologia, per creare dei corpi più grandi e più potenti. Unendo due o tre unità di carri armati, ad esempio, avrete un corpo, e potrete fare lo stesso con le truppe di terra o con gli arcieri, per citarne alcuni. Inoltre, altre risorse belliche che nel precedente andavano gestite singolarmente, come le torrette, saranno ora considerate di supporto, e si potranno assegnare alle unità, alle quali si accorperanno. Come spiegato dagli autori, l'intento è insomma quello di avere un campo di battaglia più chiaro e gestibile, senza però sacrificare quell'eterogeneità e quelle meccaniche che sono state particolarmente apprezzate in Civilization V.
mercoledì 11 maggio 2016
Overwatch
Piattaforme:PC, PS4, Xbox One
Genere:Sparatutto
Sviluppatore:Blizzard
Data uscita:24 maggio 2016
Nella giornata di ieri si è conclusa l’open beta di Overwatch, il nuovo fps competitivo targato Blizzard. In moltissimi si sono radunati sui server di Battle.net per darsi battaglia, tanto che gli sviluppatori hanno deciso di prolungare di un giorno il termine della beta, disponibile sia su pc che su console. A confermare quella che già da ora sembra una partecipazione del pubblico di tutto rispetto, si aggiunge la curiosa notizia che vede la ricerca del termine “Overwatch” aumentare del 817% su un noto sito di intrattenimento: segno, questo, di una sicura presa sui videogiocatori. Da questi dati è anche possibile ipotizzare quale eroe sia il preferito dal pubblico: il termine più cercato insieme a “Overwatch” è infatti “Tracer”, personaggio che pare molto amato, e a quanto sembra non per meriti legati esclusivamente al gameplay.Ma passiamo alla beta vera e propria. Innanzitutto è doveroso far notare che Jeffrey Kaplan, game director di Overwatch, ha deciso di rendere disponibili al pubblico dell’open beta tutte le funzioni che saranno presenti nel titolo definitivo. L’unica notevole omissione è la modalità competitiva, la quale però non sarà disponibile neppure al lancio e dovrebbe essere implementata nei primi mesi dopo l’uscita. Per il resto, il titolo si mostra con tutte le caratteristiche che vedremo il 24 maggio. Le modalità sono le tre classiche (conquista, trasporto, controllo, più la ibrida conquista/trasporto), distribuite su 12 mappe. Troviamo poi diverse tipologie di addestramento, dal classico tutorial alla partita contro l’IA. Quest'ultima si può giocare al fianco di altri giocatori, così da prendere confidenza con i 21 eroi disponibili e con l’elemento chiave dell’intero titolo: la collaborazione con la propria squadra (di cui abbiamo già parlato nella precedente anteprima, che potete trovare qui). Ogni settimana, inoltre, sarà disponibile una nuova rissa settimanale, con regole di volta in volta diverse (durante la beta, ad esempio, dovevamo sfidarci utilizzando eroi casuali). Chiudiamo questa panoramica con la presenza di partite personalizzate, nelle quali siamo liberi di sbizzarrirci selezionando gli eroi e le mappe disponibili, applicando modificatori alla vita degli eroi, al danno inflitto, al tempo di ricarica delle mosse speciali, e ancora invitando amici o sfidando l’IA.Oltre alle principali modalità di gioco, l’open beta ha permesso di capire meglio come funzionerà la progressione del giocatore. Il Profilo Personale ci dà la possibilità di visualizzare le nostre statistiche (ad esempio i record di uccisioni o di colpi di grazia), mentre nel Deposito possiamo aprire degli appositi forzieri, ottenuti salendo di livello, i quali contengono migliorie estetiche per personalizzare i nostri eroi. A quest’ultimi è inoltre dedicata un’intera galleria, in cui poter ammirare l’ottimo lavoro di caratterizzazione e l’eccezionale cura estetica messi in atto da Blizzard. Qui possiamo vedere, fra le altre cose, le pose di vittoria sbloccate e gli emote, oltre che cambiare i costumi dei nostri eroi. Questo aspetto in particolare è stato realizzato con molta cura, con modifiche che vanno dalla semplice differenza cromatica alle skin che ci mostrano una versione più giovane dell’eroe, fino ad arrivare a costumi del tutto folli e gustosissimi (ad esempio un Junkrat spaventapasseri o un Reaper mariachi). Tutto ciò conferma ancora una volta la volontà di Blizzard di dare la giusta importanza alla componente estetica, concentrandosi su eroi colorati e cartooneschi, uniti ad un mondo di gioco dalle tonalità pastello, perfetto per l’azione sopra le righe del titolo. E vista l’ottima accoglienza del pubblico nei confronti di questi eroi (come dimostrano i curiosi dati presentati a inizio articolo), l’obiettivo si può dire raggiunto.Aspettando di mettere le mani sulla versione finale di Overwatch, non ci rimane che attendere nuove notizie sulla modalità competitiva e capire quanto la sua mancanza peserà il giorno dell’uscita. Nel frattempo possiamo ingannare l'attesa con web comics e cortometraggi animati, rigorosamente “per tutti”.
martedì 10 maggio 2016
Mystery Castle
Piattaforme:PC
Genere:Puzzle game
Data uscita:7 marzo 2016
Ci sono giochi indie che, pur non vantando un comparto grafico d’eccellenza, riescono a sopperire alle mancanze tecniche e ai limiti dovuti alle ristrettezze economiche dei loro team con idee originali, spunti innovativi e tocchi di stile inarrivabili. Ecco, non aspettatevi nulla di simile da Mystery Castle, gioco di Runestone Games Limited in uscita su Xbox One e su Steam (dove, da qualche tempo, ha ricevuto un bel semaforo verde su Greenlight).Il puzzle game in questione rappresenta la quintessenza di quegli indie senza grandi aspirazioni che puntano al riutilizzo di meccaniche vecchie e già abusate, dando vita ad un gioco solido ma non esaltante, che cerca di ritagliarsi un piccolo spazio sul mercato grazie ad un prezzo contenuto e meccaniche collaudate.Ma andiamo con ordine e iniziamo ad addentrarci nei “misteriosi” meandri di questo titolo.Il gioco ci permette di vestire i panni, piuttosto abbondanti, di Monty, un simpatico maghetto sovrappeso che viene letteralmente catapultato in mezzo all’avventura e sarà costretto ad usare tutto il proprio talento per tirarsi fuori da situazioni sempre più estreme ed apparentemente irrisolvibili. Non aspettiamoci, però, di controllare l’Harry Potter o il Gandalf di turno. Il nostro eroe, infatti, farà affidamento quasi esclusivamente sul proprio ingegno piuttosto che sull’utilizzo delle forze arcane, rilegate alla costruzione degli enigmi.Nelle 5 macro aree che compongono il mondo di gioco di Mystery Castle, i nostri neuroni saranno messi a dura prova da livelli sempre più labirintici, caratterizzati da un design davvero funzionale e ben congegnato. Purtroppo, bisogna subito mettere in chiaro come i vari elementi di gioco che vanno a comporre questo puzzle game, davvero vecchio stampo, non siano nulla di innovativo o di particolarmente ispirato. Le meccaniche che fanno da ossatura al titolo ricordano i grandi nomi della storia del videogioco, da Sokoban fino a Zelda.Come nel più classico dei “labirinti” (vecchio sottogenere in voga soprattutto negli anni ‘80), dovremo raccogliere i collezionabili sparsi strategicamente per il livello, in modo da evadere dall’area di gioco, evitando numerose trappole e modificando a nostro vantaggio l’ambiente che ci circonda.Tuttavia, dopo aver passato innumerevoli livelli a spingere scatole e scivolare tra un punto e l’altro della mappa, alla ricerca di un solido appiglio che fermi il nostro incedere, il senso di monotonia e di ripetitività non può che sorgere spontaneo. L’intero impianto di gioco non è, infatti, che una riproposizione di elementi ricorrenti nel mondo dei puzzle game, dando fin da subito un senso di dejà vu che, se da un lato riesce a rendere confortevole e immediato l’approccio ai primi livelli dell’avventura, ben presto si tramuta in un sensazione di ripetitività che annacqua un’esperienza che già non gode di un lato artistico indimenticabile. A mitigare la situazione concorrono, per fortuna, diverse variazioni sul tema, come livelli a tempo o semplici boss fight, che però non riescono a spazzar via la monotonia e lo scarso coraggio del titolo.Il nostro caro Monty, durante il suo incedere, avrà modo di incontrare e fare la conoscenza di cinque individui molto particolari, uno per ogni macro area, atti a farci da ciceroni e a introdurci nuovi ambienti ed elementi di gioco che man mano arricchiranno il gameplay, in partenza davvero essenziale.I personaggi incontrati non sono certo memorabili e fanno riferimento agli stereotipi dei classici giochi d’avventura. L’ironia che pervade i dialoghi (tutti rigorosamente in inglese), così come ogni elemento di contorno della produzione, riesce a smorzare la frustrazione dovuta al trovarci di fronte l’ennesimo nano da miniera o la solita principessa sperduta; ma non aspettatevi una scrittura poi così brillante da potervi davvero intrattenere, nonostante la narrazione non rivesta certo un parametro fondamentale per il giudizio di un puzzle game.Il gameplay, come detto, non è nulla di nuovo, ma per fortuna il design dei livelli è decisamente ispirato e gli enigmi proposti sono stimolanti il giusto, senza mai scadere (se non in rare eccezioni) in difficoltà insormontabili. La sfida insomma c’è, ma è molto graduale ed equilibrata, permettendo al gioco di intrattenerci per almeno una ventina d’ore o anche di più; ovviamente la longevità di un puzzle game, come questo, varia molto in base alla pazienza e l’intuito di ognuno.Il vero problema che mina la giocabilità del titolo è il responso, per nulla immediato, dei comandi. Il gioco offre un pieno supporto ai controller, in particolare quelli di casa Microsoft, ma è tranquillamente giocabile anche tramite tastiera. In ogni caso, ci troveremo di fronte a controlli per nulla reattivi, che minano a volte la precisione dei nostri comandi e la cosa non è di poco conto in un titolo dove anche un solo passo falso costa l’immediato game over.La grafica 2D del titolo è molto semplice e pulita, direi a tratti anche piacevole, ma il gioco sembra davvero grezzo a livello tecnico, con font dei dialoghi un po’ ballerini e menu spogli come pochi altri.Le musiche sono molto scontate e alla lunga un po’ monotone, ma con le loro tranquille nenie di sottofondo svolgono la loro funzione senza guastare l’atmosfera, e anzi, riescono a cullare il giocatore durante le sue peregrinazioni.
Oltre al design davvero convincente, di cui vi accennavo in precedenza, e lo stile grafico minimalista ma piacevole, i livelli presentano una discreta varietà di elementi di gioco che vanno dal poter assumere sembianze animalesche, al prendere possesso di fantasmi e golem, fino ai più classici teletrasporti ed incantesimi di potenziamento. Nulla di nuovo sotto il sole, ma comunque il tutto risulta funzionale e convincente, almeno per quanto riguarda la costruzione degli enigmi.Resta, perciò, l’amaro in bocca per le ingenuità e la mancanza di ambizione che tarpano le ali ad un titolo che non solo non spicca il volo, ma a volare non prova neanche, puntando tutto sulla solidità delle proprie meccaniche.Ci troviamo, quindi, di fronte ad un gioco senza infamia e senza lode, che soffre fin troppo il retaggio di una conversione dai sistemi mobile dove era stato precedentemente rilasciato tra il 2005 ed il 2013. Mystery Castle è stato infatti pubblicato in diverse versioni, di cui il gioco ora in uscita rappresenta una sorta di collezione dei livelli più ispirati, tirati a lucido per l’occasione.Ed è un vero peccato, perché gli enigmi sono davvero ben congegnati e divertenti, mentre gli elementi di gioco, seppur ripetitivi e già visti, sono ben oliati e introdotti con la dovuta gradualità. Una scrittura più ispirata, personaggi e ambienti di gioco caratterizzati in maniera più curata e stimolante, comandi più reattivi, nonché un comparto tecnico all’altezza, avrebbero sicuramente permesso a questo titolo di raggiungere un voto ben più lusinghiero.Resta comunque un indie in grado di soddisfare i fan più duri e puri di puzzle game e labirinti con la sua abbondanza di livelli (ben 180, in attesa dei probabili futuri aggiornamenti), potendo questi passare più di qualche ora di divertimento senza tante pretese, godendosi lo spinto citazionismo che permea l’intero titolo. Per i neofiti, invece, si tratta di una buona occasione per avvicinarsi a questo storico genere, anche se le possibilità che la noia faccia presto capolino sono davvero molte.
Wars Of Napoleon
Piattaforme:PC
Genere:Strategico
Prima di addentrarci nell’analisi di Wars of Napoleon, è bene spendere qualche parola su AGEOD. Per chi non la conoscesse, la software house è sinonimo di wargame e nel suo curriculum appaiono titoli come Thirty Year’s War, To End All Wars e Hannibal: Terror of Rome, produzioni tutte accomunate dalla maniacale ricostruzione storica degli eventi e dei luoghi. Wars of Napoleon segue in pieno lo scia e si propone come una vera gioia per gli amanti del periodo storico delle Guerre Napoleoniche, dato che fino alla più piccola città presente sulla mappa rispecchia alla perfezione ciò che era tra il 1805 ed il 1815. La fedeltà di Wars of Napoleon emerge non appena si entra nella modalità principale, dove sono presenti ben tre scenari e tre campagne differenti. In generale, la prima tipologia di gioco è limitata a un territorio più circoscritto, mette in scena un evento particolare e coinvolge un numero minori di fazioni. Nello specifico il primo scenario, utile per prendere confidenza con le complesse meccaniche di Wars of Napoleon, racconta gli ultimi giorni del generale corso dopo la sua fuga dall'isola d'Elba ed è concentrato nella zona di confine tra il Belgio e la Francia nel giugno del 1815. La difficoltà aumenta leggermente nel secondo scenario, che porta indietro le lancette dell'orologio fino all'ottobre 1815, nei fatidici giorni che precedettero la battaglia di Austerlitz, che vide contrapporsi il nascente impero francese e quello decadente austro-ungarico. Infine, l'ultimo scenario racconta la vittoriosa campagna di Prussia di Napoleone, quando nel 1807 l’esercito francese si spinse fin dentro Berlino e costrinse le forze tedesche alla ritirata verso est. Per calare ancora di più il giocatore dentro l'atmosfera di quei giorni, tutti gli scenari sono introdotti ed accompagnati da un accurato resoconto storico che narra in dettaglio tutte le motivazioni che hanno determinato i vari schieramenti, le alleanze e le disposizioni delle truppe sui confini. Avviando uno di questi tre brevi scenari, come sopra detto, il giocatore avrà a disposizione una breve porzione dell'Europa, molte delle peculiarità della campagna che introdurremo più avanti sono inibite e tutta l'azione verterà attorno all'aspetto bellico, dato che le alleanze e le fazioni nemiche sono già determinate. Le tre campagne si caratterizzano invece per abbracciare un lasso di tempo più ampio - approssimativamente dal 1805 fino al 1815 - e per estendere il proprio raggio di azione su tutta l’Europa. A dire il vero, in questa modalità di gioco sono presenti anche alcune regioni chiave extra-europee, come i territori dell’America del Nord, le isole dell’Atlantico o, ancora, gli Urali ma la scelta di relegare queste regioni dentro dei box a sé stanti posti ai bordi della mappa non si è rivelata un’ottima trovata. All'interno della campagna le fazioni giocabili aumentano in modo notevole, e l’Impero Ottomano o della Spagna sono direttamente gestibili, così come assumono una maggiore importanza anche le fazioni minori, non giocabili, ma che svolgono un ruolo fondamentale nel balletto delle alleanze: la diplomazia ha infatti un’importanza cruciale e assicurarsi l’appoggio dei piccoli stati cuscinetto si rivela una mossa vincente nello scacchiere europeo, dove le superpotenze sono in costante lotta fra di loro e sono costrette a difendere i loro estesi confini. Con le dovute proporzioni, in questa fase Wars of Napoleon si avvicina ai grand strategy di Paradox, grazie all'ampio ventaglio di possibili trattati da stipulare con gli altri stati e con un senso di progressione donato al proprio regno o impero dal sistema delle riforme militari. Detto questo, non aspettatevi però di poter plasmare secondo il vostro volere i tratti principali della fazione perché, a differenza di quanto succede ad esempio in un Europa Universalis, non vi sono tecnologie da sbloccare o particolari politiche o forme di governo da stabilire. In ogni caso, si tratti di singolo scenario o di vasta campagna, i feticisti della storia faranno salti di gioia per quello che si troveranno davanti agli occhi: non solo guidando la Francia, la Gran Bretagna o l’Austria si gestiranno i vari Napoleone, Ney, Wellesely o Karl Mack in persona, ma ogni singola truppa proviene esattamente da quel contesto storico: così l’esercito francese conta nelle sue file la Brigada Pietri o la Brigada Ballard, quello Prussiano mette in campo la Leibgarde con la sua divisione di granatieri, mentre le file inglesi contano al loro interno la cavalleria belga-olandese o la brigata di fanti hannoveriana guidata da Sir Henry Clinton. Come se non bastasse, oltre ai nomi ed i rispettivi comandanti, tutti i corpi d’arme, rappresentati dentro le icone disposte sulla mappa, indossano esattamente la loro uniforme: insomma, raramente abbiamo visto così tanto sforzo profuso da parte di una software house per ricreare fino all’ultimo dettaglio l’esatto contesto storico di uno strategico. Proprio per essere pignoli, potremmo forse soffermarci sulla minore attenzione posta verso le fazioni minori, ben visibile nei ritratti dei loro leader molti stilizzati, ma sarebbe davvero come cercare l’ago in un pagliaio.
Concludiamo la nostra recensione di Wars of Napoleon spostando la nostra attenzione sul comparto tecnico, che purtroppo vive fra molti alti e bassi. Avviata la partita, il colpo d’occhio restituito dalla mappa è più che buono e sono apprezzabili i molti dettagli riposti nell'arricchimento delle varie provincie, caratterizzate tutte da montagne, boschi, fiumi o laghi. Naturalmente, la cosa più riuscita è la realizzazione artistica delle icone delle singole unità: in quelle dei tantissimi generali - almeno quelli delle fazioni principali - sono presenti esattamente i loro ritratti, mentre quelle della fanteria, della cavalleria o dell’artiglieria danno l’impressione di essere state disegnate a mano, con tutto l’attenzione verso il realismo storico. Purtroppo, la pregevole realizzazione tecnica ed artistica - nei limiti dei 1810 Mb - non è supportata adeguatamente da Athena, il motore di gioco proprietario, che fatica non poco a muovere tutto quello che è presente sulla mappa. Per questo motivo, spostare la visuale da un punto all'altro della mappa è un’azione stranamente complicata e fastidiosa, così come fare lo zoom su una singola zona, operazione che avviene a singhiozzi. Infine, spiace constatare come i mesi intercorsi fra la prima pubblicazione e l’arrivo su Steam non siano stati utilizzati per correggere ed eliminare quei fastidiosissimi bug che non di rado si presentano e che costringono ad una chiusura forzata del gioco. Insomma, tanta cura per la storia e per la strategia, ma molta di meno per la stabilità delle prestazioni e del gioco più in generale.
Stellaris
Piattaforme:PC
Genere:Strategico
Sviluppatore:Paradox Interactive
Quando alla Gamescom 2015 vedemmo per la prima volta il trailer di annuncio di Stellaris,
subito nella nostra testa iniziarono a ronzare domande del tipo: “Come
faremo a spedire i nostri Grenzer su Alpha Centauri? Il motore di gioco -
il Clausewitz Engine - verrà sostituito con il Gagarin Engine? Alla
fine, i conquistadores spagnoli convertiranno anche gli indigeni di
Omicron Persei?”. Purtroppo, dopo aver passato molte ore fra
costellazioni, nebulose e pianeti nel nuovo grand strategy sviluppato da
Paradox Development Studios, i nostri interrogativi non hanno trovato
risposta, ma in compenso abbiamo scoperto un sacco di cose nuove
lanciandoci nell'esplorazione degli angoli più reconditi dello spazio,
come il rischio che si corre quando si fanno arrabbiare alieni fungodi
xenofobi, che sviluppare una AI senziente nel proprio impero non è
sempre una buona idea o, ancora, che i pirati dello spazio non sono
tutti quanti dei paladini della giustizia come Capitan Harlock.
Paradox
Interactive, con i suoi grand strategy, può vantarsi di avere
praticamente inventato un genere nuovo, i cui titoli hanno riscosso un
enorme successo sia fra la critica che fra il pubblico, grazie alle
profonde meccaniche di gioco e a schemi quasi unici nel panorama
videoludico: è quindi impossibile analizzare Stellaris senza gettare uno sguardo al passato e fare dei paragoni con i vari Crusader Kings o Europa Universalis. Lo diciamo fin da subito, Stellaris riesce
nel difficile compito di differenziarsi dalle precedenti produzioni ma,
allo stesso tempo, l'impronta di Paradox si vede lontano un miglio.
Anzi, un anno luce. La novità più lampante è certamente la totale
personalizzazione di quasi tutto ciò che si trova dentro Stellaris. Crusader Kings, Hearts of Iron, Victoria ed Europa Universalis
avevano un canovaccio storico da seguire, non era certo possibile far
sì che Hitler fosse un pacifista amante del prossimo, così come non
sarebbe stato accettato da nessuno un Sacro Romano Impero nel Messico
centrale. Ma il futuro, chi lo sa cosa ci riserverà? Partendo da questo
assunto, il team di sviluppo è stato chiaro fin da subito: in Stellaris ognuno
può essere ciò che vuole e noi, prendendoli alla lettera, siamo stati
dei fungoidi industriosi, allo stesso tempo xenofobi ma pacifisti, retti
da una oligarchia plutocratica guidata dall'eccentrico Wolfag von
Bayen. Scherzi a parte, quando diciamo che ogni singolo elemento di Stellaris può essere modificato, intendiamo davvero tutto:
le razze - sia esteticamente che nei tratti peculiari - le galassie,
le forme di governo o, ancora, le astronavi ed i pianeti. Avviando una
nuova partita, le razze messe di default a disposizione - mammiferi,
rettili, uccelli, molluschi, artropodi e funghi - si rivelano dei
semplici preset da cui partire per sbizzarrirsi e plasmare a proprio
piacimento la fazione. Innanzitutto, ne vanno selezionati i tratti
caratteristici: volete avere dei pennuti intelligenti? Potete. Preferite
una popolazione di rettiliani industriosi? Scegliete il tratto
corrispondente ed il gioco è fatto. Naturalmente, la razza perfetta non
esiste nemmeno nel futuro dipinto da Paradox, e così non tutti i tratti e
le caratteristiche positive possono essere impostate ad inizio partita.
Ad esempio, se selezionate come pianeta natale uno ricoperto da oceani,
difficilmente la vostra razza si adatterà ad una superficie arida, e
solo dopo faticose ricerche e scoperte tecnologiche sarà possibile
colonizzare un pianeta differente dalla “terra” di origine. Naturalmente
non mancano all'appello le pure modifiche estetiche, come ad esempio la
bandiera della fazione, il ritratto del suo leader e l’aspetto delle
città che si andranno a costruire. Ecco, nel prossimo futuro,
aspettatevi decine e decine di DLC sotto questo punto di vista.
Ritornando dal divertente all'utile, gli ultimi elementi su cui poter
giocare sono l’aspetto delle proprie astronavi e la modalità con cui si
viaggia attraverso i sistemi planetari, che va dal più immediato warp
travel al più complesso wormhole, consigliato solo ai navigatori
interstellari più esperti. Aprendo invece il pannello dell’editor delle
navette, potreste rimanere spiazzati e credere che alla fine tutte siano
uguali, che le differenze stiano solo nella carena, ma che a conti
fatti prender un modello piuttosto che un altro non faccia differenze.
In parte avete ragione, ma solo in questa fase preliminare perché, una
volta avviata la partita, vi renderete ben presto di essere corsi a
giudizi troppo frettolosi. Infatti, a parte l’estetica, può essere
modificato - previo sblocco tramite ricerca - praticamente ogni singolo
pezzo della nave, dai motori ai cannoni, passando dagli immancabili
scudi deflettori. Come è ovvio, un incrociatore dalla inaudita potenza
bellica avrà un costo differente da una bagnarola scalcinata, ma quello
che vogliamo farvi capire è che il tool garantisce la totale
personalizzazione delle flotte, permettendo così di adeguare le truppe
al vostro stile di gioco. Chiudiamo l’argomento personalizzazione con le
ultime scelte da compiere, indipendenti dalle razze, ossia la grandezza
della galassia - misurata in numero di stelle al suo interno - e la sua
conformazione che, come ben ricorderete dai vostri studi, può essere
ellittica, a spirale con due o quattro braccia oppure sferica, ed a
seconda di quello che deciderete verrà modificata la traiettoria dei
viaggi fra i sistemi. Nel caso in cui la vostra sete di
personalizzazione non si sia ancora placata, sappiate che Paradox ha
dato carta bianca alle community di modder e che dunque da qui in avanti
Stellaris verrà di certo rivoltato come un calzino.
Vagando tra le stelle ed i pianeti di Stellaris, ci siamo imbattuti in sistemi più affollati di una spiaggia nostrana nel giorno di Ferragosto: il cuore del gioco risiede
nell'esplorazione e nella conseguente colonizzazione dei nuovi pianeti
abitabili, operazioni alle volte anche piuttosto semplici, ma che di
frequente nascondono pericolose insidie, rappresentate da qualche mostro
alieno, da pirati spaziali e, soprattutto, dagli altri imperi che mano a
mano si incontrano e che spesso e volentieri si rivelano ostili. Le
prime fasi di gioco sono estremamente importanti ed assomigliano alla
conquista del Far West, perché, proprio come un pioniere americano del
XIX secolo, il giocatore deve lanciarsi alla conquista di nuovi
territori sconosciuti, inviando le proprie navette scientifiche ad
indagare i sistemi che circondano il pianeta natale, alla ricerca di
satelliti e altri corpi celesti nei quali sono presenti le preziosissime
risorse da estrarre immediatamente facendo costruire dalle
apposite astronavi il maggior numero di miniere. Cincischiare in queste
prime fasi di gioco ed attardarsi in operazioni superflue causa fin da
subito un gap tecnologico e di ricchezza che difficilmente verrà colmato
nel proseguo della partita: se avete un minimo di confidenza con le
produzioni targate Paradox, ben saprete quanto esse siano punitive, e
anche Stellaris di certo non differisce in questo aspetto.
Ecco quindi che la generazione procedurale della galassia diventa allo
stesso tempo croce e delizia: se siete fortunati, troverete a portata di
mano sistemi ricchi di risorse da sfruttare, ma, se all’opposto la
malasorte vi perseguita, nei viaggi che farete ai confini dello spazio
potreste trovare anche solo cumuli di roccia ed aride distese. Questo
vale anche per i pianeti da colonizzare perché, come detto poco sopra, a
seconda della razza scelta ad inizio partita, quest’ultima si adatta o
meno solo ad alcune tipologie di superfici, e se il caso vuole che di
fianco a voi ci siano solo corpi celesti inospitali, non ci potrete fare
nulla, almeno non prima di aver sbloccato le tecnologia necessaria. Non prendeteci per matti però quando diciamo che anche questo è il bello di Stellaris e
che l’imprevedibilità è uno dei suoi maggiori punti di forza, la vera
molla che da il là all'esplorazione dello spazio siderale.
Espandere
i confini senza badare alle fondamenta è un grosso rischio, perché un
impero spaziale non può certamente reggersi su dei piedi d’argilla, ed è proprio nella microgestione della fazione che emergono con maggior forza le similitudini fra Stellaris ed i suoi “cugini”,
come ad esempio nella costruzione di nuovi edifici e nell'emanazione di
editti e nuove politiche, che ricordano infatti da molto vicino quanto
già visto in Europa Universalis IV. Chi ha masticato a lungo le
produzioni Paradox, muovendo lo sguardo sullo schermo, incorrerà in ogni
dove in indicatori e schermate famigliari, che, predisposte in maniera
come al solito encomiabile, riescono in pochi e semplici passaggi a
fornire tutto ciò di cui ci si deve ricordare. La massima importanza
l'assume di certo la finestra posta nel lato destro dello schermo, dove è
riportato l'elenco di tutte le navicelle, la loro attività e la loro
ubicazione: dimenticarsi e perdere delle astronave in qualche anfratto
del cielo non è infatti una cosa rara, soprattutto per la vastità della
mappa e, date le pericolosità che si celano in ogni viaggio, è sempre
meglio tenere sott'occhio la propria flotta. Uno dei maggiori pregi dei
titoli Paradox è che essi sono fra i pochi dove la diplomazia funziona
davvero bene, dove anche le fazioni guidate dalla IA si comportano in
modo razionale: da questo punto di vista, Stellaris non fa
alcuna eccezione e, dopo il primo contatto con una civiltà aliena, ecco
aprirsi un vasto ventaglio di possibilità, sia di cooperazione, con la
creazione di vere e proprie confederazioni spaziali, sia di rivalità, ed
infine di guerra aperta. Se siete giocatori navigati dei grand
strategy, potreste però accorgervi di come la diplomazia abbia subito un
processo di semplificazione, con alcune delle opzioni presenti nel
passato ora sostituite da una versione più light, soprattutto per quel
che riguarda il commercio ed i mercati, di cui non rimane che una
pallida ombra in Stellaris. Due sono le motivazioni che
potrebbero esserci dietro questa "parsimonia": da un lato, il processo
di semplificazione incominciato con Europa Universalis IV è stato portato avanti anche con Stellaris,
oppure, conoscendo le politiche commerciali di Paradox, la diplomazia
verrà raffinata nel corso del tempo tramite i consueti DLC rilasciati di
frequente dalla software house svedese. Più in generale, Stellaris si
pone un gradino sotto in termini di complessità e di quantità di
meccaniche da padroneggiare rispetto a quanto visto nei vecchi titoli
Paradox dove, soprattutto nelle primissime fasi ci si trovava davvero
spiazzati davanti a numeri, statistiche e modificatori. In Stellaris,
grazie anche alle missioni che vengono generate di volta in volta, il
giocatore viene seguito da più vicino e non è lasciato solo a vagare
nello spazio: questa maggiore apertura attirerà di certo una nuova fetta
di pubblico, ma i puristi del genere potrebbero storcere un po' il naso
davanti agli aiuti. Il medesimo discorso può esser fatto per la
gestione delle finanze, dato che ora vedere il conto andare in rosso è
una situazione piuttosto rara e bastano pochi semplici accorgimenti per
far tornare gli introiti.
Uno spazio più ampio merita il sistema della ricerca e dello sviluppo, del tutto differente rispetto al passato, ed ora molto più simile a quanto visto in Sid Meier's Civilization: Beyond Earth per via della velocità. Se in Europa Universalis, in Crusader Kings o Hearts of Iron
ci si trovava davanti ad un albero delle tecnologie ben delineato, dove
il giocatore decideva quale fosse la strada da seguire per la propria
fazione già vedendo il punto d'arrivo, in Stellaris vige
al contrario l'incognita più totale. Il team di sviluppo ha infatti
deciso di mischiare le carte nel mazzo, e questo non è un paragone
campato per aria, visto che nelle tre aree di ricerca e sviluppo -
fisica, società ed ingegneria - di volta in volta appaiono in modo
casuale le possibili tecnologie da sbloccare: questa trovata rende le
partite ogni volta diverse fra loro, ma se la nuvola nera di Fantozzi
resiste sopra di voi, può anche capitare di non pescare per svariati
turni proprio la carta necessaria per colonizzare il pianeta che vi sta
di fianco. A capo di ogni dipartimento di ricerca vi è uno scienziato,
parente stretto dei consiglieri di Europa Universalis, da
scegliere accuratamente in base ai suoi tratti particolari, tratti che -
come nella tradizione Paradox - segnano indelebilmente tutti i
personaggi presenti in Stellaris, dagli ammiragli delle
astronavi militari, fino al capo fazione. Quest'ultima figura ci ha però
lasciato un retrogusto amaro in bocca perché, anche nelle monarchie
spaziali, non si ha mai la reale idea di avere a che fare con una
dinastia, ed i leader si sostituiscono semplicemente con un click.
Spendiamo infine qualche semplice parola sulla componente bellica di Stellaris,
dove sono poche le reale novità, ad esclusione della già citata
personalizzazione delle proprie truppe: non aspettatevi quindi di
gestire in maniera diretta le unità durante gli scontri, che avvengono
in maniera automatizzata, ma che sono stati resi molto più spettacolari
dal punto di vista visivo, grazie al coinvolgimento simultaneo di decine
e decine di astronavi.
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